GIUSEPPE GARIBALDI, UN MITO

Negli oltre 2000 anni di storia che l’Italia ha attraversato ad oggi, ci sono stati numerosi eventi e tantissimi personaggi che per vari motivi hanno significato e rappresentato momenti importanti nella vita italiana, qualche volta in positivo e altre volte in negativo.

Sappiamo ad esempio che dopo la grandezza e la fastosità di Roma e dell’Impero Romano, è seguito un periodo di decadenza e di degrado del nostro paese durato quasi 20 secoli che si è concluso nel 19esimo secolo, ovvero nel 1800.

Il merito di questa “liberazione” è da attribuire in massima parte a Giuseppe Garibaldi che secondo gli storici è stato senza dubbio il personaggio più importante del Risorgimento Italiano, o quantomeno uno dei personaggi più importanti e più determinanti di quel periodo storico e universalmente riconosciuto come uno degli artefici del processo di unificazione dell’Italia.

La maggior parte di Noi che siamo nati in Italia ed abbiamo frequentato le scuole nel nostro paese, abbiamo sentito parlare di Lui e delle sue gesta sui banchi di scuola; abbiamo studiato la sua vita, commemorato le sue battaglie e osannato le sue vittorie.

Per tutti gli altri, invece, Garibaldi è solo uno dei tanti eroi del passato vissuto nel secolo scorso: ma non è così.

Fiumi d’inchiostro sono stati versati sui libri di testo per descriverci le gesta “dell’eroe dei due mondi” a tutti i livelli, da quello elementare fino a quello universitario.

Del Garibaldi Generale, Condottiero e Politico quindi sappiamo tutto o quasi tutto: mentre del Garibaldi Massone e Gran Maestro della Loggia Massonica Italiana invece, sappiamo poco o niente.

Debbo confessarVi che anch’io, fino a poco tempo fa, ignoravo che Egli avesse fatto parte della Massoneria, così come tanti altri personaggi importanti di quel particolare periodo storico; personaggi come Aurelio Saffi, Maroncelli, Manin e finanche Giuseppe Mazzini, tanto per citarne qualcuno.

Fratelli, è incredibile a dirsi ma è vero: in tutti i libri e le pubblicazioni che ho consultato per completare questa mia ricerca ( e non sono stati certo pochi ) non ho trovato alcun cenno, alcun riferimento neanche velato, al fatto che Garibaldi fosse stato Massone e Gran Maestro della Massoneria in Italia.

Quest’atto di censura contro la Massoneria messo in atto non solo dagli storici di quel tempo, ma anche da quelli contemporanei, non ha nessuna giustificazione logica nessuna ragione politica nessuna motivazione storica e la dice lunga sulla campagna diffamatoria e antimassonica in atto in Italia.

Ma ritornando a questa mia ricerca, con essa cercherò di evidenziare, specialmente per i Fratelli più giovani nati in questo paese, chi era Giuseppe Garibaldi e che cosa ha significato per l’Italia, in modo semplice e comprensibile; spero di riuscire in questa impresa.

Questa mia ricerca si divide in due direzioni ben distinte tra loro, così come fu la vita di questo grande personaggio:

da una parte il Garibaldi soldato, generale, eroe risorgimentale universalmente riconosciuto ed osannato;

dall’altra, il Garibaldi massone, che in questa sua veste è stato ed è tuttora ignorato dalle masse, avversato dagli storici e dai politici e snobbato perfino dagli stessi Fratelli Massoni.

Ma chi era veramente Giuseppe Garibaldi?

Cercherò di rispondere a questo interrogativo senza dilungarmi oltre il consentito in pesanti ricognizioni e riferimenti storici sul passato nel quale Garibaldi operò. Riferimenti, che appesantirebbero questo mio scritto con tutto un elenco di date, di località e di nomi di personaggi, in gran parte sconosciuti ai più.

Tuttavia, per inquadrare il personaggio e per capire meglio le motivazioni che portarono Garibaldi a diventare il paladino di un popolo, è però necessario illustrare il contesto sociale e politico del periodo storico in cui tutto ciò accadde.

Ci troviamo nella prima metà del 1800 in pieno Risorgimento e con il termine Risorgimento si è soliti denominare quel particolare periodo di storia italiana nel quale si crearono le condizioni nazionali ed internazionali per la nascita, lo sviluppo e l’affermazione di un movimento politico-popolare finalizzato alla realizzazione di uno stato indipendente ed unitario.

Importanti trasformazioni nel resto dell’Europa, ma specialmente in Francia, con l’avvento al potere della borghesia dopo la rivoluzione francese e la radicale trasformazione dei rapporti di produzione in Inghilterra, modificarono il quadro di tutta la storia del tempo e influirono in maniera determinante sull’arretrata realtà italiana di quegli anni.

Tanto per fare un quadro riassuntivo di come era configurata l’Italia in quel periodo storico possiamo dire che essa era così suddivisa:

al nord, il Piemonte sotto la supremazia francese; il Friuli e parte della Lombardia sotto l’Austria; il Granducato di Milano e le repubbliche di Genova e Venezia autonome; al centro, lo stato Pontificio, il Granducato di Toscana e il Granducato di Modena; mentre al sud, il regno di Napoli, il Regno delle due Sicilie, e il Regno di Sardegna.

I momenti più significativi del Risorgimento Italiano si possono identificare con le 3 Guerre d’Indipendenza contro l’Austria: la prima avviene negli anni 1848 -1849; la seconda nel 1859 e la terza e definitiva guerra nel 1866, che vede l’Italia in parte vittoriosa e l’Austria in parte sconfitta, ma decisamente ridimensionata nelle sue ambizioni territoriali.

Questo il quadro politico economico e sociale dell’Italia nel secolo 19esimo e in questo contesto nasce cresce e si fa largo un personaggio nuovo:

Giuseppe Garibaldi

Le sue origini sono abbastanza umili. Egli nacque a Nizza, nel territorio della Savoia, ora francese, ma all’epoca territorio italiano, il 4 Luglio del 1807.

Il padre Domenico possedeva una piccola barca con la quale praticava il cabotaggio, ovvero il trasporto di merci lungo le coste dell’Italia e nel bacino del Mediterraneo.

Egli avrebbe voluto che Giuseppe, il secondo dei suoi due figli, facesse un mestiere diverso dal suo; magari quello di avvocato, oppure di medico o finanche prete, tutto purché svolgesse un lavoro meno duro e massacrante di quello marinaro.

Sfortunatamente per lui, Giuseppe amava poco gli studi mentre amava il mare e l’avventura e le ambizioni del padre svanirono di fronte all’accanimento del figlio per la vita all’aria aperta, il mare e l’avventura.

Tant’era la sua determinazione che vedendosi contrastato dal padre in questa sua vocazione, solo 13enne tentò di fuggire per mare verso Genova ma venne fermato e ricondotto a casa.

A 25 anni divenne capitano di una piccola nave mercantile e durante uno dei suoi tanti viaggi verso l’oriente incontrò casualmente un genovese, un certo Gianbattista Cuneo, che pare lo iniziò alla Giovane Italia, un movimento clandestino che tentava di liberare l’Italia dagli oppressori.

Decisivo per Garibaldi fu l’incontro con Giuseppe Mazzini nel luglio del 1833.

Rimase colpito dagli ideali di libertà e di ribellione di quel piccolo gruppo di uomini che all’epoca era considerato “sovversivo” e quindi fuorilegge, ideali che Garibaldi in cuor suo condivideva pienamente.

Dopo aver aderito alla carboneria e militato in essa al fianco di Mazzini per qualche tempo, Garibaldi venne condannato a morte come rivoluzionario nel 1834 e per sfuggire alla forca fuggì in America Latina dove rimase per 12 anni.

Quei 12 anni di vita americana furono il suo tirocinio come uomo d’azione e quì si distinse per valore e capacità di condottiero.

Incontrò Anita, una bella e avvenente brasiliana che per amore suo lasciò il marito seguendolo nelle sue imprese militari, diventando successivamente sua moglie e regalandogli 2 figli.

Mentre Garibaldi si trovava ancora in America, giungevano intanto dall’Italia notizie di tumulti e agitazioni patriottiche cominciate a Roma dopo l’ascensione di Pio IX al trono papale.

Per un cumulo di sventure che durava da secoli, l’Italia era la nazione più avvilita e disprezzata che vi fosse in Europa; il destino le invia Garibaldi non soltanto il suo liberatore, ma la prima ideale figura di uomo e di eroe.

E nessun eroe fu più moderno di lui poichè egli sapeva obbedire quanto comandare.

Garibaldi servì Re e repubbliche comandando eserciti in battaglie cruente e sanguinose; eppure questo campione di tutte le cause giuste fu più ammirato che compreso, più acclamato e festeggiato, che aiutato nel compimento dei suoi grandi disegni sociali e ideali di riforma.

Partecipò con successo alla battaglia per la difesa di Roma dalle truppe francesi nel 1848 e per la prima volta si ritirò nell’isola di Caprera nel 1857.

Pur relegato volontariamente nella piccola isola, Garibaldi non perse mai l’interesse per la politica nazionale.

Successivamente si avvicinò alla monarchia sabauda incontrando Vittorio Emanuele e Cavour prendendo sempre più le distanze da Mazzini.

Il concetto dell’unità Italiana, fino a quel momento era stato una dolce e poetica astrazione di menti elette come Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Niccolò Macchiavelli, senza mai divenire però coscienza di popolo.

In quel tempo, oltre a Garibaldi ci furono anche altri uomini, egregi nel pensiero e nell’azione, che si stavano impegnando nella stessa battaglia; tuttavia essi agivano localmente e separatamente l’uno dall’altro, senza interessarsi minimamente di quanto accadeva in altre zone d’Italia.

Fuochi sparsi, quindi, fuochi di paglia, destinati a esaurirsi in breve tempo senza lasciare traccia se non nella cronaca del tempo

Poi ci fu la svolta determinante: lo sbarco in Sicilia dei Mille capitanati da Giuseppe Garibaldi.

Partiti con due navi dallo scoglio di Quarto, una località vicino a Genova nel 1860, fu questo manipolo di volontari, appunto 1000, ad aprire la strada verso l’unità nazionale dell’Italia.

Al grido di: «qui si fa l’Italia o si muore», Garibaldi guidò le sue camice rosse di battaglia in battaglia fino alla vittoria e alla conquista prima della Sicilia, e poi alla liberazione dell’intera Italia del sud.

Il 26 ottobre del 1861 avvenne lo storico incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele:

«Saluto in Vittorio Emanuele il primo Re d’Italia» con queste parole Garibaldi di fatto consegnò al Re piemontese tutta l’Italia meridionale.

Visto l’entusiasmo e la popolarità che la sua persona scatenava nelle folle deliranti per le sue imprese, Garibaldi avrebbe potuto approfittare di questa sua posizione per ottenere privilegi personali, onori e denaro per se e per i suoi figli.

Ma egli non volle alcun favoritismo nè alcun riconoscimento.

Si ritirò invece con un sacco di sementi e pochi soldi nella sua amata Caprera dove rimase per la vecchiaia e dove morì il 2 giugno del 1882.

Una delle caratteristiche del pensiero e della propaganda di Garibaldi fu la sua ostilità verso il clero, che indicò come il principale fattore di corruzione del popolo italiano ed il papato la rovina dell’Italia.

Anche su questo terreno, però, egli era incapace di qualsiasi azione violenta per la fondamentale bontà d’animo; riconosceva che non tutti i preti erano uguali ed esaltava quelli attenti al bene comune.

Vagheggiava una religione senza dogmi e senza culto, con Dio al di sopra di tutto e una legge morale con l’amore per l’uomo e la natura quali concetti fondamentali per una vita felice.

Fu Gran Maestro della Massoneria Italiana nel 1864 anche se la sua reggenza durò pochissimo a seguito di disaccordi con gli altri Fratelli, che gli fecero rassegnare le dimissioni dalla carica, e Gran Maestro Onorario “ad vitam”.

Non sono ben chiari i motivi che portarono Garibaldi a rassegnare le dimissioni da Gran Maestro della Massoneria Italiana, nè possiamo in questa sede azzardare ipotesi che potrebbero non corrispondere alla realtà dei fatti.

Sta di fatto che qualunque siano stati i motivi del dissidio tra l’Eroe e gli appartenenti al “parlamento” massonico del tempo, essi divennero insanabili.

Negli anni che seguirono la morte di Garibaldi, ci furono tante occasioni per ricordare la figura dell’eroe; ma tracciare il suo profilo storico avrebbe comportato inevitabilmente di definire e chiarire la parte avuta nella vita dell’Ordine dalla sua tormentata ricostituzione fino al momento delle dimissioni volontarie di Garibaldi da Gran Maestro.

I vari Gran Maestri che si susseguirono nel tempo cercarono in tutti i modi di evitare pericolose prese di posizione utilizzando il solo rimedio possibile: l’oblio.

Garibaldi non è mai stato visto di buon occhio dai Fratelli Massoni del suo tempo: i motivi di questa diffidenza vanno ricercati nelle motivazioni storiche di quel tempo.

Infatti, all’epoca in cui Garibaldi venne eletto Gran Maestro nel 1864, Massoneria e Politica camminavano di pari passo. Il presidente del Consiglio Francesco Crispi si vociferava fosse Massone, così come numerosi altri politici e parlamentari dello stesso periodo.

Tutti noi sappiamo che politica e Massoneria non possono nè convivere nè conciliarsi tra loro nè tantomeno percorrere strade parallele se non in difesa di diritti etici e morali dell’uomo, come avvenne con l’Illuminismo che condusse alla rivoluzione francese.

Giuseppe Garibaldi fa eccezione in questo: eletto la prima volta al parlamento piemontese nel 1848 rimase parlamentare fino al 1876 per ritirarsi definitivamente a Caprera dove morì.

Egli utilizzò il parlamento della nuova e giovane Italia non per soddisfare ambizioni personali o per illeciti arricchimenti come fu per altri parlamentari, ma come cassa di risonanza per la divulgazione delle proprie idee.

Egli si impegnò con generosità in battaglie sociali a favore delle classi povere e di quella parte della società meno previlegiata, soprattutto per le popolazioni del Sud dell’Italia a lui tanto care.

Avversava sia i preti che la chiesa romana (e con ragione: non dobbiamo dimenticare che fino al 1870 il potere temporale dei Papi aveva influenzato in negativo la storia e lo sviluppo dell’Italia e del popolo italiano), mentre certe sue affermazioni ce lo dipingono come credente:

«Semplice bella e sublime è la religione del vero; essa è la religione di Cristo poiché tutta la religione di Cristo si poggia sull’eterna verità. L’uomo nasce uguale all’uomo.

Quindi non fate ad altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi e solo chi non ha mai fallito può gettare la prima pietra »

Questo brano tratto dal suo testamento autografo è un chiaro simbolo di fratellanza e di perdono; dottrine che se praticate dagli uomini costituirebbero a suo modo di vedere, quel grado di perfezione e di prosperità al quale l’uomo dovrebbe arrivare.

Garibaldi fu un vero Massone, interprete cioè della coscienza dell’umanità.

“I benefattori dell’umanità non nascono in tempi felici, nè la loro infanzia è cullata sulle ginocchia dei grandi e dei potenti.

Cristo, il Redentore, nasce fra un popolo schiavo sulle tracce della Roma imperiale dei Cesari, oppresso da falsi sacerdoti, scribi e farisei e la sua parola diventa promessa di redenzione per tutte le genti”.

Nelle sue memorie autografe, cioè scritte di suo pugno, abbondano le prove di privazioni e fatiche da Lui sopportate che avrebbero ucciso qualunque altro uomo non dotato di altrettanta eccezionale vigoria fisica e morale.

Quando si trattò di giudicare un suo persecutore, invece di rivalersi sul rivale e accanirsi contro di Lui per i tormenti subiti, egli lo mandò libero.

«Non voglio neppure vederlo – disse – avrei paura che la sua presenza, ricordandomi tutto il peso delle sofferenze subite a causa sua, mi facesse commettere un’azione indegna di me e del mio nome italiano»

L’intima costituzione psicologica di un uomo è come un brillante sfaccettato, che non si può ben conoscere se non lo si osserva prima da ogni lato singolarmente, per raccogliere poi nella mente la sua immagine complessiva.

Un altro dei fattori importanti della figura di Garibaldi, fu una specie di misticismo naturale, una tendenza alla meditazione continua, che pur senza le manifestazioni esteriori di questo o quel culto religioso, si espande libera per tutta la natura    e circonda gli uomini e le cose di una dolce aureola di poesia e di idealismo, fecondo di energie morali.

Afferma l’eroe: «Adottai la formula religiosa e Dio, perché è la più comprensibile per le masse. Ma i veri sacerdoti, per me sono i Copernico, i Newton, i Franklin ed i Galileo, poiché sono  gli uomini di genio e di intelligenza i veri preti dell’umanità ».

Garibaldi fu un guerriero vero che non amava la guerra e ricorreva alle armi come estrema risorsa, come il chirurgo che incide le membra per salvare la vita del malato.

Non era entrato in nessuna scuola e non si chiuse mai in una sola politica: sapeva che la guerra è necessità della morte, quindi vi serviva per gli altri e ne usciva senza aver odiato il nemico, non chiedendo al vincitore che la libertà del vinto.

«Venite – egli diceva ai suoi volontari – o generosi cui da ribrezzo l’oppressione del giogo della servitù. Venite, io non posso offrirvi nè caserme nè munizioni: vi offro fame, freddo, sole, battaglie e morte. Chi ama la Patria mi segua» e migliaia di giovani e meno giovani lo seguivano.

E se queste parole squillavano formidabili ai nemici, se sconvolgevano l’Italia come una tempesta, se mettevano fiamme nelle vene dei prodi, ciò accadeva perché brillava in esse la più santa luce del sincero altruismo, perché l’uomo che così parlava era l’incarnazione di un’epoca, di un intero popolo, che si ribellava ai ceppi dell’oppressore straniero e voleva risorgere nella sublime Pasqua della Libertà.

Garibaldi era notoriamente povero: visse tutta la sua vita rifuggendo il denaro e gli onori per morire umilmente e dignitosamente povero.

Questa è stata la sua grande forza, il suo carisma e questo è stato “anche” il suo peggior difetto.

Eh si, perché i politici, i potenti, i suoi avversari e finanche i suoi Fratelli massoni avevano paura di Lui.

Temevano la sua lealtà, temevano la sua intransigenza di uomo giusto, temevano la sua incorruttibilità di uomo onesto e non gli perdonavano queste doti che lo ponevano al di sopra della mediocrità degli altri individui.

Diceva Cavour: “Come ci si può fidare di un potente che ama mangiare con la truppa o come accettare come capo supremo un uomo che invece di raccogliere onori e consensi, ama ritirarsi in un’isoletta come Caprera per coltivare la terra?”

Inconcepibile certo per la personalità ambiziosa di Camillo Benso Conte di Cavour. Eppure sono proprio questi tratti che rendono Giuseppe Garbaldi un mito che oltrepassa la leggenda del guerriero, che marca tutto il periodo del Risorgimento e in generale tutto il secolo scorso.

Ma in fondo questo è il destino riservato ai grandi: per diventare un mito, una leggenda, un sogno, un richiamo, un eco, un riflesso, un ricordo, ogni grand’uomo, in ogni epoca, ha sempre dovuto fare i conti con l’invidia e la gelosia degli altri. E in questo Garibaldi non fa eccezione.

Faceva paura e soggezione quel gigante di virtù: meglio quindi scordarsi di Lui, o meglio, conveniva lasciarlo cadere nell’oblio o addirittura tacere la sua esistenza.

Ecco il perché di questo imbarazzante e fastidioso silenzio che circonda la figura mistica di questo nostro grande e indimenticato Fratello Massone.

Con questa mia ricerca, anche se limitata, spero di avergli reso almeno in parte giustizia.

Grazie

Paolo Agostini and Antonio Maiorana

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