SI FA PRESTO A DIR TOSCANA

Data 03-08-2011    LE IDEE  di FRANCO CARDINI

SI FA PRESTO A DIR TOSCANA

Lo storico Franco Cardini interviene nel dibattito sulle sorti della toscanità aperto sulle pagine del nostro giornale. ( LA NAZIONE)

“La favella  toscana, chè si sciocca  nel toscanismo degli Stenterelli, canora discendea, col dolce accento della Versilia, che nel cor mi sta”. Forse ormai solo più anziani tra noi ricorderanno questi versi che, nelle scucile elementari e medie toscane di alcuni, decenni fa, era obbligatorio imparare a memoria. Appartengono e “Davanti San Guido” del versiliano Giosuè Carducci, a lungo trapiantato in Maremma e quindi a Firenze: un toscano che di Toscane ne conosciute parecchie.

(…) Poeta e filologo, il vecchio Carducci insegna qui parecchie cose da non dimenticare: che esiste una koiné dialettale toscana per quanto precise ragioni storiche l’abbiano imposta come modello per la lingua italiana il che le ha fatto smarrire alcuni connotati specificamente dialettali; che tale koiné – d’antichissima origine: si discute ancora sull’origine etrusca della “c” gutturale aspirata… – va distinta in vari, differenti variabili locali (gli “accenti”); che nel mondo regionale toscano le aree subregionali sono forti e dotate di un loro rispettivo carattere identitario; che la “toscanità”, espressa appunto dalla “favella” dal linguaggio, non può camuffare da “toscanismo”, caricaturale (e di Stenterelli soprattutto oggi, da quando si è sviluppata nel mondo dello spettacolo una “scuola comica toscana”. francamente ce ne sono in giro fin troppi…).

Dal momento che oggi si parla continuamente di memoria, di “dovere della memoria”, di “giorni della memoria”, ma quanto a memoria autentica ce n’è rimasta pochina, cerchiamo di rinfrescar la poca che ci rimane. Se così non fosse. tutti ricorderebbero non solo i versi del Carducci, ma anche quelli di Guido Cavalcanti che, esule nell’anno 1300 a Sarzana, ispirava “Perch’io non spero di tornar giammai – balla tetta, in Toscana…”: dimostrando che ai suoi tempi la toscanità di Lunigiana e Garfagnana, strette tra Tirreno e Apuane e tanto prossime all’Emilia e alla Liguria, non era poi troppo sentita. Ma il problema appartiene anche ad altre aree marginali della regione: si può forse negare che il Mugello risente del emiliano, il Casentino del romagnolo, la Valtiberina e la bassa Maremma del laziale, e che se Perugia è una città umbra che a molti (perugini compresi) sembra “quasi-toscana” Arezzo, Cortona e Sansepolcro hanno  spiccati caratteri “umbri”? Non è forse vero che all’Elba e nelle isole dell’Arcipelago toscano si respira aria di Corsica, come notava anche l’esule Napoleone nel 1814? E che Livorno, più che sorellaccia sboccata della vicina e detestata Pisa, è splendida figlia  del meticciato mediterraneo  e della lungimiranza medicea?  Ma la Toscana è tutto questo identità è assoluta, né questo, è queste differenze e queste sfumature, e anche queste rivalità e questi antichi rancori: guai a ridurla al “Triangolo d’Oro”  Firenze – Pisa – Siena: è guai proprio, e soprattutto, perchè tale Triangolo perdinci  é una realtà, ed è d’oro sul serio. Che poi l’unità d’Italia, inducendo a dimenticare l’esperienza granducale medicea e lorenese e magari provocando un riacutizzarsi delle rivalità cittadine e municipali, ci abbia fatto dimenticare  la “patria” toscana, è vero. Ma non si tratta affatto di un processo storico irreversibile. Insomma, è un po’ ozioso e un po’ ridicolo discutere se esista, o se  esista ancora, la “toscanità”: dal momento ché la nostra storia e la nostra parlata sono lì, pronte, a fornirci sicure risposte.

L’identità toscana fatta di mille città in storica lite tra loro, di un paesaggio vario. e complesso, di una ricchezza e di una varietà irriducibile. Si fa presto a dir Toscana. Capirla, è un altro discorso.

Ma non  ci sono “le Toscane” , come ci sono invece “le Puglie” “gli Abruzzi”  o “il Triveneto”. Attraverso mutamenti e perfino sconvolgimenti, l’identità geografica (la forte caratterizzazione dei  confini tra Tirreno, Appennino e valle del Tevere), quella etnodemografico – linguistica (le qualificanti presenze etrusca e longobarda, la forza dell’impianto romano)  e quella istituzionale – ambientale (la realtà unificante della Marca medievale, la tradizione urbana. la parcellizzazione della proprietà agricola) sono rimaste solide.  Tutto ciò può essere richiamato e valorizzato oppure dimenticato. Sta a noi scegliere. Nessuna identità è assoluta, né perfetta, né eterna. Si è comunità, soprattutto e anzitutto, se e nella misura in cui come tale ci si vuol riconoscere. Continueremo ad esser “toscani” – nomenclature geografiche o amministrative a parte – solo se vorremo esserlo.

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