RIFLESSIONI DI U MASSONE NELLA PANDEMIA

di G. T. Marzo 2020

Penso che questa terribile pandemia abbia messo a nudo il nostro vero essere, con pregi e difetti. Tocchiamo con mano la finitezza umana, la spropositata differenza di forza  con la Natura.

Mi affiora nella memoria il “ Dialogo della Natura e di un Islandese” di G.  Leopardi, dove l’Islandese replica domandando alla Natura perché mai abbia deciso di dargli la vita se poi non si cura di evitargli avversità e patimenti e la Natura risponde affermando che “la vita di quest’Universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione”. Unico suo compito è di garantire l’eternità di questo processo di vita e di morte, dove morte e patimento sono necessari alla conservazione del mondo e gli uomini e le creature tutte sono puri strumenti ( Concezione meccanicistica dell’universo).

Qualcuno definisce la Natura crudele e incosciente, ma io voglio lanciare un messaggio di speranza, credo che l’uomo abbia la forza di contrastare e limitare la forza dirompente della Natura, a patto che sia capace di fare delle profonde riflessioni su tutti gli errori commessi, imboccando la strada giusta , abbandonando la ricerca del profitto  ad  ogni  costo, dando più forza alla solidarietà, imparando a vivere con e per gli altri.

I nostri strumenti non sono perduti, ma sono solo diventati più pesanti, per cui bisogna avere più fede nei nostri Principi e quindi metterli in opera.

Questi giorni lasceranno il segno e, dopo, tutto non sarà più come prima, e per lo meno spero in meglio.

Che cosa ci è successo? Improvvisamente ci siamo scoperti più deboli, più vulnerabili, più fragili esposti ad un invisibile pericolo che pare abbia smantellato le nostre abitudini e le certezze che scandiscono il ritmo delle giornate e danno equilibrio ed armonia alla nostra vita.

Quello che oggi ci troviamo a fronteggiare sta a dimostrare che l’uomo contemporaneo in possesso del progresso e della tecnica, non ha gli anticorpi necessari, direi gli strumenti, per affrontare questo pericolo.

Questo perché ciascuno di noi è fermamente convinto di essere l’unico protagonista e artefice della propria esistenza: noi crediamo che l’Io sia l’unico aspetto della nostra vita, tutto per noi è calibrato nelle dinamiche del nostro io dominante, che in apparenza crediamo di conoscere di saper declinare in tutte le sue manifestazioni del quotidiano, dai sogni, ai progetti, alle speranze, alle aspirazioni agli affetti, nulla della vita dell’io ci sfugge, ma è poi così vero?

La dimensione conscia, tarata sull’io, la vita che viviamo e che crediamo unicamente nostra, ci ha fatto scordare che esiste una dimensione inconscia che è quella dimensione distruttiva che ci conduce alla morte al fine della conservazione della specie.

Abbiamo sviluppato una cultura dove gli individui fanno i fatti loro, per poi entrare in relazione con la natura, pensando sia stata loro consegnata ed offerta per essere dominata.

Ma alla natura, come dimostrano oggi i fatti, non gli importa nulla di noi ed è stata rappresentata come una grande danzatrice che ci porta sulle sue braccia e sulle sue mani e che nella sua danza sfrenata ci perde senza volontà e senza memoria.

La natura è assolutamente indifferente al nostro io, porta in sé una crudeltà innocente.

Ciò che ci caratterizza non è  quindi la soggettività, non sono le nostre opere, non è lo splendore che possiamo raggiungere, ma è il dover morire  al pari di tutte le altre cose come natura detta, l’uomo nasce, cresce, fiorisce e muore.

Allora tutto fa si che il tempo venga considerato come un ciclo, cioè una ripetizione e chi ha vissuto più cicli può meglio comprendere e tramandare come va l’ordine di natura, come si devono fare le cose, vale a dire la tradizione.

Noi massoni siamo un ordine tradizionale iniziatico e la tradizione non è altro che la trasmissione delle tecniche riuscite, attraverso i simboli rappresentati dai nostri strumenti.

Allora il filo a piombo, la livella, la squadra e il compasso oggi ci dicono che questo virus non ci ha distanziato, in realtà ci ha avvicinato perché l’equilibrio, con l’eliminazione del superfluo, la misura del quotidiano e il senso delle proporzioni ci portano a comprendere che oggi, viviamo tutti le stesse emozioni e finalmente ci possiamo capire: quell’empatia che per noi è l’eggregoro.

Quando incombe un pericolo, si chiama aiuto, si cerca la vicinanza del familiare, dell’amico o, in ambito massonico, del fratello. Il perché è fin troppo evidente: l’eggregoro fisico, quello per intenderci che pratichiamo intrecciando le mani nude nella catena d’unione, moltiplica le singole energie individuali veicolandole al centro di un intento comune; è un potente insieme di idee, di sentimenti condivisi e consolidati da ritualità, tradizioni e usi radicati nel tempo.

Noi lo pratichiamo perché ne conosciamo i positivi effetti, in parole semplici si può dire: l’unione fa la forza.

Questo assunto è tanto più vero quanto più il legame che si instaura tra i fratelli è basato sul coinvolgimento emotivo di solidarietà, di tolleranza, di affetto reciproco nel sentire che chi tieni per mano lavora con te a una edificazione comune, e lo fa portando il suo bagaglio di esperienza, di sapere e … perché no, di amore. L’eggregoro è questo. Il risultato stupefacente che ne consegue è quello di trovarsi circondati da sette nodi di un cordone rosso ed esotericamente connessi a una realtà superiore. Che grande potere nelle nostre mani!…

Il pericolo di un contagio ci ha tolto con efferata crudeltà il tesoro più grande: il nostro prezioso momento di comunione, lasciandoci un vuoto fatto di paura, di gelo crescente, di lividi bollettini che i media continuano a trasmettere impietosamente.

Se non è più possibile l’eggregoro fisico, allora cerchiamone uno nuovo, più spirituale, magari sfruttando proprio quei social-media, come suggerito dal nostro Maestro Venerabile, che possono far sì che la nostra voce, singola e debole, si sommi a quella degli altri. Non possiamo lasciare che la fiamma della luce si spenga, perché arde da oltre 6000 anni e se continuiamo ad alimentarla con le nostre parole, non sarà un tetro soffio di vento a oscurarla.

In questo lungo periodo di diaspora forzata, molti fratelli, anche qui in Italia, hanno infatti cercato di mantenere i contatti fra di loro ricorrendo alla tecnologia on line (tramite whatsapp, facebook, ecc.) e ci sono stati inoltre diversi tentativi di “incontri” on line, sia a livello di logge, sia a livello nazionale (come ha fatto ad esempio il Rito Scozzese), con discreti successi di partecipazione; partecipazione che ha in parte colmato il desiderio di rivivere l’eggregoro fraterno dopo tante settimane di astinenza dalle abituali tornate massoniche.

Ma è proprio qui che nasce l’aspetto più problematico: può un’adunanza tramite il computer o lo smartphone supplire ad una riunione fisica dei fratelli? Ed in prospettiva potrà esservi una ritualità massonica on line basata su “logge virtuali”? La modernità travolgerà la tradizione della pratica massonica, come sta avvenendo in tanti altri aspetti della società profana?

La risposta è calata nelle sensazioni ricavate dai singoli fratelli in occasione degli incontri virtuali promossi a livello di singole logge: se ne hanno tratto un efficace appagamento “fraterno”, probabilmente l’era della massoneria informatica è più reale e vicina di quanto si pensa.

Non vorrei, personalmente, nemmeno apparire eccessivamente “tradizionalista” di fronte alle innovazioni del tempo, ben ricordando l’antitetico rimprovero di Socrate a Platone per il suo utilizzo di una moderna diavoleria del tempo: la scrittura, al posto dell’insegnamento orale (dalla “tavoletta” di cera al “tablet” elettronico il passo è stato solo di 2.400 anni!).

Resta da stabilire se la “fisicità” della pratica massonica, con la sua ritualità e con le sensazioni dell’insieme fraterno vissuto fra le colonne dei templi, possa essere considerato un valore trascurabile, quanto meno sostituibile dai pixel di uno schermo digitale.

Che fine faranno, in questa prospettiva, i triplici baci ed abbracci fraterni, le catene d’unione, le deambulazioni rituali? Saranno sostituiti da emoticon (le faccine che appaiono nelle chat di internet) o da altri simboli grafici ancora da inventare (o reinventare, magari rifacendosi agli antichi geroglifici egizi)?

Certamente si avverte la necessità di introdurre elementi in grado di creare o ricreare un adeguato “climax” massonico anche tramite le adunanze on line.

Appare assai difficile sublimare le sensazioni, ma anche gli innegabili valori intrinsechi, del vissuto fisico di una tornata rituale. A cominciare dallo stesso ritmo “a spirale” dei vari interventi che, è stato rilevato, corrisponde alla procedura cerebrale di concentrazione e apprendimento.

Semmai per “validare” una futuribile ritualità informatica sarebbe necessario un saldissimo recupero della più antica tradizione massonica, in pratica la tradizione delle tornate rituali delle origini.

Detto questo (e scontando probabilmente anche un gap generazionale, fra fratelli più attempati dell’era analogia, e fratelli più giovani, nativi digitali), restano comunque perplessità dal punto di vista dell’empatia umana nel comparare un’eventuale iniziazione virtuale, con la somma di emozioni e sensazioni che si accumulano in una iniziazione tradizionale.

Difficile pensare ad un effetto iniziatico puramente intellettuale assimilabile a quello vissuto dalla gamma di stimoli mentali e sensoriali di una cerimonia fisica tradizionale.

Parafrasando una canzone di successo di qualche decennio fa, la Massoneria in realtà non può essere che “partecipazione”.

Quindi non possiamo che augurarci di tornare ad “abbracciarci” al più presto fra le colonne dei nostri templi (anche perché vorrebbe dire che la minaccia del coronavirus è stata superata).

Si tratta di ribadire anche un requisito di “umanità” che nessuna intelligenza artificiale potrebbe né dovrebbe usurpare (dipende anche da noi): l’empatia fra menti e cuori. Noi massoni lo chiamiamo “eggregoro”.

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