GALILEO

Galileo: una lettura originale del personaggio quale metafora della crisi dell’uomo e del senso della sua difficile ricerca della Verità

di Salvatore Sansone Avvocato

GALILEO :

Se domani, poniamo, sulla via delle stelle, un tribunale mi imporrà ancora di rinnegare la mia verità […] perché altri dommi, altre scritture più o meno sacre, avranno riservato quei mondi a pochi eletti e sbarreranno il passo alla grande maggioranza degli uomini. Che farò allora? Avrò il coraggio di smascherare la legge? 0 piegherò novamente il capo […] e quanti mi avranno sino a quel momento seguito […] con la fiducia nel cuore […] precipiteranno tutti negli spazi cosmici […] nella più gelida mortale oppressione?

Ecco il mio rovello, ma una cosa posso almeno dirvi: non temete domani di calpestarmi se cadrò in ginocchio, non vi fermate, ma correte avanti, spezzate le tavole della legge […] finché non l’avrete letta direttamente, la legge, con i vostri occhi, negli astri.

                                                                        Da Partanna, 1974.*

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A cavallo tra il XVI e il XVII secolo, Galileo irrompe sulla scena scientifico– filosofica scardinando l’integralismo della Chiesa nellasua concezione e nel suo rapporto con la natura.

Per Galileo fonte autentica di conoscenza scientifica è la sola natura, cosicché la maniera più sicura per cercare la verità è fare esperienza e osservazione dei fenomeni e delle cose.

Tutto “principia” dall’esperienza nelle indagini scientifiche. Tuttavia l’esperienza non basta, perché i sensi molte volte ci ingannano e per di più, l’inganno la maggior parte delle volte è consensuale. Per Galileo (Saggiatore), colori, odori, sapori e altre qualità secondarie non risiedono negli oggetti, perché sono qualità situate negli organi di senso dell’osservatore. Le qualità che non possiamo scindere dagli oggetti, sono le qualità primarie: forma geometrica, numero e spazio occupato.

Per questo Galileo parla di sensate esperienze o manifeste esperienze e di necessarie dimostrazioni o chiare dimostrazioni. Con queste espressioni Galileo intende che lo scienziato “intuendo” (esperienza manifesta) e “ragionando” (logica e matematica), può pervenire a delle ipotesi mediante cui deduce e verifica il comportamento probabile dei “fatti”. Ed è proprio nell’armonia dei due momenti (induttivo e deduttivo) che il metodo sperimentale di Galileo presentale sue novità.

In buona sostanza il compito dello scienziato è di salvare i fenomeni, e non di cogliere la verità assoluta con speculazioni meramente logiche. La scienza si configura quindi come un sapere ipotetico deduttivo sempre in via di “sperimentazione”. Non per questo la scienza rinuncia alla verità, ma vede in questo metodo l’unico modo per procedere nella conoscenza del mondo e delle sue “cose”. Si apre dunque, un’era nel segno della “logica della scoperta”, dove ogni progetto deve passare sotto il vaglio del metodo sperimentale e della tecnica. Grazie a questa rivoluzione metodologica, la scienza proclama finalmente — anche se con molte difficoltà — la propria autonomia da ogni intromissione esterna (politica, religiosa e filosofica). Ma fino a dove si può spingere la conoscenza dell’uomo? Galileo prova a rispondere a questo interrogativo epistemologico e teologico, sostenendo che esiste un conoscere intensive, che è la conoscenza graduale dell’uomo- matematico, e un conoscere extensive, che è il sommo sapere immediato di Dio. Tuttavia, lo scienziato quando afferra una verità geometrica, si fa simile a Dio (l’uomo è creato a Sua immagine e somiglianza in relazione al Sommo); quindi l’abisso che separa Dio e l’uomo è di tipo quantitativo. Ed è per questo che Galileo invita i filosofi a rivolgere la loro curiositas verso il libro infinito della natura (una natura che non si diletta di poesia), invece di rinchiuderla nelle biblioteche a ricercare “cause” (aitia) ed “essenze” (ousia-substantia) nei mondi di carta. Invero la grande originalità di Galileo non risiede tanto in questo metodo — che già veniva insegnato e diffuso, e che Galileo stesso apprese dal maestro Buonamici, scrittore del De motu — ma si estrinseca nelle scoperte scientifiche e filosofiche alle quali egli giunse grazie a questo metodo. In particolare, le scoperte del Sidereus nuncius sono molto importanti, in quanto capovolgono e frantumano alcune credenze radicate nella scienza aristotelica. Galileo supera le spiegazioni teleologiche o finalistiche di Aristotele sostenendo che esistono le “leggi” della natura ma non esiste una sua “intelligenza” (Nous). Le leggi di natura sono meccaniche, necessarie, universali, ma valide entro limiti ben più stretti di quelli nei quali può muoversi l’intelligenza umana libera e volitiva. La conoscenza non è frutto del processo logico del sillogismo: è l’indagine, l’osservazione e l’esperimento della natura.

L’impatto delle teorie Galileiane, sebbene a lungo duramente contrastate, fu inarrestabile e coinvolse irreversibilmente ogni campo della cultura e della società, minando il primato di chiunque ritenesse di avere o si accreditasse come depositario della “verità ufficiale”. Ma tutto ciò non è nuovo …., parliamo di Galileo come del grande uomo di scienza, del grande innovatore del “metodo”. Il rigore della scienza e la logica coerenza dello sviluppo del pensiero filosofico ce lo consegnano in una dimensione di straordinaria grandezza: ma proprio questa grandezza è limitativa; Galileo può essere di più. È certamente di più. La novità del suo metodo conoscitivo, accompagnato dalla singolarità dolorosa della sua vicenda umana, fatta di carcere ed abiura, trasfigurandolo, danno modo di pensare a Galileo quale simbolo eroico dell’eterna lotta dell’uomo per la ricerca della verità.

Può esserci, in buona sostanza, una lettura diversa. Senza voler compromettere la grandezza storica di Galileo, del suo pensiero e delle sue scoperte, possiamo prendere in “prestito” il Pisano per valor di metafora: Galileo è l’uomo che affannosamente cerca il senso della vita, il senso di tutto. Un’opera teatrale del 1974 Il Galileo (ed. Centro Culturale Pitrè), invero poco conosciuta, intensa ma non pretenziosa, ci aiuta nella riflessione. L’autore è Bruno da Partanna al secolo Domenico Vittorio Bruno, medico, classe 1923, nato a Partanna di Trapani in Sicilia. Egli dedica a Galileo un atto unico di straordinaria profondità che consente di sottolineare un aspetto originalmente inedito del personaggio e della sua condizione di uomo e di scienziato, un aspetto che incarna il travaglio tutto umano di questa ricerca.

Nella rappresentazione, dopo la sua morte avvenuta nel 1642, Galileo, o meglio la sua “ombra”, ritorna sulla terra accompagnato dai fantasmi di alcuni familiari che si ostinano a seguirlo e che lo affliggono con le loro miserie umane. La moglie Marina Gamba che gli rinfaccia la scarsezza delle finanze familiari e le spese sopportate per accasare la di lui sorella. Il fratello Michelangelo, musicista squattrinato e fannullone, che batte sempre cassa e tutto un contesto di fastidiose quotidianità. Nel suo viaggio sulla terra Galileo si imbatte in Tommaso Campanella, il frate filosofo autore della “Città del Sole”, che insieme al pisano sostiene come la verità non vada ricercata nei sillogismi aristotelici ma nella natura. Dai dialoghi dei diversi personaggi emerge una dimensione drammatica della condizione umana del grande scienziato. In questo contesto l’uomo Galileo con le sue debolezze, le sue passioni, le sue miserie dibatte con la sua coscienza, si contorce nei suoi sensi di colpa per non essere stato coerente con la missione che il destino gli aveva riservato: essere il rigoroso scienziato che guida l’umanità verso la luce, la verità.

Il grande scienziato destinato ad aprire una nuova era della  conoscenza e della cultura universale è anche uomo con famiglia, con problemi economici e di piccolo interesse, esemplificativi di un “giogo” quotidiano cui nessuno può sottrarsi, nemmeno i “più grandi”. Ecco allora Galileo quale metafora della condizione umana eternamente sospesa e combattuta tra gli alti e nobili princìpi da onorare, promuovere, difendere a fronte degli opportunismi, delle convenzioni, dei poteri forti e oscuri, delle miserie del quotidiano con cui confrontarsi. Galileo è cosciente di possedere una verità ma le circostanze e la sua condizione di uomo gli impediscono di testimoniarla. Il dramma che lo consuma, il suo processo, il tormento della reclusione e l’abiura assumono in questo modo un significato umano nuovo e se vogliamo più profondo sotto questa luce.

Il tema non è più quello storico dello scienziato che conquista una nuova frontiera della conoscenza ma è vessato dall’Autorità costituita, piuttosto emerge il profilo fragilissimo dell’uomo con i propri travagli quotidiani, le proprie convenienze.

Galileo siamo Noi umanità, non necessariamente eroi ma semplicemente uomini. Galileo uomo trascende lo scienziato divenendo espressione e modello delle nostre crisi. La crisi degli intellettuali asserviti al potere; dei giornalisti non liberi; dei professionisti al soldo dei poteri forti. La crisi portata dal relativismo morale e ognuno aggiunga ciò che di altro ritiene. Ecco allora la domanda che offre il senso alla nostra riflessione: siamo sicuri che Noi, pur consapevoli di una qualunque verità, avremmo il coraggio di sostenerla e propugnarla contro ogni convenzione, contro ogni opportunismo o contro ogni potere ufficiale? Ovvero, più comodamente, piegando la testa e sopraffatti dalle nostre miserie, saremmo pronti a rinnegare la verità conquistata?

Nell’opera di Bruno da Partanna, fa sperare l’invocazione finale di Galileo che invita a fuggire da ogni convenzione, da ogni opportunismo per cercare nelle realtà della natura, con il suo metodo della sperimentazione e dell’osservazione, la verità.

È un’invocazione che esorta a non smettere mai di cercare.

TRATTO DA “HIRAM” 2008/2

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