L’ESOTERISMO DI DANTE

L’ESOTERISMO DI DANTE

Raffaele K. Salinari

«Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita». Così Dante apre la sua Commedia riassumendo mirabilmente, già nella prima terzina, tutto il senso dell’opera che si configura, di fatto, come un lungo e tortuoso viaggio iniziatico verso quella «diritta via» che egli aveva appunto «smarrita», Che ci sia un significato nascosto nella Commedia è Dante stesso a dircelo. Citando il verso: «O voi ch’aveteli intelletti sani, mirate la dottrina che sasconde sotto il velame deli versi stranin(Inferno IX, 61-63), René Guènon afferma che «li intelletti sani» sarebbero coloro i quali sono stati iniziati ritualmente all’interno di un Ordine tradizionale ai principi dellà Filosofia perennis, il cui scopo è la Conoscenza Integrale, la percezione della Causa Prima metafisica, e che potrebbero,in forza di ciò, svelare e comprendere le verità dottrinali, esoteriche, cioè interne, nascoste sotto il velame essoterico, dunque apparente, «de li versi strani». A questo punto si pone la questione se Dante stesso fosse un iniziato e, nel caso, a che Ordine appartenesse. Pur senza entrare qui nel complesso dei rimandi simbolici dell’opera dantesca, dobbiamo prendere in considerazione almeno l’appartenenza ai Fedeli d’Amore.

Il velo di Iside

E allora ripartiamo dal «velame del li versi strani». Il riferimento al velo deriva direttamente dai Misteri di Iside, quelli a fondampento della Tradizione iniziatica occidentale e non solo. Narra Plutarco, nel suo Iside ed Osiride, che a Menfi, su quella che si diceva essere un tempo la «tomba» di Iside, era stata eretta yna statua ricoperta da un velo nero. Sulla sua base era incisa l’iscrizione: «lo sono tutto ciò che fu, ciò che è, e ciò che sarà, e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo». Questo è il Velo di Iside, divinità antichissima che simboleggia la Natura, cioè la Natura naturans, l’insieme cioè della Zoè e delle sue Bìos. Perché Iside è velata? Già Eraclito di Efeso, in uno dei suoi frammenti più discussi, ci dice che «la Natura ama velarsi». Ed infatti Plutarco così descrive il velo che copre la Dea in opposizione a quello che invece riveste il suo sposo: «Tinte di colori diversi sono la veste di Iside, a segno del suo potere sulla materia, la quale accoglie tutte le forme e tutte la vicissitudini subisce, potendo diventare luce e tenebra, giorno e notte, fuoco e acqua, vita e morte, inizio e fine, Ma senza ombra né varietà è la veste di Osiride, che ha un solo colore, quello della luce. Il Principio, infatti è vergine di ogni mescolanza: l’Essere primordiale ed intelligibile è essenzialmente puro. Così i sacerdoti non rivestono che una sola volta Osiride della sua veste, per subito riporla e non mostrarla mai né toccarla mai. La visione dell’Essere non si può ottenere o percepire che in un solo istante». E dunque il rimando dantesco al velo denota la sua vicinanza ad una forma di pratica esoterica, ma quale?

I Fedeli d’Amore

Come noto Dante faceva parte dei Fedeli d’Amore, una confraternita iniziatica che aveva tra i suoi rappresentanti i più importanti stilnovisti del Trecento. Sono nomi noti: Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, . Cino da Pistoia. In particolare, la loro filosofia, di stampo neoplatonico, ruotava attorno alla ricerca della Grazia, cioè della possibilità di elevarsi spiritualmente sino al ricongiungimento col Principio divino, dal quale l’anima discende nel corpo, attraverso l’aiuto della Donna Angelo; per Dante, Beatrice. Alcuni versi di Guido Cavalcanti ci chiariscono cosa rappresentava per i Fedeli d’Amore la figura della Donna Angelo: «Chi è: questa che vèn, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’àre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira?». A questo proposito Borges, nei suoi Nove saggi danteschi, sostiene la suggestiva teoria che tutta la Commedia altro non sia che un enorme tributo immaginale concepito dal Sommo Poeta per celebrare l’apoteosi della sua Amante Invisibile che, infatti, lo trasporta sino al Settimo Cielo e lì lo lascia col suo celestiale sorriso, vero punto di arrivo della beatitudine dantesca all’incrocio tra il trascendente e l’umano, C’è evidentemente un forte impianto neoplatonico che orienta questa interpretazione della donna angelicata: dall’Uno che emana l’intera Creazione (Emanatio) si genera l’anima singola, congiunzione tra corpo e Spirito Universale che poi, mercé una pratica di contemplazione della bellezza femminile, nutrirà finalmente la consapevolezza delle relazioni tra tutte le parti che compongono la Vita, la Conversio (conversione). Da qui inizia il processo di Remeatio (ritorno) alla Fonte eterna dell’essere singolo, all’ideale dell’essere nell’Essere. Scoto Eriugena sostiene che chi cerca questa primordiale Unità, comprende come ciò che è stato creato mortale sia invece coeterno all’Essere; l’umanità può allora vivere nel divino che vi è nel mondo”,

La «diritta via» alchemico-latomistica

 A questo punto dobbiamo tornare alla terzina iniziale del Canto | come vera e propria epitome di tutta la simbologia iniziatica dantesca. Il primo aspetto da evidenziare è che possiamo at- . tribuire alla espressione «diritta via» una ascendenza decisamente alchemico-latomistica. . L’Opus Magnum, la trasmutazione dei vili metalli in Oro, infatti, altro non è che una metafora, per quanto operativa, della progressiva purificazione dell’animo umano dalle passioni smodate che, rettificandosi, trova il cammino verso il ricongiungimento con l’Essere, il Principio Universale ed eterno, infinito ed ineffabile, da cui tutto promana e verso cui tutto dovrebbe tendere a tornare. Lo scopo di questo ritorno, di questa Remeatio, come la definiva la filosofia neoplatonica rinascimentale, è ottenere, attraverso la purificazione, oltre che l’incorruttibilità dei corpi, una buona vita, il Risveglio inteso come liberazione dal giogo delle apparenze. E non è forse proprio uno stato di sonno della ragione che svia Dante dalla «diritta via»? L’intelligenza, quindi, è solo un mezzo per contemplare la meravigliosa unità di tutte le cose. Ma essa può anche smarrirsi nelle cose, nel loro mero possesso, e perdere così la capacità di conoscere la verità che le unisce. La rettificazione dell’intelligenza umana, che per sua natura si distoglie facilmente dalla Verità, che cade nel suo stesso sonno, può avvenire solo attraverso un cammino spirituale ed operativo nel e col Mondo, che renda possibile il riconoscimento dell’intima relazione tra tutte le forme manifestate. A questo proposito possiamo dire che tutto il programma alchemico suggerito dalla ricerca dantesca, viene riassunto nella nota formula V.I.T.R.O.L, cioè Visita Interiora Terrae, Rectificando, Invenies Occultum Lapidem, cioè visita l’interno della terra e rettificando otterrai la pietra occulta, Se pensiamo che questo acronimo, presente tra l’altro nel Gabinetto di Rifles- ” Sione massonico, compare per la prima volta su di una tavola annessa al manuale alchemico Azoth di Basilio Valentino, pub- blicato nel 1613, capiamo come Dante abbia anticipato, o forse per meglio dire, tramandato, attraverso i suoi Versi, una ricerca molto più antica, Ed infatti le corrispondenze tra la formula alchemica e il Canto | sono per così dire assolute. l’acronimo suggerisce, infatti, un metodo di ricerca e di evoluzione personale che parte da quella che in Massoneria viene definita la «pietra grezza», cioè l’individuo schiavo della pura materialità e delle sue ondivaghe passioni, per arrivare alla «pietra levigata», metafora del passaggio verso una individualità equilibrata e consapevole, in grado, per questo, di essere una componente della grande costruzione sociale che si tiene armonicamente quando tutti fanno la loro parte, insieme e senza egoismi. Ma per arrivare a sgrezzarsi bisogna, per prima cosa, scendere nella «terra interiore» alla ricerca dell’anima personale. Solo così, al cospetto della propria unicità, si potrà compiere il lavoro di rettificazione, cioè di purificazione dell’Ego dalle incrostazioni materiche che lo tengono legato al Regno della Quantità”. In alchimia si percorre la stessa strada dal punto di vista operativo. Nel crogiolo alchemico la Prima materia, sintesi di Zolfo e Mercurio filosofici, viene successivamente sciolta e nuovamente coagulata sino a rettificarla appunto, renderla pura e cristallina, fissarla nel Sale di una Pietra Filosofale che ricorda le caratteristiche teosofiche del Corpo Spirituale del Cristo Salvatore,il Cristallo della Salvezza. Ma per procedere verso la «diritta via» bisogna attraversare tre fasi principali: quella al Nero, simboleggiata dalla discesa dantesca all’Inferno, quella al Bianco,il Purgatorio, e poi quella al Rosso, il Paradiso. Ecco allora, al di là delle metafore alchemiche e latomistiche, peraltro chiarissime nella Commedia, che vediamo finalmente profilarsi il senso, la direzione della «diritta via»: si tratta di un cammino ascensionale dopo una discesa. Dante, come un alchimista, compirà il viaggio attraverso la materia del suo stesso corpo mortale e di quella del Mondo, simboleggiata dalle figure dei peccatori, sino alla purificazione. Così, come l’alchimista sì identifica con la materia messa a trasmutarsi nell’Atanòr poiché senza una corrispondente elevazione spirituale nessuna operazione potrà portare alla composizione della Pietra Filosofale, Dante trasmuta la natura del suo corpo sino adelevarlo allesoglie del Primo Mobile.

TRATTO da “HIRAM” n. 1/2019

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