MOZART E LA CULTURA DEL SUO TEMPO

Mozart e la cultura del suo tempo

di Santi Fedele

Università di Messina

Per affrontare, sia pure in maniera sintetica il tema dei rapporti intercorsi tra Mozart e la cultura del Settecento europeo, occorre preliminarmente sgombrare il campo da due luoghi comuni. Il primo è l’immagine, fin troppo abusata, di Mozart genio fanciullo la cui arte immensa si sprigiona meravigliosamente da se stessa con scarsi contatti e apporti del contesto culturale che lo circonda.

Noi sappiamo invece non solo che Mozart ebbe cultura vastissima e che

possedette una selezionatissima biblioteca, ma che, come dimostra anche il suo epistolario, la sua genialità creatrice si alimentò della frequentazione attiva dell’“intellighenzia” più progressista dell’epoca, che l’immenso suo talento si coniugò con tutti i fermenti, le suggestioni, le idee che percorsero la cultura settecentesca.

Perché il Settecento – ed è il secondo dei luoghi comuni da evitare – non è solo il secolo dei Lumi, del trionfo dell’intelletto contro tutto ciò che non sia riconducibile a razionalità, del primato della scienza sperimentale e della deduzione logica e fisico-matematica contro ogni pretesa di conoscenza intuitiva, dell’universalità condivisa del sapere enciclopedico contro le suggestioni dell’esoterismo e della trasmissione iniziatica dei saperi. Vi è in Europa anche un altro Settecento che dell’Illuminismo non è l’antitesi ma qualcosa che con esso si interseca, si confronta, talvolta addirittura si confonde, dando così vita a una delle stagioni culturali più intense, complesse e stimolanti dell’intera storia dell’Umanità. È il Settecento in cui l’onda lunga del platonismo tardorinascimentale si accompagna all’influsso del panteismo cosmico di Giotdano Bruno e l’incredibile capacità di presa delle tematiche alchemiche di cui si sostanzia il mito dei Rosacroce interseca il rinnovato interesse per gli studi cabalistici e per i culti misterici dell’Egitto e dell’Età ellenistica. Ma il dato cui occorre maggiormente prestare attenzione, per comprendere l’humus culturale di cui si alimenta il genio mozartiano è che Settecento illuminista razionalista e Settecento magico-alchemico – occultista non sono realtà antitetiche e conflittuali, ma espressione di un’epoca in cui – come bene ha evidenziato Franklin Rausky1 – hanno pieno diritto di cittadinanza personaggi che sono per un verso uomini di scienza e cultori rigorosi della fisica, ma al tempo stesso letterati affascinati dalle dimensioni occulte della vita. Questi eruditi, per così dire sospesi tra Rinascimento e Illuminismo, possono ancora consentirsi quello che con il trionfo dello scientismo positivista non sarà più consentito, vale a dire di associare deduzione logica e trasmissione iniziatica dei saperi, sperimentazione e intuizione, osservazione dei fenomeni e illuminazione interiore. L’epistolario mozartiano documenta i legami di Mozart con uno di questi personaggi straordinari, il medico viennese Anton Mesmer, fondatore della teoria del magnetismo, che era intesa a fornire una lettura dei fenomeni vitali in termini di attrazione e repulsione tra forze magnetiche sia minerali che animali, destinata a sfociare in uno dei più celebrati e al contempo criticati esperimenti di medicina alternativa, basata su molto opinabili sistemi di rimedi simpatetici della malattia ma feconda di geniali intuizioni sui rapporti tra corpo e psiche, malattia fisica e sofferenza mentale. E in tema di rapporti tra la materia e il soffio d’intelligenza vivificatrice che la anima, va detto che tra le fonti letterarie e filosofiche mozartiane si colloca indubbiamente la complessa filosofia di Giordano Bruno: l’animismo atomistico, il panteismo cosmico e il collegamento ricorrente con una tradizione di pensiero che potremmo sinteticamente definire “magica” nel senso di un sentimento del sacro talmente forte da tendere al superamento delle rigidità dottrinarie e degli stessi dogmi religiosi. Il senso profondo dell’appartenenza alla tradizione cristiana non impedisce infatti a Mozart di essere partecipe di quelle idee di tolleranza religiosa che sempre più frequentemente circolano negli ambienti culturali frequentati dal grande compositore. L’ essere sinceramente credente non è in Mozart in contrasto con la condivisione di almeno alcuni degli aspetti della polemica contro la soffocante ingerenza del clero che è caratteristicacomune a buona parte degli ambienti illuministici, come pure sarebbe estremamente fuorviante voler scorgere una contraddizione tra le credenze religiose di Mozart e l’aspirazione, pure rinvenibile in alcuni passaggi dell’opera mozartiana, a una religione senza frontiere dove Dio può chiamarsi Yahveh o Allah o Brahma e, scavalcando la logica degli odi e delle guerre di religione, la comune credenza in un essere superiore affratella gli uomini nella ricerca della pace e della giustizia. Anche giustizia sociale? A porre l’interrogativo è il recente libro di Lidia Bramani suggestivamente intitolato in cui si sottolineano con forza due elementi. Il primo sono i rapporti intercorsi tra Mozart e numerosi esponenti di quella che in certo modo potrebbe essere considerata l’“estrema sinistra” della Massoneria settecentesca: l’Ordine degli Illuminati di Baviera, le cui tesi egualitarie si erano spinte talmente avanti da potere gli affiliati essere definiti dei “comunisti spirituali”. Come certamente nell’alveo del comunismo utopistico settecentesco – ed è il secondo elemento – si colloca un pensatore presente con diverse opere nella biblioteca di Mozart: Franz Ziegenhagen, un filantropo assertore di idee egualitarie che cercò anche di mettere in pratica con l’organizzazione di un’azienda agricola modello. La Bramani insiste anche parecchio sulla frequenza con cui affiorano nell’opera di Mozart le tematiche alchemiche. Ormai ci siamo emancipati a sufficienza dalla “dittatura” dello scientismo positivista per continuare a considerare l’alchimia nella migliore delle ipotesi una protochimica o chimica ingenua e nella peggiore una impostura praticata ai danni dei creduloni. Né abbiamo necessariamente bisogno per riabilitare gli alchimisti di rifarci alle teorie psicoanalitiche di Jung sulla coincidenza tra simbologia alchemica e categorie dell’inconscio collettivo. Per comprendere l’interesse di tanti pensatori e artisti settecenteschi, come per l’appunto Mozart, verso le tematiche alchemiche, bastino alcune elementari considerazioni sulla realtà intrinseca della plurisecolare esperienza del pensiero alchemico. Basti ricordare che aspetto fondamentale della concezione alchemica del cosmo è quello che riguarda il rapporto tra la materia e lo spirito. Se con la filosofia cartesiana la materia viene considerata nel suo isolamento dallo spirito, lo spirito identificato col pensiero e la materia massa inerte, impenetrabile allo spirito, pura quantità ed estensione, per l’alchimia al contrario non esiste né una realtà puramente materiale, né una realtà puramente spirituale: materia e spirito – come è stato opportunamente fatto rilevare – sono connessi tra loro come la materia e la forma, come un principio limitativo e recettivo che si misura con un principio attivo e operante. In questa prospettiva l’ordine naturale e quello umano spirituale non risultano conmette l’accento sulla preminenza dell’intero rispetto alle parti. Ne scaturisce che l’intima compenetrazione tra materia e spirito è l’obiettivo del processo alchemico: non fredda operazione tecnico-scientifica di trasmutazione dei metalli ma procedimento nel corso del quale il percorso di rigenerazione spirituale dell’alchimista si opera in intima fusione con quello di trasmutazione della materia. Come avrebbe potuto restare insensibilea tali suggestioni l’autore del Flauto Magico? Se mai il problema che si pone è di comprendere per quali vie le tematiche e le suggestioni alchemiche entrino a far parte dell’universo culturale e artistico di Mozart. La risposta mi sembra vada ricercata nell’influenza esercitata su Mozart come su moltissimi altri intellettuali e artisti del tempo da uno dei miti più fascinosi che percorsero la cultura del Settecento: la leggenda dei Rosacroce, di questo movimento quanto mai singolare al cui successo enorme contribuì non solo l’alone di grande mistero che lo circondò, ma l’essere per l’appunto il rosacrocianesimo una sorta di sintesi misterico-leggendaria in cui, attorno alla componente principale, che è ovviamente quella alchemica, si intersecano e confluiscono le altre componenti di quello che potremmo definire “l’altro Settecento”:

l’ermetismo tardo-rinascimentale, il panteismo cosmico di Giordano Bruno e dei mistici tedeschi, l’esoterismo cristiano, il retaggio dell’orfismo e della tradizione gnostica della tarda antichità e, perché no,  l’occultismo un poco cialtronesco di Giuseppe Balsamo, alias Cagliostro. La leggenda dei Rosacroce, assieme a quella dei Templari, è uno dei due miti fondanti di quella Massoneria speculativa che, sorta in Scozia e in Inghilterra tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, si è andata rapidamente diffondendo in Europa da Parigi a San Pietroburgo, da Stoccolma a Napoli, a Messina. Con la differenza chementre quello templare è un mito di nobilitazione aristocratica sul versante della tradizione cristiana della cavalleria medievale e dell’epopea delle Crociate, la leggenda rosacrociana è un forte elemento di supporto della penetrazione e della diffusione della Massoneria in tutta una serie di ambienti e circoli culturali sensibili alle suggestioni dell’esoterismo rosacrociano e al messaggio di rigenerazione interiore di cui  esso è portatore. Mozart attinge alla cultura alchemica e rosacrociana attraverso la via principale e diretta della sua appartenenza massonica. Proprio di recente si è sviluppata sui giornali un’animata discussione sul problema dell’appartenenza di Mozart alla Massoneria del suo tempo, originata dalle dichiarazioni del Cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, che, nel riaffermare le profonde convinzioni religiose di Mozart, ha inteso ricondurre la sua affiliazione massonica a fatto assolutamente contingente e marginale, a scelta dettata dalla convenienza di entrare in contatto con alcuni dei più eminenti circoli intellettuali del tempo. In verità questo problema della compatibilità tra fede cristiana di Mozart e sua appartenenza alla Massoneria ha tutta l’aria di essere un falso problema. Basta ricercare negli archivi e leggere gli elenchi degli appartenenti a Logge massoniche settecentesche di svariate parti d’Europa, per verificare come vi figurino in quantità non solo ferventi cristiani ma sia appartenenti al clero cattolico che pastori protestanti, gli uni e gli altri desiderosi di partecipare attivamente a quello che, assieme alle Accademie, rappresenta il maggiore canale internazionale di circolazione delle idee di cui possono disporre gli intellettuali del tempo. Che Mozart sia stato battezzato nella Cattedrale di Salisburgo il 28 gennaio 1756, che sia morto assistito dai sacramenti e che sia stato convintamene cattolico è assolutamente fuor di dubbio. Come è altrettanto incontestabile che Mozart, all’età di ventotto anni, il 14 dicembre 1784, fu iniziato Apprendista liberomuratore nella Loggia “Alla Beneficenza” di Vienna e che vi appartenne sino alla sua morte intervenuta sette anni dopo.

Né, a mio avviso, ha molto senso voler ricondurre l’appartenenza massonica di Mozart a un dato di scarso significato, se non addirittura di convenienza, come ha scritto Paolo Isotta sul Corriere della Sera del 17 agosto 2006 sostenendo, scherzosamente ma non tanto, che per Mozart la Massoneria non era forma di mutuo soccorso, ma solo di soccorso d’altrui a lui, giacché sventurati Fratelli sovvenivano allo scialacquatore. In realtà noi sappiamo che l’affiliazione massonica non fu per Mozart un’esperienza marginale ma la scelta seria e consapevole di chi della Massoneria del tempo da un lato era portato alla condivisione profonda dell’ispirazione umanitaria e delle pulsioni egualitarie, dei progetti filantropici e della lotta all’intolleranza, e dall’altro subiva forte il richiamo suggestivo dell’esoterismo e del ritualismo massonico.

La prova di ciò, a mio avviso, non va ricercata soltanto nelle cantate e nelle composizioni massoniche di Mozart, nel simbolismo massonico di cui è intriso il Flauto magico, ma, anche se non soprattutto nella condivisione intima, quale emerge dall’intera opera di Mozart, dei due concetti cardini della virtù e dell’armonia.

La virtù, intesa nel senso di forza interiore, non più determinata dal privilegio della nascita, ma dall’esercizio di una pratica di vita virtuosa e dal riconoscimento reciproco tra i giusti. L’armonia come una prospettiva di sviluppo delle potenzialità di ognuno nel rispetto degli equilibri naturali e dei diritti altrui, come l’ideale di una parabola esistenziale che l’uomo possa percorrere e concludere in pace con se stesso, con gli altri e con il contesto naturale che lo circonda.

È, per dirla con una parola, La giusta armonia, come per l’appunto s’intitola il melologo di Fabio Vacchi andato in scena nell’agosto del 2006 in prima mondiale a S a l i s b u r g o e nel quale si sottolineano con forza l’adesione di Mozart al clima illuministico- massonico del suo tempo e i suoi legami con gli intellettuali più aperti agli ideali di libertà e di eguaglianza. E non è forse fuor di luogo concludere con una citazione dalla famosa lettera che Mozart indirizza al padre, il 4 aprile 1787: Poiché la morte, considerata bene, è il vero scopo finale della nostra vita, io da un paio d’anni – l’ingresso di Mozart in Loggia si è prodotto tre anni prima ho preso tale confidenza con questa vera e ottima amica dell’uomo, che la sua immagine non soltanto non ha niente di spaventoso per me, ma al contrario molto di tranquillizzante e di consolante! E ringrazio Dio per avermi dato la fortuna e l’occasione (voi mi capite) di conoscere la morte come la chiave della nostra vera felicità.

Non solo l’interlocuzione “voi mi capite” rivolta al padre, anch’egli affiliato alla Massoneria, allude con ogni probabilità al rituale massonico di elevazione al grado di Maestro, incentrato sul simbolismo alchemico-iniziatico della morte-putrefazione-resurrezione di Hiram, mitico costruttore del Tempio di Salomone, ma l’intero brano è rivelatore delle convinzioni profonde di chi, anche attraverso la frequentazione dei lavori massonici, è pervenuto alla consapevolezza che la vita e la morte, la luce e l’ombra, lo spirito e la materia non sono termini opposti ma complementari nel ciclo eterno del divenire cosmico.

TRATTO DA “HIRAM” DEL 2007/3

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