PASCOLI, UN POETA E DI SCHEGGE E PIETRE

UN POETA DI SCHEGGE E PIETRE

Un poeta di schegge e pietre, alle porte del Novecento. Giovanni Pascoli fu socialista, massone e patriota. La sua mano, un giorno, bussò alle porte del Tempio. Una mano piena di terra, di radici e popolo, dolore e ricerca. La traccia ignota è la parola, il pensiero-lucesu sentieri di dubbio e “nuove spoglie di granturco”, la speranza. Un suo verso dice: La nube del giorno più nera è quella che vedo più rosa sul far della sera. Il 6 aprile 2012 ricorreva il centenario della morte del poeta. “Pascoli ci appare sempre più magnetico. Più vorticoso. E sfuggente”, ha scritto Davide Rondoni, direttore del Centro di Poesia contemporanea all’Università di Bologna. “Ormai è finalmente uscito dalle cantine del patetico in cui una critica scolastica voleva relegarlo per paura delle ombre che vi si agitano. Poeta del dettaglio e di cosmogonie, curvo sulle Myricae e attonito spettatore d’un misterioso nulla universale”. Si racconta che nel suo studio il poeta avesse tre scrivanie: una per le sue poesie, la seconda per le traduzioni, una per i suoi saggi di critica dantesca. Per un occhio addestrato sarà facile scorgervi l’analogia con i tre seggi del Tempio massonico e con le tre Luci sacre: la Forza (poesia), la Bellezza (le sue traduzioni), la Sapienza (il lavoro su Dante). Ma Pascoli fu anche un iniziato. Le sue opere sono disseminate di rimandi e riferimenti alla sapienza esoterica. Dopo il nullaosta del Gran Maestro n. 2145, del 16 gennaio 1882, Pascoli fu iniziato e divenne Libero Muratore nella Loggia ‘Rizzoli’ di Bologna il 22 settembre 1882. Un documento autografo, unico per originalità e preziosità storica, è il segno visivo della scelta iniziatica compiuta dal poeta: è il testamento massonico che Pascoli ha scritto su un triangolo e reca oltre la firma e la data la risposta a tre domande poste negli angoli: “Che cosa deve l’uomo alla Patria? La vita”. La seconda domanda è: “Quali sono i doveri dell’Uomo verso l’Umanità? D’amarla”. La terza: “Quali sono i doveri dell’ Uomo verso se stesso? Di rispettarsi”. Redatto su foglio di carta a forma triangolare, richiama uno dei simboli più importanti della Libera Muratoria; è autografo e presenta ai vertici del triangolo le risposte di Pascoli alle tre domande poste per tradizione al “profano”, prima dell’iniziazione e al centro la sottoscrizione del poeta. Il testamento massonico, di cui si conosceva l’esistenza, è di proprietà del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, che lo ha acquistato a Roma il 20 giugno 2007, all’asta indetta dalla Casa Bloomsbury. Negli archivi della Biblioteca di Villa il Vascello, sede del Grande Oriente d’Italia, sono custoditi altri documenti sul poeta. Anzitutto la lettera di Luigi Castellazzo, Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia, al Fratello Dalmazzoni, Segretario della R.L. ‘Rizzoli’ all’Oriente di Bologna con la quale si esplicita il nullaosta per l’iniziazione di alcuni profani, tra i quali Giovanni Pascoli. In realtà il Pascoli fu iniziato il 22 settembre 1882 come risulta dal suo testamento massonico prima ancora che arrivasse il nullaosta formale dal Grande Oriente (Roma, 18 gennaio 1883). E ancora, come mostra Bernardino Fioravanti, Gran Bibliotecario del Grande Oriente d’Italia, una lettera manoscritta con firma autografa di Giovanni Pascoli ai “giovani” nella quale si parla dell’opera di Alessandro D’Ancona, scrittore, critico letterario e poeta (s.l., 18 marzo 1907). Il testo dice: Gentili giovani, aveste un nobilissimo pensiero nel voler coronare il Poeta in Campidoglio. L’incoronazione è postuma … Meglio così! E più e meglio coronar l’ombra che l’uomo, onorar la memoria che la presenza, adorar l’oltrevita che la vita. Il Poeta canta alteri saeculo. La lampada egli accende per il suo sepolcro. E bene adoperaste nel chiamare a dir le lodi del Poeta uno dei suoi grandi eguali, narratore di vita, indagatore di miti, esploratore di pensieri, dotto eloquente puro. Alessandro D’Ancona ha, sopra tutti i suoi meriti, questo, d’avere raccolti sceverati ragionati i canti del popol nostro, e sì difesa consolata esaltata la memoria dei nostri eroi e martiri. Egli sa come niun altro l’anima dell’Italia. E perciò è del Poeta italiano l’interprete più sicuro più fedele più ardente. Di voi, gentili giovani Vostro aff.mo Giovanni Pascoli 18 marzo 1907 L’appartenenza di Pascoli alla cordata dei liberi muratori è stata a lungo “schermata”. Annota Antonio Piromalli: Nel volume di Maria Pascoli Lungo la via di Giovanni Pascoli (memorie curate e integrate da Augusto Vicinelli, Mondadori 1961), la sorella scrive che quando Giovanni morì, alcuni giornalisti asserirono che egli era massone dal 1878 o dal 1879 o dal 1882: “Poteva bastare la diversità di quelle date per mettere almeno in dubbio la veridicità di quelle asserzioni”, scrive Maria sostenendo che si tratta di una “insinuazione malvagia, perché vorrebbe far credere che Giovannino fosse stato portato in alto dalla Massoneria, da quella setta da cui si tenne sempre lontano, soprattutto perché sapeva che essa proteggeva i suoi affiliati, che li aiutava, e così li teneva stretti a sé, senza più volontà propria e senza libertà. È evidente che con quelle asserzioni del tutto false si voleva e si vuole insinuare che egli fosse giunto a occupare un posto universitario dei più in vista, non per merito suo ma per essere massone […] Giovannino non fu mai massone. La notizia di Maria – rimarca Piromalli – non è veritiera e nasce dalla volgare opinione della Massoneria come società di interessi egoistici”. Forse c’era in Maria “la prevenzione (lo scrisse il Vicinelli) che la Massoneria favorisse Carducci e perfino D’Annunzio contro di lui”. Lo stesso Piromalli sottolinea: Per quanto riguarda i rapporti di Pascoli con altri massoni, si devono compiere ricerche nell’ambito di Bologna (a Bologna viveva Ugo Lenzi che deteneva la domanda di iscrizione di Pascoli alla Massoneria), a Savignano di Romagna dove viveva Gino Vendemini, garibaldino, massone, uomo politico e deputato, che aveva seguito Garibaldi a Bezzecca, Monterotondo, Mentana. Fu Vendemini colui che vide, davanti alla villa Rasponi, dalla parte del Compito, la vettura che “a sghimbescio e descrivendo una biscia, quasi che il cavallo fosse stato abbandonato o non ubbidisse più al conduttore”, nel tardo pomeriggio del 10 agosto 1867, trasportava il corpo di Ruggero Pascoli. E ancora altre piste portano a Livorno dove Pascoli visse dal 1887 al 1895, durante la Gran Maestranza del livornese Adriano Lemmi. Quando Pascoli indossa il grembiule da Apprendista, nel 1882, ha alle spalle la partecipazione all’Internazionale dei lavoratori con Andrea Costa, e ha conosciuto le sbarre del carcere. L’umanitarismo sociale non è stato nella sua vita una parentesi ma un indirizzo della personalità che si identifica con l’evoluzione della Massoneria – scrive ancora Piromalli –. L’iscrizione alla Massoneria – spiega – aveva radici politiche e sociali: anzitutto il repubblicanesimo in cui convergevano elementi del classicismo eroico e libertario fondato sul valore dell’individuo che aveva fatto avvicinare Pascoli adolescente ad Andrea Costa e a Bakunin […] Ma anche altri motivi avevano indotto Pascoli a far parte della Massoneria: le lotte dei partiti, l’assunzione del grande liberalismo da parte della Massoneria, la proclamazione degli ideali umani, la lotta anticlericale intesa come lotta per la tolleranza, l’umanitarismo. In Iniziazione massonica e poetica risorgimentale, Carlo Gentile annota: possiamo serenamente constatare come Giovanni Pascoli abbia camminato verso il mistero della iniziazione suprema con l’intento preciso di lasciare il saggio di una poesia dell’iniziazione. In Minerva oscura, ad esempio, Pascoli scrive: Il viaggio pare uno di quelli che possiamo ricordare d’aver fatti da fanciulli (Dante è come un fanciullo vicino a Virgilio), un poco a piedi, poi portati di peso in carrozza, poi discesi senza averne coscienza intera, balzati di qua e di là, tra cigolii e schiocchi e scricchiolii e tonfi, con qualche carezzevole parola mormorata all’orecchio in mezzo a un rotolare continuamente e sordamente fragoroso. In una recente intervista, Umberto Sereni, docente di Storia Contemporanea all’Università di Udine, già sindaco di Barga per dieci anni, spiega il ruolo che Pascoli ebbe nella memoria del Risorgimento: Fu uno dei sacerdoti della religione della Patria – fa notare lo studioso – lo dimostrano il suo impegno e i numerosi discorsi che tenne anche in Valle del Serchio uno su tutti quello a Antonio Mordini. Va ricordato inoltre che la sua ultima opera furono i Poemi del Risorgimento realizzati nel 50° anniversario dell’Unità d’Italia e pubblicati postumi. Pochi giorni prima di morire volle iniziare un nuovo poema, Il Tricolore, ma la malattia non gli permise di andare oltre il titolo. A chi gli chiedeva quale fu il rapporto di Pascoli con la Massoneria, Sereni replicava: È accertato che ne faceva parte. Era un affiliato alla Loggia ‘Rizzoli’ di Bologna dal settembre 1882, quando era studente a Bologna ma era una cosa abbastanza normale per quel tempo e sopratutto per l’ambiente frequentato. Bisogna dire che l’affiliazione non comportava la rinuncia a un sentimento religioso. Nei suoi ultimi giorni fu vegliato dai fratelli massonici che lo accompagnavano nel “Viaggio eterno”. La sua appartenenza fu però cancellata del tutto dalle memorie della sorella Mariù che, da fervente cattolica, voleva far apparire il fratello alla stregua di un santo quando invece non era né un acceso credente ma nemmeno un anticattolico. Anzi, la sua poesia è piena di senso di mistero e di sacro. Il sacro è l’umanità, il primo sacramento della vita. È il volto dell’altro. In L’eroe italico (1901), il poeta mostra simpatia per “il grande scalpitio sordo dell’universale esercito degli scalzi”, per coloro che lottano per verità e diritti sociali. Laicità e umanesimo le colonne del Tempio poetico. Non va dimenticato poi il poema Il ciocco, con quei versi che dicono: Errerà forse, in quell’eremitaggio del Cosmo, alcuno in cerca del mistero; e nello spettro ammirerà d’un raggio la traccia ignota dell’uman pensiero. Si vedano anche gli appunti sul Tricolore, nella nota preliminare di Maria Pascoli ai Poemi del Risorgimento. Inno a Roma. Inno a Torino (Mondadori, 1938). Scriveva il poeta:

 O pianura del Po!

O neve dell’Alpi!

O rosso dei vulcani!

O veste di Beatrice!

Per te quanto di morrà!

Quanti saranno avvolti nelle tue pieghe!

Quanti ti avranno sul loro feretro!

In quante battaglie … in quante tempeste!

Avanti contro gli stranieri!

 Contro i crocifissori di Prometeo …

O città nata nell’Aprile come Roma!

O nata di profughi come Roma!

O subito in guerra come Roma!

Non è dei boschi di carbone la bandiera che tu inalzi,

essa viene da più profonde lontananze ….

Il Pascoli, dantista esoterico, vedeva in Beatrice la Gnosi e in Dante la Libertà. Nelle sue opere sono molteplici i simboli (come in Conviviali) e i rimandi a una realtà esoterica. Versi che sono eco di una luce iniziatica conosciuta e voluta dal poeta del fanciullino, eterno Apprendista tra i sentieri del tempo. Come ha scritto Antonio Piromalli: introspezione, miti, svelamento della parola, crittografie, abolizione delle scorie ideologiche, ritorno a modelli originari riscoperti nel pozzo di un passato mistico-religioso sono da vedere come gli approdi storico-culturali dei motivi esoterici fondamentali che si incontrano nei temi della pace, della fratellanza, del mistero, della morte. E altrove: la poesia astrale del Pascoli è un allargamento della vita, dove il motivo della fratellanza si dispiega in una rete di simboli e di essoterismi a base di sonni, sogni, apparizioni, messaggi di morte, stelle cadenti che indicano la dislocazione o il transito delle anime nell’incognita e misteriosa geometria dell’universo, di segni, visioni, cifre legate alla realizzazione dell’Umanità all’alba del congiungimento con il Principio eterno. “Aspettiamo, non oso dire speriamo”, aveva detto il poeta concludendo un suo discorso intitolato L’Era Nuova, letto a Messina sul finire del 1899. Poesia e coscienza, scelte da compiere su “questo mondo odorato di mistero”. Catena di fraternità che leghi gli italiani, perché “dolce è l’ombra del comun destino …”, aveva scritto ne Il Focolare. Michelangelo Raitano, nel discorso pronunciato nel Teatro comunale di San Mauro Pascoli, il 20 maggio 1962, per ricordare a nome del Grande Oriente d’Italia il poeta nel cinquantesimo anniversario della sua morte, ricordando il Pascoli massone ribadiva l’orgoglio dell’appartenenza del poeta agli uomini del dubbio di Palazzo Giustiniani, affermando: Noi non possiamo abbandonare certe tombe agli scavatori clandestini, specializzati nel contrabbando di reliquie e di oggetti funerari ed è per questo che siamo e saremo sempre alla ricerca dei resti del grande che onoriamo e che altri ha manomesso e disperso ai quattro venti: li ritroveremo nei luoghi in cui visse e soffrì, amò e pianse, sanguinò e cantò, lottò e cadde; li ritroveremo per ridonargli il suo vero volto umano e per ricomporre, in unità armoniosa, la sua complessa personalità. Quella mano bussò alla porta del Tempio. Una ricerca di luce che durò tutta la vita. Non a caso Pascoli aveva raccontato di Ulisse in uno dei suoi più struggenti Poemi conviviali. Odisseo, con la sua nave nera giunge all’isola dei fiori dove incontra le sirene: “le sentì cantare senza potervi sostare”. Carlo Gentile,12 ci fa riflettere sulla “Poesia esoterica ed esistenziale di Odisseo”: Itaca è casa e ricerca, Calypso vuol dire occultare. Nella sua sete di conoscenza, chiede a due Sirene che lo spiano immobili: “Ditemi almeno chi sono io, chi ero”. L’Ulisse del secondo viaggio non può turarsi le orecchie, affronta il vento e la voce delle Sirene. Ma le sirene sono due scogli, “e fra i due scogli si spezzò la nave” in prossimità del gruppo di ossame. Il mare sospinge l’uomo per nove giorni e nove notti (il numero 9 è lo sviluppo perfetto del Ternario, e per 9 anni “al focolar sedeva di sua casa l’Eroe navigatore …”) fino all’isola di Calypso, che lo trova “nudo e tremante nella morte ancora”. Ed ella “avvolse l’uomo nella nube dei suoi capelli”. Calypso lavora con una spola d’oro, conosce le arti di Minerva, le leggi dell’armonia. Odisseo prende la vela per il suo “nuovo” mare, insieme a un gruppo di compagni, che per anni hanno montato la guardia alla nave, tendendola pronta per prendere il largo. Sono “vecchi fanciulli”, anche se sono stati tutti ingoiati dall’Ade durante il primo viaggio. Il viaggio è un altro tema proprio del rituale di iniziazione. Il viaggio di dubbio e di morte è migliore del sonno. Un itinerario verso “l’Oriente del pensiero” per dirla con Kant. Nel centenario della sua morte, anche questo è un tassello che si aggiunge ad altre pietre, a formare il volto di un uomo che scelse una strada di sapienza. Considerare Pascoli senza cesure è affare serio, che ripropone il “bel rischio”, il kalòs kíndynos, come scriveva Platone nel Fedone, perché tocca la critica letteraria come capacità di leggere una storia intera e la sua brace, i pensieri di lungo periodo. Le pagine esoteriche della sua opera sono perciò un invito a riscoprire radici e storie profonde. Fanno tremare quelle parole di Albert Camus, nei suoi Saggi letterari: Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essi presero le armi … C’è bisogno di riscoprire anche la bellezza di un poeta che scriveva:

È l’Universo un tempio: il tempio di Dodona.

 Pendono bronzei vasi ad una selva immensa.

Uno ne tocchi, vibra ogni altro.

Il cielo pensa e la terra lontana a quel pensier risuona-

Amore, sei tu, Dio! Ma solo ti riveli

 pensiero e forza: l’occhio e la possente mano.

O nuovo Adamo ed Eva, o riprincipio umano,

 ti sia, qual è la Terra, una stella dei cieli! Il Tempio della volta stellata e il riprincipio. Conoscenza e nodo d’amore che sente il respiro della terra e la lotta incompiuta degli uomini alla ricerca di senso. Pascoli è nella storia letteraria e civile del nostro Paese. I costruttori nel Tempio delle Lettere hanno eretto chiese e cattedrali valendosi di pietre di facciate belle, chiare, bianche, perché fossero ben visibili da lontano. Vi sono però pietre ancora più importanti che non vengono viste: sono sotto la terra ma sorreggono la cattedrale. Sono pietre umili e invisibili ma hanno una grossa responsabilità, quella di dare stabilità all’intera costruzione. Pascoli è una di queste pietre di senso. Lo rivediamo ancora sulla nostra strada, aprirci la via di casa, quella del cuore. E presidiare la terra che ci sfugge.

Il Tempio della volta stellata e il riprincipio.

 Conoscenza e nodo d’amore che sente il respiro della terra e la lotta incompiuta degli uomini alla ricerca di senso. Pascoli è nella storia letteraria e civile del nostro Paese. I costruttori nel Tempio delle Lettere hanno eretto chiese e cattedrali valendosi di pietre di facciate belle, chiare, bianche, perché fossero ben visibili da lontano. Vi sono però pietre ancora più importanti che non vengono viste: sono sotto la terra ma sorreggono la cattedrale. Sono pietre umili e invisibili ma hanno una grossa responsabilità, quella di dare stabilità all’intera costruzione. Pascoli è una di queste pietre di senso. Lo rivediamo ancora sulla nostra strada, aprirci la via di casa, quella del cuore. E presidiare la terra che ci sfugge.

DA LLA RISVISTA “HIRAM” 2/2012
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