GIUSEPPE GARIBALDI- FR.’. DI TUTTO IL MONDO UNITEVI

Questo articolo è costituito dalla relazione tenuta alla Conferenza mondiale delle logge Garibaldi svoltasi ad Olbia dal 17 al 19maggio 2019 i cui lavori sono stati aperti dai saluti del sindaco di Olbia Settimo Nizzi, coordinati dal G. Orator e Michele Pietran­geli, con una re­lazione del senatore Ric­cardo Nencini e conclusi dal G.M. Stefano Bisi.

GIUSEPPE GARIBALDI:

FRATELLI DEL MONDO UNITEVI!

di Giovanni Greco

Il lavoro ci farà liberi,

la libertà ci farà grandi

Garibaldi 1862

Caprera e il Compendio garibaldino

Nel 1867 a Caprera, isola in quarantena per il co­lera, dove visse per 26 anni, Garibaldi, tre anni dopo essere divenuto Gran Maestro, piantò al centro del suo giardino un maestoso pino in occasione della nascita di sua figlia Clelia, poi scrittrice e custode delle memorie paterne. E qui in questi luoghi è stato sempre assorto nelle bellezze della natura, nel silenzio e nel lavoro della terra, nella sua fa­mosa casa bianca, con una zappa in mano, con la sua cavalla “Marsala” e con i suoi asini che si di­vertiva a chiamare come i suoi nemici, il più ag­guerrito era l’asino nomato Pio IX, dopo aver avuto il cane Guerrillo che stava sempre con lui e che ebbe una zampa spezzata da un colpo di fucile e che divenne noto come il cane a tre zampe che seguiva immancabilmente l’eroe dei due mondi. Non è perciò un caso che nel 1871 Garibaldi fece creare a Torino la prima società italiana di protezione degli animali La Società Reale protettrice degli animali.

Garibaldi amava la terra sarda che, nel 1841, Carlo Cattaneo nella sua Geografia e storia della Sardegna così rappresentava: “Abbonda il selvaggiume e il pesce e tutti hanno caro di mettere gran tavola, e ponno dirsi popolo mangiatore. La danza si ama assai nelle campagne e amano la caccia, le armi, i cavalli, le corse perigliose e le tutte a calci. Con­cordi nel seno delle famiglie, si fanno religione della vendetta”.

Garibaldi aveva sempre avuto il desiderio di es­sere sepolto nel cimiterino all’interno della fatto­ria di famiglia, dopo che il fratello Felice e poi una famiglia inglese i Collins, gli avevano dato la pro­prietà dell’isola di Caprera. Peraltro Garibaldi espresse chiaramente la sua volontà di essere bru­ciato su una pira di legna alta due metri, come un antico eroe omerico e di collocare le ceneri in un’urna di granito conservate insieme a quelle delle figlie Rosa e Anna e con lo sguardo verso il sole, come farà poi il neopitagorico della “Luci­fero” di Firenze, Arturo Reghini, che morì a Bu­drio in tal modo con un libro in mano, simboli di una vita consacrata alla trasformazione di se stesso e degli altri. Garibaldi dispose: “Farete una catasta   di quelle acacie che bruciano come l’olio, stende­rete il mio corpo vestito della camicia rossa sopra un lettino di ferro, mi deporrete sulla catasta con la faccia rivolta al sole, e così mi brucerete, al sof­fio aperto dei cieli”. Le massime autorità italiane disattesero completamente queste disposizioni.

Garibaldi presiede il primo congresso della pace e della libertà

A febbraio nasce Clelia e a settembre, il 9 settem­bre del 1867, casette mesi dopo, a Ginevra pre­siede il primo congresso della pace e della libertà.

Lì in un celebre discorso attaccò ancora una volta, quella che il nostro Meuccio Ruini chiamerà la  dittatura della sacrestia, sostenendo che “il papato è la più dannosa fra le sette ed è dichiarato deca­duto fra le istituzioni umane” e che bisogna “sup­plire al sacerdozio dell’ignoranza col sacerdozio della scienza e dell’intelligenza”. Sinanco nel suo testamento scrisse che il prete era il più “atroce ne­mico del genere umano” e all’amico Augusto Elia: “i preti alla vanga”. Del resto, come ci ha detto Quirino Principe al Vascello, a settembre scorso, tutto ciò che le religioni a brami che non vogliono, è tutto ciò che di bello c’è nella vita e perciò Gari­baldi non ha mai commesso l’errore di maltrattare a metà il suo nemico combattendo per “l’altrui perturbazione”: “lodate il Signore e tenete asciutte le munizioni”, questo motto americano era anche il suo. D’altronde ai suoi tempi la chiesa di Romaera campionessa mondiale di intolleranza: extra ecclesiam nulla salus, fuori dalla chiesa non c’è sal­vezza. Non casualmente aveva un atteggiamento di grande rispetto verso il mondo protestante che aveva preso la decisione di “tradurre” come dimo­strazione di civiltà, traduzione come liberazione, traduzione come elemento di progresso e di li­bertà, con uno sguardo appassionato sul mondo e utilizzava parole semplici, parole rasoterra, come un pescatore che lancia un piccolo verme per prendere un bel pesce, per prendere la verità che è sul fondo. Metafora davvero adatta per Garibaldi col suo grandissimo spirito marinaro al punto che taluni hanno scritto che è stato “formato dal mare” senza mai preoccuparsi di sporcarsi le mani: “un  brigante onesto è un mio ideale”, rimanendo sem­pre convinto che l’unico modo di sottrarsi al ti­ranno, era quello di armare le sue vittime.

Il prete di Modigliana don Giovanni Verità salva Garibaldi

Naturalmente questo suo orientamento politico-ideologico-religioso prescindeva dal rapporto di­retto con le persone tant’è che per esempio, la notte del 21 agosto 1849, ebbe salva la vita da parte di un prete di Modigliana, da un sacerdote iscritto alla Giovine Italia, don Giovanni Verità, amante della caccia e dei colombacci, che, sapendo  in pericolo mortale Garibaldi braccato ormai dap­presso dagli austriaci, riuscì a raggiungerlo e a na­sconderlo, insieme a Giovan Battista Culiolo, a casa sua, nella canonica di Modigliana e poi li aiutò a imbarcarsi per Livorno. Quando don Gio­vanni morì nel 1885 gli furono negati i funerali religiosi e sepolto in terra sconsacrata, ma ebbe il conforto poche ore prima di morire dell’abbraccio fraterno di Ubaldo Comandini e di Aurelio Saffiche si erano recati a casa sua per l’ultimo saluto.

Inoltre Garibaldi, che in Sicilia veniva chiamato Galibardo, aveva acceso la fantasia delle monache siciliane che “ne erano santamente innamorate” (A. Mario) e che ogni giorno gli inviavano coto­gnate, bocche di dama, buccellati, canditi e nastri ricamati regolarmente attesi e assai ben accetti, dato che – per dirla con i latino-americani – “su fi­gura legendaria habia encendido hasta la fantasia de lasmonjas palermitanas”.

L’Europa di ieri e di oggi

Ma soprattutto il discorso di Garibaldi è noto per­ché sostenne che noi dobbiamo gettare il seme della concordia fra le genti, perché il miglior “ri­medio che conosco contro il dispotismo è la fra­tellanza dei popoli” perché “tutte le nazioni sono sorelle”. Erano trascorsi solo diciotto anni da quando un altro grande massone Victor Hugo, nel discorso di apertura al congresso della Pace di Pa­rigi, nel 1849, ebbe a dire: “Verrà un giorno in cui due immensi gruppi, gli stati uniti d’America e gli stati uniti d’Europa, posti uno di fronte all’altro, scambiarsi i loro prodotti, il loro commercio, la loro industria, le loro arti, i loro geni e combinare  insieme per trarne il benessere di tutti e la fratel­lanza degli uomini”.

Intuizioni magnifiche che cozzano con l’Europa di oggi piena di enti statali, ma priva di senso dello stato, un’Europa piena di credi ma sempre più vuota di religione, nel mentre si oscilla fra l’idea di essere sull’orlo del disastro mondiale e il timore di esserci già dentro. Un declino europeo che si legge anche come conseguenza di una crisi di ci­viltà dandoci l’idea che siamo in tempi di “cogitus interruptus” e i cantieri paiono senza architetto e spesso ci sentiamo ospiti innocenti in un universo liquido e confuso.

Garibaldi lancia la scintilla che Nathan rilancia al­lorquando disse che “noi, in nome del principio di fratellanza, abbiamo iniziato e spinto innanzi il movimento per la pace, siamo noi il germe dei va­gheggiati stati uniti d’Europa”. In realtà questa forse doveva essere l’Europa se si cominciava dalla cultura, dalle arti, dalla solidarietà e non dal danaro, doveva essere un’Europa corroborata dai principi massonici di cui Garibaldi andava fiero:“ Io sono superbo di appartenere alla massoneria. Vi assicuro che il mio cuore è cuore veramente massonico”. E dopo di loro, sempre all’interno di una visione latomistica cosmopolita, Richard Ni­kolaus Kalergi, ben noto filosofo e politico au­striaco, iniziato nel 1921 presso la loggia “Humanitas” di Vienna, fondatore dell’Unione Pa­neuropea, già nel 1923 prospettò un suo magnifico progetto di un’Europa unita.

Per la massoneria un sol popolo

Oggi la massoneria respira con due polmoni, uno mediterraneo e uno atlantico, con una duplice identità, quella della nazione di appartenenza e quella degli altri paesi nei quali è diffusa: molti temi comuni, ma anche priorità diverse. Perciò se­condo gli auspici di Garibaldi dobbiamo sempre più tendere a costituire un’unica patria, una patria trasversale, transnazionale, capace di coagulare, di utilizzare le sapienze di ogni luogo del mondo. Le idee e i comportamenti della massoneria hanno un impatto che va oltre le singole peculiarità perché pone al centro di tutto l’individuo, la persona, cioè un miracolo vivente: una società vale quanto val­gono le relazioni fra uomo e uomo. Alla fine dob­biamo deciderci su ciò che veramente vogliamo: vogliamo la libertà dei servi o dei cittadini? Nelle nostre logge esiste solo la libertà dei cittadini. “Coraggio – diceva Garibaldi con la sua voce calda e suadente, baritonale – voi siete forti purché sap­piate osare. Non ascoltate le parole di chi ci consi­glia la pazienza, ma la voce della vostra coscienza che vi grida: andate oltre!”. Parole di grande at­tualità ancora oggi allorquando in varie parti del mondo governanti ciechi governano popoli ciechi conducendoli verso l’abisso.

In effetti anche la vicenda massonica di Garibaldi, nella Istituzione e nei Riti, è infinitamente cosmo­polita spaziando dall’Uruguai alla Francia, dagli Stati Uniti al Regno Unito: Iniziato nel 1844 nella loggia di Montevideo “L’asilo de la virtù”, affiliato  poi in “Les amis de la patrie” all’obbedienza del Grande Oriente di Francia, frequentò i lavori dei fratelli americani a New York e poi dei fratelli in­glesi nel Regno Unito, e dopo assunse la guida del Supremo Consiglio scozzesista palermitano. Dive­nuto G.M. con la sede del Goi trasferita da Torino a Firenze, sarà G.M. ad vitam e nel 1881 ricoprì il97° grado del Rito riformato di Memphis e Mi­sraim perché per Garibaldi la massoneria rappre­sentava un sol popolo dato che era “la più antica e la più veneranda delle società democratiche …ed io sono per la vita vostro!”.

I massoni con dimensioni plurime di apparte­nenza

E questa Conferenza mondiale che sinora ha spa­ziato fra la Francia, la Grecia, l’Italia, la Serbia, la Svizzera e gli Stati Uniti (e che sperabilmente possa onorarlo anche in Russia – Bakunin ricorda che l’arrivo di Garibaldi, Garibaldov, come lo chiamavano, era atteso come un messia, come quello di un grande condottiero nelle gloriose terre della steppa russa -, in Argentina, in Brasile, in Uruguay, in San Marino dove trovò scampo e dove ebbe la cittadinanza onoraria, in Ungheria, in Scozia, in Inghilterra (si pensi solo al suo sosia John Peard, il garibaldino inglese, G. M. in Cor­novaglia, che entrò da trionfatore a Salerno) è la testimonianza concreta che i massoni nel mondo hanno sempre lottato per dimensioni plurime di appartenenza e di identificazione, uomini che hanno combattuto per tutte le libertà oppresse: Giuseppe Garibaldi dalla Russia al Sud America, Herman Lijkanen dalla Finlandia all’Italia, Giu­seppe Mazzini dalla Francia alla Polonia, Antonio Fratti dalla Grecia alla Francia, Istvan Turr dall’Ungheria all’Italia, Nicola Fabrizi dalla Francia alla Spagna, George Byron dalla Grecia all’Inghil­terra, Giovanni Martini dall’Italia agli Stati Uniti, Petko Voivoda dalla Bulgaria all’Italia. Il conte Carlo Di Rudio combatté con Garibaldi, con Cu­ster e con i giacobini e le sue figlie si chiamavano Italia, Roma, America.

La libertà al singolare da sola per Garibaldi non esisteva, la libertà al singolare esisteva solo all’in­terno delle libertà al plurale: “Un uomo che facen­dosi cosmopolita adotta l’umanità come patria e va ad offrire la spada e il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato, è un eroe”. Perciò non va dimenticata la Legione britanica costituita da inglesi e scozzesi, con numero si scozzesi che adoravano Garibaldi che vedevano il lui il Wallace italiano, degno erede di William Wallace, l’eroe nazionale scozzese, capo della ri­volta nella lotta contro gli inglesi che avevano de­ciso di occupare la Scozia e che ebbe a dire: “La libertà è la cosa migliore tra tutte le cose che si possano vincere”, ribadendo che la libertà è per spiriti audaci che non hanno paura di un nuovo cosmopolitismo del pensiero. Non mancavano gli irlandesi come l’artigliere Dick Dowling e gli americani come Catham  Roberdeau   Wheat e Char­les Carrol Hicks o come il tedesco Wilhelm Frie­drich Rustow, capo di stato maggiore di Garibaldi, non mancarono i francesi circa una cinquantina,  mentre parimenti eccellente fu il comportamento dei duecento cavalleggeri ungheresi.

Mazzini si racconta a Garibaldi

Fra coloro che hanno combattuto per la libertà di tanti paesi naturalmente spicca la figura di Giu­seppe Mazzini, e Garibaldi e Mazzini hanno avuto un rapporto intenso e tormentato. In particolare durante i loro incontri negli anni trenta, Mazzini raccontò a Garibaldi ciò che gli era accaduto anni prima a Savona allorquando per una delazione era stato arrestato e portato nella fortezza del Priamar.  Era il 13 novembre 1830.

Quando fecero uscire Mazzini dalla caserma per portarlo alla fortezza sentì inaspettatamente la voce del padre, ch’era riuscito rocambolescamente a sapere dove si trovava, e che lo invitava a farsi coraggio, ma i carabinieri lo allontanarono tant’è che “io potei appena stringergli la mano”. Tratte­nuto Giuseppe dai carabinieri e bloccato il padre Giacomo, medico, docente di anatomia, in realtà i due si sfiorarono solo con la punta delle dita, e a distanza di anni, nel ricordare quell’episodio an­cora si emozionavano.

Dalla cella n. 54 Mazzini poteva vedere il cielo e il mare e le barche dei pescatori alla partenza e all’arrivo, e ascoltare le loro voci che gli furono di conforto, come la generosa benevolenza di una an­ziana guardia carceraria, certo Antonietti, che qualche volta quand’era solo di servizio in quella  sezione, negli ambienti destinati alle guardie, correndo gravi rischi, lo conduceva “la notte a bere il caffè colla di lui moglie, piccola e gentile” e che non mancava di portargli un buon piatto di pasta e persino, quando poteva, un uovo fresco sbattuto  a zabaione. E Mazzini, questa guardia e sua mo­glie li ha tenuti nel cuore per tutta la vita. In tempi in cui crollano ponti di ogni tipo, forse è in gesti semplici come questo che è racchiusa l’essenza di ciò che siamo. E questi sono alcuni dei racconti e dei fatti che fecero penetrare Garibaldi nelle pie­ghe più intime dell’animo di Mazzini.

Maestri per la città

Tutto ciò è molto importante ricordarlo in una terra come quella sarda che ha dato all’Italia ben oltre sessanta sindaci massoni, cinquanta dei quali magistralmente studiati in Maestri per la città  e fu il G. Oratore Michele Pietrangeli a spalan­carmi le porte dell’universo massonico sardo at­traverso la persona di Gianfranco Murtas, straordinario conoscitore di questo mondo che ha storicamente segnalato risultati eccezionali “con­siderata la storica e geografica marginalità della Sardegna – per usare le espressioni di Murtas – e tanto più la sua debolezza demografica in rapporto al sistema-Italia”. E’ stato proprio Murtas a indi­carci la bella figura di Giuseppe Sotgiu, sindaco di Olbia, agli inizi degli anni settanta, iniziato all’ O. di Roma nel 1949 e il suo proficuo rapporto col potentato economico dell’Aga Khan vivendo appieno lo sviluppo turistico della Costa Sme­ralda, operando senza troppi ismi, che sono dei parassiti ideologici che svuotano a volte le cose  dai loro reali confini: quanti integralismi senza in­tegrità!

Dalla Sardegna ai massoni di tutto il mondo

Certo dobbiamo crescere ancora e non poco in un concerto vero e profondo con le altre istituzioni massoniche perché noi abbiamo un progetto grande, una casa comune, l’armonia di interessi, l’unità dei sogni e dei desideri, la passione per la cultura, perché ogni Grande Oriente costruisce una strada massonica con specifiche particolarità e può fornire indicazioni concrete al consesso la­tomistico internazionale, senza dimenticare altre istituzioni massoniche nazionali e internazionali di pari pregio e con le quali è fondamentale ali­mentare il reciproco rispetto e una più fattiva col­laborazione. Oggi è essenziale che tutte le persone intellettual­mente oneste capiscano davvero chi sono i mas­soni. E questo può essere fatto – per usare le parole del G.M. Aggiunto Claudio Bonvecchio –“senza verbosità, senza infingimenti, senza vi­gliaccherie e senza domandare continua mentein utili perdoni”. Dobbiamo dalla Sardegna proseguire ad operare per il perfezionamento di una comune identità eu­ropea per tendere a un’Europa così come è stata vagheggiata dai nostri padri della patria perché dopo oltre un secolo e mezzo dal discorso di Gari­baldi i massoni non riescono ancora sistematica­mente ad avere la capacità di tessere le fila di una intesa comune a livello mondiale, che non si fondi solo sulla condivisione delle metodiche latomisti­che e del comune sentire.

Le donne libere muratrici garibaldine

Dobbiamo perciò attingere energia e forza da Ga­ribaldi che punta verso persone capaci di fondere la legge e la coscienza per la costruzione di un mondo nuovo, tutte le persone, uomini e donne.  Ricordiamoci che 152 anni fa, nel 1867 a Pisa, Ga­ribaldi aveva proclamato Luigia Candia, a venti­sette anni, con tradizioni familiari, libera muratrice, perché pensava che lei fosse non meno meritevole di altri massoni uomini, facendo se­guito dopo 155 anni all’iniziazione della prima massona al mondo, l’irlandese Elizabeth Leger. Quindi Garibaldi non solo promosse logge d’ado­zione, logge femminili, come quella fondata a Na­poli nel 1864 e dedicata ad Anita Garibaldi, in cui vi erano Rosa Zerbi, Susanna Elena Currutheres,l a figlia Teresita, moglie di Stefano Canzio e madre di 16 figli, e che aveva come G. Maestra Giulia Caracciolo ammessa a frequentare anche logge maschili, ma nutriva proprio il desiderio di  avere fra le colonne uomini valenti e donne talen­tuose, come si evince anche dalla lettera inviata alle donne di Bologna. La massoneria per Gari­baldi era un luogo di conoscenza e di trasforma­zione che non marcava mai la superiorità di una persona su un’altra persona ed aveva l’arte di ac­cordare i disaccordi, formulando profili culturali adeguati alle domande che la società, le profes­sioni e il mondo del lavoro ponevano e pongono alla nostra istituzione. In realtà Garibaldi era con­vinto che il concorso femminile fosse fondamen­tale per la modernizzazione della società italiana dovunque, ma in particolare nel meridione d’Ita­lia, dove le popolazioni “furono sublimi d’entu­siasmo e di amor patrio”.

Garibaldi e il trovatello Giovanni Martini di otto anni

Non dimentichiamo la cura e l’attenzione pro­fonda che Garibaldi ebbe sempre nei confronti dei giovani, il patrimonio più grande e di cui bisogna prendersi somma cura, come ribadiva Erasmo:“ prendetevi cura dei giovani, il bene più prezioso della città”. Bisogna cercare di godere della supe­riore freschezza dei giovani e considerare che ac­canto a ciò che i maestri possono fare per loro, vi è tutto ciò che loro possono fare per l’istituzione. Si consideri che quando il trovatello Giovanni Martini vide Garibaldi a Sala Consilina nel 1852aveva solo otto anni, cercò di parlare con Generale e vi riuscì, lo pregò di portarlo con sé e Garibaldi gli rispose che era troppo piccolo per sparare, ma questo vispo scugnizzo salernitano gli rispose che lui non voleva sparare, ma voleva suonare la ca­rica con la tromba. Va bene, gli rispose Garibaldi, figlio mio ti prometto che appena sarai più grande verrai con me. E così avvenne perché nel 1866 fu Giovanni Martini a suonare la carica nella batta­glia di Bezzecca, vinta dai garibaldini, quattro anni prima che un altro giovane, senese, bersa­gliere, caporale di tromba, Niccolò Scatoli, come ricordato dal G.M. a Porta Pia, suonasse la carica per i soldati che entrarono a Roma dove perse pe­raltro una gamba.

Dal Generale al particolare

Fortunati noi che possiamo ancora stringere le mani a uomini come Garibaldi come facevano i loro amici che gli stringevano forte le mani leali. No, ancora una volta, qui ad Olbia, noi queste cose e questi uomini non li abbiamo dimenticati. Allora come ora i massoni sono degli eretici con la schiena dritta che tendono sempre l’arco verso la dignità umana, sono un po’ pellegrini e un po’viandanti, e operano per cogliere al meglio la forma nebulosa della condizione umana.

Dinanzi alla grande chiamata, ognuno deve dar conto di quanto ha seminato lui, non di quanto han seminato gli altri. Solo così la vita dà senso alla vita e dà valore alla nostra comunità, solo così la fine di una persona non è in terra, ma nel cuore degli uomini.

Una volta il ns. FR’.’. il grande Andrea Costa, quan­d’era sindaco di Imola, ebbe a scrivere: “M’ero co­ricato stanco e malinconico. Le cose che avevo vedute e udite durante la giornata, mi avevano messo di malumore e, coricandomi, chiedevo a me stesso: andrà sempre così? – Il delitto, la miseria, l’ignoranza non avranno mai fine? Rivolgendo in capo queste ed altre domande mi addormentai. E quella notte sognai…”. E oggi anche fra noi ci sono i sogni e le realizzazioni con tutta la forza e la passione di cui siamo capaci perché l’uomo è un progetto etico e non casualmente il G.M. Aggiunto Claudio Bonvecchio auspica che i massoni italiani assumano “individualmente, qual­siasi iniziativa politica e sociale per continuare a fare l’Italia”. A chi è cor­rotto o si nutre di pregiudizi, a chi opera la rimozione della memoria, a chi perdura in menzogne premeditate e in miserabili miserie, a chi denigra sistematicamente la massoneria come capro espiatorio, a chi s’illude di poter cancellare la più potente mente collettiva del nostro paese, allora para­frasando un magico poeta salerni­tano, Alfonso Gatto, che omaggiava Eugenio Curiel, anch’io grido “Libe­rate l’Italia che Giuseppe Garibaldi vuole essere avvolto nella sua ban­diera!”.

L’umanità che cerchiamo è da­vanti ai nostri occhi

In questi giorni è possibile ancora una volta onorare Giuseppe Garibaldi perché qui tutto narra di lui, perché la sua presenza è viva e parlante in quella religione del pensiero e del­l’azione che non è solo un metodo o una teoria, ma realizza appieno il de­stino di tutti noi.

Mentre durante la seconda guerra mondiale è stato il nuovo mondo a soccorrere e ad aiutare il vecchio mondo europeo salvandolo dallo sti­vale di Hitler, nel secolo precedente era stato Garibaldi a soccorrere e combattere per il vecchio e il nuovo mondo, a mobilitare popoli e genti e la brigata massonica per spedirla verso nuove battaglie di libertà.

Forse alla fine dobbiamo tornare da dove abbiamo cominciato, d’altronde spesso i tramonti cono­scono cose che le albe possono solo immaginare, il mare mischiato col sole, tramonti intramontabili che riescono a fare un nido nel cuore degli uomini.

Probabilmente l’umanità che cerchiamo per tutto il corso della nostra vita, forse l’umanità che vo­gliamo toccare con mano, è qui davanti ai nostri occhi nella terra di Caprera, nel  ”Compendio ga­ribaldino”, sotto il pino maestoso piantato da Ga­ribaldi – il pino di Clelia – e che mai come oggi è nel pieno del suo fulgore anche grazie a tutti voi che portate l’orgoglio di essere cittadini del mondo.

MassonicaMente n.15 – Mag./Ago. 2019

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