INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

L’Iniziazione muratoria ha mantenuto, nonostante tutto, un aspetto traumatico nei confronti di un profano che bussa alla porta del Tempio.

Tale aspetto traumatico è forse necessario da un punto di vista di tecnica rituale, per consentire il trasferimento e il conferimento dell’influenza spirituale propria dell’iniziazione stessa.

Traumatico deve essere anche, perché indica il passaggio da uno stato dell’essere ad un altro profondamente diverso (non si dimentichi che l’iniziazione rappresenta una “morte”).

Traumatico deve infine essere in quanto predispone una materia grezza alla ricezione dell’influenza spirituale.

Inizialmente, al profano impreparato, il Rito di Iniziazione può sembrare uno dei tanti cerimoniali propri della vita profana e religiosa, ma quasi immediatamente, una differenza dovrebbe apparire chiara; tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che viene detto, sono stimoli a riflettere, a pensare, non una serie di atti da subire passivamente, quasi inconsciamente.

AI contrario, l’atteggiamento del candidato deve essere eminentemente attivo nei confronti del Rito. Egli ha scelto liberamente e spontaneamente di aderirvi ed è stato ammesso dai rappresentanti autorizzati della via iniziatica per i quali egli è risultato qualificato. Tutto ciò lo differenzia enormemente dall’exoterista, il cui atteggiamento è eminentemente passivo.

Gli inviti alla riflessione si ripetono nel corso del Rito e si fanno via via più incalzanti. Dagli stati emozionali delle tre prove e del giuramento, si passa ad un approccio più diretto coni simboli, quando il Fratello Esperto insegna all’iniziato a compiere il suo lavoro nella pietra grezza.

È verosimile che, a questo punto, risulti difficile non comprendere il livello molto diverso su cui ci si pone intraprendendola strada iniziatica.

E che sia una strada irta di difficoltà e di ostacoli, ben lo sa chi si ponga con giusta predisposizione d’animo a percorrere tale cammino. Si può dire che tra il profano e l’iniziato non esista comune misura, poiché al primo non è possibile, nella migliore delle ipotesi, andare più in là del mondo sottile, mentre al secondo, mediante la trasmissione dell’influenza spirituale, sono aperte le possibilità di un ordine più elevato, cioè quello spirituale. È una via che sposta, quasi completamente, almeno per taluni, l’asse degli interessi che sono propri della vita profana. È chiaro che, bussando alla porta del Tempio, ci si era in qualche modo resi conto dell’inutilità e della vacuità di ciò che, nella vita profana, è invece considerato un traguardo ambito, ma si può affermare tuttavia che l’approccio con la via iniziatica sia comunque estremamente duro.

Intanto si deve passare da un’attività fisica e mentale (anche se tale termine va inteso, generalmente, nella sua eccezione più grossolana) ad un’attività essenzialmente spirituale: dalla facile comprensione di cose semplici al difficile compenetramento del simbolismo.

La via profana è, nella stragrande maggioranza dei casi, lastricata di “certezze”; nella via iniziatica il dubbio, il ripensamento l’incertezza, la crisi, sono pane quotidiano. Si deve essere disposti a mettere in discussione quello che, il giorno prima, sembrava assodato e questo, nella vita profana, difficilmente avviene.

Si vuol dire con questo non che la via iniziatica sia la via del dubbio e dell’incertezza costante. ma che, essendosi ormai smarrita la strada che porta alla verità, il suo ritrovamento, all’inizio, è frutto di tentativi continui e quindi aperti all’errore.

L’unica certezza che l’iniziato deve comunque sempre avere è che la sua vita deve essere dedicata alla ricerca della Luce, pur sapendo che tale Luce a pochissimi è dato di trovare. Lavoro dell’apprendista 1

LA SIMBOLOGIA

Uno degli avvenimenti della mia esistenza fu la scoperta che il senso della vita era “comprendere”. E che questa parola designava una mutua integrazione dei due principi costituenti il pensiero: la coscienza e il fenomeno. Ciò posto, è evidente che il punto di impatto tra questi due

principi, perché divengano intelligibili, è una riduzione a denominatore comune, riduzione che si può designare sotto la parola di “simbolismo” (Moise Engelson- Ginevra).

Questa definizione di uno dei fondatori dei “Quaderni di simbologia” si riferisce evidentemente alla attività creatrice del simbolo, che più propriamente possiamo chiamare simbolismo. Il nostro approccio vuole partire da un passo ancora precedente, provando ad affrontare alcuni concetti relativi alla simbologia generale o scienza dei simboli, senza assolutamente voler pretendere di dare dei codici di decifrazione, ma piuttosto cercando di definire i processi logici ed i postulati che tale scienza si pone, come qualunque altra scienza.

“D’altra parte, nel campo simbolico, non esistono codici di decifrazione generali, ma solo sistemi particolari, che esigono essi stessi una interpretazione. Il simbolo non significa qualcosa: esso evoca, focalizza, concentra una molteplicità di significati che non si riducono ad uno solo, né a qualcuno solamente. Una nota di musica non ha un senso determinato una volta per tutte, anche se è una nota determinata. Essa dipende strettamente dal suo contesto ritmico e rituale che gli è associato. Penetrare nel mondo dei simboli è provare a percepire delle vibrazioni armoniche e, in qualche modo, è scoprire la musica dell’Universo” (René Allau, “La science des Symboles”, pag. 13).

Il simbolo

All’origine il simbolo è un oggetto spezzato in due parti. Due persone sono le depositarie di ciascuna delle parti, e si tratta sempre di due persone destinate a perdersi di vista per lungo tempo, che desiderano creare una manifestazione fisica ed unica in un legame che le unisce: il riavvicinamento delle parti per ricreare l’oggetto primitivo, ricreerà automaticamente il legame, non fosse altro che per il riconoscimento della sua esistenza. I simboli erano ancora, presso i Greci antichi, il modo con cui i genitori potevano riconoscerei figli abbandonati. Malgrado l’estensione che il termine ha raggiunto, a partire dal suo significato originale, possiamo affermare che esso continua ad implicare fondamentalmente le due idee di separazione e riunificazione che ne contraddistinsero l’origine.

Allegoria e simbolo

Come tutte le scienze, la Simbologia deve ammettere delle nozioni primarie non dimostrabili, i cosiddetti postulati.

Il primo è quello dell’esistenza dell’ordine nell’universo. In realtà tale ordine non è dimostrabile, poiché i nostri sistemi di misura e riferimento sono meno generali e contenuti

nell’oggetto da misurare; tuttavia molte delle nostre scienze moderne ammettono tale ipotesi e la verificano, almeno parzialmente, scoprendo le leggi.

Il secondo postulato è quello della probabilità della analogia delle strutture tra un ordine parziale e quello totale: ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso. Meno facile da ammettere del precedente, non è tuttavia smentito dall’osservazione della natura (basti pensare ai modelli atomici – sistemi solari).

Le funzioni del simbolo

Una prima funzione del simbolo è di ordine “esplorativa”; il simbolo permette infatti di cogliere ed esprimere legami tra due termini, di cui uno è conosciuto e l’altro no, estendendo il campo della coscienza in sfere ove la misura esatta è impossibile e ove l’inoltrarsi comporta sempre un aspetto di avventura, di rischi e di sfida.

“Ciò che noi chiamiamo simbolo – scrive C. G. Joung- è un termine, un nome o una immagine che, anche quando ci sono famigliari nella vita quotidiana, possiedono tuttavia delle implicazioni che si aggiungono al loro significato convenzionale ed evidente. Il simbolo implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di nascosto per noi … Quando li spirito intraprende l’esplorazione di un simbolo, esso è condotto a delle idee che si situano al di là dei limiti cui può giungere la nostra ragione … Ed è per il fatto che innumerevoli cose si collocano al di là dei limiti dell’intendimento umano, che noi utilizziamo continuamente il simbolo per rappresentare dei concetti che non possiamo né definire, né comprendere pienamente”, pur tuttavia “un simbolo presuppone sempre che l’espressione scelta designi o formuli nel modo più perfetto possibile, certi fatti relativamente ignoti, ma la cui esistenza è stabilita o appare necessaria”.

Punta avanzata dall’intelligenza creatrice, il pensiero simbolico rende possibile, secondo l’espressione di Mircea Eliade “la libera circolazione attraverso tutti i livelli del reale”.

Possiamo cioè definire una seconda funzione del simbolo, quella di mediatore: esso getta dei ponti tra elementi separati, collegando il cielo e la terra, la materia e lo spirito, la realtà tangibile e quella intangibile, stati di coscienza separati da salti qualitativi.

Occorre aggiungere che tale funzione mediatrice non è da vedersi in forma statica, ma in termini dinamici di reale forza unificatrice.

L’uomo, diviso e disperso nei suoi momenti di uomo lavoratore, di uomo politico, di uomo religioso, di uomo sociale, ritrova condensata nei simboli fondamentali la globalità della sua coerenza a livello fisico, psichico e spirituale: essi realizzano la sintesi del mondo, mostrandone la fondamentale unità dei suoi tre piani.

Non da ultimo, la funzione mediatrice si manifesta nel collegare, nel “religare” l’uomo, il mondo e la trascendenza, inserendo il processo di realizzazione personale del primo in quello globale del secondo, sottoposti ambedue alla medesima tensione verso la terza, senza isolamento, né confusione: è grazie al simbolo che l’uomo può trovare il mezzo di non sentirsi estraneo all’universo, ma anzi di comprendere le fondamentali, mutue, infinite inter relazioni.

Unificatore, il simbolo esercita per ciò stesso anche una funzione pedagogica e terapeutica.

Procura in effetti una sensazione se non di costante identificazione, per lo meno di partecipazione ad una forza sovra individuale. Collegando elementi tanto differenti, esso riesce a far sentire all’uomo di non essere cellula isolata e perduta nel vasto insieme che lo circonda.

Ma occorre stare bene attenti a non confondere il simbolo con l’illusione o con il culto dell’irreale. Sotto una forma “scientificamente inesatta”, cioè in genere, il simbolo esprime una realtà che risponde a molteplici bisogni dell’umanità, di conoscenza, di amore, di sicurezza. La realtà che esso esprime non è tuttavia quella espressa dal suo aspetto esteriore e immediato, ariete, stella o spiga di grano: è qualcosa di indefinibile, ma di profondamente sentito, come la presenza di una energia fisica e psichica che al contempo feconda, eleva e nutrisce. Attraverso le sue “molteplici” intuizioni, l’individuo si sperimenta apparentemente ad un tutto che lo spaventa e lo rassicura allo stesso tempoe che, in ogni caso, gli insegna a vivere.

Resistere ai simboli sarebbe come amputarsi una parte di noi stessi, impoverire l’intera natura e fuggire, sotto il pretesto di malinteso realismo, il più autentico invito ad una vita integrale

(Dictionaire des Symboles- pag. 23)

.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA

“Il simbolismo è un lato immediato della coscienza totale – afferma Mircea Eliade – cioè dell’uomo che si scopre come tale, dell’uomo che prende. coscienza della sua posizione nell’universo; queste scoperte primordiali sono legate in modo talmente organico al suo dramma, che

gli stessi simboli determinano tutte le sue attività, da quelle del subconscio alle più nobili espressione della vita spirituale”. Dobbiamo dunque attenderci due importanti caratteristiche di una via iniziata basata sul simbolismo:

1. che la percezione del simbolo escluda l’attitudine di semplice spettatore ed esiga una partecipazione attiva. Il simbolo esiste solo a livello del soggetto che lo percepisce, ma è basato sull’oggetto percepito. Attitudini e percezioni soggettiva fanno appello e traggono fondamento

da esperienze e non da concettualizzazioni. La proprietà del simbolo è di rimanere “indefinitivamente suggestivo: ciascuno vi scorge ciò che la sua potenza visiva gli permette di vedere. Mancando la penetrazione, nulla di profondo può essere percepito” (O. Wirth). Dunque una via simbolica è sinonimo di una via attiva, di lavoro reale per raggiungere dei risultati che, a loro volta, saranno sempre parziali, aprendosi nuovi orizzonti ad ogni gradino raggiunto.

2. che il legame organico con il dramma umano faccia sì che il simbolo debba interagire con l’operatore a tutti i livelli di manifestazione. La tradizione orientale, la Qabbalah, la stessa tradizione cristiana (Paolina) indicano nell’uomo almeno tre livelli di manifestazione. La Teosofia dei madame H. P. Blavaysky ne indica sette, perché due dei precedenti sono divisi, l’uno (l’inferiore) in tre “sotto livelli” e l’altro (il mentale) in due.

In termini semplificati, questi tre (più uno, il corpo fisico) livelli sono:

I°. il psicofisico, cioè il livello del corpo fisico, insieme con le componenti che gli sono più strettamente legate: il “corpo vitale”, sede della “!direzione tecnica”, sede degli istinti, delle passioni e dei desideri-ripulsioni. È la triade inferiore delle Sephiroth.

II°. il mentale, sede dei processi di elaborazione e di coordinamento dei dati forniti dai sensi, i quali recepiscono i messaggi che giungono dal mondo esterno, fisico e manifestato. Il mentale ha due aspetti, o due settori (è paragonato ad uno specchio con due facce, una rivolta verso il “basso”, verso il mondo sensoriale e l’altra verso “l’alto”, il mondo della trascendenza).

Corrisponde alla triade intermedia delle Sephiroth.

III°. l’intelletto, dove per “intelletto si intende quella facoltà che l’uomo ha di percepire queimessaggi che non vengono dalla sfera dei sensi; Kant, anche se contraddetto poi, ha classificato tra di essi “l’imperativo categorica”, ossia l’intuizione di un codice morale, che non ha origine nel mondo fisico. B. Croce ha parlato dell’arte come “intuizione lirica”, affermandoche certe visioni dell’artista non provengono dall’esperienza dei sensi.

Per esempio, nei “Dàrshana” indiani emergono tre punti di vista, che per un europeo sarebbero totalmente contraddittori o mutualmente escludentisi: il materialismo, il dualismo materia-spirito, e il non-dualismo, per il quale la sola realtà è lo spirito. Ebbene, anzitutto l’intelletto indiano non li vede come “sistemi” esclusivistici, ma li chiama “punti di vista”, “dàrshana”, e li ammette per validi tutti e tre. Ad un certo livello, quello dei nostri contatti con il mondo fisico, il primo “dàrshana” è perfettamente valido; quello che conta sono le leggi fisiche e null’altro. Ma, per intanto, si vede subito che c’è un altro livello; quello delle scelte “etiche”; l’uomo vede che si deve rispettare una certa scala di valori; ecco un caso nel quale, accanto o sopra il mondo fisico, c’è una normativa, una legge – il “Dharma” – che è poi quella che ci viene insegnata durante l’iniziazione al primo grado, che “controlla” questo insieme di cose e di azioni che sono spesso comuni all’uomo e agli animali, e, per un certo settore, anche alle piante. A questo livello si constata la presenza della “dualità” Spirito-Materia.

Coloro che si dedicano all’indagine spirituale approfondita possono sperimentare un terzo livello, nel quale si ha la completa percezione del Tutto, Unico, nel quale l’osservatore, l’osservazione e l’oggetto della osservazione diventano una Unità sola ed universale. Questo, che

dovrebbe corrispondere al livello di Maestro Muratore, è il livello dell’esperienza dell’ Assoluto, che comprende tutto e trascende.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA SUL PIANO FISICO

Sul piano fisico ciò che 1’Apprendista deve fare è mirabilmente rappresentato dalla 14° carta dei Tarocchi, la “temperanza”: una giovane donna travasa il contenuto di un recipiente d’argento in un altro d’oro, simbolo di una forma più perfetta, cioè di un veicolo meglio condizionato. Veicolo che deve essere sempre meglio padroneggiato, tramite varie forme e modalità di controllo, in maniera di essere sempre più rispondente al morso della volontà.

Alla realizzazione effettiva del lavoro di Apprendista, che è il primo lavoro del Massone, il rituale offre un aiuto ed una via.

Il lavoro compiuto su noi stessi e realizzato nel Tempio, deve essere portato e continuato aldi fuori nel mondo profano, altrimenti tutto si ridurrebbe a una riunione settimanale di qualche ora, invece di essere un punto di partenza e di sostegno.

Con al realizzazione scrupolosa del rituale, l’Iniziato che entra nel Tempio lascia fuori dalla porta le proprie preoccupazioni, siede immobile, rilassato, nella posizione del “faraone”, eliminando ogni movimento fisico istintivo, cominciando quindi a sottomettere il corpo alla volontà, con una disciplina simile a quella delle posizioni nella pratica dello Yoga.

Un altro elemento che caratterizza il rituale dell’ Apprendista è il silenzio. Questa disciplina è stata praticata da varie scuole iniziatiche, tra le quali la più nota è la scuola di Pitagora.

Si parte anche qui da un dominio da realizzare sul piano fisico, per poi indirizzarlo verso un ulteriore progresso. L’ Apprendista deve riuscire a dominare l’istintività del fisico e del mentale inferiore, soprattutto quando è in disaccordo con le affermazioni di colui che incide la tavola.

Fatta tacere ogni emotività personale, l’Apprendista deve controbilanciare la diminuita attività esterna e ciò è possibile, sviluppando in sé un’attività interiore, realizzando una ricettività attiva

verso tutto quanto scorra nella catena costituitasi nella Loggia in un piano di vita più elevato.

La vita vera, quella costruttiva, è fatta di silenzio, in modo che il pensiero penetri nella profondità e venga illuminato dall’intuizione.

Un altro riferimento può essere fatto con il cammino dello Yoga, almeno per quello che riguarda la prima parte. La prima operazione che deve fare il praticante (il “Sadhaka”) è la “purificazione”, ossia la messa in atto, come modo di essere in ogni momento della vita, dei “divieti” (Yama) e dei “precetti” (Niyama). Il praticante diventa un uomo nuovo e i valori non sono più quelli del profano. Il primo e il più importante è la non-violenza (Ashima); astensione dalla violenza fisica, verbale e mentale verso chiunque, persone, esseri viventi e cose inanimate, e

neppure contro se stesso.

È evidente che l’Iniziazione Massonica tende a fare dell’ Apprendista un Uomo Nuovo e che, prima di agire sul livello mentale, ed in pratica attuazione di ciò che percepisce la mente, si deve operare sul piano fisico e su quelli ad esso più vicini: appetiti, istinti e passioni.

Cioè sul piano etico, sempre facendo intendere – come dice il Fratello Ward – che l’etica non è fine a se stessa, ma prepara l’uomo a raggiungere stati superiori dell’essere.

Pare quindi che l’affermazione per la quale l’ Apprendista impara anzitutto a sgrossare la pietra grezza, cioè a perfezionare la sua condizione umana, eliminando tutte le irregolarità del suo carattere, corrisponda a quello che nello Yoga è la fase delle purificazioni e che nella Tradizione

Indiana corrisponde alla fase di “brahmaciarya”. Si noti che in questa fase il discente pratica “la sgrossatura” a livello comportamentistico, ma, a livello mentale, prende conoscenza della dottrina tradizionale e quindi ha già una visione del lavoro che lo attende nelle fasi successive della sua evoluzione … se evoluzione ci sarà.

IL LAVORO VERSO L’ESTERNO

Il travaglio del Gabinetto di Riflessione, la sala dei passi perduti, il Tempio, la prova dell’Iniziazione: è il viaggio essenziale che il profano deve percorrere per fare scaturire nel proprio animo, se porta in sé gli elementi necessari, la scintilla che lo porterà a conoscere la forza reale della dimensione massonica. Se il neofita, attraverso quella conoscenza, avrà raggiunto il dominio sulle passioni, sui sentimenti, sui fanatismi, sui pregiudizi, sugli scontri ideologici, è chiamato al compito glorioso, ma talvolta difficile, di costruttore sociale.

Il Fratello in Loggia ha udito sovente le parole fratellanza, uguaglianza, tolleranza, obiettività, libertà, verità; ne ha discusso con i Fratelli, ha affinato con l’insegnamento massonico i propri sentimenti, la propria educazione morale e civica; l’insegnamento massonico ricevuto lo ha portato a distinguere ciò che bisogna distruggere e ciò che invece bisogna ricostruire.

Questo insegnamento non può rimanere fine a se stesso.

Nella vita profana di ogni giorno il Massone è circondato da persone di chiusi orizzonti, settari, che professano la distruzione di tutte le forme. Il Fratello deve avere la forza d’animo di nuotare contro corrente, di scostarsi dall’atteggiamento conformistico, non già per individualistica

presunzione, per fanatica rigidezza di principi, ma in nome dell’etica, della responsabilità, della libertà umana.

Nella vita di ogni giorno occorre orientare, documentare, educare, con interventi privi di passionalità, com’è consuetudine dei Liberi Muratori, l’opinione pubblica su situazioni e problemi particolari o generali, tenendone ben presenti gli aspetti morali e sociali; far notare le situazioni del mondo d’oggi, sensibilizzare le persone con le quali si discute, praticando la tolleranza che è la base della concordia tra gli uomini, discutere con intelligente obiettività, convincere gli interlocutori ai quali, comportandosi con identica tolleranza, permetterà di raggiungere soluzioni, anche in situazioni che a prima vista possono apparire insolubili.

Non è un lavoro facile, ma se il Fratello durante la giornata profana fa mente locale, ricordandosi di essere un Massone, di aver ricevuto un’iniziazione, questo pensiero gli sarà d’aiuto, trattenendolo dal tracciare facili critiche e affrettati giudizi, impedendogli di comportarsi da profano, ma ottenendogli il rispetto dell’interlocutore, in modo che no si smarrisca nei sentimenti passivi, nella paura, nei facili, allettanti svaghi di massa, ma giunga con il pensiero e con l’azione ad un comportamento libero, personale, responsabile.

Pertanto il Massone, che più di ogni altro è portato a valorizzare i rapporti umani, onde edificare una società nuova, fondata su basi umane, sull’integrazione di tutti i membri, sul riconoscimento della dignità e libertà dei singoli, deve adoperarsi affinché il trinomio “Libertà

Uguaglianza, Fratellanza” si realizzi non solo nelle Logge, ma nel mondo esterno.

È pure nostro compito primo diffondere ovunque un po” di quella luce che abbiamo ricevuto, cercare nella società profana quelle intelligenze libere da pregiudizi, i cuori elevati, gli spiriti avventurosi che, vincendo gli ostacoli di una vita facile, cercano una nuova vita e possono essere

elementi potenziali per la diffusione delle idee massoniche.

Si deve fare in modo che la catena universale costituita dalla Massoneria aumenti suoi anelli, per dare all’umanità, ogni giorno, un po’ più di luce, un po’ più di benessere e di ragione. Così facendo, forse un giorno il verbo di fratellanza e di amore troverà la sua completa

realizzazione.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA: ASPETTI MORALI

Con l’iniziazione un profano muore e nasce un Apprendista Libero Muratore. Nel corso del Rito al profano viene rivolta una domanda su ciò che sa dell’Istituzione ed egli risponde, ritualmente, di non conoscere nulla. Anche se suggerita e rituale, questa risposta è sempre,

assolutamente sincere; niente, tra quanto ha vissuto fino a quel giorno nel mondo profano, o  ha letto, o gli è stato detto, o ha dedotto, lo ha preparato a vivere l’esperienza del lavoro in Loggia ad Iniziazione avvenuta.

Il distacco dal mondo, come lo conosceva in precedenza, ne sia egli più o meno cosciente, è totale. Il suo ingresso nell’Istituzione è avvenuto secondo le modalità della morte: sepolto nella terra, è stato poi purificato da elementi via via più sottili, fino a che il suo spirito, libero da vincoli materiali, è stato portato a ricevere in forma anche esteriormente sensibile, con le tre spade del Maestro e dei Sorveglianti, quella “sostanza” che fa di lui un uomo diverso.

In questo momento ha iniziato il suo vero lavoro, per la cui esecuzione gli sono state impartite istruzioni rituali e suggerimenti ed è stato avvertito che in ogni momento potrà attendersi il totale appoggio dei Fratelli, che in cambio lo attenderanno da lui.

Il significato di quanto è stato detto, dei simboli che lo attendono e di tutti i dettagli del Rito per il quale è passato non gli è sicuramente chiaro; per quest’ultimo, in particolare, l’occasione di comprendere appieno ciò che ha vissuto gli sarà data non tanto dall’esperienza immediata o dalla memoria, ma dal rivivere e rimeditare lo stesso Rito, ogni volta che, lui presente, un nuovo anello verrà ad aggiungersi alla Catena iniziatica di cui ora fa parte.

Conviene però che, con l’approfondimento dei significati, che costituiscono una buona parte della sostanza del suo lavoro, egli proceda con ordine. È stato ammesso nell’Istituzione sulla base di alcuni presupposti e di una dichiarazione, che costituisce un impegno.

L’impegno è quello della ricerca della Luce, motivo unico che deve averlo spinto e che ogni volta in Loggia il Primo Sorvegliante gli ricorda: coni Fratelli deve “costruire Templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio” e ciò “per il bene e il progresso dell’Umanità”.

I presupposti, senza i quali non sarebbe stato considerato degno di essere messo alla prova in questo compito, sono che egli sia risultato “uomo libero e di buoni costumi” e inoltre “sia in grado di assumere i pesi derivanti dall’appartenenza alla Istituzione”.

In tutto ciò sono bene evidenti aspetti morali. Ma c’è da chiedersi in quale modo tutte queste cose vadano intese: se infatti il passaggio dal mondo profano a quello iniziatico, sia col simbolo della morte, che con la risposta “Nulla” costituisce un vero e proprio salto qualitativo, in particolare ogni modo di intendere i criteri morali nel mondo profano deve essere, come minimo, rimesso in discussione.

Come ulteriore stimolo in questa direzione, l’ Apprendista ha costantemente sotto gli occhi, nella sua vita di Loggia, il pavimento a scacchi bianchi e neri, attorno al quale deve circolare ogni volta che entra ed esce dal Tempio. La più immediata interpretazione di questo simbolo può essere quella del distacco, a lavori aperti, dal movimento che hanno le forze contrapposte nel mondo profano; in particolare, per scendere al nocciolo delle cose, dallo stesso senso che colà possono avere il bene ed il male.

Si è cioè chiamati ad apprendere l’arte della Discriminazione: a saper distinguere tra i sistemi di valori contingenti e limitati, generalmente convenzioni di validità circoscritta nel tempo e nello spazio, aventi per fine la regolazione della convivenza sociale, allo scopo di prendere coscienza di un “altro” sistema di valori, cui ha fatto cenno il Maestro Venerabile sempre nel corso dell’Iniziazione.

L’Apprendista deve così avere coscienza della necessità di demolire ulteriormente ogni criterio che ha assimilato nel mondo profano e che sia sopravvissuto al passaggio per l’Iniziazione.

Questo lavoro è estremamente arduo: può infatti facilmente trasmutarsi in una visione delle cose che è semplicemente cinica e spregiudicata; ossia di comodo e capace di giustificare ogni debolezza e cedimento.

Se avviene così, nulla di male per un ordine di cose più ampio, ma molto di male per colui che in questo modo ha mostrato che, almeno questa volta, non ha saputo superare nemmeno la prima prova del suo cammino iniziatico.

La “demolizione” ha cioè senso soltanto se prepara la strada ad una ancora più solida “ricostruzione”. Quella “saldezza morale” che, provenendo dal mondo profano, l’ Apprendista ha visto nella sua vera luce di “guscio vuoto” o “condizionamento” deve essere il frutto di una amara e sofferta riconquista.

Su questa strada non trova direttive rigide: quella “morale universale ed eterna” di cui gli è stato detto non può (come è di tutto il resto dell’insegnamento muratorio) venire codificata e comunicata in forma razionale, che la costringerebbe di nuovo nelle “camicie di forza” inevitabili per le espressioni del mondo profano.

Per questo gli si dice che la squadratura della pietra grezza (della sua pietra grezza) può avvenire solo nel Tempio, col contatto continuo coni Fratelli (e di qui l’assiduità ai lavori), con contatto con i simboli, con l’umiltà e la perseveranza (e di qui il silenzio e l’immobilità, vissuti come esperienze interiori, e non come costrizioni, assurde in quanto tali).

È così, e soltanto così, che alla chiusura dei lavori potrà “manifestamente attestare” la sua soddisfazione per gli stessi, mettendo a frutto l’opportunità che gli è stata data e, in definitiva, lavorando.

IL LAVORO ESOTERICO DELL’APPRENDISTA

Il profano è stato iniziato al grado di Apprendista.

È detto che l’Apprendista rappresenta l’età giovane dell’uomo: egli sosta alla porta del Tempio ed è al confine tra la realtà profana apparente, appena lasciata alle spalle, e la presa di coscienza coni simboli che sono il supporto della meditazione, di quell’atto cioè che pone in stato

di ricerca interiore, per conseguire conoscenza di ciò che i simboli rappresentano.

Ha il conforto dei Fratelli che gli sono accanto con la loro spiritualità.

Da profano è diventato pietra attraverso l’attestazione (testamentum) resa nel Gabinetto di Riflessione.

Umilmente e in silenzio persegue il simbolismo sino al punto di “riconoscere la scrittura che fa apprendere a leggere”, e abituarsi a comprendere che cosa il martello impugnato nella mano destra e lo scalpello nella mano sinistra significhino nella proiezione interiore di quei due simboli, e penetrarvi fino quasi ad una identificazione di volontà e di forza.

Guardarsi intorno e rendersi conto della volta del Tempio che è il cielo e che il Tempio è sacro, poiché sovrasta in esso il GADU: e perciò ogni movimento non è più una parte cerimoniale (che è pratica del profano), ma di un rituale proprio perché dà regole e misure nel Tempio nel quale è allocata e riconosciuta la sacralità.

Stare in ascolto, seduto ed eretto, con gli occhi all’infinito nella posizione del “faraone”, con i piedi allineati sul pavimento a scacchi, alternando la propria attenzione mentale al bianco e al nero. Meditare sulla collocazione della Loggia, orientata verso la sorgente della Luce, ad Oriente, nei due assi verticale (del sole) e orizzontale (equatore) e sapere che quello è il punto unico e noto nel quale con gli altri Fratelli apprende l’arte del pensiero, poiché, come Apprendista, ha tutto da apprendere.

Così sentirsi in quella camera di concentrazione massima, come dice il Wirth, e operare in se stesso  in questo “uovo” che è la Loggia e sentire “sé” in sviluppo e gestazione.

Compierei gesti, le parole scandite, esprimenti modi di realizzazione della volontà. Elevarsi giorno per giorno, quindi distanziarsi dalla materialità, secondo l’avvertimento della pericolosità dei metalli, se operanti la loro suggestione.

Trovare il giusto modo di ispirarsi alla Saggezza, alla Forza e alla Bellezza. Sapere che dopo la prova della terra, avvenuta nell’isolamento della camera di meditazione, egli è morto e quindi ritornato alla terra, iniziando sé ad una vita superiore attraverso la purificazione delle tre prove rimanenti e che a quel momento egli ha collocato la prima pietra alla edificazione del tempio interiore del quale, per il suo grado, egli provvede allo zoccolo.

Approfittando del rituale espresso dalle Luci, non ottundersi mai, debole alla sonnolenza mentale; in una parola egli deve “vegliare”.

Così nei componenti di una realtà non diversamente esprimibile se non attraverso i simboli, proiettata nei suoi significati nel proprio essere interiore, con il supporto dei medesimi, confortato della fratellanza spirituale di tutti, attraverso anche la significanza esteriore del rituale (che è  l’exoterismo) ricordare ciò che è detto dell’Apocalisse: “A colui che vincerà io donerò una pietra bianca sulla quale è scritto il Suo Nuovo Nome che nessuno conosce se non quello che lo riceve”.

Così inizia il cammino di accesso dell’arte rituale che gli permetterà di leggere e di scrivere il linguaggio iniziatico.

L’APPRENDISTA E L’ISTRUZIONE MASSONICA

Un Apprendista si trova tra i suoi vari compiti, anche quello di apprendere, come dice il suo  appellativo. Ma apprendere che cosa?

In ogni caso, tutto ciò che egli dovrà apprendere può benissimo andare sotto l’etichetta di istruzione massonica.

L’istruzione massonica, che non deve essere confusa con la cultura massonica (la cultura la può benissimo avere chiunque, anche profano, che abbia voglia di leggere i circa 4.000 libri che sono stati scritti sulla Massoneria; un buon esempio di ciò è padre Esposito), può essere identificata in queste tre fasi:

1) Quella impartita al neofita la sera stessa dell’iniziazione. Essa, data dal Maestro Terribile (o 1° Esperto) e dallo stesso Maestro Venerabile in base al rituale, fornisce tutta una serie di norme di  comportamento, essenziali perla vita intera del Fratello Libero Muratore.

2) Quella impartita dall’intera Loggia nei suoi lavori rituali, anche senza avere ciò come scopo precipuo. In fatti il Fratello Apprendista dovrà uniformarsi a certi comportamenti e si formerà così un “habitus mentis” che gli consentirà, quando diverrà Compagno, di inserirsi bene nella vita attiva, di partecipazione della Loggia.

3) Quella che gli verrà impartita direttamente dal Maestro Venerabile, dall’Oratore e soprattutto dal 2° Sorvegliante in tornate specifiche o comunque in riunioni indette con questo scopo preciso. A questi, che sono concetti di massima, vediamo che cosa si può aggiungere, senza andare ad interferire nell’organizzazione di ogni singola Loggia.

L’istruzione deve essere data, sempre in linea di principio, dal 2° Sorvegliante, in quanto è lui che sovrintende la Colonna degli Apprendisti. Egli si deve preoccupare affinché tutto si svolga in maniera tale che, al termine del periodo di apprendistato, il Fratello Apprendista sia pronto a passare di grado. Quindi presenze (fisiche e psichiche) e apprendimento.

L’apprendimento deve essere cioè sovente saggiato, in modo da poter sapere se tutto procede per il meglio, anche nella considerazione che, non potendo 1’ Apprendista parlare in Tempio, ma dovendo parlare per lui il 2° Sorvegliante, questi deve conoscere il pensiero di ogni Apprendista.

L’insegnamento deve essere dato nel pieno rispetto delle opinioni di ogni Fratello. Non deve cioè essere un indottrinamento, ma piuttosto un preparare la mente e il cuore ad affrontare temi vecchi con mentalità nuova.

L’istruzione è un dovere del Fratello Libero Muratore. È un dovere che egli ha verso se stesso, per quanto ha dichiarato all’atto della sua ammissione: è un dovere verso gli altri Fratelli che lo hanno accettato in Catena d’Unione e che quindi si aspettano da lui quanto è nelle sue capacità; è un dovere infine verso il G.A.D.U., poiché io credo che sia giusto “cercare” di capire di più.

Non ritengo, per contro, che si possa parlare di diritto all’Istruzione. In Massoneria il termine “diritto”, concepito nella sua accezione normale (profana) non deve trovare posto.

Da noi, tutto deve essere dato (o ricevuto) con amore, per solidarietà, per dovere, per poter procedere e far procedere sulla via dell’Illuminazione, ma mai per un diritto.

Infine l’istruzione più importante:

1) quella offerta dai simboli preposti a tutti i Fratelli in Tempio. Ognuno fin dalla sera dell’iniziazione, deve cercare di comprenderli.

2) quella offerta dalla regola del silenzio, obbligatorio per tutto il periodo di apprendistato. Questo è, a parer mio, il più importante e, così come per il segreto massonico, non può essere spiegato, deve essere capito. Solo vivendolo e meditandoci sopra, se ne può intuire la bellezza.

L’istruzione si differenzia, a prima vista, da tutto ciò che è richiesto all’ Apprendista, poiché richiede un impegno attivo, di fare, mentre, per il resto, è un impegno identificabile in senso passivo.

L’Apprendista ha, in ogni caso, la possibilità di rivivere l’insegnamento dei quattro viaggi propostogli nella sera dell’iniziazione, già sufficienti di per sé ad un’auto istruzione di grossa efficacia.

Un ulteriore suddivisione può essere costituita dall’apprendimento compiuto nell’ambito dell’Officina (sia a lavori aperti che no), con quello fatto per proprio conto, riproponendosi fatti, parole e immagini viste e udite nelle riunione. Se manca uno di questi aspetti, inevitabilmente

l’apprendimento è incompleto.

I NEMICI SULLA STRADA INIZIATICA

Un proverbio cita: “La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Senza tema di apostasia, si può parafrasare il detto succitato come segue: “La strada iniziatica è pure lei lastricata di buone intenzioni”.

Se ne può dedurre che con ogni probabilità le buone intenzioni sono il coacervo dei nemici iniziatici. Perché? Perché purtroppo sono, malauguratamente, troppo sovente l’alibi per fermarci dopo solo pochi passi di strada. Non per nulla fanno testo le due parole che noi leggiamo nel Gabinetto di Riflessione, sulla parete di fronte al panno nero sul quale abbiamo scritto il nostro testamento: Vigilanza Perseveranza. In ogni moneto della nostra non coerenza massonica nella vita profana, ci possiamo rendere conto della mancanza di prudenza e della pigrizia che è congenita al grave peso della parte materiale di noi. Guardiamoci ancora attorno, sempre nello stesso Gabinetto di Riflessione.

È scritto: “Se la curiosità ti ha condotto qui, vattene”.

Almeno in linea di principio, si dovrebbe presumere che chi ha scelto la via iniziatica, lo abbia fatto con coscienza di causa, per cui la leggerezza e la superficialità che sono legate a questo invito

non dovrebbero toccare l’iniziato.

Continuiamo a leggere: “Se temi di essere scoperto dei tuoi difetti, ti troverai male con noi”.

“Se la tua anima ha scelto lo spavento non andare oltre”.

In queste due frasi si cela uno dei grossi nemici della via che abbiano scelto: la paura.

La paura di se stessi, la paura dell’inconscio, cioè di quello che, continuando a percorrere la stessa strada, dovrebbe, a poco a poco, divenire conscio, la paura delle cose più grandi di noi. È il microcosmo che lotta invano il macrocosmo per poterlo raggiungere e per poterlo compenetrare.

Sovente la paura di conoscere, la paura dei nostri limiti, che prose in realtà non esistono. Ci costruiamo noi stessi delle barriere, legate a pregiudizi, a conformismi, ad abitudini che diventano parte integrante di noi, pietre grezze, che solo con fatica riusciamo a scalpellare.

“Se sei capace di dissimulare, trema, sarai scoperto”.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri è il freno alla ricerca di cosa siamo. “Conosci te stesso” ci hanno insegnato gli antichi filosofi; aggiungerei “senza paura e senza ipocrisia”.

L’equilibrata valutazione di noi stessi, la presa di coscienza che non vegetiamo solamente, ma che esistiamo, è la base per iniziare a salire la lunga e difficile scala che ci conduce alla Luce.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri. La difficile via della verità non si confà alla vita profana, che ci obbliga invece a continui compromessi, alla continua prostituzione, a vari gradi, dei nostri ideali, in favore dei nostri interessi materiali.

Solo se avremo il coraggio di scalpellare, senza pietismi, le asperità, le rugosità, le impurezze della nostra pietra grezza, ci metteremo nelle condizioni di ricevere e recepire il Verbo.

“Se tieni alle distinzioni umane, qui non se ne conoscono”.

C’è un modo di dire che può mettere in evidenza il pericolo insito nelle distinzioni.

“Siamo tutti buoni, ma io sono il migliore”. Il rischio dei “distinguo” non è solo umano o materiale, ma anche e più spesso morale.

La distinzione. la gara, la competizione, mettono in evidenza in tarlo del più forte. “Io sono più forte, più veloce, più intelligente, più potente”.

Ecco, in sintesi, il grosso nemico della via iniziatica: “il più”! “Il più” significa potenza che si contrappone alla mancanza di umiltà, che non consiste nella diminuzione della nostra personalità, ma nella presa di coscienza della nostra vera personalità.

Più si salgono i gradini ascetici, più si diventa potenti. Dipende da come usiamo questa potenza. “Così in alto, così in basso” è indicato nelle Tavole Smeraldine. Lucifero ha scelto il basso!

Qualcun altro, un Rabbi, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, fu condotto dal demonio in un monte molto elevato, da dove gli furono mostrati tutti i regni della terra, il loro splendore e la loro potenza.

Il Maligno Gli disse. “Ti darò tutte queste cose se tu, prostrato, mi adorerai”. Allora rispose il Maestro: “Vattene, satana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai culto”.

Il cerchio si è chiuso con due anelli: su uno è scritto Vigilanza, sull’altro è scritto Perseveranza.

Questa raccolta di tavole, frutto del lavoro di alcuni Fratelli delle RR..LL..Propaganda n° 14 e Pedemontana n° 696 all’Oriente di Torino, riunite in tornate congiunte, è stato presentata il 27 aprile 1978 dell’e.v.

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