LA NECROPOLI DI POMPEI

LA NECROPOLI DI POMPEI

Pompei fuori le mura. È bello seguire un itinerario non compreso fra quelli turistici ufficiali,  ma non per questo privo di un suo fascino particolare che ispira mistero e riflessione. Un tragitto da per-correre immergendosi nel silenzio rotto dall’etero cantare estivo della cicala fra querce e pini mediterranei e all’ombra incombente e inquietante del Vesuvio. Sei a pochi chilometri dalla tentacolare megalopoli di Napoli che in meno di mezzo secolo ha fagocitato gli anti-chi comuni di Portici, Ercolano (Hercolaneum), Torre del Greco (Turris octava), Torre Annunziata (Oplontis) per arrivare a Castellammare di Stabia (Stabiae) cancellando le loro individualità fatte di secoli di storia e cultura per ridurle a periferie anonime come lo sono tutte le periferie delle attuali megalopoli. Sei così vicino a queste realtà degli anni 2000, ma sei trasportato a duemila e passa anni addietro. I rumori sono solo naturali, il vento che scuote i pini, le cicale e su tutto il silenzio caratteristico di questi luoghi, un silenzio fatto di mestizia, di dolore, ma anche intriso di sacralità e di fede. Questa città, Pompei, che si mani-festa sempre in due aspetti che però non sono poi tanto distanti fra loro, anche se una disamina superficiale potrebbe indicarlo. Qui la città antica, con i suoi templi ad Apollo, Giove, Iside. Città che venera i suoi morti nelle necropoli ed è protetta da Venere. Fuori la Pompei moderna, sede di un Santuario meta di migliaia di pellegrini ogni anno e che serba migliaia di ex-voto come testimonianze di fede. Una città protetta dalla Madonna del Rosario, una donna anch’essa, a testimoniare una continuità, Venere/Madonna del Rosa-rio, non interrotta dalla tremenda eruzione che – nel 79 d.C. – la seppellì, cancellandola (mai termine fu più veritiero) dalla faccia della Terra. Le necropoli restano testimonianza di quanto fosse presente nella civiltà romana il culto della morte con usanze che in un qualche modo sono giunte !no ai no-stri giorni e a ogni latitudine o cultura.

Lasciare un cadavere privo di sepoltura avrebbe causato negative ripercussioni sul destino dell’anima del defunto e grave onta per i suoi parenti, ma questo lo si conosceva già dal mondo greco descritto da Omero nell’Iliade. La cerimonia funebre (per cremazione o inumazione) terminava con un banchetto e libagioni. Tanti anni fa – ero ancora bambino – mi capitò di assistere al funerale di una delle mie nonne. Non capivo perché, in quell’aria di tristezza e pianto, parenti e amici portassero dolci, pesce, cibi e vino come per una festa. Un mio zio, laconico, mi disse che dopo avremmo mangia-to. Si rivolgeva a un bambino di sei anni! Molti anni dopo, visitando il cimitero egiziano de Il Cairo, rimasi meravigliato nel constatare che numerose tombe era-no sovrastate da una specie di stanza in muratura. La guida mi disse che serviva per mangiare dopo la visita ai defunti. Così nella civiltà anglosassone e americana i !lm e documentari mostrano che l’uso del banchetto funebre persiste. An-che allora alcuni giorni del calendario erano dedicati alla commemorazione dei defunti (Parentalia 13/21 febbraio) e l’ultimo giorno era dedicato alle cerimonie pubbliche (Feralia). Le aree cimiteriali, come era uso in quei tempi, venivano incontro al viaggiatore ai lati delle strade afferenti la città immediatamente prima delle porte e costituivano le silenziose città dei morti prima della città dei vivi. La notte si aggiravano fra i tumuli le prostitute che attiravano il viandante con le loro offerte (lupae). A Pompei, arrivando da Napoli, si incontra, dopo numerose ville suburbane fra cui la inquietante Villa dei Misteri (su cui tanto è stato scritto per l’evidente simbolismo dei suoi affreschi), la Porta Ercolano e la sua necropoli. Qui troviamo le tombe più imponenti e maestose, risalenti a quando Pompei divenne colonia sillana. Sono state individuate e scavate alcune decine di tombe, tutte databili tra l’80 a. C. e il 79 d. C. Qui furono sepolti tra gli altri Marco Porcio, il costruttore del Teatro Coperto e dell’An!fiteatro, e Mammia, la sacerdotessa che dedicò il tempio del Genio di Augusto nel Foro. In questi luoghi, in cui due millenni dopo sarebbe nato il principe De Curtis (Totò) e la sua ‘Livella’, già esisteva una suddivisione in caste anche dopo la morte. Sarà stato senz’altro casuale, ma le tombe dei notabili dell’epoca facevano bella mostra di sé ai cigli della strada più importante, quella che giugeva da Napoli e, quale prolungamento della via Appia, da … Roma. Come dire che i vip dell’epoca, anche da morti, volevano essere in prima fila per salutare chi veniva da Roma che … poteva essere importante. Dopo porta Ercolano abbiamo due possibilità: muovendoci a destra arriveremo a porta Marina, che è l’unica a non avere una necropoli. Bisogna ricordare che Pompei era una città marittima (anche se oggi il mare è distante due chilometri). Dopo porta Marina si giunge, attraversando Porta Stabia, alla necropoli di Porta Nocera. I tumuli sono meno maestosi di quelli di Porta Ercolano e molto diversi fra loro a testimonianza che la varietà dell’architettura funeraria della necropoli pompeiana non trova alcun riscontro nelle necropoli di altre città campane, la qual cosa testimonia l’e-strema diversità di gusti e di estrazione sociale dei cittadini di Pompei. Su tutte spicca il complesso funerario della sacerdotessa di Venere Eumachia. Su un’alta terrazza sorge l’esedra, con camera sepolcrale e recinto retrostante. La struttura era rivestita di tufo di Nocera e articolata in nicchie con statue, separate da semicolonne, quindi coronata da un fregio figurato. Tornando a Porta Ercolano, ma muovendoci a sinistra, dopo la Tor-re di Mercurio (l’unica agibile fra le torri delle mura, ma chiusa al pubblico dal terremoto del 1980!) si arriva alla necropoli di Porta Vesuvio. Monumentale è la tomba di C. Vestorius Priscus edile (amministratore per la cura di strade ed edifici pubblici), morto a 22 anni nel 75-76 d.C. pochi anni prima dell’eruzione: un recinto chiude un basamento sormonta-to da un altare. Qui si conservano stucchi a rilievo con Menadi e Satiro; sulle pareti interne del recinto sono affreschi con scene di caccia, lotte gladiatorie, episodi della vita del defunto. Una mensa con servizio d’argenteria esibisce lo stato sociale del defunto. Vicino c’è la tomba di tufo, a esedra (sedile semicircolare con stele e colonna), che appartenne a Arellia Tertulla, probabilmente consorte di M. Staborius Veius Fronto, duoviro e augure. Sia che abbiamo proceduto da valle (P. Marina, P. Nocera) che da monte (P. Vesuvio), si giunge alla necropoli di Porta di Nola situata in una posizione opposta a Porta Ercolano. Da questa porta la strada proseguiva verso i villaggi dell’agro campano (Campania felix), ancora oggi ricco di coltivazioni agricole. Fuori della por

ta solo tre tombe, ma in un luogo decisamente suggestivo. La tomba a recinto quadrangolare appartiene a M. Obellio Firmo, tra i personaggi più importanti degli ultimi anni di Pompei: all’inter-no del recinto si trovava una stele, il foro che conteneva le libagioni e l’urna di vetro per le ceneri. Invece le altre due tombe sono del tipo a esedra: una è anonima, l’altra è di Aesquillia Polla, moglie di N. Herennius Celsus, personaggio influente in età augustea: al centro c’è un podio con colonna ionica, sormontata da un vaso marmoreo, che nella simbologia funeraria doveva contenere l’acqua lustrale per il bagno della defunta. Alla base della colonna una lapide ancora leggibile. Oggi la tomba è posta all’ombra di una quercia secolare che completa il sen-so di pace del luogo. Forse era così anche 2000 anni fa quando quella porta (secondaria) della città non dava il transito a ricchi mercanti provenienti da mare o a potenti funzionari in missione da Roma, ma a contadini che portavano al merca-to i loro frutti e trovavano breve riposo prima della giornata di lavoro o prima di intraprendere la via del ritorno. Un breve riposo e un saluto, con una carezza sulla lapide di Aesquillia, giovane donna morta a 22 anni (probabilmente di parto, vi-sti i tempi). Anche allora le lapidi funebri racchiudevano, spesso con abbreviazioni, la vita di un individuo, poche parole scritte sul marmo. Chi era Aesquillia? A chi aveva prestato il volto fra gli affreschi che ammiriamo ancora oggi negli sca-vi o al Museo Nazionale di Napoli? Alla casta mater familiæ o alla prostituta del lupanare? Alla Venere in conchiglia o a una delle Baccanti della villa dei Misteri? Ma forse è giusto che nella lapide non vi sia immagine, è giusto che resti solo un nome e un’età. Il mistero aiuta a far vo-lare la mente e anche a liberarla da terra.

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