CI SONO FIGLI CHE NASCONO DALLA PANCIA…

Ci sono figli che nascono dalla pancia e figli che nascono dal cuore.

Quando decidi di incamminarti sull’impervio e lungo, talvolta lunghissimo, sentiero dell’adozione, sai che a guidarti è solo il cuore. Un po’ di incoscienza (per non dire molta!) e una enorme dose di amore ti spronano e ti sostengono, sempre e soprattutto quando temi di non farcela. Poi quel figlio tanto atteso arriva come un uragano a sconvolgere gli antichi e rassicuranti equilibri, e allora ti sembra di aver finalmente raggiunto il traguardo. E invece no, ben presto ti rendi conto che quello è stato solo l’inizio. Perché il cammino, quello vero, è appena cominciato.

È difficile scontrarsi con le ferite di chi, pur essendo così piccolo, in termini di esperienze e di lotte con i lati più oscuri e duri della vita sembra aver già fatto molta più strada di te. Ed è in quel momento del complicato e spesso duraturo percorso di accettazione reciproca che ti chiedi chi o che cosa ti abbia spinta fin lì. Chi o che cosa te l’abbia fatto fare. Ma la risposta, a ben guardare, è tutta lì: nel tuo cuore, che scoppiava d’amore ancor prima di cominciare.

E poi, all’improvviso e inaspettatamente, dopo tre anni di rabbia e scontri e pianti, alternati a momenti di quiete, di autentica gioia e di sorrisi aperti, quella risposta diventa una conferma. La conferma che da tempo sognavi. Ed è proprio lì, scritta nero su bianco, non solo tra i versi di una poesia in rima inventata per l’occasione, ma anche tra le righe di un compito a casa. Il tema è sempre lo stesso: celebrare la mamma, nel giorno della sua festa.

a queste parole, le più belle e profonde che mi siano state dedicate da quando sono nata mamma, emerge in modo semplice e candido una grande, sacrosanta verità. Di cui avevo molto sentito parlare, senza averne ancora percepito la vera essenza. L’empatia (nel senso etimologico del termine) che si crea tra genitori e figli a lungo desiderati e poi finalmente adottati, ad un certo punto del percorso di accettazione reciproca, riposa nella capacità di sentire, come fosse la propria, gli uni la sofferenza degli altri.

Sembra strano in effetti, ma sono proprio le sofferenze, così simili eppure così diverse, patite da ambo le parti nella vita precedente, a tracciare il solco per raggiungere il senso di appartenenza. E per segnare la tappa dell’identificazione. Un’appartenenza e un’identificazione che si fanno, al contempo, espressione comprensione e accettazione della propria identità e della propria storia, quando l’uno riesce finalmente ad entrare nel cuore dell’altro e ad abbracciarne il sentire. Allorché si riesce a scorgere nell’altro il riflesso delle proprie cicatrici e a vedersi a propria volta capito, e dunque accettato. È in quel momento che le storie degli uni e degli altri si intrecciano tra loro, dando vita ad un’unica, nuova storia. Così il cerchio si chiude e si può ricominciare a tessere una trama comune.

Quando questo momento finalmente arriva, per quanto tu sappia che di strada da fare ce n’è ancora tanta, procedi più serena per quel cammino, con la certezza che la pancia non è tutto. Perché tutto passa sempre dal cuore ed è lì che deve, necessariamente, tornare.

A tutte le mamme di cuore, in attesa e in travaglio, buona festa e buon cammino

Questo blog è apparso per la prima volta su Marshmallow Blog

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