IL MAESTRO VENERABILE E LA SUA LOGGIA

Riteniamo sempre attuale e stimolante questo lavoro comparso

sul n. 2 di Regione Massonica (1971),  e lo ripresentiamo nella sua forma originale. Lettura di una vecchia « tavola » del compianto Fr.’.C.M

IL MAESTRO VENERABILE E LA SUA LOGGIA

Il presente lavoro non vuole e non può essere il vademecum per il buon Maestro Venerabile, né un corso stampa per insegnare a diventare Maestro Venerabile attraverso ad una facile piacevole lettura; esso semplicemente vuole rappresentare un breve e sommesso accenno agli ostacoli che incontra ed alle fatiche che deve superare il Maestro Venerabile nell’espletamento delle sue mansioni, alla luce di quell’esperienza diretta e mediata che anni di lavoro hanno ormai permesso di acquisire.

Ogni Loggia, pur avendo caratteristiche particolari, derivate dai diversi metodi di lavoro e condizionate dal suo specifico livello sociale medio, è comunque, sempre, costituita da uomini i cui desideri, ansie, aspirazioni, sofferenze, sono identiche a quelle degli altri uomini: diciamo quindi che questo particolare Articolo prepara, o meglio cerca di preparare, un canovaccio, sufficientemente valido di aiuto e consigli per ogni Maestro Venerabile il quale non potrà, comunque, non valutare intelligentemente, nell’espletamento del suo mandato, le caratteristiche e l’individualità che sono prerogative della Officina da lui presieduta.

Questo tentativo di strutturazione così fluida e poco paradigmatica ‘presenta, naturalmente, numerose lacune, ed esprime concetti forse troppo personali. È auspicabile che, grazie a critiche, consigli, proposte, lo si possa migliorare e rendere più idoneo, veramente aderente ad una realtà per quanto più possibile obiettiva e quindi di una certa utilità concreta.

Tra i vari compiti che un Fratello può assumersi nell’ambito del nostro Sodalizio, uno in particolare si presenta pieno di difficoltà, impegnativo per il numero di ore lavorative che richiede, per la necessaria saldezza del carattere, per la indispensabile preparazione culturale di base e specifica della materia.

Non è posto in cui possano sedere gli arrivisti, i faciloni, i logorroici, i deboli di carattere, i mestatori, i sentimentali, i volta-gabbana, né possono tenerlo gli impreparati, gli scansa-fatica, gli incolti, perché la carica di Maestro Venerabile, simile ad un volano psichico, esalta tutte queste qualità negative che in un periodo più o meno breve potrebbero distruggere l’individuo che le possiede e, peggio, portare alla demolizione della Loggia. Il ceto medio italiano dal quale il nostro Istituto trae la maggior parte dei suoi proseliti, annovera purtroppo in elevate percentuali, splendidi rappresentanti delle categorie sopraccennate, percentuali tali da rendere difficile ed impegnativa la selezione del nuovo Fratello. L’organizzazione delle varie collettività umane presenta costante- mente una forma piramidale delle gerarchie, con diritti e doveri sempre presenti. Nella Loggia il Maestro Venerabile, come ’è chiaramente indicato negli Statuti, è la massima Autorità ed è pienamente responsabile del suo andamento, dello svolgimento dei lavori, della disciplina e dell’armonia fra i componenti. Per conseguire questi risultati, al Maestro Venerabile non possono essere conferiti specifici mezzi, per cui egli ha a disposizione quelli in lui innati e affinati dal lavoro di Loggia. In altre parole il Maestro Venerabile, a differenza di qualsiasi capo di ogni altra organizzazione, trae il suo ascendente sui Fratelli soltanto ed esclusivamente dalla sua personalità. L’aderenza formale e sostanziale ai princìpi di libertà, uguaglianza e fratellanza, non gli permette di utilizzare quei mezzi di coercizione sociale così facilmente utilizzabili nel mondo profano delle aziende, dei partiti, delle associazioni, né la personalità e la preparazione personale degli altri Fratelli permettono errori sul piano culturale. Intrattenere in periodiche riunioni, siano esse rituali o di famiglia, un certo numero di persone, tutte professionalmente e culturalmente qualificate, per un certo numero di ore e per tre o quattro volte ogni mese, non costituisce compito semplice. La trattazione  dei problemi organizzativi della Loggia, la lettura e la discussione di Tavole Massoniche, lo studio della Massoneria, della sua storia e dei suoi princìpi filosofici, i dibattiti su argomenti prestabiliti possono, di volta in volta, costituire il tema delle Tornate di lavoro.

È auspicabile che il Maestro Venerabile, aiutato ed indirizzato dalla sua Loggia ed in particolare confortato dalla fraterna assistenza dei Fratelli Maestri, possa recepire nuovi argomenti ed utilizzare nuovi mezzi per rendere le riunioni sempre più fattive e feconde. Potremmo quindi dire che una Loggia è costituita da un Maestro Venerabile e da più Fratelli: che il Maestro Venerabile è l’uomo che in ogni riunione deve dare il meglio di se stesso, intellettualmente e psichicamente, per ottenere dagli altri Fratelli una soddisfacente coesione di lavoro, una intima reciproca solidarietà, una rispettosa comprensione della ritualità.

Una delle principali caratteristiche del Maestro Venerabile deve quindi consistere nella costante capacità di autocritica e di positiva accettazione delle eventuali critiche rivolte ad ogni sua azione, ad ogni sua presa di posizione, ad ogni sua frase. Per ottenere tutto ciò è indispensabile, e questa indispensabilità non sarà mai sufficientemente sottolineata, una convinzione totale di quanto si afferma ed una assoluta aderenza ai concetti esposti ed ai fatti che ne conseguono. Non sono quindi ammissibili mezze misure, parziali compromessi o prudenti allineamenti, così facili ad effettuarsi e per i quali si è un po’ tutti portati in certe situazioni, ma necessita una intransigenza morale che, lontana dal bigottismo e dai preconcetti, permetta di dirigere consenzienti e convinti tutti i Fratelli.

La mancanza di questa linearità di condotta conduce invariabilmente in un primo tempo allo sfaldamento della compattezza ideale della Loggia cui potrebbe far seguito, a breve scadenza, la sua scomparsa

come comunità operativa.

I rapporti che intercorrono fra il Maestro Venerabile ed i Fratelli della Loggia devono, comunque e necessariamente, differenziarsi a seconda che investano singoli individui o si riferiscano all’intera collettività: la comprensione fraterna per i problemi, gli errori o i dubbi dei singoli Fratelli non devono attenuare una severa critica quando questi problemi, errori o dubbi minacciano la compattezza della Loggia, quando cioè sconfinano dal piano individuale per invadere quello collettivo.

È dall’insieme di più clementi, singolarmente di non facile rilievo, che si determina quell’atmosfera di Loggia che, pur essendo di non facile definizione, costituisce una indiscutibile realtà e condiziona significativamente la partecipazione ai Lavori da parte dei Fratelli.

La reciproca simpatia e fiducia fra i singoli Fratelli, la fiducia nel l’Organizzazione, la libertà di parola pur nel rispetto della forma e della disciplina, il senso di solidarietà, la certezza che l’applicazione del regolamento è univoca per tutti, costituiscono alcuni dei più importanti elementi per la creazione di questa particolare atmosfera di Loggia. Il principale promotore della miglior realizzazione di tale atmosfera è, ancora una volta, il Maestro Venerabile, che deve provvedere, con la massima cura, che tali elementi costitutivi non solo non siano carenti ma che si compenetrino armonicamente. Non è un mistero per alcuno che abbia avuto occasione di frequentare, per un certo tempo, più Logge, l’esistenza di questa atmosfera, la percezione dei differenti elementi che la caratterizzano, la convinzione delle sue enormi possibilità ed anche dei rischi che possono derivare da una non perfetta sintonia.

L’atmosfera di Loggia che caratterizza ogni singola Officina, la sua autonomia funzionale nell’ambito dell’Organizzazione, i differenti sistemi di conduzione che possono condizionarne l’attività operativa, non devono creare erronee interpretazioni in merito ai rapporti, ben definiti, tra ogni singola Loggia ed il Corpo Massonico.

Presso tutti gli Orienti, infatti, si sente spesso pronunciare, e non sempre a proposito, la frase la Loggia è sovrana. Sembra opportuno puntualizzare tale indirizzo in modo che non ne derivi un malcostume verbale, tale da ingenerare in alcuno, specie negli apprendisti, idee non esatte sull’organizzazione del nostro Istituto e in tutti un senso di distacco o divisione tra Loggia e Loggia, da cui potrebbe facilmente scaturire una specie di anarchia almeno ideologica, del tutto estranea ai nostri princìpi etici, alla nostra struttura rituale ed agli Statuti. Il concetto di sovranità è uno dei più controversi nel campo delle scienze politiche della legge internazionale; è inoltre strettamente collegato ai difficili concetti di Stato  e di Governo, di indipendenza e democrazia. Originariamente, come  derivata dal termine latino superan4us, sviluppato nel termine francese souveraineté, la sovranità era intesa come l’equivalente del potere supremo. Nella sua accezione concreta la sovranità è indicedi potere assoluto su determinate persone viventi in uno specifico territorio, coincidente, di norma, coni confini dello Stato; in questo  ambito lo Stato può reggersi e darsi gli ordinamenti sociali che meglio crede senza che gli altri Stati possano interferire. Indubbiamente questa condizione non sussiste per la Loggia e, quindi, i termini sovrana e sovranità dovrebbero essere utilizzati con quei criteri che uomini culturalmente preparati debbono considerare nell’impiego di un lessico a forte carica emotiva e razionale. Infatti è ben noto come il valore semantico delle parole si alteri fortemente sotto la spinta delle generazioni nuove e che termini, fino a ieri validi, possano oggi divenire se non assurdi o fuori della realtà, almeno di ben più cauta se non diversa utilizzazione. Nel nostro caso è quindi preferibile utilizzare una terminologia più aderente alla realtà e, per definire i limiti dei poteri della Loggia, servirci della parola autonomia. D’altro canto, negli stessi Statuti Generali, che pure risalgono ad epoche trascorse, non vi è preciso riferimento ad una pretesa sovranità, almeno nel senso etimologico.

Alla luce delle disposizioni contenute in tali Statuti Generali, che rimangono il fondamento giuridico su cui si regge la nostra Istituzione,

non è difficile trovare conforto per questa interpretazione ed avere conferma in merito alle specifiche materie su cui la Loggia ha potere di decisione autonoma. Al Maestro Venerabile è conferito potere di convocare la Loggia, di proporre le questioni da discutere, di custodire le Patenti, le Bolle, i Regolamenti. Alla Loggia stessa viene riconosciuto il potere di regolamentazione interna, sempre peraltro nell’ambito degli Statuti Generali e dei Regolamenti dell’Ordine. Ancora alla Loggia è conferito il potere di accettare o respingere l’affiliazione di un fratello e di concedere aumenti di paga fino al 3° grado. Da quanto sopra ricordato risulta evidente come debba considerarsi il concetto di sovranità di Loggia, secondo lo spirito degli Statuti e della nostra etica. Soltanto un erroneo concetto di libertà potrebbe condurre i membri di una Loggia a certe affermazioni che non hanno, quindi, alcun fondamento nella realtà, e che non possono essere condivise si manifestano. ogni qualvolta In questo spirito la Loggia, nel corso dei suoi normali Lavori nei tre gradi simbolici, non deve interessarsi dei compiti e dei lavori di altre Camere: in ciascuna Loggia esistono Fratelli appartenenti al Rito che con massima discrezione sapranno, all’occorrenza, aiutare il Maestro Venerabile nello svolgimento del suo lavoro. Non è affatto necessario insistere in Loggia sui rapporti che intercorrono fra Ordine e Rito, in quanto l’Organizzazione Massonica non è che un tutto unico, e gli appartenenti al Rito sono soltanto uomini con maggiori responsabilità ed oneri. In Massoneria, infatti, il grado non significa autorizzazione ad indossare maggior numero di orpelli ma, soprattutto, maggior impegno morale e di lavoro. Talora questi concetti non vengono completamente assimilati dai nuovi adepti che con mentalità ancora compressa di concetti pro- fani di vita associativa, pensando alle cose più strane, creando- si o creando complessi di prevenzione nei confronti della gerarchia Massonica. È compito anche in questo caso del Maestro Venera- bile far conoscere che nelle Camere  Superiori operano Fratelli che hanno dimostrato, con anni di lavoro, attaccamento alla Famiglia e che il Rito è indispensabile all’articolazione operativa della Massoneria.  Infatti, due o tre anni di appartenenza al sodalizio non sono, il più delle volte, sufficienti a formare un vero Massone e a per- mettergli di affrontare problemi e compiti con una adeguata preparazione. Questa preparazione ulteriore si svilupperà appunto nelle Camere Superiori dove ognuno, per quanto di sua competenza e senza interferenze, o meno ancora di indebite sopraffazioni, porterà il contributo operativo. Quando anche i Fratelli di più recente iniziazione risulteranno preparati, i Fratelli anziani saranno pronti ad accoglierli nella Camera Rituale che giustamente compete loro, in quanto è desiderio di ogni appartenente al Rito che altri Fratelli qualificati possano operare al loro fianco, dividerne le responsabilità e condividerne le inevitabili amarezze. È proprio ai Fratelli rivestiti dei gradi del Rito che compete il compito di dirigere, con mano lieve e con molto tatto, la Famiglia, emanando quelle istruzioni dotta generali tali da permettere una con- univoca delle varie Logge. Ciascuna di esse, nella sua auto- noma azione, deve pertanto sempre stare nell’ambito di quanto previsto dalle Camere Superiori e di ciò è direttamente responsabile il Maestro Venerabile. Egli non è quindi il dittatore di una comunità umana chiamata Loggia che debba rispondere delle sue azioni soltanto al grande Architetto dell’Universo ed alla Gran Loggia, ma il primus inter pares di una cellula che opera distinta mente su binari posti dalla massima autorità rituale. Egli è indispensabile  e determinante per il funzionamento della Loggia; ogni persona, fornita di un normale equilibrio e non totalmente ottenebrata  da eccessivo egocentrismo, dovrà riconoscere che nessuna meta è conseguibile da un complesso di uomini se non esiste una guida unica, guida liberamente eletta dalla comunità e le cui decisioni  seguano sempre a un dibattito ad un livello appropriato. È auspicabile che non derivino mai incomprensioni tra il Maestro Venerabile e le Camere Superiori e che eventuali contrasti provocati  talora da un diverso linguaggio, proprio di differenti genera- zioni, vengano appianati all’origine. Il differente significato che ogni generazione può infatti dare al vocabolario, e la relativa carica emotiva che l’accompagna, potrebbe talora provocare un dialogo difficile; questo potrà semplificarsi e divenire producente soltanto con l’utilizzazione del principio della tolleranza: il Maestro Venerabile dovrà accettare di buon grado consigli e disposizioni, mentre i responsabili del Rito dovranno sempre mantenersi vicini ai problemi e dalle aspirazioni legittime di tutti i Fratelli attraverso un ampio e costante dibattito, dimostrando sul piano del raziocinio la validità di determinate azioni e di certe prese di posizione. L’uomo ha la naturale tendenza ad aggregarsi in gruppi più o meno vasti, a creare legami ed interessi nell’ambito di questo gruppo, escludendo talora involontariamente gli altri uomini, spesso criticandoli e a volte combattendoli. Questo pericolo deve essere evitato in maniera decisa, nell’ambito della Loggia; ed è in particolare il Maestro Venerabile che deve perseguire con tutta fermezza questo scopo. La coscienza di Loggia che egli deve costante mente coltivare non deve, pertanto, mai trarre nutrimento dalla critica alle altre Logge ed all’Oriente in generale. Egli dovrà sempre ricordare e ribadire con noiosa ma indispensabile ripetizione che la Loggia è soltanto una cellula del grande Corpo Massonico, e che il compito cui è preposta è quello di preparare e selezionare uomini capaci ed onesti affinché possano essere inseriti con profitto nella vita attiva della Società. Ogni senso di separazione, ogni sentimento di superiorità o di inferiorità, crea una frustrazione che diminuisce la compattezza dell’organizzazione Massonica. Ciò non significa rinuncia passiva all’individualità ed immersione nel bagno soporifero per l’intelletto di una comune ideologia, ma esaltazione delle attitudini individuali nel piano di un’azione liberamente accettata e coordinata. Anche in questo caso il Maestro Venerabile non può imporre una disciplina di gruppo utilizzando i soliti mezzi coercitivi, ma deve soltanto operare con il suo prestigio. Nella nostra organizzazione, infatti, la disciplina è un cardine, ma questa disciplina deve essere sempre cosciente, volontaria ed attiva. Nulla di simile esiste nel mondo profano e, pertanto, l’esperienza di lavoro di altre organizzazioni può servire solo parzialmente. Mai come nella nostra Organizzazione il detto Pugno di ferro in guanto di velluto è applicabile, e deve essere applicato ricordando che ogni Fratello deve

avere l’assoluta certezza che i suoi diritti ed i suoi doveri sono salvaguardati da uomini che usano come metro di misura soltanto la capacità, l’impegno e la serietà.

L’esperienza ha insegnato che la Ritualità viene spesso contestata dalla gran maggioranza dei Fratelli nei loro primi mesi di frequenza ai Lavori, ma che essa viene successivamente accettata dopo un giusto periodo di rodaggio e chiarimento. Il saggio Maestro Venerabile non abuserà di una serie di cerimonie rituali per non trasformarle in qualcosa di automatico, simile a certe cerimonie religiose, ma saprà ottenere, nel momento in cui vengono svolte, la massima serietà ed una cosciente attenzione. L’aderenza formale al Rito costringe, infatti, ad una disciplina automatica che serve molto sia al regolare svolgimento dei lavori, sia a rendere compatte le colonne e condizionati ed omogenei certi comportamenti; gran cura dovrà essere posta perché i Fratelli investiti di un determinato incarico rituale conoscano correttamente i loro compiti, affinché tutto funzioni sempre alla perfezione. Trascurare inconsciamente consciamente od la stretta osservanza del rituale, nell’intento di soddisfare un mal compreso modernismo, potrebbe condurre ad un giudizio negativo da parte dei Fratelli che, nella stragrande maggioranza, cercano, anche se molti quasi inconsciamente, qualcosa che li colleghi a valori e simboli che la vita attuale non sa più esprimere. Forse per questo l’incontro dell’apprendista con la simbologia ed il rituale Massonico ed il suo inserimento in un’Organizzazione con norme così diverse dal consueto, costituiscono uno dei più difficili banchi di prova della attività del Maestro Venerabile che, con grande amore fraterno, con molta tolleranza, con tatto e discrezione, deve impegnarsi affinché l’integrazione dell’apprendi- sta nella Loggia avvenga nel modo migliore, senza traumi psicologici per il neofita e senza turbamenti o danni per la comunità. Egli deve seguire costantemente il nuovo Fratello in modo che questi non si senta abbandonato a se stesso o che non sappia con chi o di che cosa discorrere, deve rispettare le sue prese di posizione con molta gentilezza, ma con altrettanta fermezza indirizzarlo alla interpretazione del Rito Massonico. In genere il neofita, all’inizio, interviene a tutti i dibattiti e non comprende il significato del rituale. Dopo una prima fase di decisi interventi in tutte le discussioni succede, in genere, un periodo di silenzio che si protrae fino a quando non è avvenuta una sua maturazione; verso quell’epoca riprende con minor veemenza gli interventi e si può considerare avvenuta la sua integrazione. In proposito è bene che il Maestro Venerabile consideri particolarmente una delle regole statutarie più discusse e precisamente quella che si riferisce al silenzio dell’apprendista. Egli non dovrebbe intendere con ciò l’applicazione rigida ed integrale degli Statuti che motivi ovvi fanno largamente superare ma la necessità di afferrare il concetto che un certo silenzio facilita ed accelera naturalmente l’inserimento di un neofita in una qualunque società. È quindi opportuno che egli faccia conoscere tale regola e la faccia osservare in quei giusti limiti che egli ritiene utili affinché l’eccessiva liberalità di interventi da parte dell’apprendista non porti ad un lavoro troppo faticoso e ad un dispendio di energie a danno della attività di Loggia. Il Maestro Venerabile e l’Apprendista debbono entrambi sapere che come disintossicante un certo silenzio è utile delle abitudini e delle idee profane, come veicolo di concentrazione per l’assorbimento delle nuove idee ed anche come necessità organizzativa. Un certo silenzio deve servire per imparare a valutare se un intervento è necessario, utile, chiarificatore, oppure superfluo, inutile, perché ciò determina la base prima di un elementare lavoro di gruppo. Da quanto si è esposto traspare evidente la necessità che alla conduzione delle Logge possano provvedere Maestri Venerabili, do- tati di rigidità morale ed elasticità operativa. La preparazione di questi uomini è essenziale per le fortune della nostra Associazione che ora, più che mai, deve far sentire, pur seguendo la strada della discrezione, il suo peso morale sulle strutture sociali. L’alienazione e la mancata integrazione dell’uomo nella società moderna sta creando problemi di vastissima portata a politici, psicologi e sociologi  i quali cercano affannosamente rimedi e cure. Se esaminiamo attentamente i nostri rituali sotto l’aspetto esoterico e meditiamo gli Statuti Generali della nostra Organizzazione, ci rendiamo conto che la maggior parte degli sforzi sono volti ad inserire vitalmente l’Uomo nel Gruppo, cioè ad integrarlo nella società in cui vive. Questo tipo di integrazione presenta la peculiarità di non svolgersi all’insegna delle rinunce alla propria personalità o sotto lo stimolo di una lotta di classe, ma perseguendo tecnicamente, quasi ingenuamente direbbe un cinico, i princìpi della libertà individuale e della esaltazione positiva della personalità dei singoli uomini.

Ogni sforzo per giungere a questo risultato sarebbe però vano, se la Massoneria non preparasse Maestri Venerabili ricchi di queste doti umane che fanno di un uomo un capo, cosciente dei suoi molti doveri e pochi diritti. Se la Massoneria moderna fallirà in questo compito di prepara- zione dei suoi quadri, non vi saranno effettive possibilità di sviluppo futuro, e quella piccola fiammella che, malgrado molti errori, incertezze, pause e tentennamenti, gli spiriti liberi hanno sino ad oggi mantenuto accesa, correrebbe il grave rischio di spegnersi e, questa volta, per non più riaccendersi

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