ANCORA SU PINOCCHIO

 

ANCORA SU PINOCCHIO

 

Del Fr\ N. C. della R\L\ De Molay 1305 di Roma

 

Il nostro carissimo Fratello Nicola Cultrera – al quale per la sua disponibilità e solerzia rivolgiamo la nostra considerazione e il nostro affetto – ci trasmette un nuovo saggio su Pinocchio pubblicato il 9 novembre 2009 sul sotto specificato organo on-line.

La stesura del meditato lavoro dal titolo “L’umanità di legno” nella rubrica settimanale “Neon realismo di tv e società” a firma di Andy Violet, integrato da un disegno di Renzo Francabandera, è quanto mai a noi Fratelli massoni, congeniale in quanto ci fornisce una ulteriore prova dell’appartenenza del Collodi alla nostra Istituzione. Rivolgiamo pertanto allo studioso e storico la nostra lode per avere colmato una lacuna che ancora sussisteva dopo la distruzione nel 1925, in ottemperanza alla leggi fasciste, deinostri archivi.

Pinocchio in un disegno di Renzo Francabandera

 

Quando nel 1881, Carlo Lorenzini, meglio conosciuto col cognome Collodi, iniziò la pubblicazione de “Le avventure di Pinocchio”, lo scrittore aveva già avuto modo di maneggiare materiale favolistico di diversa provenienza, avendo curato la traduzione in italiano dello opere di Perrault ed altri scrittori francesi dediti a questo particolare genere letterario.

Spesso, inoltre, egli stesso interveniva pesantemente sul testo originale, e splicitando la morale già contenuta nella storia, o inserendovene ex novo una vergata di proprio pugno. All’atto della stesura del suo capolavoro, dunque, lo scrittore di Pescia aveva la piena padronanza dell’universo archetipico sotteso alla millenaria tradizione della favola, sotto la cui trasfigurazione mitologica si maschera un inalterato corredo antropologico, una sorta di abisso della prescienza che stenta a farsi logos, discorso razionale, e si rifugia nel mythos, la narrazione paradossale di ciò che non si può narrare.

Ecco allora affiorare nelle belle addormentate tutta l’angoscia della  pubertà femminile, che culminava spesso nel suicidio prima dell’approdo sicuro nelle braccia di un marito-padrone, il cui bacio del risveglio suona violento e voglioso come un imeneo, ed ecco il lupo cattivo, trasfigurazione dell’antico guerriero-belva, il bersekr, l’essere umano invasato dalla furia combattiva conciliata da droghe e riti di furore collettivo. Strutture antropologiche, dicevamo, e pertanto di lungo periodo, parte integrante del “fondale marino” della storia, per dirla alla Marc Bloch, figure che si riverberano nell’immaginario odierno come materiale narrativo di sicura presa, perché dialogano con il nucleo più profondo, ancestrale delle paure umane.

Il Pinocchio di Collodi si inserisce prepotentemente in questo solco, mescolando favola e romanzo di formazione nella narrazione del viaggio dell’uomo verso la sua umanità, che non è semplice fattura biologica, ma anche e soprattutto conquista culturale: il burattino disegnato con la squadra di Dio (ricordiamoci che Collodi era un massone) ha come Bibbia un abbecedario, lontano dal quale incorre nel pericolo di degradarsi allo stato ferino, nell’assunzione smodata e perniciosa di piaceri, o di restare affisso al legaccio della schiavitù nel teatro dei burattini, sorprendentemente e profeticamente simile ad un reality show.

Non credo debba stupire che l’ennesima riduzione televisiva dell’opera collodiana, andata in onda poche sere fa sull’ammiraglia Rai, abbia riscosso tanto successo, pur scontrandosi col Grande Fratello e con la scarsa qualità del prodotto in sé, non indimenticabile per la qualità della recitazione e del doppiaggio: ha vinto il fascino universale del percorso iniziatico, legato alle nostre più intime rappresentazioni del bene e del male, ha vinto la voglia di sentirci ri-educati, riverginati ad una possibilità di crescita più autenticamente umana, sotto la guida del sogno d’antichi valori e liberi dalla morsa opprimente dell’analfabetismo morale mascherato da retto moralismo.

Poi, purtroppo, è iniziato Porta a Porta.

Non si può insegnare qualcosa ad un uomo. Lo si può solo aiutare a scoprirla dentro (Galileo Galilei)

 

Pinocchio: un burattino scomodo, Stato di diritto e Stato laico

 

Analisi culturale e morale di Blasco Mucci, direttore responsabile de “Il Laboratorio”

 

Le ultime testimonianze del Fratello Nicola Cultrera, pubblicate con il numero 163 negli elzeviri della terza pagina de “Il Laboratorio” e con questo successivo 165 ci inducono – con l’inserimento nel medesimo del nostro pensiero – a verificare, e cercare di interpretare, il problema che Collodi, a nostra opinione, poneva in evidenza nel suo capolavoro, ambientato nell’Italia umbertina, sensibilizzando – al tempo stesso – l’opinione pubblica all’epoca disinformata e passiva

.In uno Stato che deve essere laico e di diritto non possono, ovviamente, essere disattesi gli obblighi che sono dovuti principalmente ai giovani e ai bambini. Non solo: devono essere continuamente aggiornati e programmati verso il futuro e, possibilmente, anche oltre il terzo millennio. A questo compito sono preposti uomini di cultura, di scienza, esperti giuristi ma anche uomini dotati di spirito lungimirante e profetico.

Senza dover attingere a episodi di livello teologico o sacrale quale, ad esempio, quello evangelico del “lasciate che i fanciulli vengano a me” è molto interessante osservare come il “cittadino toscano” Carlo Lorenzini detto Collodi avesse già intuito quali potevano essere gli sviluppi necessari alla tutela, nel futuro, dei diritti dei minori. Nella sua opera eccellente, Pinocchio, che è superfluo qui esaltare o lodare, si può, tra l’altro, ipotizzare una metafora esoterica o religiosa. Il burattino che per diventare uomo deve percorrere un cammino iniziatico che prevede dure prove da superare: il mistero della morte e dellarinascita, tipico di qualsiasi rito di iniziazione, e il passaggio a una condizione esistenziale rinnovata che

presuppone la morte simbolica di ciò che si era prima di arrivare alla soglia del mutamento.

In realtà questo burattino da molto da pensare su quanto egli rappresenta nel mondo inesplicabile della fiaba. In tutto ciò che gli accade c’è qualcosa che sfugge alla logica del racconto, anche alla logica capovolta dell’invenzione fantastica. A nostro modesto avviso, nelle intenzioni di Collodi, esiste una morale, che vuole essere anche un monito e un messaggio all’Italietta umbertina e sabauda, affinché siano assunte iniziative indirizzate ad elaborare leggi che salvaguardino la tutela dei minori, oltre a indurre l’opinione pubblica ad una maggiore sensibilità al fine di respingere tutto quanto provoca sofferenza eangoscia al nostro prossimo. Quali sono le peripezie e le crudeltà che Pinocchio deve sopportare proprio  perché è immerso in una comunità priva dei più elementari diritti civili?

Questa società, ipocrita e perbenista, è insensibile al dramma che una povera creatura affamata e indifesa debba mangiare torsoli di pera; che debba bruciarsi i piedi di legno in un braciere accanto al quale si è incautamente addormentata e che, in seguito, sia perseguitata da gendarmi e malfattori, da magistrati e da sfruttatori, tutti quanti uniti in una sorta di congiura plenaria.

 

Il fuoco e l’acqua saranno sempre presenti, nelle avventure di Pinocchio, come manifestazione esplicita di una alleanza di elementi contrapposti al fine di arrecare danno, sofferenza e paura all’indifeso burattino.

Mangiafoco vuole metterlo nel camino per cuocersi il suo montone; il pescatore verde lo infarina e vuole friggerlo in padella come un pesce. Quando ormai è solo un somaro azzoppato e viene gettato in mare con una corda al collo, cosa farà l’uomo che ha tentato di annegarlo come ciuco e lo vedrà riaffiorare come burattino? Decide subito di rifarsi del cattivo investimento rivendendolo a peso di legno per fare fuoco nel caminetto.

Quando Pinocchio viene preso alla tagliola per aver tentato, affamato, di cogliere un grappolo d’uva, il contadino che lo sorprende con la gamba massacrata non si darà alcuna pena di curarlo, ma lo legherà alla catena e troverà il modo di sfruttarlo mettendolo a fare il cane da guardia. E questo turpe individuo, che oggi verrebbe senza dubbio arrestato per sevizie ad un minore, per i benpensanti umbertini diventa un gran brav’uomo sul quale si può fare affidamento. Il libro è una esemplare testimonianza del mascheramento di una serie di crudeltà inflitte quale pretesto di una morale. Al protagonista è persino negato l’elementare diritto di tutti i bambini: quello di dire anche le più innocenti bugie. Non gli è fisicamente consentito, gli cresce mostruosamente il naso.

E cosa dire del sadico episodio dell’impiccagione di Pinocchio? Il poveretto bussa alla porta che resta chiusa e subisce le beffe della Fatina che alla finestra dichiara che è morta e aspetta la bara. Il grande merito di Collodi, a nostro giudizio, è quello di aver additato e profetizzato con grande acutezza i rimedi necessari e la improrogabile necessità di elaborare strumenti legislativi di difesa di una infanzia che, in quegli anni, era sottoposta anche allo sfruttamento del lavoro minorile.

Il racconto è anche l’espressione di una cruda morale che sembra non debba avere alternative. Ben vengano dunque, oggi, scrittori come Collodi che, pur con una favola, possano additare a noi tutti quali possono essere i nuovi diritti del terzo millennio in uno Stato che voglia essere laico, libero e democratico

 

 

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