TRASMUTAZIONE D’AMORE

TRASMUTAZIONE D’AMORE:

intervista sull’arte In occasione della mostra personale di pittura:

 “Trasmutazione d’Amore” a cura di Marco Palamidessi

-Bollicine d’Autore Art Gallery- Lucca, 3-18 maggio 2018

. Perché “ trasmutazione d’amore”? Il titolo “Trasmutazione d’Amore”, dato a questa mostra personale, è quello del quadro che rappresenta un grande uovo di gesso con accanto dei cipressi. Con il passare del tempo, questa vicinanza, mi sono immaginato, determina una “trasmutazione”, l’uovo ed i cipressi tendono ad assomigliarsi. L’uovo diventa più alto e più scuro mentre i cipressi più larghi e più chiari. Trasmutazione, pertanto, significa trasformazione, sostituzione, grazie alla nostra immaginazione, di un oggetto, di un paesaggio, di un essere vivente o non vivente in qualche cos’altro, di aspetto, di forma, di colore e di funzione diversa. E, solamente il sentimento d’“amore”, presente in noi, può muovere la nostra mente, la nostra creatività… la nostra anima, verso un atto di trasmutazione. Esso è così intenso che stimola la mente e induce a trascendere dalla realtà… ad andare oltre… a volare. Ecco che dalla mente prendono forma pensieri colorati, sogni, fantasie, desideri. Le idee si trasmutano in atti, in materia, in pittura, in “opere d’arte parlanti”, che a loro volta emettono altre emozioni, trasmettendo messaggi, mediante un linguaggio particolare, quello eterno, in “sub specie aeterni”. Parlare d’amore è difficile, tutti noi lo conosciamo, sappiano cos’è, ma definirlo con parole è arduo, forse non ci sono parole adatte ad esprimerlo. L’Amore è quella “Forza Magica dell’Universo” che unisce e tutto muove, dando vita ad ogni cosa: «Io (Logos) dimoro […] in ogni movimento che esiste nella materia tutta», come è scritto nel prologo del Vangelo di Giovanni. Johann Wolfgang von Goethe definisce questa forza: “movimento creatore e distruttore dell’eterno”. Esso è paragonabile al “Fuoco”, al movimento incessante della fiamma che tutto crea e tutto distrugge; così grande e potente da fare: “muovere il sole e le altre stelle”, come ha scritto il Sommo Poeta nel XXXIII canto del Paradiso, così forte, aggiungo io, da fare: “muovere il nodo seno atriale di Keth-Flack”, che rappresenta il pace-maker naturale del cuore di tutti gli esseri viventi: la sua attività dà l’impulso alla vita. Nel mondo greco-antico il concetto di “amore” era espresso con tre diversi termini: Agapē, Erōs, Philia. Specificare il significato di questi tre sfumature del termine “amore” rende tutto più comprensibile. Agapē: esprime l’amore incondizionato… totalmente disinteressato… al di fuori di ogni reciprocità, indipendente dai difetti o debolezze della persona amata, è l’amore della madre verso i propri figli. Questo termine viene utilizzato nella maggior parte dei casi in riferimento a temi religiosi. Erōs: è l’amore unidirezionale… è l’amore ossessivo e folle dell’innamorato, è l’amore totalizzante verso una sola persona. «Io sono nel vostro sangue e nella vostra anima; io mi sento in ogni palpito delle vostre arterie», così scrive Gabriele D’Annunzio ne “Il Piacere”, 10 63 parole che ci fanno comprendere la grande intensità della forza dell’Amore/ Eros; così come le parole scritte da Eleonora Duse al Vate: «… quando mi allontano da te…io perdo l’armonia della mia anima e del mondo (C’è-esiste un’armonia!)… in questa solitudine, così grande, così profonda -come il mare- come il mare io ti parlo e solo il pensiero di te mi fa vivere». La forza trascendente/ trasmutabile dell’amore/eros è svelata anche dalle delicate parole di questa poesia: “Quando nuoto nel mare sei mare. Se cammino sei terra sotto i miei piedi e quando penso diventi pensiero… ma immagino che se sapessi volare saresti cielo.” Philia: è un termine che indica semplicemente “ciò che è caro… ciò che ci piace”; è un amore più attenuato, un sentimento più debole, che coincide con quello dell’amicizia. Esso esprime un amore più laico, solidale, fra esseri umani, basato sulla speranza e sulla fiducia nell’altro, è l’amore di affetto, è l’amore di cui spesso ci aspettiamo un ritorno, come quello, appunto, tra amici che si fonda sul principio di reciprocità. 2. La componente onirica, fra il metafisico ed il surreale, della sua arte, da cosa scaturisce? La creazione artistica, secondo me, scaturisce dalla paura di soffrire e dalla paura della morte. Essa rappresenta una reazione di protesta interiore verso il destino a noi sconosciuto, per cercare di sopravvivere ad esso. Io identifico il mio “centro creativo” con la mia anima. L’anima, secondo me, è nata quando, per la prima volta, l’“uomo sapiens” (circa 300.000 mila anni fa) ha percepito il senso della morte. È in quel momento che l’uomo s’inventa l’eternità e con la sua mente inizia ad andare oltre il tempo umano, oltre il ciclo naturale delle stagioni. Così l’anima acquisisce magicamente la potenziale capacità di allontanarsi dal proprio corpo, di fuggire dal mondo reale, dal mondo visibile, verso un “non luogo”, un mondo invisibile, fantastico , verso l’“Eterno”. Io immagino la mia anima in preda a movimento continuo simile al mare. E, perché si ama il mare? Perché quando ci avviciniamo al mare, ci rassereniamo e diventiamo involontariamente gioiosi? Perché rimaniamo ipnotizzati quando lo guardiamo? La risposta è semplice: perché si “muove”, a volte è calmo a volte agitato come la vita di un uomo. Si muove come le nuvole, come i colori del “paesaggio” che variano lentamente ma inesorabilmente in un flusso incessante, istante dopo istante, dall’aurora all’alba, dal giorno al tramonto, dal crepuscolo alla notte; si muove come i girasoli “impazziti di luce”, come nella poesia di Eugenio Montale… che si muovono di continuo mostrando il loro “volto giallino agli azzurri cieli… al sole”. «L’uomo -come scrive Primo Levi ne “La Tavola Periodica”- è un intreccio di carne e di mente, di alito divino e di polvere»; secondo me l’anima è quest’“alito divino”, la parte più evoluta, più spirituale che è in noi… è il divino che è in noi. L’anima, come scrive Italo Calvino (Lezioni Americane), è la sede del “Sentimento”, dell’“Amore”, della “Conoscenza”, ma non della conoscenza razionale, matematica o militare, intendo quella conoscenza che ci permette di vedere “oltre il visibile”, di soffermarci sui colori, sulle forme, di creare o ricostruire situazioni fantastiche… immaginarie ed imprimerle nella nostra mente quasi da farle sembrare vere. Questa è la funzione dell’anima. Noi uomini, infatti, fluttuiamo sempre tra un mondo reale e uno immaginario, sul confine 64 di una realtà fluida, difficile da contenere in uno spazio certo. La nostra anima ha bisogno di sentirsi libera e per fare ciò ha bisogno dell’immaginazione che gli permette di uscire dal mondo reale ed entrare in quello fantastico, più favorevole e avvincente, dove tutto torna. Un mondo capovolto, ma che fa parte integrante del nostro vivere e che ci permette di ricercare la felicità ovunque, al di qua o di là del reale. Per questo l’anima è “energia pura”, è “movimento” che a sua volta ci muove, ci stimola a ricercare la “felicità”, la “conoscenza” e la “bellezza”. “Anima” in greco significa vento (ànemos), respiro (psyché). Per Omero, infatti, l’anima era l’ultimo respiro, ciò che restava dell’uomo dopo la morte. L’anima, quindi, ha un destino: quello di andare oltre la caducità del tempo (Crhonos), sotto forma di “memoria” o “ricordo” (Mnéme). L’anima, infatti, è la sede della memoria dell’individuo ed è ciò che resta vivo dopo la sua morte, altrimenti tutto si perderebbe rapidamente nel flusso del divenire. Tutto cadrebbe nell’oblio (Lèthe). Questa riflessione, apparentemente banale, è descritta divinamente da John Benanville (Teoria degli Infiniti): «… certo egli sa che dopo di lui ogni cosa continuerà grossomodo come prima, eccetto che ci sarà una minuscola assenza, un interstizio appena avvertibile nel cosiddetto ordine delle cose, un’unità in meno ormai. O neppure uno spazio vuoto dove lui stava un tempo, perché tutto si precipiterà a riempire quel vuoto. Ricordi di lui rimaranno nella mente degli altri per qualche tempo, ma a breve anche quegli altri moriranno, e le sue poche vestigia con loro. E poi tutto sarà buio». I poeti, i pittori, gli artisti in genere, al contrario degli uomini comuni, sono beneficiati dalla loro stessa arte, in particolare dai loro atti (opere) che gli concedono di essere allontanati più lentamente dall’oblio del divenire. L’anima degli artisti è come se fosse posseduta da un’“ispirazione divina”. Questa è una “particolare condizione che la rende “entusiasta”. Il termine “entusiasmo”, deriva dal greco, “en” (in… dentro) e “theos” (Dio… divino), cioè avere il divino dentro, Dio dentro di noi. Nell’“entusiasmo” non parla più il poeta ma il dio che lo abita. La creazione artistica, dice Omero (Iliade) non è una “scelta”, ma è “concessa” direttamente dagli dei. Questo “Invasamento divino”, come lo definisce Umberto Galimberti (Gli equivoci dell’anima), stimola magicamente profonde intuizioni… idee… che in seguito si trasformano in “poesia”, e in greco, il termine “poesia” (poesis), vuol dire “fare”, “produrre”, “creare”. In questa particolare situazione di grazia, tutte le emozioni, anche le più contrastanti, come la gioia, la sofferenza, vengono “trasmutate” -ecco di nuovo un atto di trasmutazione- in “bellezza estetica” fine a se stessa. Platone (Fedro) affermava che l’opera di chi cerca di avvicinarsi all’arte, senza essere posseduto dall’entusiasmo indotto dalla follia delle Muse, convinto di diventare artista solo per avere acquisito delle capacità tecniche, sarà del tutto inutile e sarà ottenebrata. In ugual modo, Salvatore Dalì, nel suo libro dal titolo: “50 segreti magici per dipingere” (scritto insieme alla sua Musa “Gala”) svela solo nell’ultima, delle 162 pagine, il segreto più importante: «L’ultimo segreto di questo libro, infatti, è che prima di tutto è assolutamente necessario che, nel momento in cui ti siedi davanti al cavalletto per dipingere il tuo quadro, la tua mano sia guidata da un angelo». Ecco, questo “angelo”, non è nient’altro che l’“anima dell’artista posseduta dall’entusiasmo divino”, senza il quale la “vera arte” non può esistere. Solo così, l’artista non sarà “ottenebrato”, oscurato dopo la sua morte, ma al contrario si renderà 65 immortale, eternandosi: “s’etterna” (Dante Alighieri, Inferno XV Canto), rendendo immortali anche le proprie opere. 3. Cos’è la pittura per Claudio Spinelli? Per me dipingere è un atto d’amore questa è la vera “Trasmutazione d’amore”. I “pittori ispirati” hanno sempre una netta e sublime sensazione di donare, con l’ultimo tocco di colore portato sulla tela, “un po’ di tempo”… un po’ di “immortalità” all’oggetto che stanno creando e regalare “tempo” è l’azione più amorevole che un uomo possa fare. La concezione del “tempo”, quello cronologico, che i greci lo definivano “Cronos” (differenziandolo dal tempo eterno “Anion” e dal tempo personale “Kairos”), rappresenta per qualsiasi uomo un affascinante e attraente tema; ma, per un artista è un “background” che non lo abbandona mai, è un confronto continuo tra il suo presente ed il tempo che passa. Con la creazione di un’opera pittorica, si ha la netta sensazione di fermare il tempo, di circoscriverlo, di avvolgerlo, di imprigionarlo all’interno della cornice. Guardi il tuo quadro e senti, che sei riuscito a bloccare il “tempo”: è lì dentro, mescolato con i colori, con l’odore dell’olio di lino, con la luce e con l’aria, ingredienti essenziali per la tua creazione artistica. Osservando un quadro non hai la sensazione di un “tempo finito”, ma di un “tempo infinito”; e il tutto sembra proiettato verso un “tempo eterno”. Io penso che si ami realmente solo quando si regali “spazio e tempo”. Ogni volta, hai la percezione netta, con la tua opera, di regalare all’oggetto che dipingi qualcosa di straordinario, cioè il tempo. È per questo, che dipingere è un atto d’amore. L’opera d’arte, certamente dura più del suo creatore, prende vita con lui e non sappiamo quando terminerà, anche se, prima o poi, anche lei avrà fine. Mi piace pensare che l’opera d’arte, al contrario di un uomo, non abbia la percezione di morire. Essa non ha, come gli animali, il concetto della finitezza e questo mi rallegra ulteriormente. 4. Cos’ è la pittura per un chirurgo? È un completamento alla professione medica, perché il medico e in particolare il chirurgo affronta di continuo problematiche legate alla vita ed alla morte. Ed essi rappresentano gli stessi temi inspiratori di un artista, inducendolo alla riflessione e a una conoscenza ancora più completa sull’ “essere uomo”, al di là degli aspetti puramente scientifici. 5. «In qualche modo la medicina è una scienza. Ma io direi che è anche un’arte. Un medico che ritiene la medicina una scienza e basta non lo vorrei accanto quando un’emorragia non si ferma, o quando tuo figlio urla dal dolore. Il clinico segue i sacri testi, l’artista segue l’istinto. L’artista sente il tuo dolore e arriva all’estremo per farlo smettere. Misure estreme, là finisce la scienza e comincia l’arte» (Gray’s Anatomy: settima stagione , 2011). La riflessione che mi viene proposta è molto interessante e necessita, prima di argomentarla, definire cosa s’intente per arte. Io credo che il concetto vero, ristretto, sia quello insito nel significato che i greci davano al termine “poiesis”. Platone, nel Simposio, lo definisce chiaramente: significa “il fare dal nulla”, nel senso di “creare”. Pertanto, comprende esclusivamente la poesia, la scrittura, la musica, la scultura e la pittura. Quando da un foglio, da un blocco di marmo grezzo, da una tela “vuota”, compare, una poesia, una statua, un’immagine… qualcosa che non c’era, che non esisteva… e invece, improvvisamente, c’è e compare come per una magia da parte del “magoartistauomo”, quella, e solo quella, può essere definita “Arte”. Secondo Aristotele il termine “poiesis” si contrappone al termine “praxis” che corrisponde al produrre in senso “pratico”. Esempio tipico è il lavoro dell’artigiano, che produce grazie ad una conoscenza razionale e tecnica (téchne). La differenza è anche nel fine: chiunque produce in “senso pratico” lo fa per qualche cosa di utile e di economico, ma la creazione artistica è fine a se stessa, è in fondo inutile; a me piace chiamarla “l’utilità dell’inutile”. L’arte è “creare bellezza”. Essa può anche non essere mai vista da nessun altro, eccetto che da chi l’ha prodotta, come succede in natura alla bellezza di un fiore in un campo o alla dolce melodia di una cicala o di un usignolo. All’artista, è sufficiente percepire quell’attimo di pura gioia, immediatamente dopo la fine della sua creazione. Creare un’opera d’arte, evoca, inevitabilmente, la potenza creatrice Divina: «… gli artisti, possiedono in sé una forza creatrice, specchio dell’azione creatrice divina, e per questo sono “costruttori di bellezza”» (Karol Wojtyla). La creazione artistica, diceva Omero (Iliade) non viene “scelta”, ma viene “concessa” direttamente dagli dei. La medicina/chirurgia non può essere considerata, nel senso proprio del termine, un’arte. I medici eseguono le loro diagnosi e le loro terapie, grazie alla loro conoscenza scientifica, al loro studio sui “sacri testi della medicina e della chirurgia” e agli strumenti tecnici (techne). Pertanto, “la professione medica/chirurgica” è strettamente correlata alla tecnologia e per questo è inscrivibile nella “praxis” e non nella “poiesis”; è un fare in senso pratico e non è un creare dal nulla, da qualcosa che non c’era. Per quanto riguarda il suo fine, oggi, purtroppo, possiamo amaramente costatare che domina quello economico. Ma ognuno di noi è unico ed ognuno di noi è diverso, e per fortuna molti medici interpretano la medicina e la chirurgia come un mestiere nobile, volto al raggiungimento del “bene dell’uomo” e all’eliminazione delle sofferenze umane e pertanto, applicano al meglio i propri principi morali nella cura dei malati. Questo è solo un comportamento virtuoso di alcuni e lo percepiamo immediatamente, con grande piacere, osservando l’agire di un medico nei confronti di un paziente. Mi piace dire che io provo, alla fine di ogni intervento chirurgico, la stessa gioia che mi assale dopo aver terminato un dipinto; ma a differenza di un’opera d’arte, dove occorre l’intuizione creativa e non la razionalità; nell’esecuzione di un intervento chirurgico serve solo una predisposizione personale ed una conoscenza scientifica, associata all’esperienza e alla capacità manuale. Mi diverte molto, essendo attinente alla domanda, raccontare una piccola storia realmente accaduta : dovevo sottoporre ad un intervento chirurgico un illustre e noto medico per una patologia importante e la moglie, leggendo su internet anche il mio curriculum artistico oltre a quello professionale, disse al marito: «… ma ti fai operare da un pittore?»… e lui gli rispose: «… meglio da un chirurgo-pittore che da un chirurgo e basta!

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