SAGGEZZA

SAGGEZZA

del FR.’.  A.  C.

Venerabilissimo, Rispettabili Fratelli Maestri, questa mia tavola non ha titolo e non principia con alcun preambolo propiziatorio poiché sono convinto di vivere in un Tempio, le cui colonne sono “ornate” da Fratelli.

Nella tornata in atto i Fratelli sono “Maestri” ed il mio dire sarà pertanto più franco, più aperto poiché non potrà ledere a coloro che non hanno ancora conosciuto il ritorno di Hiram.

All’Oriente sedete voi, Venerabilissimo Maestro, voi che con la vostra scienza muratoria istruite la Loggia ed io vi devo obbedienza, rispetto e fedeltà. L’ho giurato 23 anni fa. Non sono molti; sono una vita.

Siete un simbolo che non ho inventato io, che non ha inventato l’uomo, ma che, scaturito dal più profondo incognito dell’Umanità, poiché d’essa facciamo parte, ci pone in ogni istante del nostro rapporto con la vita iniziatica di fronte alla più pesante responsabilità.

Infatti, ogni anno la saggezza dell’Officina decreta che un Fratello Maestro salga all’Oriente e guidi, istruisca, rappresenti, presieda.

Da dove proviene questa saggezza?

Non è il frutto di intrighi politici, non è l’accordo di correnti, non è il gioco di poteri occulti, ma è l’osservazione, più o meno inconscia, più o meno attenta, di una Vita, fra varie Vite, vissuta nella sacralità del Tempio, vissuta nel rapporto umano, vissuta nella disponibilità più aderente al significato del trinomio Libertà – Uguaglianza – Fratellanza, essa ci perviene dal Grande Architetto dell’Universo che ci guida nel Tempio per mezzo di quella ritualità che esalta il nostro lavoro.

Ed è proprio per questo motivo che lasciamo i metalli fuori del Tempio, è per questo motivo che assumiamo la predisposizione, l’atteggiamento, la correttezza, la disponibilità, la coerenza a quella logica muratoria che non ci consente ipocrisia alcuna.

Dobbiamo essere schietti, leali, consapevoli del mondo diverso in cui siamo stati chiamati a vivere, che abbiamo accettato nostra sponte, che tentiamo di conquistare cercando di superare difficoltà immense, scavalcando ostacoli ardui, penetrando lentamente il bosco dell’ignoranza per raggiungere lo splendore della prateria.

Ed allora, ben venga il lavoro sereno, allegro con momenti di spensierata giovialità.

Questo agire, però, non sia portatore di malcostume, non sia gli “ozi di Capua”, non faccia mai perdere di vista che il grembiule di Maestro, ornato di rosso, con frange dorate, non è riconoscimento di acquisiti meriti, non è diploma di raggiunta libertà, ma è l’obbligo ad essere sempre e costantemente SE STESSI.

Non assume quindi il Maestro atteggiamenti che esprimano un qualsivoglia stato d’animo, sia che agisca un Fratello fra le colonne o l’autorità all’Oriente; non esprime commento alcuno sia ad alta voce e tanto meno sussurrando; ha sempre la certezza che la vita nel Tempio “è perfetta” come lo assicura il Primo Sorvegliante quando si esprime:

“Maestro Venerabile, tutto è giusto e perfetto”.

Tutto ciò ho voluto dirvi Rispettabili Fratelli poiché sono con voi tutti unito in quel credo comune che ci ha sollecitati a bussare alla porta del Tempio, unito a voi tutti nell’anelito di ricerca, di conquista, di serenità, di pace.

Sia dunque il lavoro comune veramente unione d’intenti, cementatore di ideali, fautore di realizzazioni che, se pur non comunicabili col verbo, lo siano per la costante attenzione ai doveri imposti e liberamente accettati.

Come possiamo pretendere capolavori dagli Apprendisti e dai Compagni se NOI Maestri non siamo in grado di esprimere correttamente quella parte di saggezza raggiunta?

A.’.G.’.D.’.G.’.D.’.A.’.U

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