ERACLE-ERCOLE

ERACLE-ERCOLE

Rispettabilissimo Maestro Venerabile, Fratelli tutti buonasera.

Riprendiamo il nostro viaggio intorno alla conoscenza dei miti e dei

simboli che troviamo in un qualsiasi Tempio Massonico di ogni

parte del mondo. Questa sera parleremo di un’altra figura all’interno

del nostro Tempio, quella che attiene al Secondo Sorvegliante: La

Forza, ben rappresentata dal Mito-Simbolo di Eracle (Ercole per i

romani). Devo subito dirvi che nessun’altra figura, mitologica o no,

può racchiudere in sé così tante interpretazioni, spunti di riflessione

o significati allegorici, come il Mito di Eracle, e soprattutto delle sue

famose 12 fatiche, che cercherò, per quanto possibile, di illustrare e

sintetizzare.

Cominciamo quindi a dire chi era Eracle, il personaggio forse

più importante della mitologia classica. Zeus, come spesso faceva,

si innamorò un giorno di Alcmena, discendente di Perseo e donna

oltremodo bella e virtuosa. Con un inganno (assunto l’aspetto del

marito Anfitrione) rimase nel suo letto per tre giorni e tre notti

mettendola incinta. Nell’approssimarsi del parto, il re degli dei

proclamò che il primo bambino della stirpe di Perseo che fosse

nato, avrebbe dominato su tutte le genti vicine. Nello stesso tempo,

il Fato aveva decretato che il figlio nato dall’unione di Zeus con

Alcmena avrebbe avuto una forza sovrumana ed una virtù eccelsa.

Era (Giunone per i latini), moglie di Zeus, si accorse

dell’ennesimo inganno del marito e, inferocita, scelse il bambino

che sarebbe nato, quale emblema da perseguitare tra i molti figli

che il marito aveva concepito con altre donne, mortali o immortali,

cercando poi con ogni mezzo di farlo tribolare e di renderlo infelice

fin da piccolissimo. Questo fatto è fondamentale per capire tutta la

vita di Eracle.

Per prima cosa, sapendo della profezia del marito secondo la

quale il bambino nato in quel giorno sarebbe stato il sovrano di tutti,

ordinò a sua figlia Ilitia, dea protettrice delle donne partorienti, di

ritardare il parto di Alcmena e di anticipare invece quello della

moglie di Steleno, anche lui discendente di Perseo. Ilitia obbedì e

così quel giorno nacque Euristeo, mentre Eracle, insieme a suo

fratello gemello Ificle, nacquero il giorno seguente.

Appena si fu insediato sul trono di Tirinto e Micene, Era ricordò

ad Euristeo quello che Zeus aveva proclamato, quindi lui avrebbe

potuto avere al suo servizio anche lo stesso Eracle. Ma non solo, la

spietata Era mandò la Follia nella casa del nostro eroe che,

impazzito, uccise con le sue stesse mani la moglie Megara insieme

ai tre figli. Quando Eracle si fu riavuto, disperato per quello che

aveva fatto, andò ad interrogare l’oracolo di Delfo per sapere come

avrebbe potuto espiare la sua colpa. L’oracolo rispose che avrebbe

dovuto seguire precisamente tutto quello che Euristeo gli avrebbe

chiesto. Fu così che Eracle dovette affrontare con rassegnazione

tutte le 12 fatiche, insieme a molte altre imprese difficili e

pericolose.

Quali furono le 12 fatiche:

1) L’uccisione del leone di Nemea: questo leone era un mostro con

la pelle invulnerabile, che devastava il paese divorando gli

abitanti e i loro armenti. Euristeo ordinò di ucciderlo. Dopo aver

provato invano con le frecce, che non penetravano nella carne,

Eracle lo seguì fin dentro la sua tana e lo strangolò con le sue

mani. Poi lo scuoiò e si rivestì della sua pelle come di una

impenetrabile corazza, usandone la testa come elmo. Questa,

insieme alla nodosa clava, che egli stesso si era fabbricata, fu

poi la sua quota divisa  nell’iconografia greca e romana.

Questa prima fatica ha il significato di reprimere, con l’uso della

forza e del coraggio, gli istinti e le paure presenti per natura

nell’uomo. Coraggio che nasce dal guardarsi dentro senza

temere niente, come fece Eracle entrando nella tana del leone.

2) L’uccisione dell’Idra di Lerna: si trattava di un drago

mostruoso che viveva in una palude, con molte teste esalanti

alito mortale che distruggeva i raccolti e le greggi. Quando

Eracle cominciò a tagliare le teste con la spada si accorse che

da ognuna ne ricrescevano due, per cui, con l’aiuto del nipote

Iolao, che fu suo compagno e aiutante, le bruciò una per una con

una torcia infuocata. La testa centrale, che era immortale, la

schiacciò invece con un enorme masso. Infine intinse nel sangue

del mostro le sue frecce che da quel momento, quando

andavano a segno, provocavano ferite che non sarebbero

guarite mai più.

L’Idra si annida in ognuno di noi, nei recessi dell’inconscio, dove

ci sono i nostri peggiori pensieri. Eracle usa il fuoco, cioè la luce,

per uccidere il mostro.

3) La cattura del cinghiale di Erimanto, che infestava e recava

gravi danni nelle regioni vicine: Euristeo aveva comandato di

catturarlo e portarglielo vivo. Eracle riuscì ad afferrarlo ed

immobilizzarlo, poi lo legò e se lo caricò sulle spalle. Mentre

l’eroe si trovava sulla via per il compimento di questa impresa,

era stato ospitato dal centauro Fholos, che gli aveva offerto del

vino, il cui odore aveva però attirato altri Centauri che non lo

avevano mai bevuto. Quindi, ubriachi, fecero nascere una rissa

durante la quale Eracle fu costretto ad ucciderne alcuni, e fra

questi anche Chirone che era stato il suo maestro e tutore. Il

cinghiale è il simbolo degli istinti selvaggi e pericolosi che per

questo verranno non uccisi, ma cercati e domati.

Uccidere il proprio maestro significa invece superare, far propri

gli insegnamenti del Maestro stesso, perché, fino a che si è

legati alla sua autorità, non si è mai veramente adulti, liberi,

responsabili. Il Maestro altro non è che una figura, un mezzo per

raggiungere se stessi. Un antico detto, a proposito di un

discepolo e di un maestro, recita: “Quando imparerai che un

padre non è qualcuno a cui appoggiarsi, ma qualcuno che ti

libera dalla tendenza ad appoggiarsi?”

4) La cattura della cerva di Cerinea (monte dell’Arcadia), che

aveva le corna e gli zoccoli d’oro. Essendo sacra ad Artemide,

doveva essere catturata viva. Eracle le diede la caccia

inseguendola per un anno intero, ma alla fine riuscì a prenderla.

La cerva, così bella, con le corna d’oro, ma così sfuggente e

difficile da catturare, può essere paragonata alla intuizione.

L’uomo, l’iniziato, deve servirsi dell’intelletto, dell’istinto, e quindi

dell’intuizione, la quale ci rende consapevoli della spiritualità e

del Divino.

5) L’annientamento degli uccelli di Stinfalo (lago paludoso

Dell’Arcadia). Questi si nutrivano di carne umana ed avevano

artigli, becco ed anche le penne di bronzo, che scagliavano

come fossero frecce. Eracle ne uccise alcuni con le armi di cui

disponeva: frecce, clava e pietre, ma soprattutto li cacciò

spaventandoli con alcuni sonagli di bronzo, opera di Efesto, che

gli erano stati donati da Athena. La palude è il simbolo della

mente e delle emozioni, gli uccelli sono i nostri pensieri negativi

che resistono ai normali mezzi da noi usati. Occorre scacciare

quelli malefici che la popolano.

6) La pulizia delle stalle di Augia, re dell’Elide e figlio di Helios, il

sole. Augia era l’uomo più ricco di greggi e di mandrie, immuni

da malattie e sempre fertili. Tuttavia nessuno negli anni aveva

mai ripulito le sue stalle né le valli dove le bestie pascolavano, al

punto che non nasceva più né il grano né altra erba. Ercole

deviò il corso di due fiumi che scorrevano vicino alle stalle e ai

terreni di Augia e così in un solo giorno riuscì a ripulire tutto.

Ebbene, la salute e la vita non fioriscono e non nascono più se le

intasiamo con sozzure, mentre la corrente dei fiumi è come un

flusso benefico formato da sentimenti e pensieri positivi. Infine,

le mandrie rappresentano l’intera umanità, immersa nella

sporcizia della natura inferiore.

7) La cattura del Toro di Creta (da non confondersi con il

Minotauro). Questo era stato mandato da Poseidone al re

Minosse e reso poi furioso dal dio stesso perché non era stato

sacrificato secondo la promessa, al punto che seminava il terrore

nell’isola distruggendo le campagne. Vale la pena di ricordare

che Poseidone, per punire lo stesso Minosse, aveva fatto in

modo da far innamorare sua moglie Pasifae del toro stesso, con

il quale, tramite un artificio, generò il Minotauro. Pasifae,

completamente accecata dai bassi istinti, partorisce un mostro.

Eracle riuscì a catturare il toro ed a portarlo vivo a Micene. Il toro

rappresenta il desiderio sfrenato che l’uomo deve saper

governare con intelligenza, senza reprimerlo ma senza lasciarsi

trascinare. Per questo Eracle doma e cavalca il toro, ma non lo

uccide, lo guida con intelligenza ed equilibrio fino alla meta

finale.

8) La cattura delle cavalle di Diomede, re dei Bistoni e figlio di

Ares. Questi dava in pasto alle sue cavalle solo carne umana

proveniente dalla uccisione di tutti gli stranieri che passavano

per la sua terra. Eracle le legò, diede loro in pasto lo stesso

Diomede, e le portò vive al re Euristeo, come egli aveva

richiesto. La morale è chiara: il male che fai tornerà indietro,

anzi, il male divora se stesso. Il fatto che quattro fossero le

cavalle, rappresenta i quattro elementi, vuol dire che terra, aria,

acqua e fuoco, le basi costitutive del nostro essere viventi, erano

tutte al servizio del suo istinto bestiale.

9) La conquista della cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni.

Questa cintura era stata donata da Ares (Marte per i latini) ad

Ippolita, ma era desiderata da Admeta, la figlia di Euristeo che la

voleva possedere perché molto preziosa, ma soprattutto per

idossarla quale simbolo di potere. Ad Eracle fu comandato di

impadronirsene. Egli si recò quindi nella città delle Amazzoni,

accompagnato da altri eroi quali Teseo, Peleo e Telamone. Le

Amazzoni cercarono di difendere la loro regina e presero le armi.

Nacque una battaglia durante la quale Ippolita fu uccisa ed

Eracle poté prendere la cintura. Durante il ritorno Eracle ed i suoi

compagni si trovarono davanti ad un mostro marino stava per

mangiare Esione, la figlia del re Laomedonte. Eracle affrontò la

terribile creatura, ma fu ingoiato insieme a lei. Rimase nel ventre

del mostro per tre giorni e rivide la luce solo dopo avergli tagliato

la pancia, salvando se stesso e la principessa. Il pensiero va

subito a Giona nel ventre della balena, a Pinocchio nel

pescecane, ai tre giorni della morte di Lazzaro, ed a quelli di

Gesù nel suo sepolcro prima della Resurrezione.

10) I buoi di Gerione, che era un mostro orrendo discendente di

Medusa. I buoi erano custoditi da un gigantesco pastore con tre

teste e sei braccia insieme ad un cane, con due teste. Euristeo

ordinò che gli fossero portati i buoi. Per prenderli Eracle si recò

nell’estremo Occidente dentro la coppa che il dio Sole usava per

i suoi spostamenti e qui innalzò le due famose colonne. Quindi

uccise i guardiani e portò via i buoi. Ma, come se non bastasse,

la solita Era mandò un tafano, che fece innervosire e disperdere

parte dell’armento per tutta la Grecia. Eracle impiegò mesi per

recuperare tutte le bestie, superando mille ostacoli. Le colonne

innalzate da Eracle sono il confine tra mito e realtà, come

fossero l’ingresso di un tempio e ci fanno capire che l’iniziato

deve effettuare la ricerca delle sue speculazioni ovunque, oltre

ogni cosa.

11) I pomi d’oro delle Esperidi che pendevano da un albero

regalato da Gea (la terra) ad Era per le sue nozze con Zeus e

che davano l’immortalità. Erano custoditi dalle Esperidi in un

giardino nell’estremo Occidente presso il monte Atlante, e

sorvegliati dal serpente Ladone che aveva 100 occhi e non

dormiva mai. Eracle si recò in quell’estremo paese, uccise

Ladone, costrinse lo stesso Atlante a cogliere tre pomi e li portò

ad Euristeo. Il giardino delle Esperidi ed il serpente ci ricordano il

mito di Adamo ed Eva. I frutti sono quelli della conoscenza che si

possono avere solo lottando. Fu durante i viaggi di questa

undicesima fatica che Eracle incontrò Prometeo, incatenato ad

una rupe, riuscendo anche a liberarlo e farsi dire la strada per

arrivare al giardino delle Esperidi. Eracle non poteva cogliere i

pomi con le sue mani, ma doveva servirsi di Atlante, il titano che

era stato costretto, per punizione, a sostenere tutta la volta del

cielo. L’eroe si offrì di sostener per un po’ di tempo il peso di

Atlante se lui avesse colto e portato i pomi. Ma il titano,

assaporata la gioia della libertà, cercò di ingannare Eracle e di

lasciarlo per sempre al suo posto, ma questi fu più furbo, si

prese i pomi d’oro e restituì il peso ad Atlante. Conquistare i frutti

significa assicurarsi la libertà.

12) La cattura di Cerbero. A questo punto Euristeo non sapeva

più che cosa escogitare per portare Eracle a morte sicura, quindi

chiese di nuovo una prova impossibile: che fosse catturato

Cerbero, il mostruoso cane a tre teste che stava a guardia

Dell’Ade. Questa era l’ultima fatica di Eracle, quella che avrebbe

finalmente liberato dalla servitù di Euristeo. L’eroe fu aiutato da

Ermes e da Athena, che gli permisero di giungere alle porte degli

Inferi dove tra l’altro, liberò Teseo, incollato (per la sua stupidità)

ad un sedile e lo riportò dalle tenebre alla luce. Ade gli impose di

catturare Cerbero senza fare uso delle armi e gli permise di

portare il mostruoso animale verso la luce, con l’impegno di

restituirlo subito al regno al quale per sempre doveva

appartenere. Eracle dette la sua parola: strinse alla gola

Cerbero, lo condusse da Euristeo che dalla paura si era rifugiato,

in una botte di bronzo, quindi lo riportò indietro. Questo sta a

dimostrare che un uomo può superare qualsiasi ostacolo del suo

cammino, perfino la paura della morte.

Queste sono state le 12 fatiche di Eracle, ma c’è molto di più,

perché, nonostante tutto quello che aveva passato, la moglie di

Zeus non aveva ancora colmato il suo odio. Terminata la sua

soggezione ad Euristeo, Eracle sposò Deianira, figlia del re di Tebe.

Mentre viaggiava con lei diretto in Tessaglia, giunto ad un fiume

che dovevano guadare, pregò il centauro Nesso di portare sulla

groppa al di là dal fiume la moglie; ma, avendo Nesso tentato di

usar violenza a Deianira, lo colpì con una delle sue frecce

avvelenate. Il Centauro, morente, disse a Deianira di prendere un

po’ del suo sangue per ottenere un filtro magico e conservarsi

l’amore del marito. Se questi l’avesse voluta tradire, sarebbe

bastato bagnare con quel sangue una camicia di Eracle e poi

fargliela indossare. Così fece Deianira quando le nacque il sospetto

che il marito la volesse abbandonare per sposare Iole. Ma la

camicia, appena indossata, cominciò a dilaniare le membra del

povero Eracle, rendendolo furioso dal dolore. Quando poi seppe

che Deianira si era uccisa per il dispiacere dell’involontario misfatto e non sopportando più gli atroci tormenti sul suo corpo, costruì con le sue mani una catasta di legna sul monte Eta e, salendo sopra, vi fece appiccare il fuoco. In mezzo all’ardore delle fiamme

rimbombarono tuoni e fulmini, e una nuvola coprì il corpo dell’eroe,

che fu raccolto dal carro di Athena e portato sull’Olimpo dove Era

finalmente lo accolse tra gli immortali.

Ancora alcune considerazioni:

Alle sovrumane imprese di Eracle, spesso compiute come sfida

alla morte, si può quindi attribuire anche un significato morale ed

esoterico che supera quello immediato di semplice narrazione di

gesta eroiche. La storia di questo antico figlio del sommo Zeus è la

metafora delle prove del Sentiero Iniziatico. Ercole è chiunque lotti

con i problemi della vita, affrontando con coraggio i compiti del

proprio destino, sopportando pene e tribolazioni, ma ci fa anche

pensare che in fondo ci sia sempre la speranza di una ricompensa.

La sua vita finisce nel tormento, il suo corpo brucia, ma il suo

spirito, la sua anima vanno in cielo e Zeus lo fa diventare

immortale. Le interpretazioni allegoriche del mito abbondano e, con

l'avvento del Cristianesimo, lo stesso subisce una straordinaria

metamorfosi: quella che vede Ercole figura di Cristo che lotta contro

l’impero del Maligno e muore soffrendo per poi risorgere. E’ questo

il motivo per cui ritroviamo l'eroe con la sua clava nei dipinti delle catacombe, oppure scolpito sulle porte di bronzo della Basilica di

San Pietro a Roma ed in quelle di San Marco a Venezia

Una leggenda racconta che, quando egli era ancora

adolescente, giunse un giorno, sul monte Citerone, ad un bivio,

dove dovette fermarsi, incerto quale delle due vie gli convenisse

scegliere. All’imbocco di ciascuna vi era una giovane donna: l’una,

bellissima e procace, (Edonè), lo invitava a scegliere la via facile,

piena di gioia e di piacere, dove avrebbe assaporato tutti i

godimenti del corpo senza affaticare la mente e lo spirito. L’altra,

non meno bella, ma grave ed austera nell’aspetto (Aretè), gli

indicava la via della virtù, via aspra e difficile, ma che conduceva

alla gloria ed all’immortalità. Eracle, dopo aver meditato a lungo,

soppesando nell’animo le due alternative, scelse infine Areté. E

questa via percorse, come abbiamo visto, fino in fondo, meritandosi

da ultimo l’apoteosi ed una fama eterna. E’ forse questa la cosa che

l’iniziato, noi tutti, dovremmo tenere sempre presente: respingere il

vivere facile, privo di emozioni, inetto, per dedicarsi ad un lavoro

incessante e faticoso, come ci ricorda il nostro rito di iniziazione e

percorrere invece un cammino più spirituale nella vita di tutti i giorni.

Questo è il vero significato della nostra Istituzione.

Cari Fratelli, Ercole raffigura l’Uomo, quello di ieri, di oggi ed

anche del domani. E’ questa la vera, unica, importante forza del

mito e del simbolo: l’Immortalità. Qui si conclude la storia di

Eracle, che allude al progredire dell’individuo dall’ignoranza alla

saggezza e dal desiderio materiale alle aspirazioni spirituali.

Ciascuno di noi è chiamato spesso nella vita a simili prove, che

verranno superate con alternarsi di successi e di fallimenti, ma con

la costanza, la determinazione e la forza di Eracle, emergerà

sicuramente il meglio di quello che c’è dentro di noi.

Questa voce è stata pubblicata in Lavori di Loggia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *