I VALORI SIMBOLICI DELLA GLOCALIZZAZIONE

I VALORI SIMBOLICI DELLA GLOCALIZZAZIONE

di Gianni Tibaldi

Presidente di Glocalimage Il “mito” della Globalizzazione sta ingannando i “Cittadini del Mondo” e stesse Istituzioni pubbliche e private divenute complici consapevoli o inconsapevoli di questo inganno.

La Globalizzazione infatti millantata come via per una universale liberalizzazionesi sta rivelando in strumento di speculazione e di prepotenza mercantile, finanziaria e informatica.

La risposta ai guasti della Globalizzazione è rappresentato dalla Glocalizzazione non intesa tuttavia come un “rimedio” strumentale e subordinato ma come un autentico “sistema” alternativo.

Il termine Glocalizzazione in realtà non esprime una situazione di compromesso o ancor peggio una formula ambigua ma un concetto preciso che allude alla centralità dell’individuo, della persona umana, del patrimonio locale materiale immateriale.

Dà importanza al libero mercato senza riconoscerne tuttavia un valore prevalente e incontrollabile, soprattutto evitando l’appiattimento dei beni e dei consumi determinato dalla Globalizzazione.

Significa rispetto del prodotto e delle tecniche produttive locali come espressioni di una tradizione, di una cultura particolare, di abilità originali di cui i fattori costruttivi della Globalizzazione possono favorire la diffusione e lo sviluppo.

Più precisamente la Glocalizzazione vuole significare rispetto del prodotto locale e delle sue caratteristiche nel momento che si affronta il mercato globale, nonché rispetto  di esigenze locali da parte del prodotto globale: nel primo caso la Glocalizzazione porta inevitabilmente a nicchie di mercato ubicate nel mercato globale, nel secondo a mercati locali che i prodotti globali non potrebbero raggiungere senza adeguamenti.

I significati e i valori trascendenti connessi con la Glocalizzazione non possono tuttavia essere meditati e trasmessi attraverso un dialogo “tecnico” (economico, sociologico, antropologico), ma esclusivamente

attraverso un processo di riflessione e di comunicazione etimo – simbolica, dove i simboli si coniugano profondamente con la  tradizione attraverso le radici del linguaggio.

Il GLOBO

I primi e più comuni riferimenti simbolici sono rivelati dall’iconografia.

L’immagine della sfera tenuta in mano a simbolizzare il dominio sull’universo era conosciuta anche presso i pagani. I cittadini romani erano familiari con la sfera come rappresentazione del cosmo e del dominio dell’imperatore su di esso: per esempio su una moneta del IV secolo è raffigurato l’imperatore Costantino il Grande che tiene in mano una sfera; in una moneta del II secolo, del regno dell’imperatore Adriano, è raffigurato il dio Salus che tiene la sfera sotto un piede.

Dopo che il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero, alla sfera venne aggiunta la croce simboleggiante il dominio dell’unico Dio sul mondo. Per i cristiani, la presenza del “globo crucigero” nelle insegne imperiali rappresentava il fatto che l’imperatore governava l’universo per volere divino. La croce sormontante la sfera rappresentava inoltre il trionfo della cristianità sui pagani.

Dalla “sfera-globo” si sprigionano dunque tutti i significati e i valori simbolici riferibili alla Globalizzazione che ne mettono in luce le ambivalenze e la complessità in particolare connesse alle relazioni fra Globalizzazione e Potere.

Globus prima di significare “palla” e “sfera” significa, infatti, “zolla di terra”, emblema delle terre possedute, base di ogni possesso e potere.

Il globo indica anche la “massa”, il “gruppo”, mediatori e forme del potere. Indica anche “abbraccio”, “riunione” quindi alludendo a valori sociali e politici.

In questa prospettiva si inserisce anche il significato di “arrampicare”, espressione tipica di un comportamento politico aggressivo.

Il globo è collegato anche ai simboli cognitivi e ci rimanda al concetto di conoscenza, non intesa tuttavia in un aspetto tecnico ma più ampiamente antropologico dove conoscere, nascere, essere riconosciuti assumono senso e valore politici.

Non stupisce per questo che nel gotico Kumman appaia esplicitamente il significato di “potere”. Il globo è il “mondo”, cioè l’insieme dei corpi celesti, rappresenta l’universo luminoso ma anche la terra, la realtà esistente e visibile, la vita, tutto quanto sta in comune, partecipa della condizione umana e naturale collegata al nascere e al crescere insieme.

Il globo rappresenta immediatamente il cosmo espressione dell’ordine universale ma anche della bellezza suprema aggiungendo a significati e simboli metafisici simboli estetici. In particolare l’associazione al greco kosmeô, che significa “ornare”, fa emergere decisamente i valori estetici dell’ordine, della normalità, del decoro, della bellezza come caratteri essenziali dell’universo.

Il senso che immediatamente si trova connesso a quelli accennati è quello della totalità.

Il mondo-globo allude con evidenza alla totalità, cioè ai concetti di interezza e di completezza: la totalità come sinonimo di universalità si precisa, infatti, nel concetto del “tenere tutto insieme”, del non dividere ma unire, e anche del completare e del compiere.

I simboli della unità e della interezza sono profondamente congiunti al simbolo della semplicità cosi che appare inesatta l’immagine di un mondo complicato mentre la sua qualità reale è quella della estrema, essenziale semplicità, emblema anzi di tutte le semplificazioni anche concettuali.

Il significato simbolico del globo allude anche, come corollario di una signoria totalitaria, all’avidità che non indica tuttavia soltanto una perversa cupidigia ma anche una forma di desiderio amoroso ancorché

disordinatamente esaltato.

Il globo può rappresentare anche il simbolo della Eredità nel senso di “entrare in possesso di ciò che è privo (vuoto) di un padrone”.

Ci si muove sempre nell’orbita degli infiniti significati possibili del potere che in questo caso si esprime non nel sostituirsi ad un altro con la violenza, il furto o la frode per il possesso di un bene ma nell’occupare il “vuoto di potere o di possesso” lasciato da qualcuno a qualcun altro come un diritto (successione di un defunto) o come potere o possesso resi disponibili per l’assenza di un occupante.

Il globo allude simbolicamente anche alla Eternità che, nel suo significato di “durata di tempo senza limiti”, indica, dal punto di vista oggettivo, una forma di totalità, e dal punto di vista soggettivo, una forma di “sconfinata libertà”.

Il globo si afferma anche come simbolo della fecondità e della fertilità. La sua sfericità è, in effetti, immagine del seno femminile e, quindi, della donna nutrice che, per metonimia, esprime i concetti di procreazione, nutrimento, crescita, vitalità.

Al globo si collega perfino il simbolo della Idea.

È, questa, una manifestazione mentale in apparenza definibile e conclusa ma che in realtà rappresenta un fenomeno fantasmatico dai confini essenzialmente imprecisi e inconclusi. Esattamente come soltanto apparenti sono i confini della rotondità che indica più che la chiusura di una forma il senso della sua elastica, indefinibile espansione.

Il globo allude anche ai simboli della Previdenza, cioè del “vedere prima” e della Provvidenza, cioè del “vedere a proprio vantaggio”.

Il globo allude infine (o soprattutto?) al Vincere che, attraverso il riferimento alla radice WEIK rimanda al “territorio di una tribù”, in sostanza la già citata connessione fra globo e gleba, fra sfera e “dominio della terra” cioè “essenza del potere”.

Il LUOGO

Accostata alla ricchezza dei significati e dei valori etimo-simbolici del globo quella più limitata, per numero, riferita al luogo può ingannare su una minore rilevanza concettuale che ne ridurrebbe l’efficacia e l’influenza. In realtà i significati e i valori etimo-simbolici di luogo sono dotati di una eccezionale potenza ideologica e psico-dinamica.

A cominciare dal rifermento al greco “Topos” che significa “luogo” ma prima di tutto “qui”. Questo minuscolo avverbio indicando infatti con estrema precisione “questo luogo” dimostra da un lato la presenza reale dell’oggetto esistente e da un altro lato fa vivere il rapporto con l’oggetto

in modo particolarmente intenso al soggetto che lo percepisce.

Attraverso la forza simbolicamente espressiva del “qui” il luogo assume la funzione speciale di rappresentare la realtà come ciò che è veramente presente e, per questo, veramente esistente. Soltanto infatti “ciò che sta qui davanti a me ora” si dimostra pienamente reale e rende solida la coscienza della realtà nel soggetto che lo percepisce.

Il “luogo-qui” sostanzialmente comprende tutti i gli argomenti anche teoretici di ogni esistenzialismo.

Il verbo greco “Trepô”, con i significati di “girare, spingere, mettere in fuga, agitare” ma soprattutto di “verso”, toglie al luogo ogni valore di “staticità” per attribuirgli, al contrario, il senso del movimento facendone un “campo di azione”.

Il luogo non indica dunque il posto dove si sta fermi, si giace, non si vive ma rappresenta anzi l’unico teatro possibile dell’agire.

Piace inserire in questo contesto anche il “Locus” latino che interpreta il senso del luogo già secondo un’antica paretimologia varroniana, come “spazio dove arriva lo sguardo” e lo identifica nella “radura” (e questa nella “parte libera e luminosa”).

La Glocalizzazione

Lo scenario etimo-simbolico che è stato disegnato non si limita ad offrire argomenti per affrontare i temi della globalizzazione e della glocalizzazione con accenti sfavorevoli o favorevoli, positivi o negativi, talvolta gravemente accusatori o irrealisticamente  illusori, ma supera ogni approccio ideologico basato su elementi economici, sociologici, politici per spostarlo su di un altro ineffabile piano che non necessita di dimostrazioni o teoremi, ma chiede soltanto l’accettazione di una visione superiore.

Così citiamo definizioni nell’esclusivo spirito di compiacenze semantiche per esempio indicando la globalizzazione come “un processo attraverso il quale mercati, produzioni, consumi e anche modi di vivere e di pensare divengono connessi su scala mondiale, grazie ad un continuo flusso di scambi che li rende interdipendenti e tende a unificarli”.

Così citiamo almeno nel titolo, per completezza di discorso, gli avversari della globalizzazione come i movimenti No-global o New-global e gli attacchi alla “Organizzazione Mondiale del Commercio” e alle multinazionali.

Così citiamo il termine Glocalizzazione introdotto dal sociologo polacco Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, in modo  da adeguarne meglio le loro relazioni con la realtà internazionale.

Nel privilegiare lo scenario etimo-simbolico in particolare non si intende considerare l’orientamento che tende a interpretare la glocalizzazione come un possibile rimedio ai danni potenzialmente minacciati da una globalizzazione “selvaggia”.

Non interessa né assume rilevanza esaltare astrattamente il paradigma Think global, act local, “sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche planetarie di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati e l’agire locale, che tiene conto delle peculiarità e delle particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole operare”.

E non importa neppure ricordare che “la glocalizzazione pone al centro della sua ‘filosofia’, l’individuo, la persona umana, il patrimonio   locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza”.

Né assume particolare valore il concetto di glocalizzazione che “sposa una dinamica di marketing opposta a quella delle multinazionali accusate di appiattire le differenze di tipo culturale dei prodotti”.

Dallo scenario etimo-simbolico emerge una identità della glocalizzazione capace di influire non soltanto e tanto sul piano tecnico

e operativo quanto essenzialmente nello spirito dell’Uomo, individuo e comunità.

Il valore della glocalizzazione dettato dai significati etimo-simbolici supera gli approcci polemici per collocare il fenomeno in una dimensione meta-economica assegnandogli un ruolo motivazionale che

orienta e sostiene la creatività e la progettualità imprenditoriali.

La glocalizzazione in questa prospettiva rappresenta non una scelta di politica industriale, ma una immagine “trascendentale” della società moderna, autenticamente innovativa e adatta a favorire la soluzione della crisi contemporanea e un reale sviluppo universale, quale è anche

raccomandato dagli ideali delle Nazioni Unite .

L’anima della glocalizzazione, evocata dai significati simbolici del globo e del luogo, consente di riconoscere e valorizzare ciò che nasce qui, “davanti ai miei occhi”, dove vivo e produco e che non importo né imito

come “idea” o come “cosa”.

Il bene “glocale” si manifesta attuale, moderno dopo millenni di tradizionale segreto o si afferma improvvisamente come assoluta “creazione” capace di imporre la propria originalità sul piano mondiale: è un oggetto o un progetto che possono attirare lo sguardo ammirato e stupito come una “radura” che appaia “libera e luminosa in un bosco”.

Non è necessario forzarne la promozione in termini tecnici perché la sua semplice presentazione lo rende universalmente riconoscibile come un oggetto vitale che aggiunge ad un mercato dotato soltanto del potere della efficienza distributiva e della convenienza una novità reale e di ordinata bellezza.

Il bene “glocale” non ha bisogno di essere   sostenuto dal potere finanziario o politico o dalla grande struttura multinazionale perché contiene naturalmente i caratteri della totalità e di una universalità non

nominale ma effettiva.

Il bene “glocale” non si impone con arroganza perché nasce nel silenzio e nella libertà creativa del luogo operoso, autentico e ricco di qualità.

La glocalizzazione svolge una preziosa funzione sociale e politica pienamente compatibile con una dimensione mondiale perché abbraccia, tiene insieme il piccolo e il grande, unisce e non divide.

La glocalizzazione conquista con il fascino di ciò che nasce semplice e libero.

HIRAM 3/2014

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