L’INDIFFERENZA

L’INDIFFERENZA

Carissimi Fratelli,

noi oggi siamo riuniti in una Camera Capitolare, ma gli insegnamenti su come comportarci rispetto a questo tema li troviamo disseminati sin dai primi gradi della nostra piramide.

Tuttavia come doverosa premessa occorre dire che l’indifferenza presenta molte sfaccettature, può riguardare vari argomenti e manifestarsi in molti modi. Alcune volte può essere addirittura positiva.

Noi però qui ci riferiamo al tipo di indifferenza descritta da Brecht in una celebre poesia:

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei,

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Questa poesia lascia intendere che quando si vede commettere una ingiustizia non bisogna tacere. E fin qui tutto fila. Ma il punto è che cosa dobbiamo considerare una ingiustizia. I versi della poesia  lasciano intendere anche che non si è trattato di pura e semplice indifferenza, ma addirittura in qualche modo di una certa approvazione di quanto stava accadendo; come succede adesso di fronte alla chiusura dei porti per gli immigrati clandestini.

In definitiva tutto dipende dalle emozioni. Proprio qui, qualche tempo fa, si è parlato di Blaise Pascal e dei suoi pensieri. Una osservazione che ha fatto Pascal è la seguente: “nulla è insopportabile all’uomo quanto essere in un completo riposo, senza passioni, senza faccende, senza divertimento, senza un’occupazione. Avverte allora il proprio nulla, il proprio abbandono, la propria insufficienza, la propria dipendenza, il proprio vuoto”.

Questo pensiero descrive uno stato di assenza di emozioni che certamente spinge all’indifferenza, ma chi si trovi in questa condizione ha forse lui più bisogno di aiuto di quelli che si trovino in difficoltà per varie circostanze e che rimangono nella loro condizione miserevole per l’indifferenza generale.

Un altro tipo di indifferenza è quello proposto dalle filosofie orientali, che proclamano il distacco dalle emozioni e dalle vicende terrene. Sono filosofie belle, che andrebbero bene se le praticassero tutti, ma che mal si adattano al mondo occidentale, al mondo come lo conosciamo e lo viviamo noi.

Nella nostra civiltà il pensiero è azione e bisogna impegnarsi per realizzare i nostri obiettivi. Non possiamo permetterci di trascorrere il tempo in contemplazione aspettando di sentirci reintegrati e tutt’uno con l’universo. Dobbiamo fare delle scelte e talvolta siamo costretti a trascurare qualcosa, e rischiamo di trovarci in condizioni molto simili alla indifferenza, ma questo non è molto grave; se però ci lasciamo troppo prendere dagli affari profani, corriamo il rischio di incorrere nella situazione che può portare facilmente all’indifferenza e che si verifica quando nell’uomo prende il sopravvento una delle condizioni che hanno portato alla morte di Hiram: l’ignoranza, il fanatismo, l’ambizione.

L’ignoranza ha poco a che fare con l’emozione. E’ una condizione che ci fa commettere errori, che ci fa valutare male le situazioni e quindi ci porta a scelte sbagliate. Uno degli errori abbastanza comuni è quello di vedere in ogni sconosciuto un nemico. Da questo discende direttamente il fato di non curarsi del destino degli sconosciuti. Si resta sorpresi nel vedere come tante persone che affermano di essere cristiane si dimentichino dell’insegnamento di Cristo che dice che chi aiuta un forestiero aiuta lui stesso. Senza considerare tutta la letteratura che c’è sul prossimo, a cominciare dal titolo di un celebre romanzo “Per chi suona la campana”. Ma così appare oggi la nostra società, intrisa di egoismo e indifferenza. Noi massoni però oltre a questi insegnamenti di carattere generale, abbiamo anche indicazioni precise dai nostri rituali, che si condensano nell’esortazione “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, ma anzi…”. Per noi la fratellanza universale non è una parola vuota e, anche se a volte può essere faticoso, dobbiamo essere coraggiosi nelle nostre scelte e seguire più i nostri principi che le nostre conoscenze e non lasciare che l’ignoranza, la paura del futuro, ci tarpi le ali.

Il fanatismo è un’altra condizione disastrosa. Non si vive da soli; la nostra è una esistenza di relazione e per vivere degnamente è necessario porre attenzione agli altri. Il fanatismo però spinge a considerare nemici quelli che non condividono la nostra visione del mondo; ma noi sappiamo che ognuno ha diritto alle proprie opinioni, alle proprie idee e alle proprie credenze. Allora prima di tutto occorre il rispetto, ma a volte questo non basta. Possiamo trovarci in situazioni dove vediamo chi la pensa diversamente da noi in difficoltà. I nostri principi richiedono di non voltare le spalle.

Non si tratta di essere eroi e accorrere in difesa dei più deboli, come facevano idealmente i Cavalieri, ma si tratta almeno di esprimere solidarietà, ad esempio dichiarando in ogni sede e in

ogni circostanza quale sia la nostra visione del mondo e come nessuno dovrebbe essere mai abbandonato a se stesso e ciascuno abbia diritto di esprimersi e di vivere come meglio desidera. Se questo fosse un comportamento universale e si creasse questo comune sentire, forse il mondo

sarebbe migliore e forse il suicidio finirebbe di essere scelto come una soluzione da chi sente solo e schiacciato dalle difficoltà, perché nessuno si sentirebbe più disperato. Ma il fanatismo rende ciechi, distorce la visione della realtà e divide il mondo in amici e nemici. Impedisce di avere rispetto e anzi ci porta ad agire per la rovina degli avversari e ad esultare di fronte alla loro scomparsa.

L‘ambizione è anch’essa generatrice di indifferenza. L’affermazione egoistica del proprio io spinge a trascurare le esigenze e perfino i diritti degli altri. La soddisfazione di raggiungere grandi risultati è certamente un fatto positivo, ma quello in cui dovremmo veramente essere impegnati non è la ricerca di risultati, ma la ricerca della felicità. Ora la felicità non è una risorsa limitata come l’oro, che se uno lo accumula ne priva altri. La felicità all’opposto si espande, e più gente felice esiste intorno a noi più aumentano le possibilità di essere felici a nostra volta. E viceversa. Restare dunque indifferenti alla sorte degli altri per poter raggiungere i nostri scopi sembra doppiamente controproducente: rende infelice l’ambizioso e riduce la gioia e la serenità

nell’ambiente che lo circonda.

Le tre piaghe, che Dante raffigura con le tre fiere che gli sbarrano il passo, conducono infine ad un solo punto: l’egoismo. In questo senso l’egoismo va inteso come l’attitudine a pensare solo a se stessi, mentre fin dal grado di apprendista ci viene rivolta questa esortazione: “Possa il vostro cuore infiammarsi d’amore per i vostri simili: possa questo Amore, simboleggiato dal Fuoco, improntare le vostre parole, le vostre azioni, il vostro avvenire. Non dimenticate mai il precetto universale ed eterno: Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te e fa’ agli altri tutto il bene che vorresti che gli altri facessero te”.

E dunque? Dunque ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di affrontare il futuro, di affrontare l’ignoto senza il timore di perdere i nostri privilegi, le nostre comodità, le nostre ricchezze. Bisogna avere la consapevolezza che le soddisfazioni materiali sono una conseguenza dell’impegno morale e che in ciascuna altra persona troviamo riflesso noi stessi. L’indifferenza, il non curarsi dei bisogni degli altri, porta inevitabilmente ad un inaridimento dei sentimenti e alla fine alla impossibilità di essere felici. Dovremmo quindi praticare il contrario dell’indifferenza, che è la passione, ma senza farsi accecare da essa, perché diventerebbe fanatismo; e permettetemi qui di richiamare un altra esortazione che troviamo nei nostri rituali: “se vi esporrete a versare il vostro sangue, che sia sempre per una casa giusta”.

Ma agli atti pratici, cosa possiamo fare? In realtà la risposta è semplice: ognuno agisca e faccia quello che può con i propri mezzi. Se uno è un giornalista o un politico o comunque in grado di influenzare altre persona, affermi con forza i principi massonici e protesti ogni volta che essi vengono calpestati. Se siamo persone comuni abbiamo però una cerchia di amici, o un ambiente di lavoro, o conversazioni casuali al bar. Ecco, è importante che in ogni circostanza si faccia sentire la nostra voce e che chi vive a contatto con noi sappia che ci sono principi e diritti inalienabili che nessuno è autorizzato a disconoscere, per nessun motivo di apparente morale sicurezza o benessere. E’ importante fare in modo che la poesia di Brecht non trovi più spazio nella nostra realtà.

Tavola pervenuta dalla C.C. “ORLANDI” di Massa M. 07/10/19
(D. B.)

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