LOGGE MASSONICHE NEL SETTECENTO

Logge massoniche nel Settecento

Una delle prime logge sorte nella nostra penisola, all’interno della massoneria moderna, fu la loggia Fidelitas fondata nel 1723 a Girifalco (Cosenza) e diretta dal duca di Girifalco nella scia della scuola pitagorica. Risale a pochi anni fa il ritrovamento del sigillo Neapolis 1728 con i simboli massonici allorquando venne creata a Napoli la Perfetta unione, che poi diventerà la Primaria Loggia. In particolare si verificò l’orchestrazione massonica di Raimondo di Sangro, rosa-crociano, che unì la cura verso i principi umanitari con pratiche alchemiche, che diede la stura a una bolla di Benedetto XIV contro la massoneria. E’ sin da allora che la Chiesa di Roma ha contribuito a costruire il mito massonico, definendo l’identità del “nemico”, facendo

della massoneria un oggetto di crescente interesse per tutti coloro che si entusiasmassero alle nuove idee illuministiche. E’ indiscutibile che la massoneria si è affermata nel mondo grazie a se stessa e alla qualità dei suoi membri, ma anche grazie alla virulenza e all’atteggiamento dei suoi avversari.

A Firenze nel 1731 prese corpo una loggia detta degli inglesi, con Sewallis Shirley e con primo Maestro Venerabile Henry Fox, e di cui fecero parte uomini come Antonio Cocchi e Tommaso Crudeli, e da allora il fenomeno della nascita di logge si diffuse rapidamente da Milano a Verona, da Padova a Brescia, da Venezia a Vicenza, da Roma a Genova, da Bordighera a Livorno, con logge composte da cattolici, ebrei e protestanti, suscitando in particolare le ire di papa Clemente VII e la bolla conseguente In eminenti del 1738. E fu proprio in seguito a queste scomuniche che venne arrestato uno dei capi della massoneria, il poeta massone Tommaso Crudeli, che poi morirà nel 1745 a seguito delle sofferenze patite in carcere.

A Roma la prima loggia risale al 1735, una loggia giacobina, sciolta rapidamente per ordine pontificio, e trascorreranno circa quarant’anni prima di vedere una loggia scozzese fondata nel 1776, e poi nel 1787 la

loggia La riunione degli amici sinceri, anch’essa di rito scozzese.

Nel 1746 a Venezia venne aperta una loggia a cui aderirono anche Casanova e Goldoni, mentre negli anni settanta si propose la loggia L’Union, ispirata dal segretario del senato Pietro Gratarol, mentre a Vicenza vi era la loggia I veri amici e a Padova L’amore del prossimo. Successivamente esse aderiranno al rito della Stretta Osservanza, come

la Concordia di Trieste e la San Paolo Celeste di Cremona. Nel 1749 a Chambery in Savoia, allora regno di Sardegna, venne creata la Saint-Jeanne des Trois Mortiers, mentre dopo la pubblicazione della Lettera apologetica del principe di Sansevero nel 1750, con un programma massonico in senso “panteistico ed eterodosso” (Trampus), si scatenò

una formidabile reazione della Chiesa di Roma. A sostenere però i massoni italiani ci pensarono gli inglesi, per esempio, tramite le logge La bien Choisie e la Perfect Union, gli olandesi e la Gran Loggia d’Olanda che fornì le patenti per la creazione di logge da Teramo a Catanzaro, da Catania a Palermo, e i francesi, come nel caso di Palermo della loggia San Giovanni di Scozia, attiva dal 1762, con primo Maestro Venerabile Antonio Lucchesi Palli, autorizzata dalla Loggia madre di Marsiglia a costituire altre officine.

A Livorno sin dal 1763, e forse anche prima, vennero create logge con patente inglese con la particolarità di svolgere in grande armonia la ritualità massonica fra uomini di fedi religiose diverse.

Nel 1765 di gran rilievo a Torino, e con valenza europea, la fondazione della loggia Saint Jean de la Mystérieuse, protetta dal re Vittorio Amedeo III, con molti fratelli appartenenti all’Accademia delle Scienze.

Naturalmente le manovre antimassoniche furono vibranti, come per esempio nel 1776, allorquando il ministro Bernardo Tanuccifece spargere la voce che il mancato miracolo di san Gennaro fosse da ascrivere a colpa dei massoni, determinando così l’assalto alle abitazioni dei più noti massoni partenopei. Ma contestualmente la regina Maria Carolina fu decisiva nel sostenere la massoneria napoletana, come si evince dalla prestigiosa vicenda della loggia La Vittoria, a metà degli anni settanta, dove troviamo persone come Vittorio Alfieri e Aurelio Bertola, personalità di rilievo che, nel 1782, non mancavano anche nelle 14 logge della Sardegna. Senza dimenticare Gaetano Filangieri, con la sua celebratissima Scienza della legislazione, talmente stimato anche nell’ambiente inglese, che al suo funerale presenziarono quasi tutte le logge di riferimento inglese, e fratelli del calibro di Mario Pagano, Giuseppe Albanese e Domenico Cirillo, uomini che poi parteciperanno tutti ai fatti del 1799.

Nel 1787 Goethe, durante il suo viaggio in Sicilia, dopo aver visitato le case di numerosi massoni, ebbe a scrivere: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia immagine nello spirito. Qui risiede la radice di ogni cosa” e il teologo luterano, di origine danese, Federico Munter rendicontò in modo capillare e brillante le vicende e le storie dei massoni siciliani all’Ordine della Stretta Osservanza.

Emanuele De Deo

Desidero qui ricordare, accanto a figure splendide come Giambattista Zamboni e Gaetano De Rolandis a Bologna, una persona semplice, una figura non particolarmente nota, un giovane di straordinario valore morale, Emanuele De Deo. De Deo nacque a Minervino Murge (Bari) nel 1772 da una famiglia di origine spagnola e si trasferì a Napoli per gli studi, dove si laureò in Giurisprudenza entrando in contatto con ambienti massonici. In particolare grazie alla frequentazione con studiosi come Carlo Lauberg – Gran Maestro dell’Ordine de Le colonne della democrazia – e Annibale Giordani, s’inserì nel contesto del movimento rivoluzionario di fine secolo. La sua adesione alla massoneria risale al 1792, ma dopo aver diffuso copie della Dichiarazione dei diritti della Costituzione francese venne arrestato insieme ad altri giovani e condannato a morte. Il suo papà, che raramente si era mosso dal suo paese, andò a trovarlo in carcere e fece di tutto per salvarlo, strappando alle autorità la promessa della libertà

qualora avesse riferito i nomi dei compagni sfuggiti all’arresto. Ma Emanuele non tradì e andò incontro con fierezza al suo triste destino, tant’è che i membri della Compagnia dei Banchi, compagnia fondata da san Giacomo della Marca, per l’assistenza ai condannati, che lo presero in cura negli ultimi giorni della sua vita, attestarono del suo vigoroso comportamento, forte e dignitosissimo. Il giorno prima della sua morte, inviò al fratello Giuseppe una lettera esemplare in cui pregava di non continuare a intercedere per la sua vita “perché io la mia sorte la invidierei negli altri. Il mio destino è certo e io l’attendo con intrepidezza e coraggio. La morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere. Non vi è persona che potesse credersi da me oltraggiata o lesa. Ho adempiuto

alle mie obbligazioni verso chiunque aveva diritto di esigerle, e non mi sono mai dimenticato di essere cittadino e uomo. Vi stringo di nuovo al cuore. Vostro fratello Emanuele”. E neanche la generosa difesa dell’avvocato Francesco Mario Pagano riuscì nell’intento di salvarlo e così il 18 ottobre 1792 venne fatto salire sulla forca, in piazza Castello a Napoli, a 22 anni, col padre che assisté all’uccisione del figlio fra la folla, nell’indifferenza dei contemporanei e forse anche dei posteri, ucciso insieme ad altri compagni di sventura, alcuni dei quali avevano fatto i nomi degli amici sotto tortura, ma ciò non era bastato per la loro

salvezza. No, il sangue versato da Emanuele, il sangue che ha macchiato quella terra, per noi quel sangue non si è mai asciugato. Emanuele è un grande patrimonio per il nostro paese e per la massoneria che lo ha onorato a Bari con una loggia, a lui intitolata, della comunione di piazza del Gesù. Nel primo numero de Il Monitore napoletano, il 2 febbraio 1799, Eleonora Fonseca Pimentel, celebrò il suo coraggio, il suo lealismo assoluto, il suo virtuoso silenzio: “Caro Emanuele, quanta forza, quanta speranza, dà ancora il tuo esempio, la tua vita, a tanta gente perbene che ancora c’è nel nostro paese, gente che non si è lasciata andare, che sulla base dei tuoi valori si sforza di costruire i valori di un nuovo mondo. E’ grazie anche a persone siffatte che le logge partenopee, e meridionali in generale, proliferarono sia sotto la gestione della G. Loggia Nazionale che del G. Oriente di Francia”.

Logge massoniche nell’Ottocento

Dopo la rivoluzione francese fiorirono in tutta la penisola logge di vario genere, come quelle installate a Milano dal colonnello Jean Landrieux, capo del servizio segreto dell’Armata per l’Italia, un novero enorme di logge, oltre 250, con oltre 20.000 massoni all’obbedienza del Grande Oriente di Francia e del Grande Oriente di Napoli. Nel 1805 nasce a Milano un Supremo Consiglio massonico, che poi prenderà il nome di Grande Oriente d’Italia, alla cui obbedienza passeranno le logge partenopee e pugliesi, divenendo da subito il centro propulsore della massoneria italiana, e il primo Gran Maestro fu proprio Eugenio di Beauharnais, vicerè del Regno italico. Nel 1818 due militari, Raffaele Fenile e Raffaele Brugnone, crearono a Palermo l’Architettura Fiorita a cui appartennero uomini di altissimo profilo, ed anche Domenico Volpes, già Gran Maestro della vendita carbonara detta “Del Silenzio”.

Come è ben noto, nel corso del periodo insurrezionale, enorme la quantità dei massoni che operarono per l’unità d’Italia, da Garibaldi a Depretis, da Crispi a Nicotera, da Zambeccari a Cavour. Non casualmente nel discorso inaugurale della loggia Ausonia (1859), autentico ponte verso un’Italia unita, si auspicò che le sorti dello stato potessero essere ancora guidate “dalla gigantesca mente del nostro illustre fratello conte Camillo Cavour”.

Fra i tanti Gran Maestri che si sono susseguiti, desidero almeno qui ricordare il livornese Adriano Lemmi che fu legato da grande amicizia con Mazzini e che finanziò le spedizioni di Carlo Pisacane e quella dei mille di Garibaldi. Lemmi guardava più alla massoneria francese anticlericale che a quella inglese aconfessionale e sosteneva l’insegnamento laico: “Lo stato deve formare il cittadino, non il devoto”. Non casualmente è rimasta famosa la dichiarazione di Lemmi: “la scomparsa del potere temporale dei papi è il più memorabile avvenimento del mondo”. E proprio a casa di Lemmi, negli anni ottanta, si riuniva una commissione di 14 membri, presieduta da Saffi, che determinò poi l’assorbimento del Supremo Consiglio di Torino. Nella Loggia Propaganda venne riunito il fior fiore della massoneria italiana,

fornendo un precedente ad esperienze successive nefaste ed esiziali. Certamente il punto più alto dell’operato di Lemmi coincide con l’inaugurazione a Roma, in Campo dei Fiori, il 9 giugno 1889 del monumento a Giordano Bruno scolpito da Ettore Ferrari, futuro Gran Maestro, e a cui parteciparono oltre tremila iscritti convenuti da tutta Italia che tennero alte le insegne massoniche a Roma e nel nostro paese. Non casualmente, nel periodo post-unitario, i parlamentari massoni superarono la cifra di trecento e sfiorarono le quattrocento unità. Civiltà cattolica, di solito molto bene informata, sosteneva: “Di massoni se ne trovano nel consiglio dei ministri, nella corte, nel senato, nella camera, nelle prefetture, nelle ambascerie e nelle alte sfere governative.

Nel giornalismo liberale poi la massoneria governa e regna; nelle università, nei ginnasi, nei licei insegna, educa e comanda. Dirige molte banche e istituti di credito; conduce le vie ferrate; fabbrica, vende e produce. Specialmente è medica, speziale, chirurga e amministra e dirige ospedali. Litiga nei fori e dà sentenze nei tribunali; consiglia, assiede, sindacheggia nei municipi; amministra le opere pie, paga, riscuote e assegna le tasse e le pensioni”.

E così via via siamo passati da un’Italia risorgimentale bella e perduta, per dirla con Lucio Villari, all’Italia attuale, sperduta e gaglioffa, un’Italia ridotta alla condizione di un gregge, che è talmente gregge che

non ha bisogno nemmeno del pastore. E quando si è nel gregge non si può nemmeno abbaiare, ma al massimo scodinzolare.

E tutto ciò nel contesto di un Occidente – occidere, cadere in avanti – terra della sera, luogo dove tramonta il sole, a volte non solo etimologicamente.

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