POESIA E MASSONERIA- CARDUCCI

POESIA E MASSONERIA- CARDUCCI

Appunti lasciati dal F\ Domenico Arcuri (della R\ L\ Acacia all’Oriente di Cosenza) su una delle più belle poesie di G. Carducci, da lui riletta con la sensibilità e la conoscenza di uno spirito massonico. Angela Arcuri

“Abbiamo, cari fratelli, tante volte parlato di simboli. Simboli che ci trasmettono notizie ed informazioni, si presentano sotto forma diversa: piramidi, obelischi, stemmi, figure geometriche, nomi letterali, filosofici, fisici …

Alcuni giorni fa ho sentito alla radio un tizio che declamava, invero anche bene, una poesia di Carducci. Mi sopravvenne immediata, inconcepibile, assolutamente strana una insistente voglia di rileggere questa poesia. E l’ho riletta! Ma il mio non era più l’occhio né l’animo dello studente, con mia grande sorpresa quasi inconsciamente erano l’occhio e l’animo massonico. Sono rimasto sommerso da una profonda commozione! Man mano che procedevo nella lettura, mi spiegavo finalmente perché questa poesia mi era sempre piaciuta, perché la ricordavo con amore, perché ne ripetevo con un senso di incompletezza le prime quartine, perché le sue parole mi avevano sempre colpito, un po’ con amore, un po’ con nostalgia, un po’ con dolore.

La poesia è “Davanti a S. Guido”.

Questa mia è un’interpretazione personale e libera, che ogni fratello è in grado di fare, che ogni fratello dovrà ampliare, nei punti dove io non sono riuscito.

E’ una poesia sulla quale ognuno deve meditare.

Ignoro, se qualcun’ altro abbia già interpretato nello stesso modo questa poesia, ma non lo credo, altrimenti sarebbe un fatto già da tempo conosciuto e sviscerato, avversato o dileggiato secondo le tendenze dei vari commentatori.

So che ognuno dei fratelli è al corrente che Carducci fu massone; ma credo che molti ignorino quale sia stato l’iter di questa sua vita massonica che non fu molto pacifica e tanto meno continua.

Il Carducci fu iniziato a Bologna nella Loggia Galvani nel 1862, la sua attività in questa loggia fu abbastanza movimentata per vari motivi, non ultimi i contrasti personali con i vertici dell’officina; quando nel 1866 furono abbattute le colonne della loggia Galvani, il fratello Carducci fondò insieme ad altri la loggia Felsinea, primo maestro venerabile della quale fu il fratello Cremona, fratello del celebre pittore.

Il Carducci noto spirito ardente e bellicoso, (fu anche tacciato di mazzinismo) nel 1867 circa, dopo più o meno un anno dalla fondazione dell’Officina, si mise in sonno restandovi circa 14 – 15 anni.

Nel 1881 chiese di essere riammesso nell’obbedienza, la sua richiesta venne accolta solo nel 1885 dalla stessa loggia Felsinea, della quale ne fu il segretario, non volendone mai il maglietto, sino alla sua morte nel 1907.

Da quanto prima riferito sulla sua vita massonica, ritengo che questa poesia sia stata scritta tra il 1880 ed il 1885, probabilmente dopo la sua richiesta di riammissione. Egli esprime uno stato d’animo molto complesso, travagliato fra il desiderio vivissimo di tornare a ” vivere tra i fratelli” e il timore di non essere riammesso. Ma da grande poeta quale egli è, si rende conto che questa sua necessità di esprimere i sentimenti che si agitano nel suo animo, deve essere resa nota solo e soltanto ai Fratelli, e non al mondo profano! Un poeta non può parlare, non può semplicemente discorrere, può solo scrivere versi. Dalla sua Maestria di poeta e di massone, sgorga questo tesoro di poesia che noi massoni ignoravamo persino di possedere.”

Leggiamo la poesia che poi commenteremo:

DAVANTI A S. GUIDO

I cipressi che a Bolgheri alti e schietti

Van da San Guido in duplice filar,

Quasi in corsa giganti giovinetti

Mi balzarono incontro e mi guardar

Mi riconobbero, e Ben torni ormai

Bisbigliaron vèr me col capo chino –

Perché non scendi? Perché non ristai?

Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh siediti a le nostre ombre odorate

Ove soffia dal mare il maestrale:

Rancor non ti serbiam de le sassate

Tue d’una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:

Deh perché fuggi rapido così?

Le passere la sera intreccian voli

A noi d’intorno ancora. Oh resta qui!

Bei cipressetti, cipressetti miei,

Fedeli amici d’un tempo migliore,

Oh di che cuor con voi mi resterei –

Guardando io rispondeva – oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:

Or non è più quel tempo e quell’età.

Se voi sapeste!… via, non fo per dire,

Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,

E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù;

Non son più, cipressetti, un birichino,

E sassi in specie non ne tiro più.

E massime a le piante. Un mormorio

Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,

E il di cadente con un ghigno pio

Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole

Una gentil pietade avean di me,

E presto il mormorio si fe’ parole:

Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse

Che rapisce de gli uomini i sospir,

Come dentro al tuo petto eterne risse

Animi che tu né sai nè puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare

L’umana tua tristezza e il vostro duol.

Vedi come pacato e azzurro è il mare,

Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,

Com’è allegro de’ passeri il garrire!

A notte canteranno i rusignoli:

Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri

De i cuor vostri battuti dal pensier

Guizzan come da i vostri cimiteri

Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,

Che de le grandi querce a l’ombra stan

Ammusando i cavalli e intorno intorno

Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori

Che vanno eterni fra la terra e il Cielo:

Da quegli olmi le ninfe usciran fuori

Te ventilando co ‘l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture

A quell’ora e nel pian solingo va

Il dissidio, o mortal, de le tue cure

Ne la diva armonia sommergerà.

Ed io – lontano, oltre Appennini, m’aspetta

La Titti – rispondea -; lasciatem’ire.

È la Titti come una passeretta,

Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso:

Nè io sono per anche un manzoniano

Che tiri quattro paghe per il lesso.

Addio, cipressi! addio, dolce mio piano.

-Che vuoi che diciam dunque al cimitero

Dove la nonna tua sepolta sta!

E fuggiano, e pareano un corteo nero

Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,

Giù de’ cipressi per la verde via,

Alta, solenne, vestita di nero

Parvemi riveder nonna Lucia:

La signora Lucia, da la cui bocca,

Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,

La favella toscana, ch’è si sciocca

Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ‘I mesto accento

De la Versilia che nel cuor mi sta,

Come da un sirventese del trecento,

Piena di forza e di soavità.

o nonna, o nonna! deh com’era bella

quand’ero bimbo! ditemela ancor,

ditela a quest’uom savio la novella

di lei che cerca il suo perduto amor!

– Sette paia di scarpe ho consumate

Di tutto ferro per te ritrovare!

sette verghe di ferro ho logorate

Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,

Sette lunghi anni, di lacrime amare:

Tu dormi a le mie grida disperate,

E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.

-Deh come bella, o nonna, e come vera

è la novella ancor ! Proprio così.

E quello che cercai mattina e sera

Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero,

Ove non penso di posarmi più:

Forse, nonna, è nel vostro cimitero

Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggia la vaporiera

Mentr’io così piangeva entro il mio cuore;

E di polledri una leggiadra schiera

Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo

Rosso e turchino, non si scomodò

Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo

E a brucar serio e lento seguitò.

I cipressi che vanno da San Guido a Bolgheri sono posti ” dalla riva” del mare in salita verso oriente. Ed ecco che il desiderio di ritorno alla massoneria gli fa immaginare di entrare in un tempio, con i fratelli in piedi a riceverlo e quasi a scortarlo verso l’Oriente! Inizia cosi un colloquio fra i cipressi che contentissimi di rivederlo tra di loro, lo invitano bisbigliando a rimanere, a riprendere il suo posto, a lavorare con loro! “M i riconobbero, e: ben torni ormai,

bisbigliarono ver me col capo chino… ecc.

Ed il poeta che ancora insicuro della scelta che dovrà fare o della risposta positiva o negativa dei fratelli, accampa delle scuse, delle motivazioni profane, prende a pretesto impegni della sua vita universitaria. Fa presente che questo stato di cose è nato per il suo studio, per il risultato del suo insegnamento. “E’ una celebrità”, (fate attenzione a questa parola).

Questa risposta non piace ai cipressi! dubitano che questi risultati profani possano essere di appagamento all’animo del poeta! E glielo dicono, in modo calmo, fraterno, e con le strofe seguenti ha inizio la parte più massonica della poesia:

” un mormorio pei dubitanti vertici ondeggiò” potrà anche essere una celebrità nel mondo profano, ma massonicamente è solo un poverino.

Lo confortano, lo invitano alla confidenza, gli offrono la loro piena disponibilità per aiutarlo e sorreggerlo. Gli illustrano, come se lui non li conoscesse, i fini, gli scopi, le soddisfazioni per i lavori che potranno fare insieme. In un cammino massonico che è calmo, possente come un mare azzurro e pacato; come i passeri, quali neofiti, che con il loro garrire allegro chiedono curiosi spiegazioni. E a notte i maestri, i venerabili faranno conoscere la loro saggezza come il canto dei rusignoli, il più bello fra tutti i canti degli uccelli, il più armonioso ed il più completo.

lascia la vita profana, abbandona le lotte, i pensieri, gli affanni di una vita che non da soddisfazione. “Rimanti, – (maestro primo sorvegliante a che ora abbiamo la consuetudine… a mezzogiorno!) – rimanti, e noi dimani, a mezzogiorno…”

” Ti canteremo noi cipressi i cori

che vanno eterni fra la terra e il cielo”

Ma cosa sono questi cori eterni ? Sono i lavori che si svolgono nel tempio sono i nostri lavori, eterni perché sono sempre gli stessi, sempre uguali e salgono a riunire la terra al cielo; con una strada che ha per selciato la libertà e per parapetti l’uguaglianza e la fratellanza. Una strada eterna che è necessario percorrere.

Io credo che il contenuto di tutti i libri di Massoneria sia stato condensato e racchiuso in questi due versi.

” da quegli olmi le ninfe uscian fuori…”

” Il dissidio, o mortal, delle tue cure,

ne la diva armonia sommergerà”

Quell’armonia celeste di cui abbiamo già sentito parlare: da Pitagora!

Il fine lo scopo, la ricompensa del nostro lavoro: ” la Luce”

Ma il poeta insiste, quasi con asprezza, a rifiutare la sua adesione con scuse non solo profane, ma persino personali, quasi dettate dalla necessità di una mercede, di un guadagno di denaro.

” ed io, lontano, oltre l’Appenino…”

I cipressi hanno perduto il loro confronto con il poeta. se ne rendono conto, e si allontanano irati come un corteo nero, brontolando. Ma non sono i cipressi che fuggono: è il poeta che nel suo sogno ha percorso tutta la navata del tempio ed è giunto agli scalini che portano all’Oriente. I cipressi non si sono mossi, sono saldi nelle loro convinzioni. E’ invece il poeta che se li è lasciati alle spalle.

Hanno perduto il confronto e nel loro dispiacere per questo rifiuto, decidono di giocare pesante, e lanciano li una frase che scuote l’animo del poeta:

“Che vuoi che diciam dunque al cimitero

dove la nonna tua sepolta sta

e fuggirono”.

In corsa, pieni di speranza, gli erano andati incontro, e adesso par che fuggano delusi. Qui inizia la parte della poesia che ha sempre colpito la sensibilità di ogni studente che l’abbia letta. Sono i versi più facili da ricordare, sono indimenticabili.

Io non sono riuscito ad interpretare il pensiero del poeta in merito all’uso della parola “cimitero”; mi auguro di tutto cuore che qualche altro fratello ci riesca. Una cosa sola è certa, non si tratta del camposanto, ma dell’oriente del tempio.

” di cima al poggio allor, dal cimitero…”

Quella figura alta, solenne, vestita di nero potrebbe allora essere il maestro venerabile che l’ha ricevuto all’atto della sua iniziazione, che gli ha parlato di cose ed argomenti che hanno avuto presa subitanea sul suo animo. Ricorda un accento toscano come il suo, ma forse è perché il dialetto natio è più commovente e più immediato, come le parole ascoltate quella sua prima sera massonica: “Tu sei mio Fratello!”….”

A questo punto si interrompono gli appunti del fratello Domenico, ed a me non resta che rileggere “Davanti a S. Guido” e provare ad ampliare l’interpretazione che il fratello stava teorizzando quando prematuramente ha raggiunto l’oriente eterno.

“O nonna, o nonna! deh com’era bella…”

Il poeta chiede di poter riascoltare le parole (chiaramente simboliche) della novella del perduto amor, dove il riferimento alla parola perduta, al numero sette, ad un “fatale andare”, alla ricerca di “Te”, alle “sette fiasche di lacrime”, a “sette lunghi anni”… ha un evidente riferimento alla simbologia del grado di maestro, alla leggenda di Hiram, … “tu dormi… e non ti vuoi svegliare…” non basta ritrovare il maestro perché esso si risvegli, come ben sanno tutti i maestri liberi muratori!

“… e quello che cercai mattina e sera…, …sotto questi cipressi, ove non spero, ove non penso di posarmi più…” ecco il timore del poeta di non essere riammesso nell’obbedienza, e il desiderio e la speranza di essere riaccettato.

Mi piace pensare che nelle ultime due strofe il poeta con sottile ironia paragona l’intelligenza dei giovani puledri e l’ostinata ottusità di un “asin bigio” con la qualità culturale dei suoi lettori, volendo far capire che chi è libero di pensare sa leggere oltre le righe, sa e può capire!

Molti fratelli hanno, attraverso la loro arte, lasciato altrettanto preziose testimonianze di cultura iniziatica usando evidentemente un linguaggio simbolico, espresso attraverso l’architettura, la musica, la pittura, la letteratura ecc.

Essere a conoscenza di chi era massone può aiutarci nella interpretazione della loro arte e quindi leggendo “tra le righe”, a capire!

Voglio ringraziare i fratelli che mi hanno consentito la pubblicazione di questi preziosi appunti in omaggio alla memoria di un fratello (per me) speciale: mio padre.

ANGELA ARCURI -Oriente di Firenze

Questa voce è stata pubblicata in Varie. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *