FARSI IMMORTALI … PENSARE IMMORTALI

FARSI IMMORTALI … PENSARE DA IMMORTALI

La morte non vince … vince la vita!

Una riflessione per un Libero Muratore

In questo tempo sospeso dominato dal coronavirusdi C. S.

PREMESSA

    Durante le mie passeggiate solitarie in campagna, in questo tempo sospeso, dominato dal coronavirus – entro duecento metri dalla mia abitazione, in linea con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – con il solo scopo di trovare idee nell’area, osservo con lentezza ogni cosa che viene casualmente ai miei occhi e ascolto. Cammino avvolto da un silenzioso-rumore d’insetti che sfrecciano con la loro solita rapidità; di uccellini di tante specie che continuano a svolazzare leggeri da un albero all’altro; di galline che si muovono pigramente, mormorando tra loro sottovoce chissà che cosa; di galli e di cani in lontananza.  Cammino, immerso nei colori dell’erba, dei fiori, delle piante, dei germogli, dei cespugli, degli alberi, delle colline, del mare in lontananza e del cielo. Una luce tagliente e brillante illumina questo piccolo pezzetto di mondo a me vicino. Il mio sguardo generante procede, involontariamente, ogni volta oltre ciò che vedo … oltre il visibile; si sofferma sul variare dello splendore del paesaggio, man mano che il tempo inesorabile progredisce. Sono invaso, osservando la natura, da un senso profondo di caducità: pezzi di roccia, sul ciglio della strada, che senza far rumore si sono staccati da quella apparente inamovibile scarpata, lasciando su di essa profondi squarci; quel cespuglio di biancospino, laggiù in fondo, su quella curva stretta che guarda verso il mare, su cui sembrava giorni fa, esserci caduta una soffice e candida neve, rapidamente si è denudato dai suoi piccoli fiori bianchi, lasciando un groviglio inestricabile di rami spinosi. Tutto si trasforma con il mutare del tempo … tutto appare “effimero”tuttosembra di breve vita. ”Creature d’un sol giorno: che cosa è mai qualcuno che è mai nessuno. Sogno di un’ombra è l’uomo. Ma, quando luce discende da un dio, fulgida risplende la luce sugli uomini e dolce è la vita”; così scriveva Pindaro nel 446 a.C. (Pittica VIII, vv-95-97) (1 ). Noi nasciamo, viviamo, e poi moriamo … noi non c’eravamo, ci siamo e non ci saremo. Specialmente in questo particolare momento storico siamo indotti, nostro malgrado, a riflettere sulla contrapposizione vita/morte, dove la morte sembra togliere valore e significato a tutto ciò che abbiamo fatto o stiamo facendo.  Continuo, tra un passo e l’altro, a guardare intorno; mi viene da pensare e da credere che in realtà la morte non vinca … ma al contrario vinca la natura. Essa, infatti, si rinnova di continuo, mantenendo intatta la sua bellezza: come lo scorrere dell’acqua di un fiume, apparentemente sempre uguale … ma in realtà sempre diversa; come le foglie, una nasce mentre l’altra si disperde; come i colori del giorno e della notte; come le stagioni che cambiano, ma sempre identiche a se stesse, insensibili e indifferenti alle vicende umane: avvalorando in tal modo, esplicitamente, che l’uomo non è al centro dell’universo; come il succedersi incessante delle generazioni di tutti gli esseri viventi umani e non umani.  Mi fermo e osservo un’ape su un minuto fiore giallo … quest’immagine mi riporta improvvisamente a un ragionamento fantastico di uno scrittore francese, Georges Albert Maurice Victor Bataille (2). Quest’autore osservando delle mosche scriveva: “senza dubbio la singola mosca muore, ma queste mosche sono le stesse dell’anno passato. Quelle dell’anno passato sono forse morte? Può essere, ma nulla è scomparso. Le mosche restano uguali a se stesse, come le onde del mare”.  Allora anche la mia ape, immobile tra quei profumati petali, forse è la stessa che ho visto un anno … dieci venti trenta quaranta cinquanta sessanta anni fa … perché è sempre uguale a se stessa, non l’ho vista nascere, crescere, non l’ho mai vista nelle sue diverse fasi evolutive e non l’ho mai vista morire.  Quest’apparente banale riflessione mi diverte, e così continuo a espandere il mio ragionamento, immaginando di vedere – come da una visione dall’alto – al posto dell’ape, la mia immagine di uomo, che cammina su quella vecchia strada campestre, così come altri uomini avranno camminato nello stesso luogo, in tempi passati – ma non conoscendo nulla di loro, né della loro vita, né della loro morte – posso credere, illudendomi, che quell’uomo sia lo stesso di quello di cento … di mille … di duemila anni fa; nulla sembra cambiato. E dentro di me dico, sorprendendomi piacevolmente, allora quell’uomo non è mai morto!  Quell’uomo è immortale, come immortale era quell’ape. Ecco, allora mi viene da dire ad alta voce che la morte non vince … ma vince la vita, perché si auto-genera senza mai cessare… rinasce continuamente – come la “Fenice” che rinasce dalle sue ceneri -. È questo perpetuo moto ciclico di creazione e distruzione … di vita e di morte, il vero “mistero dell’esistenza”. Interiorizzare questo concetto, in cui l’uomo, immortale come specie,  è parte del “Tutto”, aiuta a sconfiggere la morte e dare valore al nostro vivere, oltre a farci trovare una precisa posizione nel cosmo.

Il concetto di “immortalità” mi riconduce a una relazione tenuta, in occasione del “II incontro giovanile per la formazione e la crescita umana”, a Orbetello nel settembre 2017, riprodotta nel mio libro: “ Coincidenza degli opposti”, con il titolo: “ Atleti della vita” (Capitolo n° 23, pag. 117-119), in cui, oltre a esortare i giovani a diventare “atleti della vita” – perché l’etimologia di atleta, in greco, significa “lotta” e quindi è necessario lottare per superare le difficoltà della vita, che quotidianamente e beffardamente ci dona – riporto un passo dell’“Etica Nicomachea” di Aristotele, dove si afferma: “ Non bisogna seguire quelli che consigliano che, in quanto noi siamo uomini, dobbiamo attendere a cose umane, e che, in quanto siamo mortali, a cose mortali, invece per quanto possibile, dobbiamo farci immortali e fare tutto per vivere secondo la parte più elevata che è in noi … quella intellettiva che è divina” ( Libro X,7,1177b31-34) (3). Inoltre, a seguire, scrivo che anche Dante Alighieri nel XV Canto dell’Inferno, incontrando il suo Maestro, Brunetto Latini, gli dice: “Voi … m’insegnavate come l’uom s’etterna”. Rafforzando il concetto che l’illusoria prospettiva d’immortalità è indispensabile per l’uomo, altrimenti non produrrebbe nulla, né scienza, né cultura, né arte. Essa stimola a credere nel futuro … a sperare ed è stato questo il modo di pensare che ha caratterizzato, secondo me, i “grandi atleti della vita”… i “Grandi Iniziati” della storia del pensiero, che hanno ragionato in  senso eterno, facendosi essi stessi immortali, come: Platone, Aristotele, Socrate, Gesù, Maometto, Seneca, Eraclito, Dante, Giordano Bruno etc. L’”Iniziato”, infatti, è chi crede ai propri principi, ai propri valori, alle proprie passioni e le protegge, le difende, le diffonde senza un’impellente necessità temporale per la loro realizzazione, come se fosse un uomo immortale … come se vivesse in eterno.

CONSIDERAZIONE: IMMORTALITA’/ CONTEMPLAZIONE/ FELICITA’

Questa rilettura mi ha indotto a riprendere un libro abbandonato da tempo, con  copertina rigida verde scura, edizione Mondadori, 2008: l’“Etica Nicomachea” di Aristotele (384 a.C. – 323 a.C.), per cercare di mettere ulteriormente a fuoco questi concetti. Il termine Nicomachea deriva da Nicomano, il figlio di Aristotele che raccolse gli scritti del padre. Questo testo rappresenta un lungo viaggio – attraverso dieci libri- che compie Aristotele alla ricerca del senso dell’esistenza umana e della felicità. Le conclusioni cui arriva il filosofo greco, al termine del suo complesso percorso di pensiero, è sorprendentemente semplice: egli esalta l’importanza della vita contemplativa, tramite l’intelletto che diversifica l’uomo dagli altri animali. Una vita felice non è nient’ altro che una vita contemplativa, dominata dalla forza dell’intelletto che è divino e quindi immortale. Egli associa la felicità dell’uomo, alla contemplazione e all’immortalità. Egli rifiuta il concetto di “ pensare da mortali” – sei un essere umano, mortale, non pretendere di più, impara ad accettare e basta- al contrario egli invita a farsi immortali … a pensare da immortali: “ Se dunque in confronto alla natura dell’uomo l’intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme a esso sarà divina …  e questo modo di vita sarà dunque anche il più felice” (X, 1178a).

 Questo concetto Aristotelico richiama ciò che è alla base del pensiero Libero Muratorio, che viene acquisito in modo chiaro dal ”Maestro Libero Muratori Scozzese”, al momento del suo raggiungimento al Grado di “Cavaliere Kadosch” (Santo). Questo rappresenta il Real Segreto Iniziatico, dove l’uomo è reintegrato nei suoi antichi poteri divini; ecco il significato della Grande Opera Ermetica. Il proprio “io” coinciderà, in modo inscindibile, con il “divino”. Solo così, potrà  essere compresa la celebre affermazione: “Deus meunque jus” (cs).

Aristotele si chiede come fare per vivere una vita felice? Per fare questo, afferma Aristotele,  dobbiamo vivere secondo la “propria funzione”. Questo rappresenta uno degli aspetti più rilevanti dell’Etica Nicomachea. Ogni cosa si distingue per la sua funzione … per una caratteristica peculiare che la differenzia dalle altre. Com’è nella natura del coltello quello di tagliare, e deve tagliare bene, in modo virtuoso – dice Aristotele – ed è in questa funzione che il coltello si rivela come coltello. Un discorso simile può essere fatto per tutte le cose, compreso l’uomo. “Come, infatti, il flautista, il costruttore di statue, ogni artigiano e insomma, chiunque ha un lavoro e un’attività, sembra che il bene e la perfezione risiedano nella sua opera, così potrebbe sembrare anche per l’uomo, se pur esiste qualche opera a lui propria. Forse dunque all’architetto e al calzolaio vi sono opere e attività proprie, mentre non v’è alcuna opera propria dell’uomo, bensì esso è nato inattivo?  O piuttosto, come sembra esservi un’“opera propria” dell’occhio, della mano, del piede e insomma di ogni membro, così oltre a tutte queste si deve ammettere un’opera propria dell’uomo?  E quale sarebbe – si chiede Aristotele – l’opera propria dell’uomo? Non già il vivere, giacché questo è comune anche alle piante, mentre si ricerca qualcosa che gli sia proprio. Bisogna dunque escludere la nutrizione e la crescita. Seguirebbe la sensazione … il piacere, ma anche quest’ultimo appare essere comune al cavallo, al bue e ogni animale … i piaceri sono importanti ma da soli non danno senso alla nostra esistenza. Resta dunque, la “vita attiva contemplativa/intellettiva, propria di un essere razionale”… compiuta secondo il bene e il bello … e ciò deve valere anche per tutta una vita completa. Infatti, una sola rondine non fa primavera, né un solo giorno; così neppure una sola giornata o un breve tempo rendono la beatitudine o la felicità” . La felicità è dunque il bene più prezioso, più bello, e più piacevole – aggiunge Aristotele – e queste cose non sono separate, come vorrebbe l’epigramma di Delo: “Agire giusto è la cosa più bella, lo stare bene quella più buona; ma quella che il piacere maggiore procura è che uno abbia quel che egli ama”.

Possiamo terminare, che il segreto di una vita felice sta nel realizzare le nostre potenzialità, la nostra funzione intellettiva, che fa di noi degli esseri umani razionali. Solo così possiamo raggiungere la felicità del vivere. Una sintesi esemplare dell’etica aristotelica, ci è stata offerta da Dante Alighieri con il suo famoso aforisma: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Inferno, XXVI canto, v.118-20). Noi esseri umani siamo fatti per contemplare (4,5). per pensare, per capire, per intuire, per conoscere; questa è la peculiarità che caratterizza la nostra natura … questa è la nostra “funzione propria”… e questo vale ancora di più per Noi “Iniziati Liberi Muratori”.

NOTE

  1. Pindaro scrisse questa poesia per celebrare un lottatore che aveva vinto i giochi pitici tenuti in onore di Apollo per aver ucciso “pitone” rappresentato, nella mitologia greca, come un drago-serpente di dimensioni spaventose.
  • G. Bantaille (scrittore e antropologo francese 1897-1962). Hegel, la morte e il sacrificio. N. Aragno Editore, Torino 2015.  
  • Nel testo originale in greco, l’azione che porta noi stessi a farsi immortali, viene utilizzato un verbo “Athanatizein” …che richiama: alfa privativo , che vuol dire senza e Thanatos che rappresenta nella mitologia la personificazione maschile della morte, e quindi il significato potrebbe essere “senza morte” cioè immortale. Questo mi ricorda anche il termine “amore”, anch’esso in latino significa senza morte, “a” nel senso di senza e “mos/moris” nel senso di morte…in effetti, l’azione di amare – implica di per sè un tempo infinito…eterno; l’amore  è inscindibile dall’ immortalità. (cs)
  • Vita contemplativa e vita attiva in Hannah Arendt (pensarelavita.files.wordpress.com).  Sant’Agostino considerava come “vita attiva” (vita activa) non specificatamente nel suo significato politico e religioso, indicò ogni genere di partecipazione attiva alle cose di questo mondo; l’azione veniva annoverata tra le necessità della vita terrena, così rimaneva la contemplazione (theoria: contemplazione e bios theoretikos:  vita contemplativa) come solo modo di vita veramente libera. La contemplazione, secondo Aristotele, rappresenta un processo di puro pensiero, che deve culminare nell’assoluta quiete contemplativa. Il primato della contemplazione sopra l’attività si fonda sulla convinzione che nessuna opera prodotta dalle mani dell’uomo possa uguagliare in bellezza e verità il kosmos fisico, che ruota nell’eternità immutabile senz’alcuna interferenza o assistenza dall’esterno da parte dell’uomo o di dio. Questa eternità si dischiude all’occhio mortale solo quando tutti i movimenti e le attività umane sono in perfetto riposo. Paragonate a quest’attitudine di quiete, tutte le distinzioni e articolazioni entro la vita activa scompaiono. Da un punto di vista della contemplazione, non ha importanza che cosa disturbi la quiete necessaria, quando questa sia disturbata.La contemplazione (theòria) risulta essere una facoltà umana, nettamente diversa dal pensiero e dal ragionamento.  
  •   La contemplazione è il momento attivo della nostra mente in cui giungiamo a convergere tutti gli opposti in un unico pensiero, forse quello più vicino alla verità. È un momento dedicato allo studio, alla meditazione, alla riflessione piuttosto che alla pratica operativa (cs)

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. C. S.   marzo 2020

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