TIRANNI E I DITTATORI HANNO PAURA DELLA PAROLA

I TIRANNI E I DITTATORI HANNO PAURA DELLA PAROLA, ANCHE SE QUESTA E’ SCRITTA NEI LIBRI

Questo lavoro vuole essere un omaggio a Tullio De Mauro, il più noto linguista italiano, ministro anche della Pubblica Istruzione (incarico che siamo capaci di assegnare perfino a chi non ha né laurea né diploma e questo dato dovrebbe già farci riflettere) scomparso in questo anno. Ma con questa tavola voglio anche ricordare i geniali autori del libro e del film “Fahrenheit 451” uscito nelle sale giusto 50 anni fa.

Nessu­no conosce realmente cosa e quanto bruciò ad Alessandria. Secondo alcune fonti, all’apice del suo splendore la Bi­blioteca di Alessandria d’Egitto racchiu­deva tra i 700.000 e il milione di rotoli – ­papiri e pergamene – greci, egizi, babilo­nesi, assiri, fenici e persiani. Era il sogno di Tolomeo I: raccogliere in un unico luo­go il sapere universale e farlo tradurre in greco. Secondo la tradizione fu Giulio Cesare, nella campagna contro l’ultimo dei Tolomei, nel 48 a.C., a distruggere la biblioteca. In realtà in quella occasione bruciarono solo alcuni depositi di libri, e non l’edificio centrale, mentre la versione che ha avuto più seguito è quella che attribuisce l’in­cendio definitivo agli arabi.

Fu l’emiro Amr Ibn al-As a dare tutto alle fiamme, nel 641: «Se il contenuto dei libri si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di diffor­me, non c’ è alcun bisogno di conservar­li. Procedi e distruggili», gli ordinò il Ca­liffo Omar. Si narra che i rotoli furono usati come combustibile per i bagni termali di Alessandria che sembra che fossero circa 4.000. Ci vollero sei mesi per bruciarli tutti.

Nessun popolo nel corso dei secoli è rimasto immune dai roghi. Le opere del sofista Protagora, bandito dal­la città, furono bruciate sulla pubblica piazza di Atene nel 411 a.C. La sua col­pa? Aver scritto di non poter accertare, riguardo agli dei, “né che sono né che non sono, opponendosi a ciò molte cose: l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita uma­na”.

­          Anche Augusto fece bruciare le opere di storia non gradite. Caligola, invece, ridusse in cenere i versi di Omero e Virgilio, mentre Diocleziano ordinò che fossero bruciati tutti i libri cristiani.

Proprio la Chiesa – che da perseguitata divenne la Grande Persecutrice – fece largo uso del fuoco, al quale dannò non solo i libri “profani “, ma spesso anche quelli dei propri autori cristiani.

I cristianissimi imperatori Teodosio e Valentiniano nell’anno 448 della nostra era ordinarono la distruzione con il fuoco dei tomi del filosofo Porfirio e «di qua­lunque scritto che offende Dio o turba le anime». Lo stesso apostolo Paolo, del re­sto, con la sua predicazione a Efeso ave­va spinto i nuovi adepti al primo dei roghi: «Portarono i loro libri assieme e li arsero in presenza di tutti. Così la pa­rola di Dio, cresceva potentemente e si rafforzava», recitano gli Atti degli Apo­stoli.

Martin Lutero nel 1520 diede alle fiamme la bolla di scomunica con la quale Papa Leone X con­dannava 41 delle 95 tesi affisse sulla por­ta della chiesa di Wittenberg, ingiungen­do al monaco di ritrattarle. Un piccolo fuoco che scatenò da subito i giganteschi roghi dell’Inquisizione. Nel 1524 e nel 1527 a Venezia arsero i primi libri “luterani “. Contemporanea­mente in tutta Europa prese fuoco la cultura ebraica.

L’Index Librorum Prohibitorum emanato dalla Congregazione del Sant’ Uffizio nel 1559, sotto papa Paolo IV, colpiva gli scritti della Riforma, il Tal­mud e ogni tradizione che non si unifor­masse alle regole della Chiesa di Roma. Finirono nell’ elenco il Decameron, tutta la produzione di Erasmo da Rotterdam e le traduzioni in volgare delle Sacre scrit­ture.

 La secolare storia della censura ec­clesiastica si chiuderà solo nel 1966 quando il segretario del Sant’Uffizio, cardinale Alfredo Ottaviani, annunciò che l’Indice non sarebbe stato più pubblicato. Il pon­tefice era Paolo VI. Tra i libri proibiti nel Novecento c’erano stati: tutto Benedetto Croce, tutto Giovanni Gentile, l’opera omnia di Al­berto Moravia e così via. L’ultimo provvedimento censorio in as­soluto della storia dell’istituzione fu La vita di Gesù di Jean Steinmann, con de­creto emesso il 26 giugno 1961.

Ancora nella Firenze degli umanisti, il rogo dei libri «infettati dalla peste dell’e­resia» fu paragonato dal Cardinal Anto­nio Michele Ghisleri ai roghi di suppellettili e vestiti che si bruciavano per disinfettare la città dalle epidemie vere e pro­prie. Il passaggio all’età moderna fu scandito dalle censure di Galileo Galilei e dal rogo di Giordano Bruno. Anche dal­l’ altra parte dell’Atlantico, subito dopo la scoperta del Nuovo Mondo, s’alzarono le fiamme: il primo vescovo del Messico bruciò l’intera letteratura azteca.

E l’Illuminismo? Nel Settecento il Parlamento di Parigi condannò l’Emilio di Jean-Jacques Rousseau a essere bru­ciato nel cortile del Palazzo di Giustizia. Il testo era colpevole di sottomettere la religione all’ esame della ragione, di discutere di dogmi, di attribuire all’auto­rità sovrana un carattere falso e odioso. La sentenza fu eseguita l’11 giugno 1762.

Tiberio, Adolf Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, gli ayatollah. Ogni tiran­no ha avuto il suo rogo. Berlino, 10 mag­gio 1933: la “Beucherverbrennung” più tristemente nota della Storia, segna l’ini­zio della persecuzione del regime nazio­nalsocialista contro il mondo della cultu­ra “degenerata “, contro intellettuali di origine ebraica, o di fede marxista, contro chiunque sia ostile al Reich: in dieci gior­ni le squadre naziste guidate da Joseph Goebbels bruciano di fronte alle univer­sità e alle biblioteche di Berlino un milio­ne di libri. Il gerarca, nel discorso in cui tratta dell’estinzione della Storia, parla «dell’immondizia e del sudiciume rap­presentati dagli scadenti letterati ebrei che riempiono le biblioteche»: nella lista nera figurano più di 3.000 titoli di autori come Gor’kij, Bertolt Brecht, Erich Maria Remarque, Sigmund Freud, Rosa Luxemburg, i fratelli Mann, Albert Einstein. Come dimenticare quelle fiamme, ed anche quelle vittime.

Roma, Ventennio Nero. Anche l’Ita­lia mussoliniana conosce i suoi “roghi di libri”, sebbene senza fuoco e fiamme: dopo l’in­troduzione di una censura preventiva sulle pubblicazioni (aprile 1934), nel­l’ambito della campagna antisemita, il fascismo compilò diversi elenchi di au­tori ebrei. Editori e librerie furono “esor­tati” a distruggerne le opere giacenti, si intimò alle biblioteche di far sparire i “li­bri sgraditi” fino all’agosto 1939, quan­do il Duce decise di togliere dalla circola­zione tutti i libri di scrittori ebrei dal 1850 in avanti.

All’Est manca il rogo ma­teriale, ma la manipolazione e la soppressione della cultura sono state ad­dirittura più capillari. Il potere sovietico ha esercitato verso i libri “sgraditi” una repressione di tipo diverso dal rogo: la censura, il se­questro e la conservazione «negli archivi letterari del Kgb». In 70 anni la polizia segreta sequestrò e distrusse una quan­tità incredibile di opere manoscritte. Sentalinskij nel saggio ricorda che Sol­zenicyn ha chiamato “infelice” lo spraz­zo di cielo che si estende sopra la Lubjanka. Era lì che arrivava il camino che per decenni ha disperso nel cielo di Mosca la cenere dei manoscritti bruciati. Quanti libri, che ormai nessuno più po­trà leggere, sono volati via da quel cami­no.

E oggi? Purtroppo i roghi non sono ancora scomparsi. Esempi? Egitto, luglio 1985: al Cairo 3.500 esemplari de Le mille e una notte vengono sequestrati con l’accusa di “te­sto scandaloso”. Il procuratore generale chiede e ottiene di bruciare le copie in­criminate sulla pubblica piazza: le favo­le narrate dalla bella Shahrazad al suo re sono anti-islamiche e licenziose, sgradi­te ai fanatici religiosi. I padri del po­polo, laici o religiosi che siano, che pro­mettono ai loro sudditi un avvenire tan­to radioso quanto improbabile, non pos­sono non detestare le favole.

Iran, febbraio 1989: l’imamKhomei­ni emana la fatwa che condanna a morte lo scrittore anglo-indiano Salman Rush­die per il contenuto “blasfemo” del suo romanzo Versi satanici. Nel­lo stesso 1989 in Inghilterra un gruppo di fanatici diede pubblicamente fuoco alle copie del romanzo di Rushdie non po­tendo bruciare o uccidere l’autore in per­sona, cosa che desideravano a tal punto da essere spinti ad infierire addirittura sui suoi traduttori.

Cina, luglio 1999: il partito comuni­sta si scaglia contro i membri della setta Falun Gong, seguaci di una dottrina fondata sui prin­cipi del buddismo, un culto messo fuori legge perché «induce alla superstizione religiosa e alla sovversione». Il governo di Pechino arresta in massa 1.200 diri­genti e 3.000 quadri del movimento, poi annuncia il “programma di rieducazio­ne” che verrà imposto loro e infine ordi­na la distruzione di migliaia di libri della setta: solo nelle città di Wuhan e Tianjin sono bruciati pubblicamente oltre 200.000 volumi. Ex Jugoslavia, estate 1999: i serbi in Kosovo lasciano dietro di loro librerie e biblioteche incendiate. Non esistono a tutt’ oggi dati precisi. È solo una appendice alla sanguinosa pulizia etnica in atto nel paese.

Cuba, novembre 1999: la Federazio­ne internazionale delle Biblioteche (Ifla) denuncia che Fidel Castro ha mandato la polizia a requisire tutti i volumi arrivati negli ultimi tempi a rimpolpare gli scaf­fali delle biblioteche dell’isola (attraver­so lasciti, donazioni, cessioni di librerie) “che non siano conformi al regime”. Si registrano intimidazioni, maltrattamen­ti, arresti di bibliotecari e la distruzione di ingenti quantità di libri.

Usa, marzo 2001: in Pennsylvania, i pente­costali dell’Harvest Assembly of God Church accendono un’enorme pira fuori dalla loro chiesa dando alle fiam­me le icone del “diavolo moderno”: cd di Bruce Springsteen, vec­chi album degli anni ’70, videocasset­te del Pinocchio di Walt Disney e anche i sulfurei romanzi di Harry Potter.

“Ci liberiamo dalle cose che ci al­lontanano da Gesù: è il nostro modo di esprimere l’amore per Dio”, dichiara il reverendo George Bender. Un amore che lo porta a distruggere anche i libri dei Testimoni di Geova e dei Mormoni, colpevoli – a suo dire – di non essere «veri cristiani».

Nel dicembre dello stesso anno ad Alamogordo, nel Nuovo Messico meri­dionale, il pastore della Comunità di Cristo Jack Rrock getta su un enorme falò i libri del maghetto Harry Potter, «capolavori di sotterfugi satanici». At­torno al “sacro fuoco”, ven­gono distrutte anche opere di William Shakespeare.

Usa, novembre 2002: nel Maine, un gruppo di integralisti reli­giosi inscena una protesta di piazza ancora una volta contro i romanzi del­la saga di Harry Potter: «Sono pieni di stregoneria e riti pagani», sentenzia il reverendo Douglas Taylor. Siccome le leggi dello Stato proibiscono di brucia­re libri pubblicamente, gli attivisti de­cidono di tagliare le pagine ad una ad una al grido di «Alleluia! Alleluia!».

          La lista è impressionante, ma quello che è più grave è il fatto che il fuoco ha continuato a bruciare. Solo due recentissimi esempi: il reverendo Terry Jones, dopo una notte durante la quale ha avuto una visione mistica, ha pubblicamente dato alle fiamme una copia del Corano proclamando poi “la giornata internazionale del Rogo del Corano”.

          E così la violenza si è diffusa e, oltre alle minacce di morte contro lo stesso reverendo Jones, gli integralisti hanno cominciato a bruciare le chiese cristiane in diverse parti dell’Africa.

Infine leggevo testualmente sul giornale “La Nazione” del 20/7/2012: Il deputato israeliano Michel Ben Ari, discepolo del rabbino Kahane, ha stracciato una copia del Vangelo. Per rendere la scena più eclatante, questo deputato ha fatto il gesto all’interno del parlamento israeliano, aggiungendo che: “il libro è abominevole, ha promosso l’uccisione di milioni di ebrei durante l’Inquisizione. Questa è un’orribile provocazione missionaria da parte della Chiesa, non c’è dubbio che il libro e coloro che lo hanno inviato appartengono alla spazzatura della storia”.

Bell’esempio di integralismo religioso.

Fratelli, dopo aver letto questa sconcertante sequenza di fatti, risulta chiaro che la volontà di affermare le proprie convinzioni bruciando i libri (ed insieme a questi le idee di chi li ha scritti) non conosce tregua: esi­sterà sempre un fanatismo pronto ad alimentare questi roghi. E quanto è successo agli autori prima citati, sembra destinato a non finire.

La stampa, dai tem­pi di Gutenberg, ha sempre raccontato e continua a raccontare ogni giorno agli uomini storie e poesie, piccoli eventi e lo sbarco sulla luna, idee geniali ed il crollo delle torri gemelle, bellissime preghiere e bugie colossali. Ma ogni giorno l’odio di altri vuole imporre cosa è giusto e cosa no. Sono finiti al rogo gli scritti degli avversari politici, degli “eretici”, quelli degli sconfitti di tutte le guerre o degli storici “scomo­di”, le idee e le teorie rivoluzionarie.

Che si tratti di religione, di intolleran­za politica, di inquisizione o di censura, di ignoranza o megalomania, il rogo di libri è il rogo della libertà. E la paura dei libri non è che paura degli uomini liberi.

Come certamente saprete, c’è stato chi ha saputo tessere una interessante trama intorno a quanto ci siamo detti sino ad ora, ed ancora c’è stato chi ha saputo trarne una pellicola cinematografica di grande successo.

Fahrenheit 451 è la temperatura a cui brucia la carta dei libri secondo il si­stema di scala adottato nei paesi anglosassoni. Fahrenheit 451 è anche il libro più noto di uno dei più noti romanzieri di fantascienza: Ray Bradbury morto nel 2012. Pubblicato nel 1953, resta leggendario anche per la regia cinematografica di Francois Truffaut del 1967.

Nel libro si racconta che in uno stato dal regime dittatoriale, leggere o possedere un libro significava commettere un reato grave. Grave al punto che esisteva un “corpo dei vigili del fuoco” preposto, non a spegnere incendi, bensì a bruciare ogni tipo di volume – ed a volte perfino la casa – di coloro che venivano sorpresi a leggere. Il popolo non poteva avere idee od opinioni personali. Si doveva solo guardare la T.V. attraverso la quale il regime comunicava ciò che si doveva o non si doveva fare.

“I libri rendono la vita triste, solo bruciandoli tutti gli uomini saranno veramente eguali e felici. Non c’è niente nei libri ed i libri non hanno niente da dire” Sono le parole del comandante.

Il protagonista, uno dei vigili del fuoco di nome Montag, spinto dalla voglia di conoscere, sottrae alcuni libri dal fuoco e li nasconde a casa. Ma anche sua moglie è presa dal sistema: i libri che suo marito ha portato sono secondo lei “non reali”, mentre ciò che lei stessa giudica “il suo mondo, la sua famiglia” sono i televisori attaccati ad ogni parete. E così sarà lei stessa a denunciare il marito alle autorità.

Ma Montag ha capito, dopo la lettura di alcuni dei libri si sente più consapevole, si fa coraggio e quando viene costretto ad incendiare la sua stessa casa, dove ha nascosto testi come Moby Dick o David Copperfield, si ribella. Prima uccide il capitano dei vigili del fuoco poi scappa e raggiunge un altro gruppo di sovversivi che facevano la resistenza al regime. Ciascuno di loro è diventato un uomo-libro dal momento che ha imparato a memoria uno dei testi ormai perduti che in questo modo sarà tramandato oralmente alle generazioni future. Anche Montag diventa uno di loro. Sembra di vederli questi uomini-libro nelle ultime pagine del romanzo, radunati attorno alle loro parole da cui risorge la memoria.

 I finali del libro e del film sono abbastanza diversi, ma ambedue molto interessanti. Nel romanzo, il capo dei ribelli dice a Montag: “Incontreremo una gran quantità di persone nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci chiederanno cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: noi ricordiamo. Ecco perché, alla lunga, vinceremo”.

Nel film manca invece questa certezza nella vittoria e la scena finale è sostituita con quella di un ragazzo che sta cercando di imparare a memoria un libro dal suo nonno il quale, pian piano, si sta spengendo. L’immagine è suggestiva ed addirittura commovente. E’ il simbolo di come si può trasmette il sapere alle generazioni future: i libri si potranno forse bruciare, ma si possono conservare dove nessuno potrà mai trovarli, cioè nel proprio cervello.

Cari Fratelli, credo che le riflessioni sui temi proposti possano essere molteplici. Per quanto mi riguarda, ne metto una al vostro giudizio. L’ingresso prepotente di nuove tecnologie nella nostra vita quotidiana, mi preoccupa.  Se vogliamo il pericolo non è più quello che i libri vengano bruciati, ma che vengano pian piano accantonati e, forse, dimenticati. E non parlo solo per il fatto (secondo me già grave) che stanno per essere sostituiti con quelli virtuali, ma perché quasi non ci rendiamo conto di quanto siamo presi e trasportati in un vortice inesorabile.

L’umanità sta cambiando, le immagini sempre più belle e veloci, catturano molto facilmente un individuo. L’uso continuo delle tecnologie ha portato molte persone a sentirsi parte di una nuova realtà sempre più semplice, basta un click per arrivare ovunque si voglia.

Non dobbiamo certo aver paura del nuovo, ed è vero che ci sono anche aspetti positivi, ma molti studiosi stanno lanciando l’allarme: stiamo disimparando a pensare, e leggere diventa sempre più una fatica.

Ma, se Fahrenheit 451 ci ha insegnato qualcosa, cerchiamo di non perdere il senso della misura, di non lasciarsi rimbambire dal fascino dei nuovi mezzi multimediali, di non costruirsi un mondo finto dietro ad uno schermo, piccolo o grande che sia, perché la vita reale è al di fuori del computer e del telefonino.

M. L.

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