AMORE E FRATELLANZA

Amore e fratellanza

U. R.
“… ciò che è in basso è come ciò che è in alto; e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della cosa-una”
In questa frase della tavola di smeral­do esiste una verità-chiave per aprire molte porte che chiudono la conoscenza; è la chiave che scopre il trascendente tra­mite l’immanente, l’inconoscibile attra­verso ciò che si conosce, la meravigliosa vastità dell’ “essere” attraverso la mace­rante illusione di una dualità sempre volta allo scambio nell’avere, la verità dell’uomo illimitato nell’ osservazione dei suoi limiti.
La natura rispecchia sempre se stessa e le sue leggi in tutti i piani e in tutti i gra­di di perfezionamento.
Osserviamo dunque l’uomo con i suoi limiti, con i suoi bisogni e ci appare su­bito, senza molto sforzo, come esso sia alla continua ricerca dei suoi simili. In­fatti l’amore, la fratellanza, fanno parte dell’etica di tutti i popoli, di tutte le re­ligioni, di tutti i gruppi sociali. Ognuno di noi sente vera questa necessità; sono pochi coloro che la negano e se lo fanno, probabilmente è un atteggiamento este­riore dettato forse da delusioni ed ama­rezze di chi, pur cercando l’amore, si è trovato nell’emarginazione.
La natura stessa ce lo impone; è nella nostra natura la socialità e cos’è questa se non un avvicinarsi ai propri simili nell’intento di uno scambio volto al be­ne comune? Quindi sentirsi uniti e fra­telli?
Ma questa ricerca spesso non ha niente di nobile perché non è dettata altro che dalla nostra debolezza, dalla nostra insi­curezza che si può compensare solo nel sentirsi protetti nel gruppo, nel sentirsi magari lodati, applauditi o solo presi in considerazione da chi ci circonda. Forse spesso è così, ma allora la fratellanza, l’amore che si ricerca negli altri e si vuole raggiungere noi stessi, diventa una ma­schera, un mezzo per avere i favori e la considerazione degli altri! Non è questo l’amore e la fratellanza di cui si sente parlare, non è certo questa la nobiltà dell’amore.
Ma se dunque la fratellanza e l’amore non è quello che insegna la natura nella socialità, deve essere necessariamente di colui che — raggiunta la piena maturità interiore, la forza e la sicurezza in se stes­so — dona finalmente senza secondi fi­ni; perché è certo che non si può dare ciò che non si ha.
Allora l’amore che spesso si pretende di dare, si ha? O se ne ha soltanto un grande bisogno ed è questo che riversia­mo sugli altri credendolo un nostro atto d’amorevole altruismo?
Ecco come l’uomo deve forse ricercare l’amore non negli altri ma in se stesso, nel microcosmo del suo essere, nel grovi­glio delle sue passioni, nella fame del suo io, nella cecità del suo egocentrismo; l’uomo forse deve riconoscersi e togliersi le maschere e gli ornamenti; solo allora potrà finalmente guardarsi allo specchio.
Ed ecco che la natura come prima gli aveva dato la debolezza perché ricercasse la compagnia degli altri e ne fosse co­stretto senza danneggiare, può ora do­nargli la forza affinché, consapevole di ciò che è, possa iniziare a crescere.

Ho conosciuto l’amore degli uomini ed era possessivo.
Ho conosciuto la loro amicizia ed era sfruttamento.
Ho conosciuto il loro aiuto ed era umilia­zione.
Ho conosciuto la pietà degli uomini ed era degnazione,
la loro protezione, ma aveva un secondo fine.
Ho conosciuto la giustizia degli uomini, ma era parziale;
la loro forza, ma era brutalità;
la loro onestà ed era apparenza.
Ho conosciuto la fede degli uomini, ma era una prigione;
la loro filosofia ed era cenere;
la loro scienza ed era cecità.
Ho conosciuto la compagnia degli uomi­ni, ma non mi riempiva.
Tutto questo ho conosciuto ed assapora­to,
e, restandone turbato, ho compreso
di non essere morto a me stesso.”

Queste parole pronunciate da un ano­nimo personaggio di un’anonima avven­tura riflettono lo stato d’animo in un’auto-accusa di chi cercava negli altri le proprie mancanze, di chi, deluso dal mondo e dagli uomini, trova finalmente la chiave del suo tormento e della sua rinascita: “morire a se stesso”
Morire a se stessi per poter amare, mo­rire al proprio orgoglio, al proprio egoi­smo, al proprio essere visto come centro del mondo, assaporare la verità di una visione che spazia in un mondo non più ristretto nei limiti dell’ “io ho”, ma al­largato nella coscienza dell‘”io sono”, “io sento”, “io vivo”, non più come “io” che necessita di schiacciare gli altri per affermarsi, ma di coscienza che si ri­conosce e si sente negli altri, nelle cose, negli avvenimenti, nella storia di ogni uomo che diviene veramente “fratello”.
Spesso rifletto come l’uomo si può sentire vuoto se solo con se stesso, senza nessuno che lo giudica ma senza nessuno che l’approva. L’uomo, o meglio, l’io dell’uomo, ha bisogno di stimoli conti­nui per una sua continua affermazione; come potrà, così fatto, donare qualcosa? Donerebbe e dona solo se questo è un suo tornaconto conscio o inconscio che sia, e come può quindi parlare di vero amore, di vera fratellanza? Quante chi­mere, quante false illusioni, quante spe­ranze di felicità crollate e quante vite spezzate da una natura che, crudele, cie­ca, testarda, continua a insegnare all’uo­mo con i mezzi che l’uomo può capire (il dolore e la gioia), gli dà quello che oc­corre per farlo crescere, ma glielo toglie senza alcuna pietà quando questo è un appoggio che è diventato ristagno. E’ cru­dele, certo, ma per gli ignavi, per i pavi­di, per chi non vuole capire, per chi si vuole ancora trastullare con i giochi del bimbo di ieri. E’ una natura che prima è Madre poi Sorella, è un velo che cade per scoprire che si è sempre giocato con se stessi e il Dio che forse si è sempre temu­to o pregato, diventa potenza della pro­pria donazione, donazione agli uomini, ma forse è poco, donazione all’essere che è sempre stato anche se nascosto in ogni avvenimento e casualità, che si manife­stava come contrapposizione di bene e di male: dualità più violenta che l’uomo possa subire, perché egli stesso diviso, diviso fin quando, appunto, non trova l’amore che per propria stessa natura e unione.
Quest’uomo forse allora sarà unito a tutti gli altri uomini da un sentimento che però non è sentimento, da una fra­tellanza che è oltre la fratellanza, da un qualcosa che gli uomini balbettano “amore” ma che è solo speranza di esso.
Forse è così, forse lo sarà, ma nella ri­cerca di ognuno il perché di quello che è stato conforta sempre il futuro che… for­se sarà.

(Hiram n°6 1981)

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