LA NATURA E IL SUO ORDINE

 LA NATURA E IL SUO ORDINE

Una riflessione per un Libero Muratore al tempo del coronavirus

(Riflessione n° 3)

“ Le cose tutte hanno ordine tra loro, e

questo è forma che l’Universo a Dio fa simigliante”.

(Dante A., Paradiso; Canto 1, 103)

“ Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”.

(Plotino, 204 d.C -270 d.C)

Continuo la mia “passeggiata solitaria in campagna” e penso a ciò che scriverò su questo tempo, che sta passando via lentamente. “Scrivere” diventa per me una necessità interiore, come “dipingere”. Spesso mi è chiesto, dove trovo il tempo per farlo, data la mia professione di chirurgo. Rispondo: per me è come respirare, è naturale, fa parte di me. Possono esserci periodi, più o meno lunghi di silenzio, ma poi, quando meno me lo aspetto, all’improvviso, arriva l’“intuizione”, senza mai cercarla. Essa piano piano si trasmuta, grazie alla ragione, in un’“idea”, inizialmente sfumata, ma progressivamente, sempre più definita. Ecco che nasce così l’”ispirazione” vera e propria; quello stimolo interiore che mi spinge, come una forza incomprensibile, quasi esterna da me, a trasformare il pensiero in un “atto creativo” (poiesis), in qualcosa che possa rimanere nel “tempo”, di cui in quel momento percepisco distintamente tutta la velocità, come se lo avessi in pugno e sentissi la mano svuotarsi, come sabbia che scorre. Non posso fare a meno di ascoltare e di obbedire a questa voce, che sento forte dentro di me come se mi urlasse; e così corro a scrivere o a dipingere le mie “Emozioni”. Il loro fantastico viaggio, parte dal mio “stupore” che scaturisce ammirando, nel silenzio, la natura; attraversa la mia anima, e termina, trasmutandosi in inchiostro o in colore, su un foglio di carta o su una tela. In fondo, lo scrivere come il dipingere è alimentato imprevedibilmente, da ciò che ci circonda, dalle più impercettibili variazioni dell’anima, in rapporto al fluire del tempo, giorno dopo giorno. Scrivo o dipingo, senza voler dimostrare niente a nessuno, senza la paura di essere giudicato, ma solo con lo scopo di conoscere, meravigliarmi e rallegrarmi; per il semplice motivo, che ci troviamo di fronte a una “Vita, che è un’onda di stupore più alta della morte”, come scriveva Karol Wojtyla (Canto del Dio nascosto: Rive piene di silenzio); un’onda, spumeggiante e misteriosa, che m’incanta cavalcare. Credo che, se Noi abbiamo compreso nel suo senso più profondo l’“Arte Iniziatica”, il nostro Lavoro interiore non può e non deve subire alcuna interruzione, neppure in questo periodo sospeso dal coronavirus. Riflettere e scrivere, mi aiutano a dare “ordine” alle mie idee. Scrivere – secondo me – rappresenta l’atto iniziale della conoscenza; e conoscere vuole dire acquisire più potere, vuol dire conquistare più libertà. È bello, ritrovarmi a esplorare nella profondità del mio caos interiore a ordinare (ordo ab caos) i miei pensieri. Infatti, il termine “ordine”/”ordinare” [ordo/ordinis ] indica: una disposizione regolare di più cose, le une rispetto alle altre, secondo un criterio ragionato, rispondente a fini di armonia. Nel suo significato più ampio, esso esprime anche un sistema organico di leggi che reggono l’universo: l’ordine dei cieli, come l’ordine della natura; l’ordine del mondo e l’ordine del cosmo. Purtroppo, in questo particolare momento storico, avverto una sensazione malinconica di provvisorietà, come se vivessi in un’imminente fine del mondo, che mi tocca nel profondo; e non solo, non mi permette, come vorrei, di ordinare i miei pensieri; ma ho l’impressione che anche l’“Universo” abbia perso il suo ordine. Ed è per questo motivo che cerco nella “Natura” campestre che mi circonda, razionalmente, passo dopo passo, l’”ordine delle cose”. Guardo con stupore, sotto il tepore della brillante luce primaverile, gli alberi: il castagno, la quercia, il leccio, l’ulivo, il cipresso, il liquidambar, il fico, il sorbo, il ciliegio, il mandorlo, il pero, il noce, il susino; gli arbusti: il biancospino, la ginestra, l’albatro, il crespino, il sambuco, il mirto, l’alloro, il ginepro, il corbezzolo, la marruca. Osservo i fiori: i denti di leone, le margherite, le primule, le fresie, i

narcisi, le calendule, i papaveri, gli anemoni, i fiordalisi, le viole, la malva, il ranuncolo e le loro rispettive foglie. Esamino il tutto, con l’attenzione di un naturalista, e mi rendo conto che l’”ordine” c’è, e come; nulla se n’è andato…nulla è stato perso! Se contemplo anche un piccolo particolare di qualsiasi varietà botanica, tutto si replica in modo ossessivo, regolare, matematico, geometrico, armonico, tutto si ripete, nel numero e nella forma. E, ingrandendo ogni parte è possibile ricostruire una figura simile all’originale. Tutto sembra meravigliosamente esatto e ordinato. Questa proprietà, puramente geometrica, chiamata: “invarianza di scala” caratterizza molte forme naturali, ed è definita scientificamente con il termine di “frattale”, coniato nel 1975, dal matematico francese Benoît Mandelbrot (1924-2010).

Questa sorprendente precisione, che rilevo nel mondo vegetale, mi richiama anche alla perfezione dell’organismo umano. Tutte le volte che spiego, ai miei studenti del VI anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia, le malformazioni congenite, facendo alcuni cenni di embriologia, mi emoziono, a pensare al miracolo dello sviluppo e della nascita di un essere vivente “normale”. Anche nell’anatomia umana, sia macro, sia microscopica, ci sono infiniti esempi d’invarianza di scala; di forme che si ripetono geometricamente in modo perfetto. In maniera analoga, molte simmetrie si riscontrano, sorprendentemente, anche nelle sequenze della doppia elica del DNA. Ad esempio sul singolo filamento di una molecola di DNA, il numero di “adenine” è pressoché identico al numero di “timine”, e allo stesso modo il numero di “citosine” è simile a quello delle “guanine”. Questo, ha rappresentato per più di cinquanta anni uno dei misteri più enigmatici della biologia; poiché, fino ad oggi, non è ancora stato completamente chiarito il principio dietro al quale si nasconde questa distribuzione simmetrica. La maggior parte degli esseri viventi utilizza il DNA per tramandare il proprio codice genetico alle generazioni future e questa informazione biologica è il principale mezzo, attraverso cui agisce l’evoluzione. Per questo, la specie animale umana è legata in modo indissolubile alle altre specie tramite la storia evolutiva. Il virus “Sars Cov-2”, formato da un mono filamento di RNA, lo sta luttuosamente confermando. Siamo tutti connessi, compresi i pipistrelli, i pangolini, gli zibetti e le scimmie e adesso condividiamo anche i virus.

Queste semplici osservazioni della “Natura”, sembrano concretamente avvalorare la tesi che un solo ordine regola il cielo e tutti gli esseri viventi. Dante Alighieri, affascinato da questa visione, in cui tutte le cose dell’Universo sono ordinate tra loro, tali da formare un tutt’“Uno” armonico, scorge in quest’ordine l’impronta di Dio, che è il fine cui tutti tendono; e lo dimostra in modo sublime in un verso del Paradiso (Canto 1,103): “ Le cose tutte hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’Universo a Dio fa simigliante”. L’“Uno” rappresenta per il Sommo Poeta, l’origine di tutte le cose, la perfezione, l’assoluto, il Divino; ne consegue che Dio è pienezza e completezza. Dio è la sorgente di ciò che esiste; e da esso emanano le forme, le dimensioni, i colori, lo spazio e il tempo (1). Pertanto, al fine di dare un significato al nostro vivere: all’“esser-qui”, all’“esser-ci e al “non-esserci”, noi sentiamo preponderante il bisogno di ricercare l’ordine naturale delle cose. Inoltre, siamo costantemente alla ricerca di una nostra posizione nel cosmo, nel quale fortemente ci sentiamo parte. Quest’ideale e fantastica sensazione di far parte del “Tutto” – come un nuotatore che si sente tutt’uno con l’acqua del mare in cui nuota – si rivela sotto forma di un’illuminazione improvvisa, di una dolce folgorazione, e ci dona un senso di pace e di serena accettazione anche nei confronti dell’imprevedibilità del destino. Essa appaga totalmente, all’istante, la nostra inquietudine esistenziale, legata alla consapevolezza della morte, la quale tende a farci sentire di per sé, come piccole particelle destinate a perdersi nel nulla. Solo adesso, scrivendo queste riflessioni, riesco a comprendere il significato profondo delle risposte, di quando chiesi al Mahatma Krishna – in India esso è l’appellativo onorifico riservato a persone di grandissimo  

prestigio religioso e morale – cos’è la morte? Lo vidi guardare il mare, che si congiungeva con il cielo, e così mi rispose: “Diresti mai di quella goccia che dalla nuvola cade nel mare, diresti mai che essa va a morire? “ . E, socchiuse gli occhi, come stesse meditando. Mahatma, gli chiesi ancora: chi è Dio? Il suo sguardo si fece così intenso che abbassai il mio, e rispose: “ Dio? Vuoi sapere chi è Dio? Nel momento in cui io ti dovessi spiegare, chi è Dio, esso scomparirebbe! Dio è Dio! “ . E, lo disse aprendo al massimo le braccia verso il cielo.

La vera felicità per l’uomo, secondo Aristotele (Etica Nicomachea), consisterebbe proprio nella comprensione di questo “disegno unitario”, in cui l’ordine e la bellezza regolano il “Tutto” (Cosmo). Platone (Simposio, 212, a) affermava che solo l’”Intelletto” – cioè la nostra intelligenza, la nostra ragione – nella sua attività più pura, quella “contemplativa”, ci permette di comprendere la vera natura divina e di cogliere il senso ultimo delle cose (2). In filosofia questo “percorso ascendente del pensiero” è considerato una vera e propria arte ed è definita “dialettica”. Plotino (Filosofo greco, 204 d. C – 270 d. C) affermava (Enneade I, 1) che la dialettica, è di grande utilità alla saggezza e alla vita morale dell’uomo, perché è destinata a guidarci verso il divino (3). Il filosofo gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin (1981-1955) ha descritto non tanto il personale percorso ascendente dell’intelletto, ma addirittura l’evoluzione dell’intero universo. Celebre è la sua affermazione: “ Tutto ciò che ascende converge”. E, il punto di massimo livello l’ha definito “Omega” e corrisponderebbe al Logos (Divino) (4).

Per cogliere i fenomeni in tutta la loro ricchezza è necessario avere, come scriveva il filosofo tedesco Max Scheler (1874-1928) in “L’eterno nell’uomo” (Bompiani Editore, 2009), un atteggiamento contemplativo disinteressato, distaccato dalla brama di possedere e dominare le cose. Nell’atto religioso – affermava il filosofo – si vede e si sente la presenza di Dio nella creatura, analogamente al modo in cui l’artista può essere visto o sentito nell’opera d’arte; così insegnare a trovare Dio è qualcosa di fondamentalmente differente e più eccelso che provare la sua esistenza. Questa particolare visione si ottiene solamente mediante un ragionamento intuitivo/intellettivo/filosofico (5). Essa è espressione di un percorso interiore della parte più sensibile della nostra anima; è semplicemente un “guardarsi dentro” (intuēre) (in=dentro e tuēre =guardare). È una “conoscenza intuitiva” che inizia sempre da oggetti che non ci sono indifferenti (utile o nocivo; piacevole o spiacevole); l’esempio che fa Scheler, è che il bambino sa che lo zucchero è piacevole prima di sapere che è dolce, colui che ama precede colui che conosce. Pertanto, la vera elaborazione del pensiero inizia sempre con una “fase empatica”. Prima, deve esserci empatia per il divino e poi la ricerca vera e propria. Ricercare il Divino – diceva Agostino- è un atto del cuore, è un atto d’amore; l’amore non un mero stato emotivo ma un atto spirituale che scaturisce dalla nostra relazione d’interesse verso la realtà, colta come non neutrale. Karol Wojtyla, sulle orme di Max Scheler, nel suo libro di filosofia antropologica (“Persona e Atto” Ed. Rusconi, 1999) dice che la filosofia nasce dalla meraviglia di fronte: ai fenomeni naturali, all’essere umano e all’essenza della persona. Wojtyla scrive, nella “Persona e Atto”, Tesi n° 35: L’uomo è il Dio visibile, vedere l’uomo, è vedere Dio; Tesi n° 15: Dio non è un Essere storico che collabora con l’uomo e l’uomo non collabora con Dio, ma agisce solamente in collaborazione di altri uomini; Tesi n° 16: La rivelazione Divina è impossibile da dimostrare. Infatti, il filosofo tedesco della religione, Rudolf Otto (1869-1937) influenzato da Kant, nella sua opera “Il sacro: l’irrazionalità nell’idea del divino e la sua relazione al razionale” scrive che la religione scaturisce dal “sentimento religioso”, che ha un carattere extra-razionale. Tale sentimento si basa sull’intuizione immediata di qualcosa che non è creato dall’uomo ed esiste oggettivamente al di fuori di lui e che si presenta sotto forma del “divino”, indicato da Otto col termine di numinosum (dal latino “numen”: che vuol dire suscitare emozioni spirituali o religiose; ciò che è misterioso e sbalordisce) che si manifesta  

con un senso d’impotenza di fronte all’infinità del tutto; che lascia senza parole, sconcerta la ragione e suscita meraviglia, inducendo nell’individuo rispetto e timore reverenziale “mysterium tremendum et fascinans”. Ma, nel tempo stesso il divino attrae, come fonte di gioia e di felicità, e così facendo contrasta la forza repulsiva del “tremendum”.

Questo concetto del tutto particolare del “Divino”, nel quale s’inscrive – secondo me -anche la Nostra visione del “Grande Architetto dell’Universo”, si differenzia completamente da quello delle “religioni organizzate”, come quella giudaico-cristiana. Il “Dio della religione” è un Dio vivo, antropopatico (àntropos = uomo e patia = passioni; cioè vuol dire attribuire a Dio passioni/sentimenti uguali all’uomo) che rivolge il suo sguardo su di noi e noi su di Lui, mediante la supplica e la preghiera; conosce la collera, la vendetta, l’amore, asseconda le circostanze e ripartisce le sue grazie e le sue disgrazie secondo misure talvolta incomprensibili. La Fede, comunque, di qualsiasi religione organizzata sia, va rispettata. Ha un’incredibile potenza psico-sociale. Invece, la visione del Divino ottenuta mediante il pensiero intuitivo/intellettivo, è quella di un “Dio metafisico, che come lo descrive Max Scheler, è un “Ens” immobile, non mutevole, eterno (sovratemporale). Anche, il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677) affermava che i contenuti biblici non presentano verità filosofiche o scientifiche, ma sono insegnamenti etico-pratici che richiedono obbedienza e fede. Chi perviene alla “conoscenza intellettuale”, giunge – secondo Spinoza – allo stato beatificante dell’“amor Dei intellectualis”, nella quale “è possibile sentire e sperimentare di essere eternamente in Dio”. Questa rappresenta una visione “panteistica” (pan=Tutto e Theos= Dio; dove “Dio è Tutto” e “ Tutto è Dio”) del reale; dove ogni cosa è permeata da un Dio immanente (Immanente: che esiste facendo parte della realtà abitata dall’uomo), in cui Dio e Natura coincidono. C’è quindi una sorta di simultaneità o coincidenza, tra l’atto attraverso il quale Dio si produce e l’atto attraverso il quale egli produce l’universo. Nella sua visione, lo spirito divino compenetra il mondo intero, e Dio perciò, coincide con la Natura, che è costante produzione e prodotto sempre nuovo, e non ha bisogno di essere pensato attraverso gli schemi, le categorie, della creazione o dell’emanazione perché in un certo senso compenetra il mondo e “traspare” in esso. Dio così non è fuori dal mondo, ma nel mondo, e costituisce con esso quell’unica realtà globale che è la Natura, considerata come “realtà” increata (non creata), eterna, infinita e unica; da cui derivano e in cui sono tutte le cose. Essa è concepita, nello stesso tempo, come struttura necessaria di tipo geometrico, in cui tutte le cose sono concatenate tra loro. Secondo Spinoza, niente può accadere nell’Universo che possa turbare l’Ordine e la necessaria connessione del Tutto; perché il “Tutto” è unito da una fitta e ordinata rete ferrea, tale da renderlo una cosa sola: l’”Uno”. Così viene meno – secondo Spinoza – anche il ruolo della preghiera, essendo costruita su una visione antropomorfa del Divino (Dio che presenta somiglianze con l’uomo). Infatti, è assurdo chiedere e sperare che possa accadere qualcosa di miracoloso, tale da spezzare l’”Ordine del Tutto”. Il vero atto di adorazione divina da parte dell’uomo, pertanto, è l’accettazione delle leggi di natura e la sottomissione a esse.

Mi rendo conto, che sia difficile comprendere nella sua interezza, e accettare nella sua totalità la “visione intellettiva di un Dio trascendente”, in contrapposizione alla “visione religiosa, del Dio della preghiera e della fede”. Quest’ultima ci è stata trasmessa dai nostri genitori e nella quale siamo culturalmente cresciuti. Io, non nego prego. L’azione del pregare, credo che non contrasti con la mia appartenenza a un “Ordine Iniziatico”, contraddistinto da una visione intellettiva e trascendentale del divino. Io sono consapevole, che quando prego, le parole non sono così importanti, ma è l’atto che conta. Io mi affido; mi rimetto totalmente al mistero della trascendenza divina, mantenendo la mia libertà. In fondo è stata questa la mia interpretazione di fronte alle parole del “Padre Nostro”, che risuonavano in una piazza del Vaticano, vuota e sotto la pioggia, recitate in latino da Papa Francesco per invocare la misericordia di Dio verso

gli uomini di tutto il mondo, contro la pandemia. È stato anche in questo caso un affidarsi a un ente superiore. La parola “misericordia” (deriva dal latino misericors, composta da misereor = avere pietà e cor-cordis = cuore) esprime semplicemente un sentimento di compassione attiva, verso l’infelicità altrui; è un grido di pietà e di dolore. Una virtù che risiede in tutti gli uomini di alto profilo morale. Secondo me, la contraddizione, per noi “Iniziati Libero Muratori”, nasce dal fatto che tendiamo ad attribuire al Dio metafisico, attributi del Dio della religione, che non possiede e non può avere. Credo, che sia molto difficile per noi pervenire a una chiara e un’univoca visione del divino, tra Dio della trascendenza e Dio della religione; cioè di includere nella nostra coscienza l’uno ed escludere l’altro. La propensione verso il sacro è verosimilmente una caratteristica insita nell’uomo, ma alcuni: gli “atei”, negano l’esistenza di Dio (In greco il termine atheos, è composto da α- alfa privativo= senza, theos = dio, letteralmente “senza dio”), altri: gli “agnostici”, non vogliono affrontare il problema del divino, perché ritengono di non avere capacità conoscitive adeguate (In greco il termine agnostico è composto da α (alfa privativo) = senza e gnōsis = conoscenza, cioè senza conoscenza). Gli agnostici reputano che le problematiche esistenziali, sia religiose, sia metafisiche, non facciano parte dell’essenza umana e che non siano storicamente durature. Sono considerate “categorie storiche”, cioè che vanno bene soltanto in una specifica fase della storia e della società umana, ma a un certo punto, in un futuro, saranno abbandonate completamente (6). Per questo motivo nella “Libera Muratoria”, non sono ammessi profani che non hanno “empatia verso il sacro”, che non “amano il divino” o addirittura negano la Sua esistenza. Queste persone, se entrassero a far parte del Nostro Ordine, potrebbero rimanere insensibili al magico impulso di salire con la mente in alto, verso il Divino che è nell’Universo o di scendere con la mente nell’abisso della propria coscienza, verso il Divino che è in Noi; e il loro viaggio spirituale potrebbe essere impedito, già ai primi passi, dalla loro stessa “ragione”.

Termino, la mia riflessione ponendo l’accento sul fatto che la vera finalità dell’appartenenza al Nostro “Ordine Iniziatico Libero Muratorio”, è raggiungere, mediante il nostro individuale percorso dell’intelletto o “cammino Iniziatico”, la conoscenza del divino, cioè la “Legge che regge l’intero universo nel più perfetto equilibrio e che regola l’intero universo nel più perfetto ordine” e da Noi definita: “Grande Architetto dell’Universo”.

NOTE

(1)Dio risiede nell’Empireo, e Dante con Beatrice si dirige verso quel luogo, perché il loro istinto naturale li spinge in Alto, verso il loro principio che è Dio. È pur vero, spiega Beatrice che, talvolta la creatura non asseconda questo impulso e devia dal suo corso naturale, in virtù del suo libero arbitrio; così l’uomo talvolta si piega verso i beni terreni e non verso il cielo, come fa una saetta che invece di tendere vero l’alto, procede verso il basso o come il fuoco che, invece di salire verso l’alto, rimane fermo sulla terra. Dante, per questo motivo, non si stupisce della sua “ascesa” verso la conoscenza del Divino, anzi si sarebbe stupito del contrario!

(2) L’“Intuizione”, scrive Max Scheler ( L’eterno nell’uomo, Ed. Bompiani 2009), è la forma di visione contemplativa semplice; ed è il vertice dell’apprendimento spirituale e la più profonda connessione con la ratio degli oggetti. 7

(3) Plotino (Enneade I,1-I,3) spiega come si diventa “dialettici”: “Si diventa dialettici con il rendersi familiari all’incorporeo, passando attraverso lo studio, procedendo ben al di là dell’opinione, conoscere a perfezione le cose definendone l’essenza, stabilendo i rapporti che ciascuna cosa ha con le altre, collocando ognuna di esse al posto che le compete nel mondo intellegibile”. “Nell’ambito del mondo ideale il dialettico – secondo Plotino – segue un doppio procedimento: uno che va dall’alto al basso ossia dai Principi primi alle idee più particolari, e uno che va dal basso all’alto (ascesa dialettica) e riporta al Principio primo, raggiungendo il quale si trova la pace. L’uomo si trova in pace finché sta lassù, dato che in questo luogo non si disperde in una pluralità di azioni, ma si limita a guardare, concentrandosi in unità. Che uomo dev’essere chi compie una tale ascesa? Non c’è dubbio il filosofo (perché è per sua natura già pronto a quest’ascesa, essendo, per così dire dotato di ali), il musico (perché è facile alla commozione e all’eccitazione difronte alla bellezza; pronto a trarla dall’armonia dei suoni e dei ritmi cogliendo la bellezza d’insieme, che sta sopra le singole note musicali) e l’ amante ( perché ha una predisposizione a cogliere le bellezze visibili e si eccita alla loro presenza; inoltre non si lascia affascinare dal primo corpo che incontra, ma si lascia condurre per via di ragionamento a occuparsi di tutti i corpi, dimostrando che in ciascuno c’è sempre un medesimo principio di “bellezza”, il quale è altro dai corpi, va riconosciuto come derivato da altro e, come dimostrano le belle attività e le buone leggi, si trova soprattutto in esseri diversi, cioè nelle arti, nelle scienze, e nelle virtù. In tal modo si abituerà a cercare l’amore in realtà incorporee. A questo punto, si dovrà fare unità, e insegnarli come tale unità si produce. Infine, dalle virtù risalirà all’Intelligenza e all’Essere, e da quassù dovrà avviarsi alla conclusiva ascesa. In che maniera lo fara ? Esiste forse un solo e identico modo per tutti e tre tipi di uomo, oppure ognuno ha il suo? In verità la via è duplice per tutti, sia per chi è ancora impegnato nella salita, sia per chi è ormai arrivato in alto: la prima via muove dal basso, mentre la seconda riguarda coloro che si trovano nel mondo intelligibile, e, per così dire vi ha posato il piede. Ma anche costoro non possono non proseguire, finché non abbiano raggiunto l’estremo confine. Di quel luogo, dove, una volta conquistata la vetta dell’intelligibile, si giunge alla “ conclusione del viaggio”. Da dove trae i principi la dialettica? Dall’intelligenza, ma è l’arte della dialettica che sa trarre da essa le conseguenze, operare le sintesi, le connessioni, le distinzioni, sa investigare la natura, fino al perfezionamento dell’intelligenza. La “dialettica”, infatti, a dirla con Platone, è “la parte più pura dell’Intelligenza o della saggezza”. Plotino, in punto di morte, quando giunge da lui Eustochio, gli dice: “ Ti aspettavo…Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo” !

(4) Pierre Teilhard de Chardin (filosofo , gesuita e paleontologo francese; 1881-1955) è noto per la struttura convergente dell’Universo, che si manifesta grazie al suo principio per il quale “tutto ciò che sale converge”; come si enuclea dalla “Legge di complessità e coscienza”, spiegata dal filosofo come legge dell’evoluzione simultaneamente, sia della materia, sia dello spirito, verso quello che lui definisce “Punto Omega”. Questo si può osservare nella storia dell’evoluzione della terra, nel suo divenire. La materia diventa via via più complessa passando dallo stato inanimato (geosfera), alla vita delle piante, degli animali, e dell’uomo dotato di coscienza (biosfera), fino ad arrivare alla Noosfera (noosfera deriva dalla parola greca nous, che significa mente, e della parola sfera , in analogia con i termini di atmosfera e biosfera) che rappresenta la massima evoluzione e complessità della coscienza stessa. Essa evolve, man mano che aumenta la “socializzazione”, cioè la progressiva interazione e la maggiore vicinanza tra gli uomini, questo concetto mi evoca quello della globalizzazione. Inizialmente la Chiesa, negli anni sessanta, accusò Teilhard de Chardin di “panteismo”. Egli si difenderà dicendo che: “In verità la mia più grande preoccupazione è stata quella di affermare che l’unione fra uomo e Dio, fra l’uomo e l’altro uomo, fra l’uomo e il cosmo non annulla mai la differenza: Io mi trovo agli antipodi sia di un “totalitarismo 8

sociale” che porta al termitaio sia di un “panteismo induizzante” che conduce a una fusione e identificazione fra gli esseri.” Il Papa Paolo VI, al contrario, lo definì, uno scienziato, che proprio nello studio della materia, era stato capace di “trovare lo spirito, e come la sua spiegazione dell’universo manifestasse, anziché negare, la presenza di Dio nell’Universo quale principio Intelligente e Creatore”. Papa Benedetto XVI, Ratzinger, ha ammesso che la filosofia di Teilhard de Chardin ha influenzato fortemente il suo pensiero; dicendo che la sua fu una grande visione, ovvero per cui alla fine avremo una vera “liturgia cosmica”, e il “cosmo diventerà ostia vivente”: è l’idea della “Noosfera”. Theihard de Chardin, nel 1934, descrisse il suo modo di credere, con queste parole: “Credo che l’Universo sia un’Evoluzione. Credo che l’Evoluzione vada verso lo Spirito. Credo che lo Spirito si compia in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo-Universale”. L’ultracentenario scienziato inglese James Lovelock, nato nel 1919, nel suo libro pubblicato nel 1979 “The Vanisching face of Gaia. Basic Book 2009) descrive il pianeta Terra, con tutte le sue funzioni, come un unico organismo, da lui definito “Gaia”, in onore alla divinità della mitologia greca Gaia. Egli ipotizza l’evoluzione di Gaia, anch’essa verso la “Noosfera”, come conseguenza dell’interazione umana, che progressivamente modificherebbe in modo incisivo la sua stessa omeostasi, cioè la stabilità delle caratteristiche chimico fisiche interne: dei mari, dell’atmosfera, della crosta terrestre, degli organismi viventi e dei vegetali. Questo richiama all’attuale problematica del cambiamento climatico correlato all’inquinamento ambientale. Lo scienziato e filosofo, Jurgen Schmidhuber (nato nel 1963, a Monaco di Baviera), direttore dell’Istituto di Intelligenza Artificiale di Lugano e del Laboratorio di Robotica Cognitiva dell’Università di Monaco di Baviera, noto come esponente della “filosofia digitale” (un indirizzo filosofico contemporaneo, basato sulla ricerca interdisciplinare tra fisica, matematica, informatica e metafisica) ha elaborato le conseguenze che subirà l’universo nell’evolversi della tecnologia digitale. L’universo diventerà nel suo divenire come un “gigantesco computer”. Schmidhuber recentemente, ha sostenuto, durante un’intervista nel 2018, che il punto “Omega”, sarà il momento in cui avremo nell’universo il dominio totale da parte dell’ “Intelligenza Artificiale” ed essa sarà capace di cambierà il tutto.

(5) Filosofico: secondo Max Scheler nel senso di filosofare, cioè la capacità di intuire l’essenza delle cose. Già Platone nel Teeteto affermò che è proprio tipico del filosofo l’essere pieno di meraviglia; il principio della filosofia non è altro che questo. La filosofia è un’attività dello spirito umano e nell’uomo è istintivo un bisogno metafisico. Al contrario, il filosofo dice che il procedere scientifico e tecnico è lontano dall’elevare l’uomo a mete spirituali, e provoca un rapporto ingarbugliato con la natura.

(6) La “posizione agnostica” parte dal filosofo greco Protagora (481 a.C – 411 a.C), che riteneva che alla natura umana è negata la conoscenza del divino. La sua opera “Sugli Dei”, comincia, infatti, con queste parole: “ Intorno agli dei non ho alcuna possibilità di sapere né che sono né che non sono e molti sono gli ostacoli che impediscono di sapere, sia l’oscurità dell’argomento, sia la brevità della vita umana”. Il filosofo, biologo, britannico Thomas Henry Huley (1825-1895) introdusse il termine “agnosticismo” nel senso moderno. Egli sosteneva che questo concetto era l’essenza della scienza, sia antica, sia moderna. Secondo lui: un uomo non deve dire di conoscere o credere ciò che non ha motivi scientifici per professare di conoscere o credere; tutte le conclusioni devono essere dimostrate e dimostrabili. Il filosofo americano William Rowe (1931-2015), diceva che la ragione umana non è in grado di fornire sufficienti basi razionali per giustificare la credenza che Dio esiste o la convinzione che Dio non esiste. Il fisico e filosofo austriaco Ernst Mach (1838-1916) sosteneva che le questioni o sono 9

sensate o sono insensate. E le problematiche esistenziali, tanto quelle religiose che metafisiche, sono insensate. L’”agnosticismo positivista” è un movimento di pensiero che si è diffuso prevalentemente con l’illuminismo (nel XVIII secolo) dove la “ragione” era elevata come unico criterio oggettivo su cui misurare qualsiasi credenza, religioni e dogmi; il termine “positivista“ o “positismo”, deriva dal latino ponere = ciò che è posto, cioè fondato nella realtà dei fatti, basato sull’esaltazione del progresso scientifico. Immanuel Kant (1724-1804), il più importante filosofo dell’illuminismo tedesco: non voleva negare l’esistenza di Dio, ma metteva in discussione razionalmente l’esistenza ponendosi, per questo, nel filone agnostico. Anche, il filosofo tedesco Ludwing Feuerbach (1804-1872) diceva che è “l’uomo che ha creato Dio”; in cui sono realizzati tutti i suoi desideri, impossibili da conseguire nella realtà, in quanto, l’essere umano è limitato e destinato a morire. Così il filosofo, storico e economista tedesco Karl Marx (1818-1883) diceva che la religione si configurava come il prodotto di una società piegata dalle ingiustizie sociali. La religione è l’“oppio dei popoli”, utile per appagare, in un illusorio aldilà tutto ciò che era precluso nell’aldiquà. Sulla stessa linea lo scienziato, naturalista evoluzionista Charles Darwin (1809-1882) dichiarò che “sarebbe assurdo dubitare che un uomo possa essere un teista ardente e un evoluzionista “. Il medico-neurologo e filosofo austriaco, fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud (1856-1939) dichiarava che l’idea di Dio non era assolutamente utile per spiegare le complesse relazioni umane, anzi essa implicava un regresso nelle capacità mentali. Anche il fisico tedesco Albert Einstein (1879-1955), il più importante fisico del XX secolo, conosciuto per la teoria della relatività, era un ateo convinto, anche se pubblicamente si dichiarava agnostico; per lui il concetto di Dio non era centrale nelle sue teorie, né nella sua vita.

Scarlino, 1 maggio, ore 02:37

Immagine: C. Spinelli (“ Denti di leone”. Olio su tavola, 40×60 cm.) 10

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