PERCHE’ UNA TAVOLA

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

Maestro Venerabile: concedo la parola al Fratello … che ha scolpito una Tavola dal titolo

“perché una tavola”

Vi siete mai domandato Fratelli carissimi il motivo per cui sorge il bisogno di presentare una Tavola in Loggia?

Quali sono le motivazioni che inducono a porre nero su bianco una sequela di segni che, tradotti nella parola, vengono portati alle Colonne, composte in severa posizione faraonica; colonne che guardano l’oratore che, all’ordine, di fronte alle pesanti lastre di grigia pietra si accinge a coinvolgere l’Officina tutta con i propri pensieri.

Egli, scalpello e mazzuolo impegnati, scolpisce con precisi colpi nel duro granito quelle emozioni, quei significati, quelle apparenti conquiste che il suo pensiero ed il suo animo ritengono di aver acquisito nel diuturno lavoro, con faticosa costanza.

I ben assestati colpi si susseguono col ritmo che la mente imprime e giungono, con aereo volo, al sensibile uditorio.

Essi intendono asserire che la costruzione perenne del Tempio ideale procede dalla notte dei tempi e lentamente si eleva nel misterioso piano ascendente.

Sono atti, sono parole che scaturiti dalla personalità dell’uno si protendono alla collettività nel tentativo di sollecitare, di confrontare, di ricercare l’unicità del pensiero, del lavoro, della crescita che il singolo laborioso Fratello tende ad acquisire nell’insieme dell’Istituzione.

Egli è solo, quando si accinge all’improba prova, solo con il suo Ego, intento a scavare nel profondo della ricerca di quel Se, cui tende.

La sua mente, percorsa da una ridda assillante di cognizioni acquisite, a volte coerenti altre contrastanti col cammino iniziatico, è costretta alla ricerca di verifica per confermare o correggere, per assecondare o contrastare, per docere o per discere, in tutti quei momenti nei quali il lavoro collettivo si evolve all’interno del rito.

Mentre il suono dei significati vibra dal timpano al cervello, mentre la comunicazione dell’uno innesca nel tutto il processo della ricezione, in ogni Fratello il fenomeno dei consensi o dei dissensi, della partecipazione totale o parziale, del perdersi nei meandri del pensiero, agisce quale stimolo o deterrente alla partecipazione.

S’alza il braccio possente, armato del mazzuolo sapiente, colpisce il passivo scalpello che, penetrando nell’amorfa materia, incide il solco della saggezza e col paziente lavoro infiora la grezza pietra con volute di pensiero.

Sferiche onde di suono si dipartono e, vagando con vettori centrifughi, si espandono a beneficio dell’attivo ricercatore; lo cercano, lo stimolano, colpiscono le sfere ed i piani ricettivi, sollecitando ad essere sempre aderenti a quei presupposti sui quali I’Istituzione pone le proprie basi e che si completano nella ricerca iniziatica.

Il Fratello attivo, nel momento stesso in cui viene intimamente sollecitato in tale lavoro, si assume pesanti responsabilità in quanto non potrà mai riconoscere a priori quale fenomeno il suo dire possa apportare negli animi e nelle menti dell’attenta platea.

“Il segreto muratorio ostacola sempre la completa comunicazione …”.

L’oratore, allora, nel porsi innanzi all’Officina, ha l’obbligo di essere il più

semplice possibile nel suo dire; deve, a priori, essere convinto che la sua fatica è solo l’apporto del singolo al singolo, senza alcuna pretesa che la tavola presentata abbia sapore di verità e con la certezza, invece, che con fraterna umiltà ha porto una pietra, forse squadrata.

Ed il Tempio cresce; cresce con l’evolversi dell’attivo Fratello, cresce con l’attenzione delle colonne ricche ed avide di conoscenza, cresce con l’alterno divenire di entusiasmi, delusioni, accettazioni, ripulse, stizze, contrasti; fenomeni tutti che appartengono all’uomo e risuonano di metalli, ma che sono destinati a scomparire nella serenità del contemplativo silenzio.

Solo allora il risuonare dei colpi penetra nella profondità dei sensi, solo allora la parola, veicolo di concetti e non di assiomi, dirà al Fratello: “io ho parlato, tu hai

sentito, conforta il mio lavoro con l’opera tua”.

Avrò tratto dalla Scuola iniziatica, attraverso il faticoso cammino, un’ennesima

lezione.

Essa mi ricorda: “anche se cinto del virtuale segno di Maestro, sei pur sempre l’Apprendista della Saggezza”,’ Apprendista che aspira a cancellare la propria rozzaconformazione e di poter un giorno inserire la levigata cubicità del proprio Se qualeperfetto tassello della erigenda costruzione.

Ecco perché una tavola.

4/ 11/ 1988 dell’e.’. v,’. TAVOLA SCOLPITA  DAL  FR.’. ANGELO CAMOSSO

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