Bioetica e società
Relazione per la Conversazione “Intorno al Tavolo” del 14/4/97
Organizzata dal CENTRO STUDI di v. S.Egidio 35R – Firenze
Premessa
Nella stampa di questi ultime settimane, i “mille giorni al 2000” ed il messaggio misterioso della cometa Hale Bopp con il suo carico di idrogeno e carbonio, stanno un po’ sovrapponendosi agli interrogativi che stavano caratterizzando questa fine millennio. Ma le preoccupazioni generate da una interminabile sequela di confessioni di fallimenti da tutte le parti son sempre più forti.
Sono fallite le ideologie politiche e religiose; lo stesso Cristianesimo sta attraversando una grave crisi di identità, sono fallite le filosofie e con queste si dice che sia fallita anche la scienza (o per lo meno lo sfruttamento tecnologico che ne è stato fatto).
In effetti queste confessioni che appaiono sui mass-media partono incredibilmente proprio dagli stessi autorevoli personaggi che avevano cavalcato sino a ieri le relative correnti di pensiero, che le avevano consolidate nella loro testa in concetti semplificati o stereotipi da “comunicare” (perché per loro era importante avere un’adesione la più ampia possibile) e non avevano mai voluto ammettere, nemmeno a sé stessi, che la realtà è molto più complessa (come solo oggi si inizia a riconoscere…).
Nello stesso tempo, tuttavia, si è verificata una significativa evoluzione della possibilità di leggere la realtà in modo più scettico e critico, con strumenti più perfezionati in grado di andare più in profondità e tutto questo ha sconvolto gli schemi dialettici tradizionali. Chi non è in grado di comprendere questo divenire sempre più veloce, si sente perso.
La stessa cosa è successa per l’etica, intesa come riflessione, sia individuale che del “comune sentire”, sui comportamenti umani, sui fini e sui valori (ethos orientato al telos)
La sua graduale perdita di consistenza, non sostituita con altri valori, ne ha reso via via più evidente la sua mancanza. E chi ha riscoperto la necessità dei suoi valori si è anche reso conto della totale incapacità dei vecchi modelli di rispondere ai nuovi interrogativi che si affacciano sul 3° millennio.
Il quale nuovo millennio sta aprendosi con due imperativi:
innanzitutto il superamento della crisi dell’ethos, cioè della morale incarnata nei costumi, nelle istituzioni, nel modo di pensare collettivo, ovvero delle cosiddette evidenze etiche comuni.
In secondo luogo la capacità di rispondere con un comportamento etico alle possibilità enormi che il progresso della scienza ha aperto alla tecnologia, per cui l’umanità si trova di fronte a problemi mai esistiti in precedenza: ingegneria genetica, la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali, la problematica della comunicazione, il prolungamento della vita dell’uomo, la distribuzione dell’occupazione al lavoro e del benessere nel mondo, le migrazioni; problemi immensi, tutti condizionati o minacciati dall’attuale modello dell’economia e dell’industrializzazione massiccia dell’intero pianeta.
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Gli eventi recenti
In questi ultimi mesi lo scenario mondiale della biologia è rimasto sconvolto da almeno 4 eventi che hanno rimesso in discussione concretamente sia la necessità di ridefinire una nuova etica, sia l’autorità che debba e/o possa assumersi la responsabilità di questa sua ridefinizione.
Gli eventi, in breve, sono questi:
1- In Italia. A seguito di una revisione del concetto di personalità dell’embrione fatta dal Comitato Nazionale per la Bioetica, revisione che puntualizzava il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone; (e ciò a prescindere dal fatto che all’embrione venga attribuita sin dall’inizio con certezza la caratteristica di persona che nel suo senso tecnicamente filosofico, oppure che si preferisca non utilizzare il concetto tecnico di persona e riferirsi soltanto a quell’appartenenza alla specie umana che non può essere contestata all’embrione sin dai primi istanti e non subisce alterazioni durante il suo successivo sviluppo). Alcuni movimenti di impronta sia religiosa che laica ponevano e pongono tuttora, con forza, il problema del riconoscimento giuridico dell’embrione, da applicarsi all’art.1 del Codice Civile sin dal suo concepimento.
2- In Scozia è stato reso pubblico il primo esperimento “ufficiale” di clonazione di un mammifero: più precisamente della pecora ormai universalmente nota come Dolly. Ciò ha aperto il discorso sull’eventualità, ormai vicina, che si possa clonare anche l’uomo.
3- L’allarme suscitato dall’evento Dolly ha messo in luce una pratica sommersa, ormai in uso da qualche anno, sulle manipolazioni genetiche volte non solo nel campo agricolo ma anche in quello degli allevamenti animali per alimentazione, oltre che destinati alla riproduzione di organi di ricambio per il trapianto nell’uomo (Maiali con fegato e cuore trapiantabili nell’uomo), oppure latte proteinico per lattanti ricavato da pecore con organi produttori del latte geneticamente “umanizzati”
4- Infine, ancora in Italia, la gestazione contemporanea in un unico utero di ovuli già fecondati provenienti da due coppie sterili.
Al di là di un commento specifico caso per caso, prendendo il problema nella sua globalità etica, limitata alle considerazioni che può fare chi appartiene al senso comune della gente, però che si ingegna ad esercitare un minimo di atteggiamento critico, possiamo fare le seguenti prime considerazioni generali.
1- Innanzitutto è importante precisare che anche l’evento della clonazione non ha assolutamente messo in moto scoperte e/o interrogativi sconvolgenti rispetto alle conoscenze teoretiche che si avevano già. Caso mai l’esperimento ha confermato tutte quelle ipotesi che sono a fondamento delle convinzioni mie personali e del contesto nelle quali le ho maturate, che prevedono come il DNA dell’uomo sia composto di due campi dei quali il primo, comune a tutta la specie umana, conserva l’impronta indelebile ed immodificabile (almeno per ora) della sua creazione. Viceversa l’altra subisce l’impronta dell’ambiente e viene trasmessa; per cui il lavoro transgenerazionale, simbolicamente rappresentato in Massoneria dalla “Catena d’unione”, ha un senso anche biologico quando il suo significato etico viene indirizzato al “bene dell’Umanità”.
2- in secondo luogo sono stati messi in discussione i rapporti tra autorità spirituali ed autorità laiche (dove per laico non è compreso il significato di laicista= nemico della religione; si intende qui per laico chi non fa discendere le proprie convinzioni dai dogmi di qualsiasi natura essi siano e quindi non appartiene alle scuole di pensiero relative)
Per cui appare sempre urgente che si faccia più chiarezza tra legge morale e legge giuridica: la autorità spirituali hanno tutto il diritto di parlare alle coscienze delle persone, ma non possono obbligare a comportamenti morali, non universalmente condivisibili, imponendoli con la legge. Ci dovrebbe essere maggior rispetto per le libertà civili dei cittadini in quanto tali.
Viceversa è compito esclusivo degli Stati promulgare leggi a difesa della dignità e degli interessi dei cittadini stessi. Non per niente esiste una Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo. Questa considerazione introduce il punto successivo:
3- La sperimentazione e l’applicazione delle biotecnologie non è un problema che può essere circoscritto nell’ambito di un singolo Paese ma ha un carattere planetario: è stato già abbondantemente dimostrato dal caso, sempre inglese, della “mucca pazza” . Di conseguenza occorrerebbe una regolamentazione e legislazione che fosse altrettanto planetaria1; ma non esiste ancora una autorità riconosciuta (come l’ONU, o la FAO) cui affidare capacità di definire una bioetica universale (e tantomeno un’etica generale) e i poteri legislativi e di controllo relativi. O quantomeno di emettere opportune direttive.
4- Andando al punto delle definizioni bioetiche vere e proprie, esiste oggi un grande dibattito, peraltro limitato agli esperti direttamente interessati, tra due fronti nettamente contrapposti: etiche fondamentaliste e dogmatiche contro etiche eminentemente tecnologiche
In realtà all’interno del campo laico vi è un ulteriore dibattito dovuto essenzialmente alla posizione dei ricercatori (che poi sono quelli che appaiono sui media con maggior rilievo) che sono anche applicatori. Per cui i risultati dei loro esperimenti appariranno sempre fortemente condizionati dall’interesse di chi promuove le loro applicazioni (non solo le case farmaceutiche ma anche una nascente e sempre più florida industria bio-tecnologica). Poiché la ricerca pura non può essere condizionata dai limiti che dovrebbero essere imposti a chi fa applicazione, sembrerebbe evidente che i campi della ricerca e della applicazione debbano essere regolamentati da etiche diverse. Ma questo concetto, non si sa perché, è ancora molto vago; quasi sicuramente perché non è ancora chiaro a chi spetterebbe il finanziamento dei costi della scienza pura. (alle Università, al mercato o al volontariato come fatto in Italia con la Ricerca sul cancro ? Oppure a Fondazioni private dotate di regole etiche fortemente istituzionalizzate e controllate anche attraverso le tasse, come recentemente sta anche succedendo in USA?).
Una prima riflessione: le recenti vicende della bioetica come metafora del processo di rinnovamento di modelli etici
Queste prime considerazioni, come abbiamo già detto, non provengono da un esperto che vede il problema dall’interno del mondo della ricerca o dell’applicazione della bioetica o comunque coinvolto nelle problematiche di quello specifico contingente, ma dall’esterno. Una esperienza che si limita ad essere soci della Consulta di Bioetica Laica e che quindi è attenta, in qualche modo, a questi problemi. Ma lo fa anche provenendo da un contesto, quello massonico, che si occupa prioritariamente di etica come scelta di vita individuale e sociale e che quindi, come uomo uomo libero, cerca spontaneamente di immaginare e proporre, magari un po’ utopisticamente, modelli sociali etici come possibile soluzione dei problemi epocali della società. Sono considerazioni che in sostanza partono da punti di vista e da valori di base che appartengono a tutt’altra ermeneutica.
Chiaramente lo scenario mondiale della medicina e della biologia è soltanto uno degli scenari attuali nei quali l’uomo continua a trovarsi in difficoltà crescenti. Del resto i modelli stessi della società mondiale, ed in particolare quelli del nostro Paese, sono già in discussione accesa; si sente continuamente parlare di proposte, indirizzi, annunci di cambiamenti clamorosi: commissioni su commissioni. Ma niente da cui traspaia un disegno, un programma, un’etica, ecco, un’etica che non sia specifica delle singole problematiche, come la riconfigurazione dell’idea di famiglia, il rinnovamento della scuola o i nodi insolubili nei quali è inesorabilmente incappato il mondo del lavoro. Manca cioè un’idea etica comune che in sostanza, con il proporre un significato alla vita delle singole persone, le leghi, come nuova religio-ne dell’uomo, in un progetto di nuova società, non ideologica, più di quanto non abbia voluto e saputo fare l’energia motrice che sino ad oggi ha realmente mosso la storia, cioè l’economia.
Cercherò di affrontare più specificatamente questi temi , seppure brevemente., nel prosieguo, in quanto prima desidero ritornare a parlare di bioetica. Ritengo infatti che questo tema abbia assunto oggi il ruolo di paradigma esistenziale di primaria importanza in quanto, coinvolgendo la salute e la vita stessa dell’uomo, ne acuisce la sensibilizzazione verso il bisogno e l’urgenza di vederne , da una parte, definiti i comportamenti ed i limiti (raffigurabili nell’ambito dell’etica professionale degli operatori), dall’altra sollecitati gli sforzi diretti a debellare le nuove malattie che emergono senza tregua e sempre più minacciose dietro quelle già debellate (legassi speranze nelle biotecnologie).
Quindi le vicende della bioetica sono da considerarsi una vera e propria metafora dei processi o dei cammini che debbono essere compiuti in ogni settore della società per arrivare a riconfigurare un modello sociale più accettabile per l’uomo del 3° millennio che riteniamo, speriamo, sarà migliore.
Ma c’è anche un altro motivo ed è quello di capire bene il ruolo che gioca o che deve giocare la scienza in questi processi di ridefinizione. Se si intende il progresso della Scienza come sviluppo della capacità dell’uomo di afferrare Conoscenza di ciò che “è” riteniamo cruciale iniziare da essa quel processo che, in contrapposizione alle fedi rivelate, ci può mettere in condizione di afferrare lo scopo di ciò che è in modo tendenzialmente oggettivo, e quindi maggiormente condivisibile da tutti, per arrivare ad una comprensione maggiormente generalizzata di un’etica finalizzata alla crescita dell’individuo e delle generazioni a venire; in breve un’etica della responsabilità generazionale.
Infine è emerso in questa breve nota un altro problema estremamente importante, talmente importante che richiederebbe una trattazione specifica: il problema dei contesti, della loro incomunicabilità relativa e della necessità di un’ermeneutica comune e nuova della storia (epistemologica) e della realtà dell’uomo e della natura.
Ciò detto, torniamo alla bioetica con l’esperienza del Manifesto di Bioetica Laica per cercare nei suoi fatti concreti più significativi un significato che abbia un valore generale e quindi, in un certo senso, paradigmatico.
Il Manifesto di Bioetica Laica come officina aperta
Nel giugno del 95, il quotidiano Il Sole 24ore, nel suo supplemento culturale della domenica, aprì un dibattito, aperto ai suoi lettori, su di un Manifesto di Bioetica laica elaborato da Carlo Flamigni, Armando Massarenti, Maurizio Mori ed Angeli Petroni.
L’iniziativa ufficialmente era tesa a proporre alcuni principi generali a difesa dell’autonomia individuale e del pluralismo etico come base di un confronto civile tra sostenitori di posizioni morali diverse. In realtà non era possibile ignorare che proprio in quel momento il Comitato nazionale per la bioetica, diretta dal Prof. D’Agostino, stava discutendo sul tema “Identità e statuto dell’embrione umano” . Quindi l’obiettivo evidente degli autori del manifesto era di ricercare adesioni critiche che potessero costituire un ampio fronte culturale in opposizione a quello ristretto del Comitato nazionale.
Il Manifesto avanzava, ed avanza come premessa, una giustificazione di laicità della bioetica soprattutto come portatrice “di un pluralismo di valori ugualmente ultimativi ed ugualmente legittimi, a cui si accompagna il pluralismo dei gruppi e degli individui che ne sono portatori, siano o non siano essi credenti”.
Quindi espone alcuni principi che legano la visione laica alla natura della conoscenza e del suo progresso, come:
– il progresso della conoscenza è esso stesso un valore etico fondamentale.
– l’amore della verità è uno dei tratti più profondamente umani, e non tollera che esistano autorità superiori che fissino dall’esterno quel che è lecito e quel che non è lecito conoscere.
– l’uomo è parte della natura, e non opposto alla natura. Essendo parte della natura, egli può interagire con essa, conoscendola e modificandola nel rispetto degli equilibri e dei legami che lo uniscono alle altre specie viventi.
-il progresso della conoscenza è la fonte principale del progresso dell’umanità, perché è soprattutto dalla conoscenza che deriva la diminuzione della sofferenza umana. Ogni limitazione della ricerca scientifica imposta nel nome dei pregiudizi che questa potrebbe comportare per l’uomo equivale in realtà a perpetuare sofferenze che potrebbero essere evitate.
Questi principi sono particolarmente rilevanti per quanto riguarda il progresso delle conoscenze nella genetica umana e nelle terapie genetiche. “Voler conoscere quel che costituisce la propria natura biologica, fino ai componenti ultimi, non è ybris, ma è espressione dello stesso amore di conoscenza che spinge l’uomo a conoscere tutta la natura. Voler intervenire su questa natura biologica al fine di diminuire la sofferenza non è espressione di nichilismo ma di amore dei propri simili”.
E’ in nome di questi principi, e nel rispetto delle convinzioni religiose dei singoli individui, che si richiedeva di approvare un codice deontologico che garantisse agli individui di poter decidere per proprio conto ponderando i valori – talvolta tra loro confliggenti – che quelle scelte coinvolgono, evitando di mettere a repentaglio le loro credenze e i loro valori. In pratica fede completa nella scienza medica messa in grado di rispondere ad ogni etica particolare e di conseguenza resa libera di applicare la “sua etica superiore” in quanto dispensatrice comunque di “miracoli contro la sofferenza e contro la stessa morte”. Quindi riconoscimento di una autorità superiore, simile a quella del giudice, nella figura dello “esperto scienziato”.
Inaspettatamente, per gli autori, il Manifesto ha subito suscitato grande interesse critico, polarizzando l’attenzione pubblica per quasi due mesi sulla stampa, e sino ad oggi su Internet. (Note di bioetica
[http://www.symbolic.parma.it/bertolin/bioetic.htm]
)
Anche se, come sembra, sia mancato quel consenso plebiscitario puntuale che i suoi promotori speravano, tuttavia il dibattito si è ritrovato arricchito di un considerevole apporto di contributi pervenuti anche attraverso le magiche reti di Internet. E qui sta l’aspetto significativo dell’evento. Oltretutto il 12 luglio 1996, quindi nel frattempo, il “Comitato nazionale per la bioetica” diretto dal Prof. D’Agostino, aveva emesso il documento conclusivo sull’Identità dell’embrione, altrettanto significativo: tutte le divaricazioni ideologiche proposte dai singoli componenti la commissione, si sono ripetute puntualmente quasi a testimoniare che fuori dal campo della politica materiale, dove qualsiasi accordo è reso possibile da ragioni di convenienza, i principi ideologici singolari tendono a non concorrere nè, tanto meno, a integrarsi. Il contrasto implicito, accuratamente nascosto nella formalità del documento medesimo è poi è esploso clamorosamente proprio qui a Firenze dove nel Convegno del 1/2/97 il Forum delle Associazioni Familiari (appoggiato dal Movimento per la Vita) ha avanzato la già citata proposta di modifica dell’art.1 del Codice Civile.
I significati del lavoro compiuto
Il ventaglio dei punti di vista che ora si presenta sta mettendo in luce non solo l’inconciliabilità scontata (non ancora per tutti, evidentemente…) tra fondamentalismi (sia religiosi che politici) e detentori del potere tecnologico, ma soprattutto l’emergere di un considerevole apporto di contributi non ufficiali (individuali, scuole di pensiero o tradizioni di lavoro), che costituiscono nel loro complesso un’attestazione palese di una società pluralista ed in qualche modo libera (o che aspira ad esserlo sempre di più); di una crescente cultura che ha una gran voglia di credere un poco di più nella capacità dell’uomo di saper trovare la giusta strada da solo.
Ogni lavoro di quelli presentati ha detto sicuramente qualcosa di importante e nuovo, (anche fuori dai solchi di culture ufficiali sempre più alle corde …), comunque utile per la crescita di chiunque vi abbia dedicato un poco di attenzione; ma ha reso del tutto evidente l’immaturità di una vera cultura laica fondata su principi oggettivi condivisi da tutte le verità etiche (soggettive) che vi confluiscono. E’ ormai evidente che manca del tutto un lavoro metodologico di maturazione, un modello strutturato con una tradizione di lavoro, soggetto a continua verifica con procedimenti di retroazione, di tipo auto referenziale . Come del resto è già previsto nelle società più avanzate.
E’ così che tutte queste vicende nel campo della bioetica, trascendendo il problema specifico, secondo il mio parere, sono assurte al livello paradigmatico di una passaggio etico-culturale di natura epocale. E di questo forse non se ne sono accorti né i gli addetti alla bioetica stessa. chiusi nelle loro problematiche, né gli stessi filosofi di regime, chiusi nei loro contesti storici divenuti muti, e nemmeno i difensori delle etiche metafisiche sconcertati dai messaggi sempre più difficili da assimilare, provenienti dagli indubbi successi della scienza. Non parliamo poi dei partiti politici che, appena hanno provato ad affrontare il problema, come successo recentemente, si sono visti lacerare al loro interno da divisioni che finivano con il privilegiare le coscienze individuali piuttosto che le ferree discipline dei tradizionali schieramenti politici.
Ma veniamo ai significati dell’evento-Manifesto
Già lo stesso documento ci era sembrato subito criticabile sotto diversi punti di vista.
Innanzitutto, se esso avesse affrontato la generalità delle possibilità che l’evoluzione della Scienza sta offrendo all’Umanità , come pure l’insieme dei problemi cruciali che affliggono quest’ultima e che in qualche modo “debbono essere risolti”, sicuramente la richiesta di ” riconoscimento di autorità” fatta a nome degli esperti di bioetica, sarebbe apparsa subito come improponibile, anche alla stessa classe medica, per l’evidente analogia con le altre problematiche esistenziali. Si veda ciò che è successo nel campo nucleare o dell’agricoltura con i fitofarmaci e così via.
In secondo luogo non vi appariva evidente, come avrebbe dovuto essere, la differenza tra Scienza e Tecnologia, comportando queste aspetti e prospettive etiche che sono in realtà, completamente diverse tra loro. Infatti l’assunzione di un’etica di responsabilità nell’uso della tecnologia è, di fatto, già accettata dalla morale corrente come deontologia e, caso mai, dovrebbe essere difesa più energicamente in considerazione dei troppi casi di insufficienti prese di posizione della categoria.
Ma soprattutto inaccettabile era la sua rivendicazione di un’etica di responsabilità che discendesse direttamente dalla Scienza, e questo è il vero problema. Innanzitutto la Scienza, per l’inalienabile rigore della sua ricerca nella conoscenza della realtà, non è in grado di suggerire ciò che l’uomo può o non può fare. Tra scienza e ricerca di un significato della vita, compreso quella del medico bioetico, c’è un abisso di incomunicabilità razionale.
E’ stato sempre compito delle religioni e delle filosofie gettare un ponte che scavalcasse questo abisso e collegasse la realtà che è fuori di noi a ciò che è nel più profondo di noi stessi.
Ma ora che entrambi sono in crisi o non danno più risposte soddisfacenti o esaurienti, sarebbe assurdo continuare ad evitare l’abisso, praticando la via o della non-scienza o della non-etica invece di scavalcarlo.
Sono venuti meno i punti di riferimento classici.
Perché ho affermato che le Religioni e le filosofie sono in crisi?
Essenzialmente perché il corso epistemologico della mente umana sta gradatamente riportando, secondo il processo già concepito con il Rinascimento e iniziato con l’Illuminismo, il problema del significato della vita umana da una domanda al mondo metafisico alla realtà che ha, che deve avere, che non può non avere in sé stessa le tracce della propria creazione; e quindi quelle risposte sconosciute e forse inconoscibili che l’Uomo nel frattempo può solo supporre, chiamandole in vario modo Verità, Conoscenza, Gnosi.
Di fronte a questo processo le religioni, possono anche illudersi di ricavare ancora energia dal bisogno di sicurezza di una umanità disorientata, ma la tendenza quasi generalizzata al fondamentalismo è una prima denuncia di allarme. Quando parlo di religione, dovrei chiarire che mi riferisco, in prima battuta e per tradizione familiare, alla Chiesa cattolica; ma chiarisco subito che nel mio ragionamento sono comprese, per similitudine epistemologica, anche quelle come l’ebraica e mussulmana, che prendendo a fondamento le rivelazioni codificate nel “libro”, si sono di fatto costituite come autorità non solo spirituali ma anche sociali, essendosi inserite come elementi di identità anche nelle specifiche culture o etnie. Questa loro autorità, così tenacemente difesa nella loro specificità, proprio quando la realtà denuncia l’esistenza di una legge naturale della vita di carattere universale, non è più sostenibile, per cui essa è sempre più rimessa in discussione proprio dal suo interno.
E’ realisticamente illusorio il pensare che una sola delle religioni che si contendono l’autorità della verità, possa salvare il mondo quando c’è un’altra metà del pianeta che crede piuttosto nelle capacità dell’uomo. Ed è questa seconda metà che possiede la scienza. (senza tener conto poi di quelli che credono esclusivamente al caso!)
La ragione della seconda affermazione è tratta dall’attuale problematica culturale che sta investendo attualmente la filosofia classica, che peraltro era stata la culla, almeno fino al XVII secolo, sia dell’etica che della scienza stessa. Si sta infatti costatando un progressivo dissolvimento del suo ruolo in ogni campo abbia voluto fare a meno del supporto dei mezzi propri della Scienza. E’ proprio di questi tempi il suo mesto costatare che, dopo il fallimento delle sue ultime ideologie, anche nel campo della metafisica non è più in grado di sostenere validamente alcun modello sia di fronte alla “rivelazione” biblico-cristiana, sia contro il nichilismo Nicciano.
Per cui nessuno si aspetta più che debba essere la filosofia classica a dirci che cosa è la realtà e come essa sia strutturata e strutturabile.
Di fronte a queste due crisi, ora è la Scienza ad essere chiamata sempre più insistentemente ad assumersi un compito determinante e da protagonista; ma anche questa tendenza nasconde in sé un pericolo enorme: si tende ad ignorare infatti, (scambiandola ancora una volta per tecnologia), che essa non potrà mai tradire il suo stretto rigore e quindi non potrà mai assumere compiti che vadano al di là di una razionalità dimostrabile empiricamente (vedi nota B a fondo testo). Perderebbe infatti automaticamente quell’alto livello di considerazione che si è guadagnato agli inizi de secolo e che va sempre più consolidandosi da quando sta tentando di organizzarsi in una forma unitaria ed unificata della conoscenza.
Ma che cosa è allora questa Scienza? come possiamo definirla?
A proposito io posso citare l’Istituzione a cui appartengo ed il relativo metodo di lavoro con il quale ho costruito la mia mente e la mia anima. La Massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato è sensibile, e deve esserlo in concreto di più, alle verità della Scienza se la scienza è ciò che migliora noi stessi. Ed in tal senso, attraverso i suoi simboli, in particolare la Scala della Conoscenza, definiamo Scienza ciò che ci porta, attraverso i secoli, ad interrogare sia l’infinito dell’Universo e le incommensurabili profondità del microcosmo che gli abissi e le qualità del nostro spirito. Ed è Scienza anche ciò che affina gli strumenti della nostra ricerca e le capacità di applicarle a tutta la specie umana ed alla natura in cui vive, per cui diventa Scienza anche la capacità di cogliere la realtà sociologica del vivere umano per costruire, partendo dai dati particolari dell’analisi3, modelli strutturali più affinati e complessi, e seguirli costantemente per verificarne l’esattezza. E soprattutto è Scienza, la più alta, quella che scopre ed imposta con gli strumenti più avanzati, come l’altissima matematica, (il sommo degli strumenti dell’uomo, quello che più l’avvicina al Dio Creatore) sempre nuovi modelli e nuove sfere di validità del pensiero umano. Se ad ogni grado di questa Conoscenza si è anche in grado di adeguarvi l’etica dell’Uomo, come è metodo dell’Arte Reale, si potrà dire che Scienza, Filosofia e Fede appartengono ad un’unica sfera, la più alta, dell’essere dell’Umanità e la fa essere veramente simile a Dio; (simile al Dio Creatore che è lo stesso centro di tutte le credenze, mentre le sue diversità non possono stare altro che nella mente dell’uomo!)
Pertanto, tornando al Manifesto di Bioetica laica, ci è sembrata errata anche la sua scelta del di porre il problema nell’ambiguo dilemma: Religione-Laicità, ossia Dogma-Ragione. Come non esiste una filosofia omologata altrettanto non esiste una visione laica che possa parlare a nome di tutti quelli che “non credono nelle Chiese”: il nulla, il caso, il caos, i dogmi, l’inizio dell’esitenza della materia e la fine dell’uomo, sono soltanto idee che da sempre hanno motivato, nel bene e nel male, la nostra vita. Nel frattempo però, l’uomo, perseguendo una rinata fede in sé stesso, si è evoluto non solo tecnologicamente ma anche in senso epistemologico; la matematica è diventata il suo sesto senso e ciò gli ha permesso di concepire e sperimentare ipotesi e modelli sempre più complessi, gestiti in modo pluridisciplinare ed ipergenerazionale, per avvicinarsi ad una possibile verità non solo fisica ma anche metafisica; una Verità nel suo divenire, definibile simbolicamente come “Conoscenza” nel processo:
conoscere-Scienza-Conoscenza-Etica-responsabilità.
Occorre fissare nuovi punti di riferimento, nuovi paradigmi.
In sostanza tra la verità che può offrirci la Scienza, e solo la Scienza, e l’etica della persona che intende assumersi la responsabilità di Uomo, sta proprio la Gnosi, il simbolo di ogni Conoscenza, di ogni razionalità epistemologicamente concepibile, tendente, con continuità, verso il suo telos, verso l’Armonia. E’ proprio un simbolo e non una verità, cioè il simbolo della Gnosi, la funzione-ponte che può catalizzare la simbiosi delle due massime capacità naturali che distinguono l’uomo da tutte le altre specie animali: il conoscere e la responsabilità. Il conoscere che porta alla Scienza, da una parte, e la responsabilità che discende dall’etica. Quindi, per usare un simbolo specifico e quindi meno equivoco, il paradigma diventa:
conoscere-scienza-Gnosi-etica-responsabilità
E questa immagine di due mondi incomunicabili tra loro se non attraverso il simbolo definito come Gnosi, e quindi la strutturazione di questo collegamento senza del quale il processo non avrebbe continuità logica, è ciò che in fondo costituisce il filo di questo ragionamento.
Ciò definito, il prossimo passo per una possibile soluzione del problema ( o strategia per l’obiettivo che ci siamo proposti…) è l’interpretazione dei dati che ci offre la nostra sete di conoscere, il nostro istinto ad indagare, nel campo bioetico e no, per definire una nuova Gnosi, una Conoscenza proiettata non solo nella ragione ma anche nell’anima, una Verità da mettere in azione come idea di ciò che è giusto o non lo è; un’immagine appena intravista dell’anima dell’Umanità; un telos per cui la vita possa acquistare un significato.
L’idea di Giustizia tra Libertà e Responsabilità
Con questa esperienza e per iniziare questa ricerca etica comune, universale o umanistica che sia, o contribuire a ciò che altri hanno già iniziato, sento ora di dover impegnare sempre più le profondità del mio essere “persona” per ritrovarvi un primo principio elementare sul quale tutti potremmo anche essere d’accordo; un principio più a monte di ogni altro affinché, sulla base di quanto detto precedentemente, esso riguardi l’uomo preso come appartenente ad una specie umana, nel momento in cui questa deve fare i conti con sé stessa, indipendentemente da come venera il Dio che l’ha creata. Da questa fonte ne scaturisce un paradigma (illuminista?) articolato in quattro affermazioni:
Ogni uomo ha “significato” non per il suo essere vivo in un piccolo lampo di tempo fuggente nell’Universo, ma solo per la sua capacità di scegliere, in ogni istante, tra l’Essere ed il Nulla”
Il concetto di Uomo non ha senso al di fuori del concetto di Anima Universale, perché significherebbe rifiutare il suo passato ed il suo futuro, arrendersi ineluttabilmente al principio della Morte: la diversità antropocentrica tra gli uomini pesa tuttavia sul presente e sulla loro libertà di scegliere il proprio destino e ipotecare il futuro.
Solo gli uomini possono affermare ciò che è giusto e ciò che sarà giusto;
ma debbono imparare prima ad amarsi per riconoscere l’atto di giustizia in sé stessi. Solo essi hanno il potere dell’atto equilibrante ed armonizzante; ma debbono prima capire che solo nella tolleranza si può riconoscere l’armonia. E cosi scorrendo di generazione in generazione.
Fino a quando? L’uomo può avere una speranza: l’ultima scelta sarà quella della Giustizia definitiva, la Grande Opera, e forse Dio farà finalmente ciò che l’Anima Universale dell’Uomo gli ha chiesto. Alternativa a questa speranza è la certezza della Morte. Le religioni non si illudano e non continuino ad illudersi: con la distruzione o la degenerazione del pianeta nessuna “anima” si salverà.
La scelta di ciò che è giusto è nella libertà degli uomini del presente.
Se solo gli uomini possono affermare ciò che è giusto, qual è la vera Giustizia?
La risposta è sicuramente nel cuore degli Uomini, di tutti, ma essi non sanno ancora leggervi. Certamente la Conoscenza del presente si dibatte tra supposizioni escatologiche ed evoluzioniste che sono partite da ipotesi molto, molto lontane tra loro. Se e quanto comincino a convergere è ancora impossibile a dirsi.
Certamente, partendo dalla ipotesi plotiniana per la quale tutte le cose, tutte le leggi fisiche, tutti i principi e concetti sono tra loro interconnessi nell’Universo, è ragionevole pensare che solo nel loro Equilibrio e nell’Armonia cosmica l’uomo possa trovare il suo vero Io. E’ quindi da questo Equilibrio e Armonia che potrebbe derivare il concetto di Giustizia. Questa risposta dell’Uomo, per la verità, potrebbe non essere un fine ultimo, ma potrebbe comunque essere una meta necessaria; per lo meno l’unica, come opzione, che abbia una validità razionale.
La realizzazione di ciò che sembra giusto è nella libertà degli uomini del presente.
Anche se l’uomo fosse sicuro che questa fosse la Verità, non vorrebbe vederla e tantomeno accettarla. Allora questa Verità “in azione” va difesa. A questo scopo nel passato era tenuta nascosta, affinché non venisse distorta dall'”uomo di fango” che non sa riconoscerla. Essa era il Segreto che i pochi “uomini di luce” (liberatisi dal fango) dovevano proteggere; ma anche, seppure in qualche modo, proporre agli altri, affinché si compia il dovere degli uomini del presente . Ma come?
Anche per questa strada, dunque, si arriva alla stessa domanda conclusiva: come?
La prima reazione a questa domanda, reazione istintiva di chi “conosce”, “vede” o “crede di conoscere, di vedere” non un’Utopia, ma una Verità, non può essere altra che quella di estrarne, con la ragione, le verità divenute progressivamente razionalizzabili per trasformarle continuamente in principi di giustizia leggibili da tutti.
Esperienze, principi fondamentali, enunciazione di diritti, punti di riferimento, condanne dei comportamenti irrazionali, concetti tutti da proporre, discutere, vivere con gli altri.
Il pluralismo dei contesti
Se questa è la via che a me sembra percorribile, altri la pensano ovviamente in modo diverso.
Ma come è possibile arrivare ad un’unica interpretazione quando noi stessi siamo convinti che il pluralismo delle verità sia un valore insopprimibile?
Qui entra il gioco il meccanismo funzionale di due categorie importantissime del conoscere: la critica ed il giudizio, ognuna delle quali ha le sue regole che l’attuale civiltà consumistica e la radicalizzazione dei suoi nemici stanno gradualmente assopendo con il pericolo di farle dimenticare.
Il diffondersi del pensiero critico è indispensabile in ogni fase di necessaria analisi, ma il suo disperdersi diventa negativo quando si giunge al momento di costruire. Chi appartiene ad una Tradizione di lavoro che guarda sempre al di là del contingente e costruisce per convergenza delle coscienze, e che quindi ha tutta l’esperienza vissuta nei propri laboratori-Logge, lo sa molto bene quale può essere la strada da seguire. Ma sa anche che occorrono dei valori a fondamento ed un arte, che per brevità possiamo esprimere simbolicamente come l’arte dei costruttori di cattedrali: valori molto elementari per essere condivisi da tutti ed il dialogo continuo tra le libertà di pensiero individuali; critica individuale e giudizi che, pur rimanendo sempre soggettivi, fluiscano tuttavia in un mondo delle idee che vive come un’anima virtuale della loggia, di un contesto o di una società.
Anche le religioni hanno la loro propria anima virtuale , il loro popperiano “mondo 3“, e queste, dal momento delle rispettive rivelazioni di 2 , 3 mila anni fa, sono arrivate ai tempi presenti in qualche modo, comunque sempre gestite, generazioni per generazioni, da uomini, seppure “uomini di luce”, ma sempre uomini e non dei.
Ritornando all’esperienza del Manifesto – per riprendere l’uso specifico della sua metafora – molti sono stati, dunque, i contributi costruttivi pervenuti; ne vorrei citare soltanto due tra quelli che mi sono sembrati più significativi ed aperti verso un bisogno di cambiamento.
Il primo, del Prof. Dott. Riccardo Venturini (Medico-chirurgo – Ordinario di Psicofisiologia clinica all’ Università degli studi “La Sapienza” di Roma – membro della Direzione della Fondazione Maitreya ,Istituto di cultura buddista) , invita a riflettere sul fatto nuovo rappresentato oggi dal contributo delle scienze umane (dalla psicologia al diritto, all’antropologia culturale,ecc.) in quanto queste, non potendo non interessarsi ai principi ed ai valori a cui la condotta si inspira, sembrano in grado di offrire una possibilità di superamento delle contrapposizione tra etiche religiose e quelle laiche, per confluire in quella che lui propone di chiamare “etica umanistica”. Questo processo si giustifica con il fatto che le organizzazioni sociali persistono ancora a strutturarsi in modo da mettere in conflitto le norme necessarie alla sopravvivenza della società con quelle universali necessarie al pieno sviluppo dei suoi membri.
Egli ricorda come tutte le principali culture hanno già evidenziato che i sistemi etici universalistici mostrano notevoli simiglianze nell’indicare nel superamento dell’egocentrismo dell’io separato (in tutte le sue articolazioni: dall’indifferenza all’antagonismo e all’ostilità) la via per soddisfare il bisogno di senso e realizzare esperienze di sempre più larga unità con la Vita e con gli altri, pensando e agendo in modo “uni-verso”. Da questo superamento la condotta morale risulta spontaneamente come necessità connessa allo sviluppo delle coscienze.
Depurati da dogmatismi e autoritarismi, gli insegnamenti delle grandi tradizioni sapienziali possono e debbono essere recuperati e pienamente inseriti nella nuova visione umanistica della vita. Sulla base di questa autonomia individuale, di questa libertà di scegliere sui criteri della propria personale scelta etica è possibile allargare la sfera del rispetto della vita con l’inclusione degli aspetti soggettivi, cioè di ciò che si usa chiamare qualità della vita, e di cui fanno certamente parte la liberazione della sofferenza, l’empatia e la compassione, la difesa della libertà di esprimere e praticare valori diversi.
Per altro verso Lino Rizzi – Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma -, dal momento che un’etica laica, definibile come etica pubblica condivisibile, non può prescindere dalle ragioni più profonde, comprese quelle religiose, che sole possono mettere in gioco sé stessi pena l’apatia, indica la terapia nel concetto di Rawls del “consenso per intersezione”. Ossia in una società pluralista gli attori entrano in rapporto tra loro ciascuno con le proprie credenze. Essi “possono” pervenire ad una decisione condivisa a due condizioni :
1) che nessuno dei partners chieda all’altro di rinunciare alla propria identità:
2) che ciascuno eserciti verso il suo personale ideale una sospensione di validità , che si interroghi con le ragioni dell’altro.
Quindi una cittadinanza morale è rispettosa degli ideali di ciascuno.
Entrambi, in sostanza, hanno messo in evidenza, seppure per strade diverse, la possibilità di ricercare “per intersezione” o per massimo comun denominatore, come penso personalmente, la necessità di un colloquio tra culture e contesti diversi.
Ma hanno anche ammesso la necessità che sia i contesti religiosi che laici, siano critici con sé stessi, in fondo ammettendo che per quanto metafisici siano le loro fondamenta o le loro verità sapienziali, comunque le relative interpretazioni sono sempre operate dall’uomo e quindi disponibili al confronto entrando ognuno nella mente dell’altro.
Peraltro l’intervento del Buddista ha messo in luce un elemento in più (che dimostra quanto in fondo pur partendo da punti di vista diversi si arriva a conclusioni comuni: ): la necessità del superamento dell’io egoista, che in fondo è l’operazione che avviene nell’apprendista delle logge massoniche. E che parimenti è stato il punto di partenza dell’selvaggio illuminista di Rousseau, come dell’Io “unico” proprietario di sé stesso di Max Stirner. Egocentrismo spinto fino alla più profonda conoscenza di sé stesso e delle relative proprietà fisiche e spirituali, come punto di partenza e metro di confronto per costruire una morale spontanea basata sul riconoscimento agli altri delle stesse proprietà che si riconoscono per sé. Ma superamento che è possibile solo se si percorre liberamente e con metodo, la strada che i maestri insegnano. Ovviamente i processi relativi sono infinitamente più complessi ed articolati, ma questa fase del cammino dell’umanità sembra dimostrare una volta di più che si può superare l’attuale disordine etico e la relativa anomia asociale solo con la rivalutazione dei contesti di ogni tipo, religiosi o laici, purché dotati di tradizione e di volontà di rispettarsi e conoscersi reciprocamente, rimanendo comunque ognuno diverso dall’altro.
Ho parlato di necessità di tradizione e questo per un motivo tipicamente illuminista: il metodo di lavoro, l’arte del saper costruire ognuno la propria cattedrale, trasmessa di generazione in generazione come un mestiere, rappresenta il vero principio della crescita generazionale dei singoli contesti e quindi della società, come la scienza evoluzionista-adattativa, dopo tre secoli, continua a dimostrarne la fondatezza, anche dal punto di vista bioetico. Nel contesto e nella tradizione cui appartengo questo principio è rappresentato dalla catena d’unione, “QUI QUASI CURSORES VITAE LAMPADA TRADUNT”, e questo simbolo può diventare, non solo per noi, ma per tutti, quello fondante di una nuova etica sociale. La capacità del superamento dell’io proiettato verso il futuro è anche, come abbiamo già detto, la nostra responsabilità verso le generazioni future. Sarebbe illusorio conservare per loro l’ambiente ecologico o migliorare la capacità di allungare la nostra vita o soffrire meno se non daremo loro anche la stessa capacità e libertà di scegliere tra l’essere ed il nulla, che chi c’era prima di noi ci ha conquistato e che ancora abbiamo.
L’etica e la società.
Se infine tutte le affermazioni che abbiamo fatto, che vanno dalla responsabilità di fronte alle generazioni future
alla necessità che i singoli contesti culturali facciano uno sforzo per confrontarsi ed imparare a dialogare tra loro,
all’individuo che acquistata consapevolmente la propria libertà naturale superi sé stesso (rinascita) per realizzare quella condotta morale che, anche attraverso i valori dei propri contesti, rispetti gli altri,
e se tutte queste affermazioni vengono poste sul piano sociale, ci accorgiamo di essere arrivati ad un altro punto cruciale: punto che è poi determinato dall’incrocio equilibrante di due ordini di problemi che di fatto hanno animato ogni politica ed ogni cultura delle ultime generazioni:
Il conflitto tra deboli e potenti e la questione morale intesa quest’ultima come crescita della società civile attraverso l’autorità della legge e dell’apparato o attraverso la crescita dei cittadini. Questi due conflitti sono risolubili solo attraverso due vie: quello della solidarietà e quella dell’armonia.
Mi accorgo di aver usato termini il cui significato può essere diverso secondo i contesti in cui vengono usate e quindi penso che siano utili delle precisazioni.
La solidarietà a cui ho fatto riferimento non è certamente il termine usato per affrontare problemi quali quello delle pensioni o delle lotte sindacali e così via. Occorre andare alla sua accezione più generale e naturale quale può essere, ad esempio, nel campo del lavoro lo spirito che deve unire tutti gli operatori di questa naturale attività dell’uomo. Quindi composizione cosciente a livello individuale dei conflitti tra imprenditori e subordinati. Le loro reciproche funzioni non sono antitetiche nei confronti della società ma complementari tra loro ed hanno le stesse responsabilità nei confronti dei terzi. Già 100 anni fa Durkheim aveva avanzato queste ipotesi, subito soffocate dal marxismo e dal liberismo di Torqueville; è urgente ripensarci, almeno a livello europeo.
L’armonia molto spesso viene erroneamente assimilata all’ordine. E’ invece quella sottile linea, per sua natura instabile, che separa l’ordine dal caos. Nel campo sociale l’ordine è rappresentato dall’apparato che diventa forte soffocando la libertà del singolo cittadino, diventando terreno di sviluppo di una giustizia che legalizza le diseguaglianze, come denunciava Rousseau.
Viceversa il caos prende origine dall’io proprietario assoluto di sé stesso, profetizzato da Stirner, il quale non avendo ancora maturato, o non volendolo fare, le problematiche del vivere insieme, permane nello stadio egoistico diventando terreno di sviluppo dell’anomia e del disordine sociale. La stabilità dell’armonia è condizionata dall’esistenza o meno di una morale regolata attraverso la ritualità e da quanto questa stessa ritualità sia ricca di elementi sacri.
E quindi il sacro. Dove per sacro non si intende una funzione esclusiva dell’anima religiosa, ma una categoria della mente che sente la necessità di proiettare, di sacrificare il proprio io su dei valori che la trascendono e sui quali arde il fuoco di un esistere comune. Per un significato così alto, chiaramente condivisibile in modo solidale ed armonico per cui “conviene” anche a chi si sente completamente libero, concedere anche agli altri ciò che si attende per sé stessi.
Ecco quindi che il sacro diventa una categoria insopprimibile anche nei momenti in cui sembra prevalere il freddo regno della pura razionalità, poiché si collega, in modo articolato, all’etica condivisa. Si chiude quindi il ciclo del “conoscere, come razionalità rigorosa della scienza” -“articolazione della Gnosi” – “etica espressa in fondazioni di sacralità” ed infine “responsabilità dell’agire nella spontaneità del proprio essere, liberi anche dalla propria volontà”.
Soltanto tenendo presente anche queste definizioni è possibile riaffrontare radicalmente, al di fuori di qualsiasi ideologia politica o qualsiasi comandamento proveniente dalle religioni, i cardini della società che sono la famiglia, la scuola il lavoro.
Sacra è la famiglia, laicamente sacra, quando svolge la funzione vitale della procreazione e crea intorno al fanciullo (che percepisce esclusivamente il linguaggio dell’emozione e dell’affetto) quell’armonia che sola può permettergli di fare, nella piena sua libertà, la sua prima scelta etica.
Come avviene quando la Loggia lavora in grado di Apprendista.
Sacra è la scuola: perché è un cammino iniziatico che il fanciullo percorre per diventare adulto. E’ un cammino che inizia quando le prime scelte morali del fanciullo coincidono con il verde formarsi della sua razionalità e quindi la scuola deve dare prioritariamente la possibilità di inserire armonicamente e con fiducia l’essere etico del fanciullo nel primo contesto che incontra, varcando le soglie della sua famiglia, qual è appunto la scuola.
La scuola è dove il giovane studente deve imparare a lavorare su sé stesso senza condizionamenti per diventare uomo libero e responsabile prima che specializzato
E quindi, in una società oltreché tecnologica fortemente tecnocratica, prima delle attitudini professionali essa ha il dovere di sviluppare la capacità critica e l’arte rituale della partecipazione allo sviluppo dei giudizi comuni. E infine deve dare modo ad ogni giovane di sperare che il mondo del lavoro, non solo soddisferà le sue aspirazioni esistenziali ma continuerà anche ad arricchirlo di quella cultura dell’anima e della mente di cui ha bisogno.
E’ quindi ovvio che il ruolo degli insegnanti debba essere caratterizzato da una vocazione di tipo soprattutto etico, quale quello di “maestri” liberi e coscienti della propria responsabilità, piuttosto che “ufficiali” del dovere deciso altrove. Funzionalmente è a loro che spetta aiutare i futuri adulti a scegliersi il proprio cammino nella piena libertà “naturale” di sé stessi.
Pertanto la scuola è sacra al pari della famiglia, e del successivo mondo del lavoro, purché essa sia metaforicamente come un tempio nel quale si svolga una cerimonia rituale dove si fondono armonicamente due generazioni, discepoli e “maestri”, in un continuo susseguirsi di successione dei ruoli, come una catena, una tradizione che si evolve incessantemente; come avviene quando la Loggia lavora in grado di Compagno.
Sacro è il mondo del lavoro: La cooperazione per l’acquisizione del cibo è uno dei principi biologici insiti naturalmente nella specie umana e che ne caratterizzano la differenza rispetto agli altri animali del Pianeta. L’uomo, da quando ha acquisito l’idea lineare del tempo, l’ha istituzionalizzata come lavoro; e se questo lavoro avviene nella fraternità, esso acquisisce pari dignità della solidarietà parentale, che costituisce la base dell’etica. E’ il lavoro, assieme alla difesa istintiva del gruppo, che ha predisposto l’uomo alla socialità: anzi da sempre ne costituisce la motivazione portante. Tuttavia, affinché questo paradigma naturale assicuri l’armonia di una società giusta, occorre che la relativa solidarietà sia concepita senza alcuna discriminazione, in modo razionale, verso tutti gli altri individui e questo atteggiamento di reciprocità deve partire liberamente da una scelta interiore della persona che dona, nel modo migliore, quella parte di sè stesso che giustifica il suo associarsi con gli altri: appunto, il suo lavoro.
E’ il lavoro che crea la libertà della persona proprio nel momento in cui si innalza al livello di espressione della vera natura della persona stessa, dopo che questa sia stata sacralmente purificata da ogni peso egoistico. Da questa velocissima considerazione risalta il notevole ritardo in cui viene a trovarsi la società laica nella concezione del lavoro, inteso soltanto come “fatica dovuta” al diritto di sopravvivenza anziché libera espressione della natura dell’uomo. La solidarietà nell’impresa, invece, dovrebbe essere concepita come collaborazione conveniente tra tutti i suoi operatori in tutte le sue funzioni finanziarie, intellettuali e manuali, come già avviene, spontaneamente ed al di fuori delle regole gerarchiche tradizionali, nelle piccole imprese a carattere familiare o artigianale. E tutto ciò è perfettamente compatibile sia con le leggi del libero mercato che con la libertà di scelta lavorativa di ogni cittadino. Ma poiché, come abbiamo detto, il presupposto di questo modello è proprio la concezione “della persona che si realizza nella socialità”, una società avanzata dovrebbe allargare l’organizzazione strutturale del lavoro anche ben al di là dei limiti imposti dalle leggi dell’economia, offrendo ai cittadini tutte le opportunità possibili, libere e pluralistiche, per la loro continua crescita professionale, culturale ed interiore. Il lavoro è, allo stesso tempo, etica esistenziale e nutrizione dello spirito; opportunità di dialogo, di partecipazione e trasmissione della memoria e del senso comune.
Lavorare è, in sostanza, essere persone presenti nella molteplicità, come avviene quando la Loggia lavora in grado di Maestro.
Ed infine sacro è l’individuo nella semplice definizione che gli è stata riconosciuta dall’art.1 della dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. E’ una sacralità, la sua, che deve vedere ancora riconosciuti troppi dei suoi diritti. Tanto per ritornare al punto di partenza di questo tema sulla bioetica, si dovrebbe parlare ancora di aborto, di eutanasia, degli anziani, dei rapporti tra medicina e malati, di equilibrio tra screening di massa e diritti alla riservatezza, e così via. Ma occorrerebbe soprattutto ritornare, ancora più a monte, al significato originale di Bioetica intesa soprattutto come equilibrio globale tra Uomo e Natura.
Ma ci sono le condizioni per farlo? I processi di definizione bioetica, tuttora in corso, possono riscuotere la nostra fiducia? Sono fondati sugli stessi principi etici in cui noi crediamo? Esiste già una loro condivisibilità sufficientemente estesa, ben al di là cioè dei semplici meccanismi valutativi delle democrazie politiche?
Conclusioni sulla società
Se la strada che l’uomo percorre nel tempo deve passare attraverso un fase di riflessione planetaria, io penso che sia giunto il momento in cui l’originale tradizione illuminista rompa l’intreccio culture-poteri di quest’ultimo secolo di fine millennio, e riprenda la propria strada riaffidandosi ad un paradigma razionale (nel senso che sia comunicabile e comprensibile universalmente) come ci hanno insegnato Rousseau, De Condillac, Kant, Darwin, Max Stirner, Durkheim, Simone Weil, Hanna Arendt, Popper ed altri per non citare i viventi. Solo per questa via è possibile reinterpretare la nuova realtà riconosciuta e ridefinire la nuova etica conseguente, in tutta la complessità delle loro matrici. Infatti la nuova scienza della complessità, che peraltro dovrebbe essere ben nota a chi opera nel campo della microbiologia, sta dimostrando come ogni minima interazione tra gli agenti di un modello complesso o tra gli stessi e l’ambiente esterno, può influire in modo del tutto imprevedibile sui suoi sviluppi, anche sulle generazioni a venire: per cui l’etica di responsabilità non è una nobile facoltà di pochi ma un dovere di tutti; non sono alcuni uomini che debbono crescere subito, ma tutta l’Umanità, gradatamente, molto lentamente, nei secoli.
Così le grandi Utopie illuministiche tornano (o possono tornare) ad essere leggibili, questa volta come modernissimi modelli di “complessi processi evolutivi di tipo adattativo”3.
Alle soglie del 2000 questo sembra essere il vero problema: o si salva tutta l’Umanità o si scompare tutti assieme.
Castelli Adolfo
Note
1)- Il dibattito internazionale sulla bioetica sta registrando due eventi importanti. Il primo è il documento Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità degli esseri umani nei riguardi della applicazione della biologia e della medicina, adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 19 novembre 1996 e che sarà aperto prossimamente alla firma e alla ratifica degli Stati membri del Consiglio, e di Australia, Canada, Santa Sede, Giappone, Usa. Il secondo è la versione preliminare della Dichiarazione universale sul Genoma umano e sui diritti dell’uomo elaborata dal Comitato internazionale di bioetica dell’UNESCO lo scorso dicembre. (Per fonte e maggiori particolari ved. nota A – a fondo testo)
2)- Analisi alimentata anche dalle testimonianze di eccezionali interpreti della realtà che con il loro spirito iniziatico e profetico ed una totale dedizione della loro vita hanno saputo precorrere i tempi.
3)- Vedi le ricerche sui modelli complessi di J.H.Holland riportati su “Complesità” di Waldrop
Note fondo testo
Nota A – ( da “Il dibattito sulla bioetica Un equilibrio tra rischi e benefici” di Angelo M. Petroni Da Il Sole 24 Ore del 2/03/1997.:
“Il dibattito internazionale sulla bioetica registra due eventi importanti. Il primo è il documento Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità degli esseri umani nei riguardi della applicazione della biologia e della medicina, adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 19 novembre 1996 e che sarà aperto prossimamente alla firma e alla ratifica degli Stati membri del Consiglio, e di Australia, Canada, Santa Sede, Giappone, Usa.
Il secondo è la versione preliminare della Dichiarazione universale sul Genoma umano e sui diritti dell’uomo elaborata dal Comitato internazionale di bioetica dell’UNESCO lo scorso dicembre.
Il primo documento parte dall’assunto che “l’interesse e il benessere dell’essere umano deve prevalere sul solo interesse della società o della scienza”. Questo principio generale guida le prescrizioni della Convenzione nelle questioni relative alla terapia medica; alla ricerca scientifica effettuata su persone; all’espianto di organi da persone viventi; all’intervento sul Genoma umano. Nei primi tre campi, il principio si traduce nella prescrizione che deve sempre esservi il consenso informato da parte degli individui interessati “riguardo allo scopo e alla natura dell’intervento, come pure delle sue conseguenze e i suoi rischi”. Ma questo consenso non deve essere interpretato nel senso che all’individuo deve venire fornita conoscenza anche al di là di quella che egli desidera. Esiste anche un diritto a non essere pienamente informati, se così si vuole.
Nel quarto campo, il principio si traduce nella prescrizione che ogni intervento che tenda a modificare il Genoma umano dev’essere condotto per scopi preventivi, diagnostici o terapeutici “e soltanto se il suo scopo non è quello di introdurre una qualsiasi modificazione nel Genoma di un qualsiasi discendente”. Sono quindi proibiti gli interventi volti a modificare le caratteristiche genetiche non legate a malattie.
La Convenzione vuole con ciò stabilire delle regole che permettano di evitare che sorgano contrasti tra i diritti fondamentali degli individui e la libertà di ricerca in campo medico e biologico, che è un valore in sé e insieme ha valore strumentale per la salute e il benessere degli stessi individui.
Da un analogo riconoscimento parte la Dichiarazione dell’UNESCO: “La ricerca, che è necessaria per il progresso della conoscenza, è parte della libertà di pensiero. Le sue applicazioni, specialmente in biologia e in genetica, devono alleviare le sofferenze e migliorare la salute degli individui e il benessere dell’umanità nel suo insieme”. Ma proprio questo concetto di “umanità nel suo insieme” stabilisce una linea di differenza netta rispetto alla Convenzione del Consiglio d’Europa. Infatti, per la Dichiarazione dell’UNESCO, “il Genoma umano è eredità comune dell’umanità. Esso sottende la fondamentale unità di tutti i membri della famiglia umana, come pure l’essenziale dignità di ognuno dei suoi membri…il Genoma di ogni individuo rappresenta una specifica identità genetica”. La prospettiva è qui nettamente più olistica. Il Genoma umano, infatti, non è un’entità concreta, quali sono gli individui che nascono, vivono e muoiono, ma è un’entità astratta, frutto dell’elaborazione scientifica. Qui invece viene trattato come se fosse “una sostanza” che si “individualizza” nelle singole persone. … ”
Nota B – Ad esempio, il dibattito cattolico a livello teologico sta forse riscoprendo la necessità di un cauto e lento ritorno dal dogmatismo alla razionalità: si possono citare a testimonianza di ciò sia le esperienze altamente illuminanti di S.Weil, di Bonhofer, dello stesso Padre Balducci, sia le aperture chiaramente affioranti dai convegni 95-96 del Centro Agostiniano di S.Spirito a Firenze, dedicati all’Homo Viator. Nel saggio di Chiara Ronchetti su “Fede e Filosofia” è venuta prefigurandosi, attraverso la testimonianza di 8 filosofi cattolici, una “filosofia cristiana” fondata sull’uomo integrale, in quanto ragione, volontà, sentimento, amore, e cosi via. Quindi una filosofia posta tra Scienza e Fede. Dice Evandro Agazzi (pag.55):
“Una certa comprensione razionale di ciò in cui crede è necessaria ad ogni individuo umano nella misura in cui egli è di natura razionale. Non si vede infatti come mai si dovrebbe escludere dalla sfera religiosa proprio quella caratteristica ontologica dell’uomo, che lo fa diverso e superiore rispetto agli altri esseri del creato”. Ragione e fede non si escludono a vicenda, dunque, né sono incompatibili. Là dove inizia “l’iperrazionale” la ragione si ferma senza con questo smentirsi, ma cosciente della propria funzione e quindi anche del proprio limite.
E Dario Antiseri, preoccupato della progressiva debolezza di attacco e risposta ai problemi di oggi, degli strumenti concettuali della Chiesa cattolica, forgiati prevalentemente dalla cultura tomistica, si domanda “se non sia più adatta, per il cristiano, una filosofia di ascendenza kantiana la quale, piuttosto che fondare la fede, fa spazio alla fede. Non è forse migliore concordismo una filosofia che apre alla fede piuttosto che una filosofia che non riesce più a dimostrare né l’esistenza di Dio né l’immortalità dell’anima?”.
Nota C – Vorrei citare a proposito Norberto Bobbio il quale recentemente, sulla rivista Micromega 96 -“Almanacco di filosofia”, ha fatto due considerazioni : “da una parte non esiste più la Filosofia, ma molte filosofie; dall’altra non più molte scienze, ma la Scienza (La quale tende ormai ad unificarsi su pochissme teorie fondamentali parziali: la teoria generale della relatività, la meccanica quantistica. la teoria della complessità ed il cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare”). Corrispondentemente la filosofia dalla “ragione universale” si frantuma verso il “fatto personale”, mentre la scienza, dai “dati particolari” sale, o pretende di salire, alla “ragione legislativa”.
E nel prosieguo del suo articolo cita a sua volta Carlo Jaspers che alla domanda “di che cosa vive l’uomo”, risponde:
“Vi sono due tesi:
-l’uomo vive della fede nella rivelazione ed al di fuori non vi è che il nichilismo;
-l’uomo vive del sapere scientifico ed al di fuori non vi è che illusione.”
Il senso di tutte queste citazioni è che evidentemente il mondo oggi non ha, o si avvia a non avere più certezza alcuna tranne quella della Realtà oggettiva. Realtà che oltretutto non sappiamo ancora leggere. Forse l’esperimento, che con definizione ardita definirei come “scientifico”, iniziato tre secoli fa, con spirito illuminista come superamento della precedente fase alchemica, e che le Istituzioni Masoniche regolari, dopo tre secoli stanno ancora, ininterrottamente, portando avanti, continuamente perfezionando un complesso progetto etico, fatto per una società “divenibile” con il divenire della conoscenza, può essere la risposta.
Risposta che sicuramente sta tra le varie tesi contrapposte di Jaspers ed altri, in attesa di essere scoperta.
(Comunque le due tesi si contrappongono anche per la ricerca sulla trascendenza, in quanto mentre la Fede nella Rivelazione si preoccupa di difendere il proprio spazio dalle altre fedi concorrenti, la scienza si preoccupa esclusivamente di chiarire il grande interrogativo tra “realtà generata per un progetto creatore” e “materia esistente per caso”. Questo dilemma indica che c’è una sola fonte possibile per un’Etica che abbia un senso universale, a meno che non si recepisca il significato di una “nuova rivelazione” che accordi quelli delle rivelazioni precedenti, ormai antiche. Magari dietro la pressione sempre più incalzante delle verità oggettive della scienza…..!)
Nota D – ” Da Eraclito e Platone a Hegel e Marx, le relative epistemologie metafisiche sono state sempre intimamente associate alle idee morali e politiche dei loro autori. Tali costruzioni ideologiche, <presentate come se lo fossero apriori, lo erano in realtà aposteriori e volte a giustificare una teoria etico-positiva preconcetta>. Per la scienza, invece, esiste un solo apriori, il postulato di oggettività, che le evita, o piuttosto le vieta, di partecipare a tale diatriba. La scienza studia l’evoluzione, sia quella dell’universo sia quella dei sistemi che sono in essa contenuti come la biosfera, uomo compreso”. (da Jacques MONOD “Il Caso e la necessità (con citazione di K.R.Popper: Open Society and its enemies).
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“Discorso sulle origini della diseguaglianza fra gli uomini” Universale economica Feltrinelli – I Classici
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“Fisica e Filosofia: Il linguaggio umano della scienza” Il Saggiatore
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“Sulle teorie di Mach” Adelphi Ed.
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“Il caso e la necessità” I Saggi- Oscar Mondadori
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