I simboli non sono inventati; esistono,
appartengono all’inalienabile patrimonio dell’umanità.
Si potrebbe anzi dire che tutti i pensieri e le azioni coscienti
sono la conseguenza inevitabile del processo inconscio
di simbolizzazione, e che la vita dell’uomo è governata dai simboli
(G.Groddeck, Il libro dell’Es)
NOVE PILASTRI DELLA CONOSCENZA
BREVE STORIA DEI NUMERI
di G. N.
È sempre esistito un fascino per il numero e le menti più evolute di ogni tempo ne sono state, in modo notevole, certamente influenzate.
Si crede che al tempo di Omero non si sapesse contare: i Ciclopi contavano le loro pecore con il rudimentale sistema dei sassolini.
Mettevano in una ciotola un sassolino per ogni pecora che usciva e lo ritiravano fuori per ogni pecora rientrata; se questo conteggio non tornava si andava alla ricerca delle pecore smarrite.
Proprio partendo da questi pochi sassolini siamo arrivati a costruire l’edificio numerico. Dall’abitudine di usare le pietruzze (dette in greco calculi) per segnare le unità ed i numeri, si è dato al computo aritmetico il nome di calcolo.
Come sono nati i numeri? non sempre si possono riconoscere le quantità degli oggetti che ci interessano, come si dice, ad occhio; quando questi superano i 4 o 5, la famosa occhiata non serve più: bisogna cominciare a contare.
Il valore esoterico dei numeri è molto importante perché con esso si può comprendere il complesso delle Cause Prime che reggono l’Universo.
I Numeri non sono una invenzione, ma una scoperta dell’umanità; sono un linguaggio a cui noi tutti dobbiamo ricorrere ogni giorno della nostra vita.
Il concetto di numero risale presumibilmente agli albori della civiltà, e rappresentare una quantità con un simbolo ha permesso al pensiero umano di raggiungere mete prima impensabili.
Fin dai tempi più remoti l’uomo probabilmente ha distinto tra uno e molti, così sono nati i diversi modi per contare, per comprendere e definire una certa quantità.
L’uomo, prima ancora di scrivere parole, ha trovato il modo per segnare delle cifre; infatti alcune civiltà illetterate, come gli Incas, usavano sistemi complessi per segnare le cifre: i cosiddetti quipu, (vedi figura) che consistevano in un sistema di nodi su funicelle di vari colori attaccate a una corda principale.
La pastorizia fu sicuramente una delle prime attività umane ed è stato proprio l’uomo primitivo, trovandosi nella necessità di contare i capi di bestiame, che fu costretto a ricorrere ad un sistema meccanico; incideva su di un tronco d’albero un segno per ogni capo ed era così in grado di verificare se vi fossero capi mancanti. Di questo abbiamo le prime testimonianze in fossili di circa 30 mila anni fa, coperti di buchi o di segni troppo regolari per essere casuali. Si facevano tacche, tagli, buchi, incisioni su pezzi d’osso o di legno e sicuramente si usavano anche le dita delle mani e dei piedi.
Dal punto di vista della matematica, uno dei reperti più interessanti, è stato rinvenuto a Ishango, sul lago Edoardo al confine tra Zaire e Uganda. Si tratta di un manico in osso, risalente a circa ventimila anni fa (periodo neolitico) esposto al Museo di Storia Naturale di Bruxelles.
Vi sono reperti più antichi ancora che riportano tacche disposte in gruppi: una fibula di babbuino trovata a Lelembo, nello Swaziland, risalente a 37.000 anni fa con 29 tacche. La asimmetria delle incisioni su questo osso fa anche supporre un qualche utilizzo dei numeri per fini diversi dal conteggio.
È stata anche rinvenuta una tibia di lupo, trovata in Cecoslovacchia, di cinquemila anni più antica con 57 incisioni che sono state disposte a gruppi di cinque.
Consideriamo , dopo questo preambolo la matematica moderna.
per prima cosa, dobbiamo considerare che i numeri sono solamente 9 e che tutti gli altri sono la ripetizione degli stessi. Con l’introduzione dello 0, che è un “non numero”, arriviamo al 10, che è solo l’inizio di un nuovo ciclo.
È perciò logico sostenere che i 9 numeri su cui si basa ogni matematica (che di per sé è pura metafisica, cioè concezione, teoria, dottrina e affermazione celebrale e astrusa) racchiudono nei loro rapporti la soluzione dei complessi meccanismi che regolano tutto il nostro universo.
Lo 0 è dunque il “non numero”, ma la sua “non esistenza” è solo parziale perché contiene in sé il germe di tutto l’universo. Lo zero è l’ultima cifra che è entrata a far parte del grande parco dei numeri. Zero è il nulla, il vuoto, l’assenza assoluta di ogni cosa.
Grazie all’opera di studiosi come Fibonacci e anche a quella di molti comuni mercanti, lo zero arrivò nel mondo Occidentale, lo fece in punta di piedi e venne proprio accolto da questi ultimi che ne colsero l’utilità pratica per i loro commerci; ma rimase ancora per molto tempo guardato con sospetto dalla cultura greca e dal pensiero biblico-cristiano.
Zenone aveva affermato che il vuoto non esisteva, ed anche Pitagora concepiva i numeri come legati a forme geometriche; pertanto in questa situazione non poteva esserci posto per lo zero.
Che forma si può dare al nulla?
«Un quadrato di lato due è immediatamente visualizzabile, ma che cos’è un quadrato di lato zero? » (C. Seife)
Naturalmente nel momento in cui rifiutavano lo zero, i Greci si precludevano la possibilità di apertura sull’infinito!!!
Pertanto tutti i secoli successivi, eredi di questa concezione, fino al pieno Rinascimento furono portatori di queste idee, nemiche del vuoto e del limite.
L’ipotesi del filosofo greco Aristotele (IV sec. a.C.) che, «dove c’è Dio, non può esserci né vuoto, né nulla e quindi nemmeno lo zero che di tutto ciò è in qualche modo simbolo numerico», rese lungo e difficile il cammino dello zero, che rimase a lungo ignorato.
Gli Egiziani sono i primi che hanno lasciato tracce del numero zero e lo usavano già come cifra, mentre i Cinesi non avevano espressamente un numerale per lo zero, ma il suo concetto era implicito nella loro grande invenzione dell’abaco. (L’abaco- vedi figura- come strumento di calcolo fu reso obsoleto dall’avvento dei numeri arabi che consentono di fare i calcoli con carta e penna, in modo più semplice e affidabile. In effetti i numeri arabi altro non sono che un abaco trasferito su carta). Nonostante tutto l’abaco viene ancora usato in alcuni paesi del terzo mondo e in particolare in Cina.
I Maya svilupparono un simbolo grafico per lo zero e questo simbolo era rappresentato da un’ostrica vuota.
Il sistema numerico babilonese era un sistema posizionale a base 60 e andava bene se non si dovevano segnare certe cifre; quindi per evitare confusione i Babilonesi inventarono un simbolo che indicava lo zero, cioè una sorta di segnaposto senza però avere ancora la dignità d’una vera e propria cifra.
L’altro popolo antico che sicuramente usò lo zero era quello indiano, il cui sistema numerico era uguale a quello odierno, cioè posizionale a base decimale.
I matematici Indù nel VIII secolo concepirono il concetto di zero e lo usarono in modo completo; concetto adottato più tardi anche dagli Arabi. E’ solo dopo l’anno 1000 che in occidente, sotto l’influenza araba, viene introdotto lo zero per rappresentare l’assenza di quantità.
Il papa Silvestro II, (pontefice dal 993 al 1003), fu promotore della sua diffusione ed ebbe il merito di far conoscere alla cultura occidentale le cifre arabe. Dovremo attendere però ancora qualche secolo prima che lo zero trovi la sua giusta collocazione nella scala dei numeri. E’ infatti con il nascere di nuove scienze matematiche come l’algebra, che lo zero viene impiegato senza timore e diffidenza: siamo attorno al XVI secolo.
Nelle definizioni fornite dalle enciclopedie, lo zero è indicato come sinonimo del vuoto, dell’assenza, del nulla. Abitualmente, la più comune immagine dello zero è quella aritmetica.
Il suo significato rimane, tuttavia, quello di nulla. Tutto ciò che non ha dimensione, che non ha peso, che non ha valore è definito zero e questo è particolarmente evidente se ci riferiamo a quella che è la cosiddetta saggezza popolare con i modi di dire, quali:
«Meriti zero»: «niente».
«Un’opinione che vale zero» : «nulla».
«Non capisci proprio uno zero»: «nulla».
L’«ora zero», cioè la mezzanotte.
Lo zero, che rappresenta l’assenza di ogni quantità, non è quindi un numero.
Parlare di «grandezza Zero» è perciò incoerente. I matematici considerano lo zero un puro nulla, ma lo ritengono – per contro – dotato di potenza infinita.
Infatti, posto alla destra di una cifra «significativa», contribuisce a formare un numero che, per la ripetizione degli zeri, può crescere indefinitamente. Mentre, posto – in unione con la virgola – alla sinistra di detta cifra, contribuisce a formare un numero che può decrescere – per la ripetizione degli zeri – altrettanto indefinitamente.
Prendiamo ora in considerazione i vari segni con i quali è stato raffigurato lo zero, e cerchiamo di dare loro un significato.
I Maya, come già detto, furono forse i primi che arrivarono alla concezione di un vero segno zero. Questo era rappresentato in modi differenti:
come conchiglia,
come spirale,
come guscio di lumaca,
come chicco di mais germogliante.
Nella conchiglia si può vedere una concezione di nullità di valore in quanto, priva di mollusco, non vale più niente; ma vi può anche essere una concezione sulla formazione dell’universo , secondo la quale tutto sembra aver origine da un involucro tondeggiante.
Questo concetto viene superato dalla spirale. Infatti essa può suggerire il passaggio da una dimensione inferiore ad una superiore, da un universo dell’estremamente piccolo ad un universo dell’estremamente grande, da un infinito chiuso ad un infinito aperto. La spirale può simbolicamente rappresentare il punto di sutura fra due dimensioni.
Nel chicco di mais germogliante si vuole vedere il momento di transizione tra una vita e l’altra o il passaggio dimensionale nella ciclicità evolutiva universale. Inoltre nel rappresentare lo zero come chicco di mais che germoglia, si è forse voluta sottolineare la disintegrazione del seme nella terra e la sua conseguente perdita di valore.
Chicco di mais germogliante, conchiglia, spirale, punto, uovo.
Rappresentare lo zero, attraverso questi segni grafici, si è rivelata man mano simbolo di più complesse e di più profonde intuizioni, testimonianza di sapienza maturata nel corso dei millenni. Generazione, nascita, divenire, trasformazione.
Non ricordo quale filosofo ha addirittura affermato che il NULLA è DIO STESSO. Ma ciò è da interpretare così: la natura di Dio è talmente al di là delle cose che qualunque nostro pensiero è inadeguato a conoscerlo.
Egli è quindi ciò che è oltre il limite della nostra mente.
Lo zero è l’attimo prima della manifestazione della luce.
Lo Zero, l’Abisso,
è tutto ciò che esprime attesa, pausa, intervallo,
e le sensazioni che si ricevono.
È l’intervallo tra inspirazione ed espirazione
dell’Universo,
tra generazione e corruzione,
tra manvantara e manvantara. (1)
È il momento intenso e drammatico.
che precede il temporale
irruente e fecondante.
È la carica di pathos che pervade l’uomo
nell’intervallo tra un tempo e l’altro
di una sinfonia.
È la tensione dell’umanità
che cammina nel buio della notte
in attesa di ricevere
la vera luce del suo
GTATDTUT
1)Manvantara: lunghi periodi astronomici, che caratterizzano la
cosmogonia Indù.
Il Manvantara dura 308.448.000 anni.
Di solito viene così suddiviso:
• Il Sandhya iniziale o finale è di 1.728.000 anni.
• Il periodo centrale è di 306.720.000 anni.
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.SEZIONE AUREA
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NUMERI E MASSONERIA
Il Reghini ha evidenziato come i liberi muratori nel tardo Medioevo «identificassero l’arte architettonica con la scienza della Geometria e dessero alla conoscenza dei numeri tale importanza da giustificare la pretesa di essere i soli ad avere conoscenza dei “NUMERI SACRI” e la “SEZIONE AUREA”».
I Numeri sono la sostanza di tutte le cose e l’Universo è armonia.
La scuola Pitagorica, che fiorì nel VI secolo A.C., si fondava su principi ben precisi. I discepoli ammessi a questa scuola passavano attraverso quattro gradi di studio e di perfezionamento morale.
– il Primo: gli uditori o exoterici che potevano solo ascoltare la parola del Maestro senza rivolgergli alcuna domanda;
– il Secondo: riguardava lo studio dei principi della Filosofia, della Teologia e di Altre Scienze;
– il Terzo: considerava lo studio della perfezione che avviava alla Purificazione;
– il Quarto: detto della Epifania (apparizione). Solo a questo grado i discepoli potevano rivolgere domande al Maestro e apprendere le verità segrete.
I numeri sono la sostanza di tutte le cose. Si presentano infatti, ricorrenti nei secoli, relazioni numeriche nelle strutture architettoniche, pittoriche, scultoree, nei mosaici, nelle vetrate e nelle figure decorative.
Sembra che tutti gli artisti abbiano lavorato in maniera collegiale, che abbiano avuto tra di loro scambi verbali e di studio.
Naturalmente tutto questo è impossibile, e perciò dobbiamo immaginare che il punto di collegamento sia stato un lessico numerologico che li accostava.
Dobbiamo immaginare dunque che sia esistito un Messaggio Esoterico tramandato attraverso determinati numeri tenendo in attenta valutazione distinti riferimenti.
È importante esaminare il linguaggio dei numeri nella filosofia pitagorica e fare un confronto sul significato che questi hanno in Massoneria.
1 = PUNTO
2 = LINEA
3 = TRIANGOLO
DECADE simbolo della TETRACTYS
4 = TETRAGONO
Interessante è approfondire il linguaggio dei numeri nella filosofia pitagorica e fare un parallelo sul significato che gli stessi hanno in massoneria, tralasciando l’UNO perché per Pitagora non era un numero bensì la monade, principio del tutto.
E quindi:
il 2, per i pitagorici primo vero numero era la diade e aveva il significato di conoscenza; era il numero che rappresentava la Donna, sposa dell’uomo e generatrice.
In Massoneria è la dualità e si accosta a diversi simboli. La squadra e il compasso, la terra e il cielo, le due Colonne, il pavimento a scacchi bianco e nero, il sole e la luna.
Il 3 per i pitagorici era primo dei numeri dispari e rappresentava la sintesi di monade e diade e si esprimeva, in geometria con il triangolo, origine di tutte le figure piane e prima figura perfetta e regolare.
Per noi rappresenta soprattutto il delta luminoso, il simbolo più importante, i tre gradi dell’Ordine: apprendista – compagno – maestro. La triplice batteria.
Il 4 era per Pitagora il numero divino perché in molte lingue antiche con 4 lettere si indicava Dio: Adad in assiro, Teòs in greco, Amun in egiziano, Syre in persiano, Deus in latino, Jawè in ebraico.
Quattro era anche il simbolo della concretezza, della solidità. Pitagora lo considerava il simbolo dell’Ente creatore definendolo Quaternario. Il Quaternario è la prima figura solida: la Piramide simbolo dell’immortalità.
Per noi massoni ricorda l’iniziazione, i quattro viaggi – il percorso “sacro” che ci porta a nuova vita, i quattro elementi – terra, aria, acqua, fuoco. Ma si riferisce anche alle facce della pietra cubica.
Il 5 per Pitagora significava unione, vita. In natura i cristalli che non hanno vita presentano una struttura cubica, esagonale, romboidale, mentre tutto ciò che ha vita — come i vegetali, gli animali, l’uomo – hanno una struttura pentenaria.
Per la Massoneria il 5 indica l’età del compagno, la stella fiammeggiante a 5 punte, 5 sono i viaggi che il compagno deve compiere, 5 i gradini allegorici che deve salire, 5 sono le luci della loggia.
lI 6 per la scuola pitagorica indicava la bellezza, la perfezione. Era due volte il 3, il perfetto in assoluto. Simbolo della potenza per la sua capacità di attivarsi; infatti se capovolto il 6 diventa 9, successivo multiplo del 3 e triplo di questi.
In massoneria rappresenta le sei direzioni : oriente – occidente; settentrione – mezzogiorno; Zenit – Nadir.
Il 7 per Pitagora è il numero più importante insieme al 10 in quanto è originato dalla somma del 3 + il 4 a simboleggiare l’unione fra la divinità con l’uomo. Indicava le arti liberali che l’iniziato doveva coltivare: grammatica, retorica, logica, aritmetica, geometria, astronomia, musica.
In Massoneria indica l’età del maestro, il numero dei gradini che occorrono per salire al grado.
Il numero 8 per la scuola pitagorica era dotato di splendida forza propulsiva, proprio perché primo numero che si esprime come potenza di potenza: 2 al cubo = 8.
Per le sue caratteristiche dinamiche, il numero 8 coricato su se stesso simboleggia l’infinito.
A supporto di questo, e riallacciandoci all’Egitto, ecco qui di seguito la così detta Piramide di Zoroastro (Zaratustra) – sacerdote egizio vissuto nel VI secolo a.c. (contemporaneo quindi di Pitagora) che faceva del numero 8 la famosa progressione fonte dell’immortalità.
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1 x 8 + 1 = 9
12 x 8 + 2 = 98
123 x 8 + 3 = 987
1234 x 8 + 4 = 9876
12345 x 8 + 5 = 98765
123456 x 8 + 6 = 987654
1234567 x 8 + 7 = 9876543
12345678 x 8 + 8 = 98765432
123456789 x 8 + 9 = 987654321
Per la massoneria l’8 indica i vertici della pietra cubica.
Il 9 è potenza del già perfetto 3 e triplo dello stesso. I pitagorici lo consideravano simbolo di giustizia e completezza. La proprietà del 9 di ricostituirsi – se moltiplicato per un qualunque numero intero rigenera se stesso – fa di esso il simbolo della materia che nelle sue innumerevoli trasformazioni non si distrugge mai, rimanendo sostanzialmente se stessa.
In massoneria 9 sono gli strumenti di lavoro – compasso, squadra, martello, scalpello, filo a piombo, livella, regolo, leva, cazzuola. 9 sono le caselle in cui è suddivisa la Tavola da Disegno; 3+3+3 la triplice batteria in grado di maestro ecc.
Infine il 10, in sé perfetto e armonico, in quanto espressione aritmetica della tetractys è numero sacro, che simboleggia la esaltazione ed il compimento di tutte le cose. Possiamo fare un cenno sulla Croce pitagorica, la X che indicava la Decade, che significava la Ricostruzione dell’Uno, l’Essere Supremo, la manifestazione e la riflessione – dell’ idea primordiale ed Universale.
La Croce Pitagorica divenne simbolo dei Cavalieri Templari, monaci guerrieri che tumulavano i morti con le gambe incrociate ad X per simboleggiare il cammino verso la Resurrezione.
Questo tipo croce, racchiusa in un cerchio, veniva incisa dai Maestri Comacini sulla facciata delle loro cattedrali, dagli scalpellini sulle loro opere.
Per il massone è il segno dell’unione fra perfetti iniziati, il toccamento del maestro con altro maestro attraverso la congiunzione delle 10 dita.
Ma torniamo a quella che è l’essenza della dottrina pitagorica:
“I numeri contengono il segreto delle cose e Dio è l’armonia universale. La realtà può essere compresa solo se la si riduce a una quantità misurabile attraverso la Geometria e numerabile attraverso l’Aritmetica”.
BIBLIOGRAFIA
–Il libro dell’Es (G.Groddeck)
–Origini e storia dei numeri di Donata Allegri
–NOVE PILASTRI DELLA CONOSCENZA di Antonio Bruno
–DELTA rivista massonica.
–INTERNET
SEZIONE AUREA