MODESTO ELOGIO DELLA BREVITÀ

 

MODESTO ELOGIO DELLA BREVITÀ

Di G. G

Fermo restando che rimango sempre grato a chi mi ha insegnato e a chi mi insegna qualcosa, in realtà ognuno di noi  si forma da solo, e la massoneria, nella giusta luce, possiede verità, valori e una sua particolare bellezza che non si esprimono certo con la ridondanza retorica, ma con una succosa e limpida

brevità. Sintetizzare vuol dire comporre, la brevità è “onesta, utile e generosa”, per dirla con Severgnini, è l’anima della saggezza,è rispetto per i propri interlocutori, è la capacità di coniugare la stringatezza con la precisione, è la bellezza della fugacità di un fiore, è un mandala che dopo la sua realizzazione esplode nell’aria. Persino nella Bibbia si ricorda che “nel molto parlare non manca la colpa” e molteplici sono i grandi esempi anche nel mondo orientale.

Certo c’è brevità e brevità, c’è anche la brevità che deriva dall’insipienza, dal non aver nulla da dire, dalla modestia espositiva, c’è la brevità del marketing che utilizza gli slogan e le forme brevi.

Già prima di Cristo, Callimaco, nelle sue prescrizioni, usava dire che “mega biblion”, grande libro, “mega kakon”, grande male, ma kakon rende bene l’idea. Conseguentemente nel 1300 san Bartolomeo da san Concordio sosteneva che “lo parlar brieve è meglio de lo parlar lungo, perché mentre lo parlar brieve fa desiderio, lo parlar lungo fa rincrescimento”

Non è un caso che Gianfranco Ravasi ironizzi sugli oratori “che impugnano mazzetti di fogli all’inizio di una conferenza e non demordono fino a quando hanno letto l’ultima riga davanti a un pubblico che spesso segue più il livello decrescente di quei fogli di quanto si lasci conquistare dal discorso”. Non casualmente, nel suo prestigioso manuale, Epitteto ammoniva seccamente: “non parlare a lungo”, perché se una frase è netta e bella, allora guai ad aggiungerne un’altra.

La brevità è frutto di esercizio paziente e di applicazione: brevi non si nasce, si diventa! In effetti la lunghezza gratuita va sconfitta, anzi severamente punita.

La brevità, lingua ormai desueta, è maturità, chiarezza di idee, e confida nell’acutezza dell’interlocutore: “la concisione è l’arte di dire molto con poco, la prolissità di dire niente con troppo” (R. Gervaso). In un mondo oppresso dalle parole, le parole superflue diventano inutili e dannose, soprattutto in un paese come il nostro dove la linea più breve fra due punti è l’arabesco (Flaiano); perciò i pensieri è meglio che siano fulminei, il resto è politichese, è fuffa letteraria che ahinoi ci sommerge.

Da giovani si fa molta fatica a cancellare, a sottrarre, a togliere parti di ciò che si è scritto, ad operare una costante diminuzione.

Ma meno è bello, meno è meglio: più si sa e meno bisogna dire. Poi col tempo si comprende che bisogna saper sintetizzare, togliere il superfluo, eliminare ciò che serve a riempire ma che non è indispensabile, che bisogna puntare all’essenziale, parlando e scrivendo con purezza di cuore come se tutti gli interlocutori, magari sconosciuti, fossero amici intimi, senza frasi oscure o criptiche e senza l’utilizzo di un qualsivoglia linguaggio specialistico.

Solo così un banale vetro può divenire persino un diamante. La storia, dalla letteratura alla poesia alla musica, è ricca di straordinari esempi di brevità, da “m’illumino d’immenso” di Ungaretti alla Tragedia in due battute di Achille Campanile , da il fucile da caccia di lnoue Yasushi a “Il racconto dell’isola sconosciuta” di José Saramago, dai preludi di Chopin ai fulminanti aforismi di Sun-Tzu; e non sono pochi gli scrittori che pur rispondendo brevemente, si dolgono di non essere stati capaci di una stringatezza più cospicua, come per esempio Pascal. È ovvio che la letteratura è stracolma di orazioni oltremodo ampie e di testi anche molto lunghi magari inarrivabili, rispetto ai quali si desidera che non finiscano mai quel caso la brevità è un dono che non si desidera ricevere. 0uindi non sono mai mancati testi lunghi, magari agili e brillanti, e testi brevi nocivi alla salute o eccessivamente nebulosi. Lo stesso 0razio a volte sosteneva: “vorrei essere conciso, ma risulto oscuro”. Perciò – sosteneva Nicolés Gómez Dévila – “ciò che desideriamo scrivere sia concluso prima che la consapevolezza della sua mediocrità ci colga”.

La forza della massoneria è costituita anche dalla capacità di saper raccontare in poche battute l’essenza di un percorso e di un metodo, e se non ci si riesce con chiarezza, con brevità il compito è fallito.

E concludo qui: un elogia alla brevità, non asciutto ed essenziale, sarebbe osceno.

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