TOLLERANZA E TRADIZIONE

TOLLERANZA E TRADIZIONE

La tolleranza è uno di quei temi che vengono spesso trattati nelle nostre riunioni e nei nostri scritti, in quanto costituisce uno di quei valori sui quali la Massoneria basa le proprie regole di convivenza.

Così dovrebbe essere anche all’esterno della nostra Istituzione ma, specialmente nel momento attuale, vediamo che sul piano sociale e su quello politico tale concetto viene manipolato e distorto a favore di questa o quella ideologia, sì che di volta in volta la tolleranza viene identificata con il permissivismo, la debolezza, l’indifferenza, o, al contrario, con aperture indiscriminate verso tutto e verso tutti, con l’abolizione di limiti dettati dalla prudenza e infine con la tendenza a superare certe regole tradizionali che consentono di mantenere vivo ed operante il rispetto degli altri e di se stessi.

Perciò ritengo importante, in un’occasione di particolare significato e di aggregazione quale è per noi la riunione annuale della Gran Loggia del Rito Simbolico Italiano, invitare tutti i Fratelli, ed anche tutti gli ospiti, ad una approfondita elaborazione del concetto di tolleranza ed alla sua conseguente applicazione nelle varie circostanze della nostra vita.

Il vocabolario (Devoto-Oli) dà alla parola tolleranza un doppio significato, quello di “capacità di tollerare quanto in sé è o può essere pericoloso o dannoso” e quello di “atteggiamento di rispetto o di indulgenza nei riguardi dei comportamenti, delle idee o delle convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie”. Il latino, molto più incisivo (cfr. Georges-Calonghi) fa derivare il verbo “tolero” da una radice che significa “peso”; di conseguenza tale verbo può voler dire “portare, sopportare” ma anche “sostenere, reggere, resistere, durare, mantenere”.

Questo confronto ci consente di scoprire subito una delle tante caratteristiche positive della tolleranza, e cioè quella connotazione di forza, di resistenza, di fermezza, che mai potrebbe scadere nel lassismo o nella noncuranza. Quindi la tolleranza è una qualità dell’uomo forte, mentre l’intolleranza nasconde la debolezza, l’incapacità di gestire certe situazioni e, quel che è peggio, di autogestirsi in maniera corretta.

Attenzione quindi a non farci invischiare in quelle questioni di principio, che servono solo a nascondere la nostra riluttanza difronte a quei cambiamenti che sarebbe troppo impegnativo gestire. L’uomo cosiddetto tutto di un pezzo è colui che manca di adattabilità: e sappiamo tutti che l’adattamento è condizione indispensabile per la sopravvivenza. Se poi vogliamo ricercare le radici di tutte le varie forme di intolleranza, vediamo che vi è un dato comune e cioè l’attaccamento a quelle sicurezze e a quei beni materiali che nel mondo delle apparenze si ritengono acquisiti e che viceversa appartengono alla caducità dell’esistenza. Questo attaccamento – nel quale certi teologi ravvisano il peccato originale – rende intollerabile la possibilità di una perdita e induce a qualsiasi forma di prevaricazione pur di mantenere il possesso di una posizione sociale od economica, di un potere politico, di un diritto esclusivo su qualcosa o su qualcuno.

E’ stato quindi con uno scopo ben preciso che nella Gran Loggia dell’Ordine del 2001 e in quella del 2002 sono stati affrontati argomenti come la centralità dell’uomo e le vie del dialogo: si è voluto in tal modo richiamare l’attenzione dei Fratelli, ma soprattutto del mondo profano, sulla necessità che ad un certo atteggiamento, con il quale l’uomo manifesta se stesso nella sua totalità, corrisponda un comportamento per mezzo del quale ricerca negli altri quei punti di contatto che sono peculiari della specie umana e che la distinguono da ogni altra forma vivente.

Ho detto prima che la tolleranza è una qualità dell’uomo forte; vorrei aggiungere che essa fa parte di quell’insieme di convinzioni che arricchiscono gradualmente chi aderisce alla nostra Istituzione, fino ad arrivare alla Maestria. A questo punto il suo cammino evolutivo in questa fase esistenziale può dirsi completato, perché altre vie di perfezionamento possono incrementare il suo bagaglio culturale, ma la percezione di se stesso quale parte integrante dell’Umanità la si acquista con il terzo grado, dopo aver sperimentato quella simbologia di morte e rinascita che fa parte appunto del passaggio a Maestro. Ed è anche completato l’iter tradizionale che si articola nei tre stati di coscienza “conosci te stesso – possiedi te stesso – trasforma te stesso”.

La tolleranza è strettamente legata alla capacità di compiere questi passaggi. E’ infatti necessario prendere coscienza di quelli che sono i limiti ed i condizionamenti del nostro modo di giudicare e di relazionarci con gli altri: soprattutto diventare consapevoli di tutta quella congerie di pregiudizi e preconcetti che inquina i nostri pensieri ed altera la nostra serenità di giudizio. Tutto ciò può essere simboleggiato dallo sgrossamento della pietra grezza fatto dall’Apprendista.

Il secondo passaggio, simboleggiato dalla messa in opera della pietra cubica, è quello del dominio della propria mente, una conquista assai più impegnativa e faticosa di ogni successo o vittoria materiale. Da sempre filosofia, religione, esoterismo, ribadiscono che il peggior nemico dell’uomo è lui stesso, allorché sia preda di impulsi ed emozioni incontrollate, oltre che, come si è detto, di idee preconcette. E’ questo l’uomo che deve morire nella bara di Hiram e risorgere per indicare agli altri la via della realizzazione.

Nel terzo passaggio, quello della trasformazione, il Maestro acquista ed esprime tutto il suo potere. E mi sia consentito di dire che questo è l’unico, vero potere della Massoneria: trasformare l’uomo affinché diventi ciò che veramente è, anche se spesso lo ignora, una perfetta unità di corpo, mente e spirito, un essere in grado di trasformare il mondo ma che, prima di tutto, deve creare se stesso ad immagine e somiglianza del Grande Architetto dell’Universo. Da ciò conseguono due osservazioni: la prima riguarda il Rito Simbolico Italiano che, per quanto sopra detto, non ritiene di dover aggiungere altri gradi a quelli dell’Ordine, ma stimola i Maestri Architetti a dare prova anche nel mondo esterno di ciò che hanno maturato in se stessi tra cui, appunto, la tolleranza.

La seconda osservazione riguarda il modo in cui quest’ultima può essere esercitata. Si è detto più volte che prima di tutto occorre un radicale cambiamento per ciò che concerne i rapporti interpersonali e sociali: occorre cioè andare contro corrente, contro quella che è la mentalità dell’uomo comune il quale, al primo contatto con l’altro, si affretta a notare le differenze, i contrasti, ciò che non gli piace, ciò che rende difficile il rapporto. A qualunque livello, in qualunque tipo di relazione, occorre subito cercare i punti in comune, le somiglianze, le possibilità di accordo per quanto scarse possano essere. Se la forza del pensiero riesce ad incrementare tutto questo, le diversità e gli scontri perderanno gradualmente importanza e si potranno realizzare atteggiamenti e comportamenti veramente tolleranti.

Nel mondo della Natura, abbiamo il costante esempio di opposti che non sono contrari ma complementari: nell’alternarsi delle stagioni, del giorno e della notte, in tutti i fenomeni fisici, vediamo che gli opposti si alternano, si uniscono, si sovrappongono per dar luogo alla vita. Anche nella metafisica, nello studio di ciò che riguarda la distinzione solo apparente tra materia e spirito; nella psicologia, nello studio del campo della coscienza e dell’inconscio, dell’impulso e della razionalità, e così via; nell’esoterismo, allorché si tende ad integrare le acquisizioni scientifiche con ciò che sembra appartenere ad un’altra dimensione: in tutti questi campi, vi è una costante e cioè il fatto che ad un livello siamo nel mondo delle apparenze, ma ad un livello superiore possiamo percepire quella realtà che concilia gli opposti.

Mi sembra perciò di poter concludere che il compito del Massone, del Maestro Architetto e di ogni uomo di buona volontà sia quello di scoprire e sperimentare la vera tolleranza che si esercita solo innalzando il livello del rapporto dal piano della personalità a quello della transpersonalità, da una relazione tra soggetti chiusi nel guscio della propria individualità ad un abbraccio tra esseri integrati nell’armonia universale.

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