LE PRIME LOGGE MASSONICHE IN ITALIA

LE PRIME LOGGE MASSONICHE IN ITALIA

La Massoneria in Italia si diffuse all’inizio del Settecento, anche se della data storica in cui comparve la prima loggia non si ha certezza.
Un documento composto da cinque pagine scritte a mano su carta sottile, scampato all’incendio causato da un corto circuito nel 1921 in casa Tolone a Girifalco, attesta testualmente che Annuali della Massoneria di Girifalco, anno 1845 di numero centoventiduesimo dalla fondazione di essa a Girifalco, ovvero l’anno 1723 sotto degnissima direzione di S.A. il duca di Girifalco del nobilcasato de’ Caracciolo di Napoli. Vi erano riportati i nomi dei facenti parte la loggia, ventiquattro in tutto, il nome del Gran Maestro e della loggia “Fidelitas”, a quanto ammontava la quota annuale (otto ducati) che ogni iscritto doveva pagare, nonché il giorno e l’ora in cui i fratelli si riunivano.
Tre anni dopo nasceva a Lucca un’altra officina, per volere di Francesco Saverio Geminiani (nato nel 1687 e morto a Dublino nel 1762), uomo di notevole ingegno anche dal punto di vista musicale. Il primo febbraio 1725 fu accolto nella prestigiosa loggia “Queen’s Head” di Londra; l’anno dopo, tornato a Lucca, fondò un’officina e ne divenne Maestro Venerabile. Quasi contemporaneamente altre due logge sorsero a Parma e a Modena. Si ritiene che una loggia massonica sia nata nella seconda metà del Settecento a Squillace ed il suo primo Maestro sia stato Gregorio Pepe, padre del più conosciuto Guglielmo, che ospitò l’officina in un’ala del suo palazzo come attesta un simbolo libero-muratorio posto su un gradino della scala che doveva portare al Tempio, ora coperto da una lastra di marmo. La loggia era all’obbedienza del Grande Oriente di Francia ed asservita a Napoleone tramite il re di Napoli Giuseppe Bonaparte.

Un’altra loggia massonica fu fondata a Maida verso la fine del 1798 da Gennaro e Giuseppe Partitario, amici e seguaci dell’abate Antonio Jerocades. Nella seconda metà del Settecento l’Arte Reale aveva attecchito e proliferato in Calabria; qui, più che in altre regioni, talune rivalità si riversarono nelle logge, che si divisero in due schieramenti non perdendo occasioni per punzecchiarsi. Il primo schieramento faceva capo alla Gran Loggia Nazionale “Lo Zelo” del Gran Maestro Diego Naselli e l’altro alla Gran Loggia Provinciale del Duca di San Demetrio. Il più importante massone dell’epoca fu senza dubbio il poeta ed educatore Antonio Jerocades di Parghelia. Iniziato a Marsiglia, nella prestigiosa Loggia “Saint-Jean d’Ecosse”, questi fondò numerose logge in Calabria, tra cui “L’amor della Patria” di Tropea, la “Buona Speranza” di Parghelia, “La Fratellanza Italiana” di Maida ed altre ancora a Filadelfia, Catanzaro e forse anche a Reggio, tutte all’obbedienza della Gran Loggia di Marsiglia.
Amico intimo dei fratelli Pagano, di Cirillo, Tommaso e Filangeri, l’illuminista e illuminato Jerocades fondò a Napoli, nel 1792, la prima loggia giacobita, sempre affiliata a quella di Marsiglia. Nei primi anni dell’Ottocento tra i membri della loggia di Maida troviamo il giovane canonico Giovanni Cervadoro che, ancora minorenne, aveva fondato a Maida la Società dei Frammassoni; nel 1811 fondò poi una nuova loggia di Rito scozzese che, in onore dell’antica denominazione di Maida (Melania), venne intitolata “I Filadelfi Melanici”. Ci informa di questo una medaglia in ottone a forma di stella a sette punte sormontata da un cuore in cui due braccia incrociate tendono le mani al calore di una fiamma. La medaglia rappresenta il simbolo della loggia, come voleva l’articolo 145 dello Statuto generale della Libera Muratoria del Rito scozzese antico ed accettato.
In Calabria, poi, le logge si trasformarono in Vendite Carbonare, e molti furono i patrioti che ne fecero parte; fra i tanti ricordiamo Guglielmo Pepe, per la sua partecipazione armata al Risorgimento italiano e l’abate Giovanni Cervadoro, che trasformò le logge di Maida in Vendite Carbonare. Pur svolgendosi tutto nella massima segretezza, il vescovo di Nicastro, della cui diocesi il Cervadoro faceva parte, ne venne a conoscenza e il 21 marzo 1821, giorno in cui a Torino scoppiava il secondo moto carbonaro d’Italia, lo fece arrestare. Era passato appena un anno dalla fondazione della Vendita denominata “I Conservatori della Libertà”.
All’arresto seguirono accorate proteste da parte di tutti i cittadini maidesi, popolo e gente illustre. Le dimostrazioni non sortirono le aspettative, in quanto il vescovo rimase irremovibile: doveva dare un forte esempio e l’abate rappresentava il giusto capro espiatorio. Il sindaco e i decurioni allora si dimisero. E’ importante ribadire che il canonico Cervadoro nel 1829 istituì a Maida una scuola media sull’esempio di quella realizzata da Antonio Jerocades. La novità stava nel fatto che per la prima volta si parlava di abolizione delle pene corporali e di diritti non solo per gli insegnanti ma anche per gli alunni.
Il sacerdote, massone e carbonaro, fu uomo nuovo per i tempi e sicuramente avrebbe fatto di più se la morte non l’avesse prematuramente colto all’età di cinquantatré anni. Maida lo annovera fra i cittadini più illustri.
Ampia documentazione in relazione alle notizie che risalgono al 1731, anno in cui a Firenze – in via Maggio nell’albergo di Monsù Pasciò di Pascione, su iniziativa della locale colonia inglese, e precisamente per volere di Lord Charles Sackeville e Sir Harry Fox – vide la luce un’importante officina: fra gli iniziati c’erano Antonio Cocchi, medico della comunità inglese in Italia, e il poeta Tommaso Crudeli, che – anche per il suo atteggia mento anticlericale – fu arrestato e torturato fino a quando intervenne Francesco Stefano di Lorena, Granduca di Toscana. Il Granduca, massone convinto, non poteva fare a meno di aiutare un fratello in gravissima difficoltà, come stabilisce uno dei doveri della Libera Muratoria. Nonostante l’intervento del Granduca, peraltro, Tommaso Crudeli, per le sadiche angherie subìte in carcere, sarebbe morto di lì a poco di tisi.
Nel 1738-39 l’istituzione penetrò in Savoia, Piemonte e Sardegna (Grande mère Loge nationale de Saint-Feandes – Mortiers a Chambéry). Nel 1735-37 si formò la loggia giacobita di Roma e, nel giro di pochi decenni, la Massoneria italiana si allargò a macchia d’olio e si aprirono obbedienze a Milano, Torino e nel Regno di Napoli. Molti divennero liberi muratori perché attratti dall’alone di mistero che circondava l’associazione ed anche per i riti simbolici che in essa si praticavano.
In quegli anni, alcuni maestri venerabili riuscirono a reintrodurre nei rituali svariate componenti simboliche, come le “prove della Terra e dell’Aria, dell’Acqua e del Fuoco”: simboli che, anche se non dimenticati, passarono in disuso in quanto poco graditi ai nobili iniziati. Il 28 aprile 1738 gli animi degli italiani e di tutti i cattolici del tempo, furono toccati dalla lettera apostolica In eminenti apostolatus specula di Papa Clemente XII, al secolo Lorenzo Corsini di Firenze. Questo fu il primo documento pontificio di condanna delle associazioni massoniche. Con tale documento, molto tempestivo e all’inizio più politico che morale, il Papa volle dare manforte a sovrani e governi allarmati dalle idee di libertà, fraternità e uguaglianza, che consentivano l’accesso al Tempio a borghesi, aristocratici, intellettuali, mercanti, poeti, militari, ebrei e cristiani.
Il pontefice, con tale atto d’autorità, cercava di porre riparo a quella vera e propria mina vagante che, in poco tempo, aveva messo radici profonde in tutta Europa. Ciò, evidentemente, era in contrasto con quel potere assoluto che allora governava l’Europa e le colonie. L’atteggiamento della Santa Sede dette luogo in Italia a vere e proprie persecuzioni, come il processo a Tommaso Crudeli (1739-40) dianzi citato e le repressioni antimassoniche di Napoli. Rebus sic stantibus, i massoni stessi, dato il clima persecutorio, dispersero e distrussero gli archivi e bruciarono le “balaustre” sull’attività delle logge, le circolari dei Gran Maestri e i “piedilista” con i nomi e il ruolo degli affiliati.
Nei roghi accesi nei sotterranei dei Templi settecenteschi si dissolse così un patrimonio d’informazioni sulla cultura, l’economia, la morale e le tendenze sociali e politiche delle classi dirigenti, ma soprattutto l’insieme delle notizie utili a ricostruire il percorso storico della società italiana. I massoni, a loro volta, in onore del loro primo martire, Tommaso Crudeli, bruciarono “idealmente” i pentiti con fumo di zolfo e di mercurio, come stabilisce la liturgia della giustizia massonica. Qualunque siano stati i motivi per cui fu emanata la Bolla da Papa Clemente XII con la costituzione apostolica Quo graviora, certo è che si deve a Papa Corsini se si aprì l’era delle lotte fra Chiesa e Libera Muratoria. Dal 1738 al 1902, infatti, la Massoneria fu severamente condannata per dieci volte dalle autorità papali, senza contare le molte scaramucce intercorse fra un’enciclica e l’altra.
Nonostante i dileggi e le persecuzioni, nella seconda metà del Settecento, la Libera Muratoria si diffuse ugualmente in Italia, dal Piemonte alla Sicilia, anche se con orientamenti alquanto diversi. Nel Regno di Sardegna e in quello di Napoli, prevalse la corrente spiritualistica tedesca e quindi l’Ordine della Stretta Osservanza, della quale faceva parte il fratello Mozart, che in quel periodo componeva Il flauto magico, complessa allegoria massonica, e tante altre composizioni squisitamente massoniche, fra cui la famosa Musica funebre massonica.
Col passare del tempo, all’ascendente tedesco si sostituì quello di Rito scozzese rettificato: un rito cristiano fondato sui principi più puri della cavalleria, che rivendicava la sua discendenza dai templari. Comprende sei gradi, di cui tre gradi “azzurri” (Apprendista, Compagno, Maestro) e tre gradi superiori (Maestro scozzese di Sant’Andrea, Scudiero-novizio e Cavaliere Beneficente della Città Santa), che costituiscono l’ordine interno, diretto dal Gran Pretorio, con le sue “classi segrete” nei gradi di Professo e Gran Professo. Il Rito scozzese rettificato è il rito più antico presente in Italia: i suoi fondatori furono, tra gli altri, il conte de Maistre ed il principe Raimondo di Sangro, che erano Gran Professi. Si tratta, de facto, di un sistema aristocratico animato da ideali cavallereschI cristiani. Lo scozzesismo rettificato rappresenta oggi, in Europa, la più importante corrente che si adopera per un rinnovamento spirituale della Massoneria: tutti i suoi membri sono esoteristi convinti, animati da un’ardente religiosità.
Dal 1985 il Rito scozzese rettificato ha ripreso in Italia forza e vigore con la fondazione a Cortona, Siena e Perugia di tre logge di Maestro Scozzese di Sant’Andrea. Il Rito Scozzese Rettificato è uno dei riti con cui il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani ha ratificato il 6 febbraio 1988 il protocollo di riconoscimento e di legittimità territoriale (N.d.r.: tale protocollo è attualmente sospeso).
La Massoneria conobbe fasi alterne: all’inizio bene accolta nel Regno di Napoli, sotto Carlo VII subì le prime persecuzioni, che continuarono con Ferdinando IV, il quale per accattivarsi la simpatia dei napoletani, nel 1776 fece imprigionare o andare in esilio molti massoni accusati di praticare riti di magia nera volti ad impedire la liquefazione del sangue di San Gennaro.
A Venezia, tra il 1782 e il 1796, nacque il sistema degli alti gradi massonici: il Regime o Rito di Misraim, che comprende novanta gradi ed è retto da un Imperatore Gran Jerofante Generale. Il Rito Primitivo era stato introdotto in Francia dagli ufficiali napoleonici reduci dalla campagna d’Egitto nel 1798- 99. Il Rito di Misraim e quello di Memphis, poi ripresi insieme nel 1826, portarono i gradi al numero di novantasei. Alcune logge ritennero questi alti gradi qualcosa di abnorme, e decisero pertanto di ritornare ai soli tre gradi originali (Apprendista, Compagno e Maestro), integrandoli con quelli di Cavaliere di Rosa-Croce e di Cavaliere Kadosch o dell’Aquila Nera, rispettivamente diciottesimo grado e trentesimo grado del Rito Scozzese Antico e Accettato. Questo rito, contrariamente a quanto indica il suo nome, non è figlio di Scozia, bensì di Francia. Il Rito scozzese, come dice la parola stessa, non è un’obbedienza, ma un rito simbolico e universale, che ha attinto alimento dai massoni di Scozia; mentre la Massoneria inglese, nel momento del passaggio da operativa a speculativa, riconosceva solo i primi tre gradi “azzurri”, il Rito Scozzese Antico e Accettato aveva attinto gli altri tre gradi da una tradizione lontana, non artigianale, ma cavalleresca e aristocratica.
La prima loggia di maestri scozzesi si riunì a Londra nel 1733, tre anni dopo che il cavaliere André Michel Ramsay, deista cattolico, veniva iniziato Libero Muratore. Studiosi e ricercatori affermano che fu proprio Ramsay il precorritore dei riti scozzesi. Ramsay nacque in Scozia nel 1686, trascorse la sua giovinezza viaggiando e intrattenendo ottimi rapporti di amicizia con famiglie nobili, fu di provata fede cattolica e nemico dei protestanti, accorto uomo politico e massone indiscusso: nel suo discorso ai massoni francesi, si erse poi a predicatore della tolleranza universale; per lui, la Libera Muratoria è di origine cavalleresca ed il Libero Muratore è un cittadino del mondo, un nuovo cavaliere del Settecento. Ramsay riuscì a coinvolgere buona parte della nobiltà francese e a farla entrare nelle logge, nonostante intellettuali come Montesquieu e Voltaire (entrambi Liberi Muratori) lo disprezzassero. Ma i giudizi negativi non lo scalfirono minimamente: continuò a reclutare nuovi massoni fra i ceti elevati, e il suo lavoro fu coronato da un successo straordinario, tanto che la Massoneria francese divenne ben presto cattolica e cavalleresca ad un tempo.
Nel 1762, con la promulgazione delle Costituzioni di Losanna e di Federico II di Prussia, la fisionomia del rito era in gran parte completa. Ufficialmente, però, il primo Supremo Consiglio del rito fu eletto a Charleston nella Carolina del Sud (USA) nel 1801; il secondo a Parigi, nel 1804. In Italia, il primo Supremo Consiglio fu costituito a Milano nel 1805. I massoni, e in particolare quelli del Rito Scozzese Antico ed Accettato, dovevano lasciarsi guidare sempre da sani principi morali e dalla legge del dovere: non soltanto nella vita massonica, ma anche e soprattutto nelle attività che svolgevano da profani.
A Milano, nel 1805, nasceva anche il Grande Oriente d’Italia sotto il patrocinio napoleonico. Come già sappiamo, dalla seconda metà del Settecento la Massoneria si diffuse ampiamente in tutto il mondo, divenendo così valido strumento per la divulgazione delle idee illuministiche e del dispotismo illuminato. In Italia questi orientamenti attecchirono specialmente fra coloro che lottavano contro i privilegi e il potere temporale della Chiesa. Ma la tempesta rivoluzionaria stroncò la Libera Muratoria, tanto che, quando Napoleone entrò vittorioso in Italia ed il fratello Foscolo lo acclamava liberatore, le officine massoniche erano talmente divise che fu facile all’imperatore farne un’organizzazione parastatale addomesticata ai suoi voleri. Alla stessa stregua di ciò che aveva fatto in Francia, anche in Italia Napoleone travasò nelle logge membri del suo stato maggiore, sull’esempio di quanto era avvenuto in America con George Washington, il quale, iniziato nel 1752, aprì nel suo esercito vere e proprie logge castrensi e, nei momenti più ardui e solenni della sua vita di generale e statista, rivestiva il grembiule di pelle bianca; altrettanto fecero Hamilton, Jefferson, Roosevelt, il giudice Marshall, George Bush senior e tanti altri uomini illustri che hanno segnato la storia d’America.
La Massoneria fu tenuta in grande considerazione, nel suo periodo imperiale, da Napoleone, il quale aveva capito che i fraterni legami dei massoni annunciatori di pace e unione fra i popoli potevano essere utili ai suoi progetti di conquistatore. Fu l’imperatore in persona ad introdurre nell’Oriente i primi sentimenti anticlericali, mediante alti dignitari massoni che egli stesso aveva introdotto nelle logge. La Libera Muratoria, sempre ossequiosa nei riguardi dell’Imperatore, si congratulò con lui quando questi arrestò, nel 1812, Papa Pio VII, che aveva avuto l’ardire di scomunicarlo. Quando Napoleone, nel 1814, fu costretto all’esilio nell’Isola d’Elba, la Massoneria languiva, ed in Savoia inaridì completamente. Nel 1815, la battaglia di Waterloo segnò la fine della Massoneria militare e la chiusura di molte logge. In Italia vennero soppressi i due Grandi Orienti di Milano e Napoli: la Massoneria italiana così si disperse. I superstiti si rifugiarono sotto l’egida del Grande Oriente di Francia, e cercarono di continuare la loro azione attraverso la Carboneria, che aveva adottato i riti e i simboli dell’Arte Reale ed aveva affiliato la maggior parte dei partiti che volevano liberar la patria dall’oppressione dello straniero e dalla tirannia dei Borboni.
Le officine massoniche non esistevano quasi più, e le poche che ancora vivevano operavano nel più assoluto segreto. Perseguitata dal clero ed oppressa dalle autorità civili, la Libera Muratoria si affievolì, fatta eccezione per la loggia “Rigeneratori” di Palermo, che cercava di ricostruire un Grande Oriente. Sotto il Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, l’Arte Reale riaccese la sua luce. A Genova e a Livorno si formarono logge sotto l’autorità del Grande Oriente di Francia (la Massoneria più laica e compatta d’Europa). Queste teorizzavano la caduta del potere temporale del Papa e sostenevano un progetto di riunificazione della penisola.
Cavour stesso vedeva nella Massoneria la “pietra angolare” della propria strategia diplomatica, e non a caso il suo ambasciatore a Parigi fu Costantino Nigra, un Maestro elevato alla dignità del trentatreesimo grado del Rito adottato dai Francesi. Inoltre, la Massoneria francese, molto più di quella inglese, era in comunione con la politica, l’esercito e la finanza: i Templi massonici, in effetti, brulicavano di banchieri in grembiule di pelle, fascia e maglietto. Il sistema bancario francese – dominato dalla casa Rothschild, considerata la culla dei venerabili “33” – aveva l’assoluta egemonia del mercato europeo e del capitale, dai quali dipendeva il regime finanziario del Regno sabaudo. E’ appunto in questo quadro che a Torino, nel nome del fratelli Vittorio Emanuele, alcuni fratelli tra cui Zambeccari, Delfino e Govean avevano, per conto di Cavour, trovato un luogo coperto agli sguardi dei profani, alla mezzanotte dell’otto corrente ottobre 1859 [aprirono] la loggia nel grado di Maestro, e [passarono] alla nomina del Venerabile. Con queste parole Livio Zambeccari, primo Gran Maestro, fondatore nella valle di Torino la Loggia “Ausonia”, denominazione derivante dal nome primitivo dell’Italia. La loggia passò immediatamente all’obbedienza dei Gran Maestri di Francia, ne adottò il rito e scambiò garanzie di amicizia. Il garante per il Piemonte era il trentatreesimo grado Costantino Nigra. Nel 1860 i liberi muratori di Torino unirono le forze massoniche in modo da costituire un Grande Oriente d’Italia. Il lavoro fu arduo, ma non tale da scoraggiare i ben corazzati Livio Zambeccari, il giornalista Felice Govean e Costantino Nigra, che da Parigi forniva informazioni importanti.

[ALESSANDRO AFRICA]

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