UNA VEXATA QUAESTIO

UNA VEXATA QUAESTIO

Una ‘vexata quaestio’: Loggia e comunita’ (prima parte).

(di Michele Moramarco)

Se ne scrive a intermittenza, con rumorose campagne giornalistiche che poi si esauriscono e cedono il campo a un disinteresse ironico, supponente, qualche volta sprezzante.

Parliamo della Massoneria, madre di tutti i fraternal orders che in questi ultimi tre secoli hanno costituito, nel mondo anglosassone soprattutto, ma anche in Francia, in Italia, nella penisola iberica e in America Latina, in Russia, centri d’aggregazione a volte iniziatica, a volte solidaristica, a volte intellettuale, a volte politica, a volte semplicemente ricreativa, nei casi peggiori affaristica tra persone di estrazione sociale e opinioni politiche diverse.

Non starò a ripercorrere la storia delle logge, di cui mi sono occupato in vari volumi specifici e che, nelle sue grandi linee, il lettore potrà ricostruire avvalendosi di sintesi divulgative facilmente reperibili.

Dirò solo – anticipando il taglio sociologico di queste note che la Massoneria è un fenomeno di grande complessità. Una complessità che nasce, innanzitutto, dal suo presentarsi come luogo di ricerca del comun denominatore di esperienze ideali diverse, come luogo di “costruzione” etica e spirituale dell’individuo e, mediatamente, della società: un luogo in cui – come scriveva Fichte nella sua Filosofia della Massoneria – si cerca di superare ogni unilateralità e di far circolare intuizioni, idee, ricerche, progetti, scoperte, in vista di una “federazione” del pensiero che scavalchi i confini degli schieramenti filosofici, politici, nazionali.

Una complessità – a tratti persino confusionale – che deriva però, storicamente, anche dalla scissione tra princìpi proclamati e comportamenti agiti, da comodi equivoci tra solidarietà e lobbysmo, dalla labilità del confine che divide tolleranza e trasformismo, dalle contaminazioni del potere (di quello realmente posseduto, oppure di quello agognato o millantato).

Note sociologiche sulla Massoneria

E’ ormai assodato che la Massoneria moderna – ufficializzata a Londra nel 1717 – nacque dalla progressiva immissione, nelle corporazioni muratorie entrate in crisi dopo la Riforma anglicana, di “patroni” non esercitanti la professione edilizia: mayors, medici, antiquari, membri delle guarnigioni militari locali, preti della Chiesa d’Inghilterra e poi pastori di altre chiese protestanti, ecc.

Fu così, probabilmente, che la componente culturale-simbolica divenne preponderante rispetto a quella operativa. I “segreti” di mestiere, gelosamente custoditi per secoli, si trasformarono nel “segreto massonico”. Gli studiosi non escludono, peraltro, che anche nuclei di “eretici” invisi all’establishment religioso possano essersi giovati di tale metamorfosi per veicolare le proprie dottrine mediante una struttura organizzata, riconoscibile e al tempo stesso riservata. La teoria è credibile, stante la ricchezza di riferimenti a fonti non-cristiane presente nei primi documenti della Massoneria detta “speculativa”.

Fu naturale che un simile ethos trovasse rispondenze nell’ambiente newtoniano prima (uno dei fondatori della Gran Loggia di Londra era un discepolo diretto di Newton) e nell’illuminismo francese e tedesco poi (massoni furono Montesquieu, Voltaire, Lessing, Herder): si trattava di creare un cuneo divaricatore entro l’Europa cristiana, la cui unità forzata era già stata minata dalla Riforma, per aprirla, da una parte ai “lumi” della nuova scienza sperimentale, dall’altra alle tradizioni non-cristiane, in una prospettiva non lontana da quella degli antichi gnostici, i postulanti della ricerca inesauribile, da qualcuno definiti i libertari dell’Assoluto.

Tornando alla sociologia massonica delle origini, è interessante notare come essa sia paradigmatica degli sviluppi successivi. Anche se ben presto l’Ordine, in Inghilterra, assume la consuetudine di nominare alla propria guida un membro della famiglia reale, la composizione delle logge, che a partire dagli anni ’30 del secolo XVIII cominciano a espandersi a ritmi incalzanti, è molto variegata: incontriamo soprattutto artigiani ed architetti (gli uni e gli altri legati all’edilizia e spesso provenienti, dunque, da logge “operative”), tipografi, antiquari (la componente araldica fu marcata fin dall’inizio nella Massoneria inglese), medici, notai ed altri esponenti delle professioni liberali, accanto a rappresentanti dell’aristocrazia. I piedilista delle Logge sono dominati da membri della classe che oggi definiremmo “media”, con una spruzzata di noblesse che pare quasi una istanza di legittimazione della nascente organizzazione.

E dopo qualche decennio dalla sua fondazione, la Gran Loggia – che nei propri statuti non pone preclusioni sociali assolute – deve fare i conti con le conseguenze che il suo stesso avveniristico a-classismo comporta: la Loggia “Jerusalem”, dell’area metropolitana di Clerkenwell, inizia John Wilkes (1727-1797), antesignano del tradeunionismo inglese, e l’ammissione avrebbe avuto luogo – questo imbarazza ulteriormente i vertici istituzionali – addirittura nella prigione di King’s Bench, dove il noto agitatore si trovava nel 1769.

L’episodio Wilkes non è puramente aneddotico. Le prime società operaie di mutuo soccorso, in tutta Europa, utilizzeranno simboli massonici nei propri sigilli. La prima sezione della Prima Internazionale in Italia fu fondata da Enrico Bignami (1846-1921) in un tempio massonico, come lui stesso ricorderà in una polemica missiva contro le posizioni filo-imperialiste che si stavano manifestando ai vertici del Grande Oriente d’Italia in occasione della guerra libica del 1911. Negli Stati Uniti, il più antico sindacato – precedente l’American Federation of Labor, che peraltro ebbe tra i suoi fondatori il massone Samuel Gompers – fu il Noble Order of Knights of Labor, che nei principi statuiti nel 1869 e nei codici espressivi ricalcava fedelmente le idee-forza della Massoneria di tradizione: potenziale nobiltà del lavoro, centralità del medesimo per un avvenire di pace, esaltazione della dignità dell’homo faber come con-creatore (ovvero come collaboratore di quello che nel linguaggio massonico è detto Grande Architetto dell’Universo, per qualcuno Dio, per altri il vettore spirituale-costruttivo entro il cosmo).

D’altra parte, tra i liberi muratori si incontrano industriali come Henry Ford (1863-1947), che teorizzava l’alienazione della catena di montaggio come condizione ideale per molte persone, dirigenti “storici” di compagnie petrolifere, della Coca-Cola (come si legge nel Ten Thousand Famous Free- masons di Denslow), insomma esponenti del capitalismo più pragmatista – non certo “utopisti”alla Adriano Olivetti – e figure abbastanza trasformistiche come quel Vittorio Valletta (1883-1967), artefice del boom della FIAT nel secondo dopoguerra, che mentre a tempo perso e con pochi intimi faceva il massone, più visibilmente ossequiava la gerarchia cattolica che all’epoca era ferocemente anti-massonica (oggi la stessa gerarchia è ancora antimassonica, ma cortesemente, come si conviene ai nostri tempi di smobilitazione ideologica).

Mi sono occupato per alcuni anni della composizione sociale delle logge massoniche e ho travasato i risultati della ricerca nella mia Nuova Enciclopedia Massonica (vol. II, 1989), aggiornandoli poi negli ultimi anni.

L’indagine è stata compiuta su circa milletrecento piedilista di logge di tutto il mondo ma in particolar modo europee e statunitensi degli ultimi centotrenta anni, e ha dato le seguenti percentuali:

Libere professioni (medici, avvocati, architetti, ecc.) 26, 3 %

Titolari di grandi attività 3, 0 %

Quadri dirigenti dell’amministrazione pubblica

e privata 10, 7 %

Quadri intermedi dell’amministrazione pubblica

e privata 22, 4 %

(nelle ultime due voci sono compresi i quadri militari

le cui percentuali, scorporate, rappresentano all’incirca

l’ 1, 2 % (generali, colonnelli) e il 2, 1 % del totale dei

massoni censiti)

Insegnanti ed educatori 8, 6 %

(docenti universitari 2, 6 %, docenti di altri ordi-

ni di scuola 4, 8 %, ministri di culto 1, 2 %)

Titolari di piccoli esercizi commerciali 5 %

Impiegati statali con mansioni esecutive 6, 8 %

Operai industriali e agricoli 3, 3 %

Industriali e possidenti 5, 2 %

Artisti (musicisti, pittori, ecc) 3, 4 %

Studenti universitari 1, 6 %

Altre attività artigianali e dipendenti

(fabbri, sarti, decoratori, falegnami, commessi, ecc.) 3, 7 %

Questa configurazione è soggetta a significative variabili geo-politiche e storiche: sia la per-centuale di militari, sia quella di lavoratori manuali, ad esempio, aumentano notevolmente negli Stati Uniti d’America, che hanno una lunga tradizione di logge “castrensi”, datanti addirittura alla guerra d’indipendenza del 1776, e che conoscono una Massoneria diffusiva, popolare; in Italia, se nei primi decenni del secolo XX il numero di pastori evangelici e di rabbini nelle logge era elevato, nell’ultimo ventennio – in cui le comunità ebraiche sono in molti casi declinate numericamente e in cui sono sorte come funghi chiese evangeliche di tipo fondamentalista, avverse alla Massoneria, mentre languono quelle storiche (valdesi, battisti, metodisti), più tolleranti ha toccato il suo minimo storico. In caduta verticale, da noi, anche la percentuale di lavoratori manuali: tra la fine dell”800 e l’inizio del secolo scorso esistevano logge a prevalente composizione operaia (nel carrarese, ad esempio, la rappresentanza dei cavatori di marmo nelle logge non era insignificante), oggi un operaio in loggia è piuttosto raro; il fenomeno è spiegabile col diverso stile della Massoneria dell’epoca, marcatamente laicista e con programmi sociali esplicitamente progressisti – basta pensare ai discorsi programmatici dei leaders massonici Adriano Lemmi ed Ernesto Nathan – oltre che con la presenza di fermenti culturali notevoli tra le avanguardie del mondo operaio dell’epoca, mentre oggi siamo in piena omologazione.

Risulta comunque evidente che, sotto il profilo socio-sistemico, la Massoneria non è precisa- mente identificabile mediante il parametro classe, come incidentalmente tentò di fare Antonio Gramsci, che peraltro ne ebbe rispetto, ma che palesemente non disponeva di dati di prima mano.

La sua disomogeneità rende difficilmente pensabile che essa possa funzionare come “fratrìa”, come unità infrasociale compattamente orientata. E qui entriamo nel secondo aspetto sociologico che ci interessa, quello relativo alle sociodinamiche interne alle logge.

Coloro che vedono a ogni costo la Massoneria come gruppo di interesse, come fonte privilegiata di business, mi sembrano in genere afflitti da una sindrome di tipo proiettivo: vedono cioè quello che loro farebbero se entrassero in un gruppo “fraterno”. Qualcuno di costoro, poi, è portato a chiedere l’ammissione. E’ chiaro che aspettative di questo tipo una volta riversate nel corpo delle logge tendono a creare l’humus idoneo a una degenerazione dei fini e dei metodi di lavoro dell’Ordine. Per fortuna nella maggior parte dei casi vanno deluse, e la “mortalità” massonica, ovvero i casi di uscita dalle logge, riguarda spesso soggetti frustrati dal punto di vista che stiamo esaminando. Paradossalmente, altri tra coloro che abbandonano le logge lo fanno per motivi esattamente opposti, ovvero perché, essendosi figurati una organizzazione, se non immacolata, quantomeno rigorosamente fedele alla concezione anti-mercantile di quel Platone che nelle logge è così frequentemente citato, non sopporta- no una realtà che, sia pur non sempre e non dovunque, si trova ad albergare piccinerie, transazioni spicciole, soprattutto nei paesi latini, dove è inveterata la presenza di filtri e mediazioni (i partiti, la Chiesa, ecc) tra la comunità e il buon diritto dei singoli.

Resta il fatto che la Massoneria, sotto il profilo della composizione delle Logge, è dominata dalle libere professioni e da quadri tecnico-amministrativi intermedi (che insieme costituiscono il 48, 7 % dei membri di Loggia). Quando sento parlare di “finanza massonica”, mi chiedo a che cosa ci si riferisca. Qualcuno chiama sic et simpliciter massonica la finanza “laica” (e l’equivalenza è tutta da verificare), qualcun altro in passato associava alla Massoneria finanzieri strettamente legati ad ambienti cattolici, come Sindona: non sarà forse che i moloch del denaro intessono rapporti e alleanze ovunque reputino necessario ? O ancora, non sarà che il “segreto” massonico – un proteo che può essere piegato a varie chiavi di lettura, da quella sublimata del “mistero” spirituale (vedi i misteri orfici, eleusini, mithraici) e quella più volgarmente camarillistica è per i giornalisti il contenitore ideale, lo schermo più convincente su cui proiettare ogni possibile backroom deal ?

Il compimento di transazioni politico-economiche di qualsivoglia natura non ha certo bisogno del codice comunicativo massonico, per molti aspetti arcaico (e lo dico senza il sottinteso svalutativo spesso associato al vocabolo) e persino ingombrante -per chi ha la vocazione dell’ “uomo d’affari” – con la sua elaborata ritualità e le lunghe “lezioni” morali che essa include. E’ molto strano: da una parte gli organi di stampa sono pronti a irridere la ritualità massonica come grottesca, superflua e indegna di uomini “moderni”, dall’altra fingono di credere che i potenti della politica e della finanza ami- no far vertice indossando il grembiule del libero muratore, alla luce fioca delle candele di una loggia (certo, anche la mafia, a quanto si legge nelle cronache giudiziarie, ha parvenze rituali, ma – siamo seri – di tutt’altra fatta e culturalmente deprivate: esse manifestano una sub-cultura che attinge semmai ai codici di clan – fondati su una consanguineità allargata e a un certo “catto-paganesimo” di alcune aree del Sud). Se poi si pretende che le transazioni abbiano luogo in logge particolari non dedite all’attività rituale e formativa, è il caso di ricordare che un’aggregazione umana si può definire massonica solo in virtù di alcuni landmarks che la delimitano, tra i quali sono fondamentali quelli inerenti le attività rituale-simbolica e formativa.

La vita delle logge non presenta dunque intersezioni necessarie con alcuna di quelle transazioni; se segmenti dell’ Ordine o singoli individui ne sono partecipi, ciò avviene extra-moenia e non può comportare una responsabilità generalizzata dei membri, se non, eventualmente, quella di non aver esercitato: a) un’adeguata selettività preventiva nelle ammissioni; b) un’insufficiente vigilanza sui comportamenti sociali dei membri (ma come esercitarla, senza poi essere stigmatizzati come “setta” o senza scadere nell’autoritarismo ?).

Il massone che viola la promesse solenne di civismo compresa nell’iniziazione, coprendo con il “segreto” massonico azioni antisociali, è comunque colpevole in primo luogo nei confronti del corpo intermedio che gli ha prestato fiducia su basi “giurate”, ovvero fortemente impegnative.

Le iniziative sociali della Massoneria e l’utopia fraternale

Al di là delle attività culturali interne alla loggia, le attività di “soccorso” sociale (relief) sono l’unico impegno che coinvolge collettivamente i membri dell’Ordine. Esse, ci dicono gli statuti massonici., sono proiezioni entro il corpo sociale del brotherly love, dell’amore fraterno che dovrebbe animare e unire tra loro i liberi muratori. Qualcuno, anche all’interno dell’Ordine, ha ironizzato sul fatto che la infinita serie di diatribe, espulsioni, scissioni che segna la storia massonica – soprattutto nei paesi latini – farebbe pensare a una fratellanza più “cainita” che altro. Insomma, al peggior modo di fraternizzare: scannandosi, figurativamente s’intende. Ma in Loggia, alimentate da uno spirito, da un’atmosfera che non sono quelli della vita “profana”, nascono anche amicizie sincere, disinteressate, durature: amicizie quasi “pitagoriche” – l’ amicizia è il principio del filosofare, insegnava il divino Pitagora – che i Dialoghi per Massoni di Lessing (1729-1781) e Guerra e pace del non-massone, ma simpatizzante Tolstoj (1828-1910) hanno immortalato.

Comunque, amore fraterno o no, nelle attività di soccorso sociale la Massoneria ha i suoi meriti. Lasciando da parte ogni trascorso storico (e ce ne sono tanti, spesso di carattere pionieristico, come, in Italia, i primi asili infantili popolari non clericali alla fine dell’800), dobbiamo infatti considera- re i seguenti dati di fatto: sono oltre 3.500 (tra ospedali, istituti di accoglienza per l’infanzia e la terza età, alloggi-asili notturni, banche del sangue, iniziative di volontariato civico-assistenziale, fondazioni di ricerca medica, centri di riabilitazione per inabili, ex-alcoolisti, ecc., istituti per non-vedenti, centri di raccolta a favore dei paesi minacciati o colpiti da siccità, terremoti ed alluvioni, centri di educazione primaria e alfabetizzazione, aziende agricole a conduzione cooperativa per la promozione economica di aree depresse) i punti operativi del soccorso massonico. Di queste 3.500 realtà, almeno il 12 % è attivato dalla Massoneria statunitense (che ha circa tre milioni di membri); seguono a ruota Regno Unito, Australia, Brasile, Europa continentale; si può documentalmente affermare che l’80 % di tali attività va a beneficio dell’intera comunità (un solo esempio, recentissimo: un ragazzo reggiano gravemente ustionato e privo di qualsivoglia rapporto con l’Ordine Massonico è partito per Boston, ove verrà curato gratuitamente, come lo sono centinaia di coetanei di ogni paese, in quello che forse si può considerare il più avanzato centro di ricostruzione orto-dermatologica del mondo, lo Shriners Burns Hospital, gestito dalla Massoneria); considerando che il totale dei massoni nel mondo si aggira intorno ai 4.500.000, se ne deduce che l’Ordine esprime un’istituzione assistenziale ogni 1.300 membri circa.

E’ interessante altresì notare che, quali che siano le valutazioni che possiamo fare del “privato-sociale” comportato da tali iniziative, la Massoneria, in un certo senso, “trascura” i propri membri a paragone di quanto fanno altri ordini fraterni, per esempio l’Independent Order of Odd Fellows, nato in Inghilterra intorno al 1810 e oggi diffuso – sia pur con una membership notevolmente inferiore rispetto a quella massonica – in molti paesi. Gli Odd Fellows, infatti, offrono ai propri membri schemi di previdenza sociale (ai livelli sanitario, assicurativo, legale, ecc.) che la Massoneria generalmente non contempla. Se lo facesse, del resto, probabilmente i suoi detrattori userebbero contro di lei anche tale circostanza.

Ma anche la “beneficenza” massonica – come tutto il fenomeno, oggi tanto esaltato, del volontariato ha i suoi rischi, soprattutto l’autoreferenzialità (che può giungere ad essere sopraffazione, sia pur sottile) e la surrogatività (ovvero la tendenza a sostituirsi alle comunità generali nei compiti di assistenza, con la possibile conseguenza di ritardare deviandolo verso “nicchie” particolari – lo sviluppo di una coscienza sociale diffusa).

In Italia, agli inizi del secolo, la rivista massonica Acacia (aprile 1909) ospitava un articolo di R. Varvaro che fustigava l’abitudine, diffusa tra le logge, di raccogliere al termine di ogni riunione picco- le donazioni da devolvere a persone indigenti esterne all’Ordine “: “La liquidazione delle vecchie usanze, che rispondono a criteri di elemosina, s’impone. (…) Queste opere cosiddette filantropiche sono degni arnesi del cattolicismo, dell’aristocrazia, dell’alta borghesia: sono i più subdoli e disonesti mezzi di asservimento, che il prete, il nobile, il ricco usano sui diseredati, sugli abbandonati dalla fortuna; sono i mezzi che spesso nascondono (…) l’ipocrisia di chi esercita la beneficenza e l’abiezione di chi è destinato a riceverla…”

In Francia, le logge avevano già espresso, in positivo, questa critica alla “carità”: il Fratello Louis Blanc (1811-1882), nella sua opera Organisation du travail, postulava la necessità di far fronte alle necessità dei più deboli mediante l’accantonamento di quote dei profitti aziendali in un fondo sociale, mentre nel 1896 il Fratello Léon Bourgeois (1851-1925) pubblicava Solidarité, uno dei trattati teorici più celebrati – oltralpe fa testo ancor oggi – sul dovere della solidarietà, radicato nell’interdipendenza biopsichica che qualifica l’esistenza del genere umano.

Colpiva ancora più a monte, affondando la lama nella retorica della “fratellanza”, il massone Vittorio Imbriani (1840-1886), scrittore anticonformista ormai quasi dimenticato, in un discorso tenuto il 16 luglio 1864 alla loggia Libbia d’oro di Napoli: “Diciamole come sono: la fratellanza umana è il più facile e vano dei temi retorici moderni e di moda; è un luogo comune né più né meno delle frasi encomiastiche sugli epitaffi dei trapassati; è una parola da tutti accettata, appunto per- ché nulla dice; è una professione di fede bugiarda che ogni fedel minchione è in obbligo di sotto- scrivere, come, mutato governo, ogni bravo impiegato ha da giurar fedeltà al nuovo padrone (…)”.

Ma Imbriani non si limitivava a far tabula rasa della retorica. Nella seconda parte del suo di- scorso recuperava le potenzialità sociali dell’Ordine : “Ma non perché irraggiungibile, dobbiamo scoraggiarci dal proseguire l’idillico sogno dell’umana fratellanza (…) [che] si raggiunge per approssimazione. Nello Stato è impossibile: esso non è l’incarnazione degli ideali subiettivi filosofici, ma una troppo salda realtà (..) per ammettere queste finzioni, queste violazioni arbitrarie della forza delle cose. La vera fratellanza e l’uguaglianza non possono raggiungersi che per la libera e spontanea volontà individuale (…) e questo avviene appunto nelle società private. Qui sono cosa non solamente tollerabile, ma giustificata, ed operano potentemente alla migliorìa dei costumi, a temperarne la rozzezza (…). Fra quante società che si prefiggono di affratellare gli uomini, la più importante è quella dei Liberi Muratori (…) Io parlo della Massoneria come dovrebbe essere, com’è in Germania e in Scandinavia, e come ahimè non può dirsi che sia sempre in Italia. Da noi, purtroppo, talvolta serve di trappola in turpi speculazioni e talvolta di maschera a mestatori politici (…)”.

Questo tipo di riflessioni non è mai stato accantonato dentro le logge. Nel febbraio 1975, un autorevole ex-Gran Maestro, Giordano Gamberini, lo rilancia dalle colonne della Rivista Massonica in termini che echeggiano la proposta della “ghilda” come organizzazione naturale e non-statuale della società elogiata da Petr Kropotkin nel suo Mutuo appoggio.

Ma in questi anni, gli anni ’70, la Massoneria italiana si sta espandendo a vista d’occhio, sotto la gran maestranza di Lino Salvini, che propone anche in interviste a settimanali un modello entrista, ovvero opposto a qualsiasi definizione “alternativa” del ruolo massonico: l’obiettivo che il medico fiorentino persegue è quello di avere una presenza parlamentare massonica cospicua, per favorire – questa la posizione ufficiale – convergenze costruttive tra i partiti, patrocinate da uomini non faziosi, da liberi pensatori disseminati in ogni schieramento. E’ la vecchia idea del massone Benjamin Franklin: una specie di “partito della virtù” che raccolga i benemeriti di ogni scuola politica per l’interesse superiore della comunità. Ma ovviamente si può temere che il retromotivo sia la formazione di un blocco di potere che favorisca gli interessi economico-politici dei suoi componenti o di segmenti dell’organizzazione massonica. E molti commentatori – nonché molti massoni – storcono il naso. Il pragmatismo di Salvini, temporaneamente vincente nell’Ordine, subirà censure e rovesci drammatici sul finire del decennio.

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, chi scrive fu tra gli organizzatori e i relatori in una se- rie di seminari massonici sull'”utopia”: si parlò di storia delle città ideali, dei movimenti riformatori e rivoluzionari nati nell’800 (un “fratello” ricordò Carlo Cafiero, l’anarchico pugliese che nel declino – o nell’ascesa ? – degli ultimi mesi di vita era lui stesso una tragica incarnazione dell’utopia, quando sognava di poter volare), dei giurisdavidici dell’Amiata. A proposito di questi ultimi, nel giugno del 1991 un nutrito gruppo di massoni salì a piedi in cima al Monte Labro per ricordare David Lazzaretti, il “Cristo dell’Amiata” nel luogo in cui aveva costituito la sua “cooperativa spirituale” e donde discese nell’agosto del 1878, con una processione di poveri seguaci, per recarsi a Roma a proclamare, novello Gioacchino da Fiore, l’Età dello Spirito Santo contro quella che definiva “l’idra vaticana” (ma venne ucciso sul sentiero, con una palla in fronte, da un carabiniere, dopo che ebbe disatteso l’intimazione di fermarsi).

Ma la minoranza “utopistica”, tra i ranghi massonici, è ben presto scoraggiata. Nei due anni successivi, conflitti crescenti entro i vertici del Grande Oriente d’Italia – la organizzazione massonica nazionale più forte numericamente – sconvolgono la pace delle logge ed esitano nella ennesima scissione ( ne ho contate oltre cento, tra grandi e piccole, dall’inizio del ‘900 ad oggi, con la massima concentrazione nei primi anni del secondo dopoguerra, entro l’associazione massonica di Piazza del Gesù), seguita da ennesime polemiche roventi, con scambi di accuse ed insulti travasati sulla stampa.

I vaniloqui sulla fratellanza vanno a farsi benedire. Che cosa c’è dietro questi conflitti ? Diverse concezioni della via massonica ? Personalismi ? Contese per spicchi di potere, ritagliati sui contatti che lo stare al vertice di un’istituzione storica garantisce ? Probabilmente un mèlange di tutto questo.

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