ANGOSCIA E PAURA

ANGOSCIA E PAURA


Il concetto di Angoscia si confonde facilmente con quello di Paura e i loro contorni non sempre sono bene identificabili.
Entrambi hanno alla base la sensazione e la certezza di non essere in grado di opporre una resistenza, idonea, alla difesa da ciò che appare come una minaccia. In entrambi i casi si crea un malessere fisico che coinvolge tutta la persona, ma non in modo identico. Infatti la paura insorge di fronte a pericoli concreti e consapevolmente identificati, per cui il soggetto minacciato, anche se riconosce le sue forze insufficienti a vincere lo scontro, almeno sa in quale direzione e con quali mezzi orientare la sua reazione. L’angoscia, invece, comporta un malessere fisico associato ad una apprensione che direi più vitale e più intima. L’individuo colto dall’angoscia si sente minacciato nella sua esistenza, ma senza conoscere le cause di questa minaccia e avverte l’incapacità ad una reazione proficua, proprio perché non ha la esatta identificazione della natura del pericolo. Questa sensazione di attentato alla propria entità può insorgere anche per la temuta perdita di persone care alle quali siamo attaccati per un amore possessivo, così come di cose o beni che sentiamo parte integrante della nostra persona e la cui perdita verrebbe interpretata come lesione della integrità personale.
Lo stato di angoscia può essere permanente o fluttuante, essere collegato ad un oggetto specifico, o variabile col passare del tempo. Si conoscono forme diverse di angoscia e alcune presentano delle connotazioni particolari. Le “fobie”, per esempio, sono costituite da idee ossessive con grave reazione emozionale di fronte a pericoli possibili ma inadeguati, di per sé, a creare simili risposte. Le più comuni sono l’agorafobia, la demofobia, l’acrofobia insorgenti, rispettivamente, per trovarsi in un grande spazio, o in mezzo alla folla, o su un’altura e altre consimili. Un altro tipo di angoscia è la “nevrosi” in cui troviamo alterazioni del sistema nervoso non organiche, ma funzionali, che nascono per reazioni emotive irregolari. Il nevrotico non sa trovare una soluzione, adatta alla sua personalità, nelle difficoltà della vita. Senza essere in stato di malattia mentale, la sua personalità è lontana dalle realtà quotidiane, non si sa adeguare ad esse e vive in uno stato di disadattamento. La nevrosi oltre che nel comportamento, si manifesta spesso con l’insorgenza di apparenti patologie interessanti svariati apparati dell’organismo umano. Sono le cosi dette “nevrosi d’organo” in cui il soma interessato è del tutto sano, ma funziona male solo per le interferenze psico-emotive del soggetto su di esso. Come esempi, si possono ricordare le nevrosi cardiache e digestive. Ci sono poi le angosce “morali”, in cui la persona è sofferente perché teme il suo degrado morale o addirittura la totale perdizione. Qui è chiara la base religiosa che crea coscienza di peccato e sensazione di rimorso, magari con la possibilità di una redenzione tramite un’angoscia anterimorso. In queste circostanze la psiche del soggetto avverte l’esistenza di principii superiori, trascendenti la sua individualità e chi riesce a parteciparne trova la beatitudine, altrimenti rimane nella sofferenza. Ripensando a quanto detto fino a questo punto e volendo trovare un quid comune a tutte le su ricordate evenienze, dobbiamo notare che esse sussistono perché coloro che ne soffrono credono, sentono che ciò che avvertono come minaccioso sia “possibile”. Perciò, si può ritenere, come pensò nell’Ottocento il filosofo Kierkegaard, che l’Angoscia sia creata dal “sentimento della possibilità”. È possibile e un fatto è possibile che accada, solo se si presentano le condizioni permettenti. Infatti io posso ritenere possibile andare da una località ad un’altra, dando per sicura la esistenza di un certo mezzo di trasporto, ma se questo viene a mancare la mia possibilità sparisce. Quindi la possibilità non è mai assoluta, ma sempre relativa al sussistere di certe condizioni. E stando così le cose, neppure esiste una impossibilità assoluta. Infatti l’impossibile è legato a certe condizioni che impediscano una precisa evenienza, ma se questi ostacoli scompaiono non esiste più l’impossibilità. Perciò, se si entra nella spirale ossessiva di una qualunque preoccupazione, non esiste, umanamente, speranza di salvezza, dato che non sarà possibile arrivare ad un punto ditale gravità che sia impossibile andare oltre. Kierkegaard, allora, visto questo effetto nullificante del concetto del possibile, che annulla ogni prospettiva umana, pensa che, in tali condizioni, l’Uomo non possa fare altro che appoggiarsi alla Fede e cercare “Colui a cui tutto è possibile”. In questo caso se le possibilità umane trovano un avallo in una Realtà assoluta, il possibile diventa una potenzialità destinata a realizzarsi sempre, perché ha una garanzia assoluta. Ma ci sono sempre gli insuccessi e i dolori, per cui bisogna ammettere che non tutte le possibilità sono effettivamente avallate da questo Valore o Essere Supremo.

Non accettando questa via, negando cioè l’alternativa religiosa, abbiamo veduti Sartre, Jaspers ed altri promuovere quella “filosofia dell’angoscia e dello scacco” che è stata identificata come la più discutibile e negativistica, ma anche come la più nota fra le correnti dell’Esistenzialismo. Ne è derivata una letteratura che ha sottolineato come nella vita manchi assolutamente ogni sicurezza e stabilità, lumeggiando invece gli aspetti più tristi e sconfortanti dell’esistenza umana uniti all’incertezza e all’ambiguità dello stesso “bene” che può sfociare nel suo contrario. Con questo movimento di pensiero sono caduti molti falsi miti indotti dal dogmatismo e dalla fittizia sicurezza dominanti nell’Ottocento, ma non ne è scaturita alcuna soluzione capace di indicare una qualche via di uscita dalle gravi difficoltà che affliggono il mondo.

Passando ad un esame più particolare delle diverse occasioni determinanti angoscia, vediamo che non sempre è facile separare i concetti di angoscia e di paura col criterio a cui si è accennato all’inizio. In molte situazioni, infatti, i due sentimenti sfumano l’uno nell’altro o sussistono contemporaneamente. Così nelle guerre, combattute con armi sempre più devastanti e capaci di creare danni duraturi e non conosciuti, almeno dall’uomo comune: dall’uso di energia nucleare, di mezzi elettromagnetici, di sostanze chimiche oltre che paura, non può non derivare anche angoscia. Altri fattori temibili, perché non sempre valutabili, sono di natura umana, come la comunicazione. In questa, infatti, predomina sempre più l’anonimato, si parla senza vedersi, né conoscersi e le notizie almeno mentre le riceviamo, non sono vagliabili dal filtro che ci darebbe il conoscere il comunicante e mentre, magari, ne gioiamo abbiamo anche il dubbio sull’attendibilità della fonte di informazione. Perciò eventuale gioia, ma anche incertezza e angoscia. D’altra parte, la comunicazione è sicuramente determinante per lo sviluppo psicologico e intellettivo dell’uomo. Certe reazioni automatiche e certe sensazioni che diciamo “istintive” , forse non sono altro che risposte abituali a comunicazioni ricevute in un tempo che non ricordiamo. La paura del buio, per esempio, è istintiva o legata a qualche “allarme” per un ipotetico pericolo datoci nell’infanzia, solo per non farci allontanare dal controllo visivo di chi ci doveva sorvegliare e del tipo “attento al buio perché c’è l’orco” ? Le angosce possono essere legate al presente, come al passato o al futuro e derivare da qualunque cosa o da qualunque fatto che ci coinvolga.
Un altro elemento angosciante è la Solitudine, di cui l’uomo contemporaneo soffre frequentemente, pur essendo circondato da una miriade di suoi simili in continuo accrescimento. Forse è proprio per questo che si sente solo, dato che la vicinanza degli altri è spesso avvertita come un pericolo e che nel prossimo non si trova facilmente né amicizia, né alleanza. In realtà, l’uomo, fin da l’origine, è stato un egoista, desideroso di avere tutto quello che vede o che gli piace ma che, spesso, non può ottenere perché “gli altri” glielo impediscono. Gli “altri” infatti, di fronte al pericolo del “più forte”, anche senza entusiasmo, si sono associati con chi è loro più simile, per evitare che “in tenzone” chi è più forte o più svelto possa prendere il sopravvento. Così, è nata la “società” dove, per convivere, è stato necessario stabilire alcune regole e, per farle rispettare, istituire dei mezzi coercitivi codificando leggi e pene. A questo punto l’individuo ha dovuto cominciare a scegliere la sua posizione.
Questo dilemma, di solito, è meno sofferto quando la comunità è piccola e costituita da persone che, almeno in gran parte, si conoscono fino dalla giovane età, perché in tale ambiente, viene quasi automatico che ciascuno trovi il suo ruolo sulla guida delle consuetudini del contesto in cui viene a nascere. Sarà, invece, più difficile e competitivo inserirsi in un ambiente più vasto, dove, magari si offrono opportunità numerose e varie, ma dove anche, necessariamente, affluiscono in maggior numero persone da vani luoghi con abitudini e mentalità diverse. E’ inevitabile la concorrenza, acuita dalle differenti origini dei contendenti. Col crescere ditali comunità, l’individuo trova più difficilmente alleati e amicizia, per cui sente crescere la sua solitudine. Può tentare di uscire da questo stato se riesce ad integrarsi in una fazione, per esempio, fra colleghi di lavoro con i quali ha maggiore affinità. Ma anche questo fino a quando arriva il momento di migliorare la propria situazione, salendo un gradino nella scala qualitativa o economica.
Quasi sempre non rimane che la propria famiglia, per chi ne ha una, ma anche questa è sempre meno stabile e la sua coesione sempre meno persistente. Infatti, i coniugi hanno ruoli che tendono ad uniformarsi, per cui si sentono meno dipendenti e ammirati l’uno dell’altro, se non arrivano addirittura all’invidia o all’insofferenza. I figli che, per legge generazionale, sono sempre stati su posizioni di valutazione, sia degli avvenimenti che delle decisioni, diverse da quelle dei genitori, mentre in anni addietro acquisivano questa coscienza più lentamente, oggi avvertono molto presto questa situazione ed essendo ancora meno maturi, reagiscono con minore prudenza e maggiore arroganza. Così, principii e abitudini che, per i padri, erano fondamentali, sono stati visti dissolversi quasi come in una fiammata di paglia ed essere sostituiti da costumi e sentimenti di non facile accettazione. Il modo di vivere si è fatto più frenetico e impersonale, con la necessità di mezzi di comunicazione sempre di più facile accesso (anche se più sofisticati) e più veloci. Perciò si preferisce telefonare anziché incontrarsi di persona e, piano piano, questa comunicazione diventa sempre più anonima, allenta i rapporti fra gli individui e crea essa stessa, come si è già visto, altre occasioni di angoscia.
Considerato quanto è stato detto fin qui, sembrerebbe che l’uomo dovesse essere condannato necessariamente all’angoscia e alla disperazione, non essendo capace, da solo, di risolvere i propri problemi. Ma non è così. L’Uomo ha delle potenzialità che non devono essere obbligatoriamente catalogate come o “impossibilità” o “possibilità” assoluta di realizzazione. L’uomo ben preparato moralmente e intellettualmente esamina, con distacco, senza passionalità, la situazione in cui si trova e intraprende una ricerca tendente a conoscere e stabilire i limiti di successo o di insuccesso: il risultato non deve indurre né all’esaltazione, né alla disperazione. Oltre tutto, la ricerca può riproporsi nel futuro, giovandosi delle nuove conoscenze che saranno acquisite nel tempo e col variare delle convinzioni e della mentalità che, giorno per giorno, anche se lentamente, sono destinate a mutare. In ultima analisi, è e sarà sempre l’uomo, educato alla ragione e all’autocontrollo, facente appello alla sua fede religiosa, alla sua formazione morale e alle sue risorse intellettuali, il padrone del suo “Io” se non fisico, almeno di quello morale e spirituale.

Rolando Brogelli

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