EPICURO E L’IDEA DI FELICITA’

Epicuro e l’idea di felicità

Epicuro identificava l’autentico bene con il piacere, ma il suo edonismo ha un carattere del tutto particolare. Diversamente dai cirenaici, i quali riducevano il piacere a puro godimento corporeo, Epicuro identificò, come vedremo in questa Tavola, il piacere supremo con l’assenza di dolore e ritenne i piaceri e i dolori dell’anima superiori a quelli del corpo. La nostra natura richiede pochissimo. Noi invece desideriamo molte cose. Come si spiega questa aporia? Secondo Epicuro siamo noi stessi, la nostra mente la fonte dei nostri guai e la filosofia è il farmaco che ci può liberare dalle vane illusioni.

Il criterio che regola la vita pratica per Epicuro è la ricerca del piacere e l’allontanamento del dolore, in modo che si stabilisca nell’anima dell’uomo uno stato permanente di calma e di serenità con l’eliminazione del dolore fisico (aponia) e del turbamento spirituale (atarassia). Tale stato di serena tranquillità non si ottiene con il godimento sfrenato di tutti i piaceri e con la rimozione di ogni dolore, ma occorre che l’uomo si lasci guidare da una ponderata valutazione delle conseguenze che deriveranno dalle sue scelte, dalla soddisfazione di un piacere presente o dalla sua rinuncia e dalla soppressione di un dolore attuale o dalla sua accettazione: infatti, un piacere soddisfatto può generare dolori più grandi, come un dolore accettato può procurare in seguito gioie superiori. Di conseguenza è a volte necessario per l’uomo limitare l’appagamento dei propri desideri immediati al fine di procurarsi beni più stabili e duraturi anche se non istantanei.

La gerarchia dei piaceri

Per poter raggiungere l’atarassia, Epicuro ha distinto accuratamente i vari tipi di piacere in a) naturali e necessari (mangiare, bere, dormire…); b) naturali e non necessari (mangiare cibi raffinati, bere eccessivamente, dormire troppo…); c) non naturali e non necessari (ricchezza, gloria, onori…).

I primi bisogni devono essere appagati, perché, quando sono stati soddisfatti, cessa nell’uomo quello stato di dolore che nasce dal bisogno e dal desiderio; gli ultimi devono essere sempre rifiutati perché, se vengono appagati, risorgono di continuo con rinnovata violenza, togliendo all’uomo la tranquillità. I desideri della seconda categoria possono essere soddisfatti con moderazione e prudenza, affinché non turbino l’equilibrio interiore.

La filosofia come quadrifarmaco

La sua filosofia si manifesta come una pratica terapeutica. Più precisamente essa prende la forma di un Tetrafarmaco (“quadruplice farmaco”) poiché intende: (a) liberare gli uomini dal timore degli dèi; (b) liberarli anche dal timore della morte; (c) dimostrare che il dolore è breve e provvisorio; (d) indicare quale piacere debba essere perseguito.

Il quadrifarmaco è costituito da quattro massime, che rappresentano un rimedio, o farmaco, contro i dolori e le angosce della vita: in primo luogo non bisogna aver timore degli dei. Gli dei, beati e incorruttibili, non si curano del mondo e quindi gli uomini non devono temere un loro intervento. Secondariamente non bisogna temere la morte. Essa non ha alcun rapporto con l’uomo: come la vita si forma per aggregazione di atomi, così la morte avviene per disgregazione degli stessi atomi, di conseguenza, finché l’uomo esiste, essa non c’è e, quando essa sopraggiunge, l’uomo non è più. In terzo luogo, il male è facile da sopportare. Il male, cioè il dolore, può essere sopportato col ricordo della felicità passata e la speranza del bene futuro. Inoltre, il dolore, se è violento, passa presto; se è leggero può essere tollerato facilmente perché l’organismo vi si abitua. Da ultimo il bene è facile da procurarsi. Il bene, cioè la serenità dell’anima, si può raggiungere facilmente seguendo la saggezza e la prudenza, che suggeriscono quali bisogni possano essere soddisfatti e quali altri invece debbano essere rifiutati.

Il grande valore dell’amicizia

L’uomo, se vuole possedere pienamente la tranquillità della vita e la felicità interiore, deve vivere appartato non partecipando all’attività politica, causa di turbamenti e fastidi. La vita politica per il fondatore del Giardino è sostanzialmente innaturale. Essa comporta, come conseguenza, continui dolori e turbamenti; compromette l’aponia e l’atarassia e, quindi, anche la felicità. Infatti quei piaceri che dalla vita politica molti si ripropongono sono pure illusioni: ci si aspetta potenza, fama e ricchezza, che sono, come sappiamo, desideri e piaceri né naturali né necessari e, dunque, vuoti e ingannevoli miraggi. Ben si comprende, quindi, questo invito di Epicuro: «Liberiamoci una buona volta dal carcere delle occupazioni quotidiane e della politica». La vita pubblica non arricchisce l’uomo, ma lo disperde e lo dissipa, perciò l’epicureo si apparterà e vivrà in disparte dalle folle: «Ritirati in te stesso, soprattutto quando sei costretto a stare tra la folla». «Vivi nascosto», suona il celebre comandamento epicureo. Solo in questo rientrare in sé e rimanere in sé può essere trovata la tranquillità, la pace dell’anima, l’atarassia. Unica forma di rapporti con gli altri uomini è l’amicizia, libera e disinteressata, che procura conforto duraturo anche nei momenti del dolore.

È a volte necessario per l’uomo limitare l’appagamento dei propri desideri immediati al fine di procurarsi beni più stabili e duraturi anche se non istantanei.

Epicuro come Aristotele distingue tre forme di amicizia, basate rispettivamente sull’utile, sul piacere e sulla virtù. È chiaro che mentre un’amicizia fondata sull’utilità o sul piacere è destinata a finire quando il piacere o l’utilità cessano, l’amicizia fondata sul bene, quindi sulla virtù, è la più stabile e ferma ed è quindi la vera amicizia. Il pensiero massonico da sempre insiste sull’importanza dell’amicizia. Soprattutto nel mondo attuale, caratterizzato da relazioni continuamente prive di coinvolgimento emotivo e improntate all’utile o alla rivalità, l’amicizia rappresenta per la Massoneria il cemento che tiene uniti i Fratelli. Essa è una delle rare Istituzioni che coltiva questo nobile sentimento purtroppo sacrificato a favore di idoli fasulli, di beni illusori in nome dei quali si calpesta ignominiosamente quanto di più onorevole l’uomo è capace. L’amicizia nel mondo contemporaneo, dominato dall’utile economico e dalla competizione per il potere e nel quale i rapporti personali sinceri tendono a lasciare il posto a rapporti impersonali freddi e distanti, costituisce a nostro modo di vedere un ingrediente indispensabile per la fratellanza massonica. Ci sembra possibile un’amicizia senza fratellanza ma ci pare alquanto improbabile una fratellanza senza amicizia D. B.

Bibliografia
– AAVV, Questioni epicuree, Academia Philosophical Studies, gen. 2015
– Francesco Verde, Epicuro, Ed. Carocci, Roma 2013

LUGLIO 2018

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