GLI UOMINI SAREBBERO FELICI SE …

“Gli uomini sarebbero felici se non avessero cercato e non cercassero di esserlo” GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone

FELICITÀ E LIBERTÀ IN KANT

“Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri)”.“Felicità è l’appagamento di tutte le nostre inclinazioni (sia extensive, riguardo alla loro molteplicità , sia i n t e n s ive, rispetto al grado sia anche protensive, rispetto alla durata). La legge pratica , fondata sul movente della f e l i c i t à, io la chiamo prammatica (regola di prudenza); la legge invece – se mai esiste -che non ha altro movente se non il meritare di essere felice , io la chiamo morale (legge etica). La prima legge consiglia che cosa dobbiamo fare, se vogliamo possedere la felicità; la seconda legge ci ordina come dobbiamo comportarci , per divenire degni della felicità. La prima legge si fonda su principî empirici : in effetti , io non posso sapere se non mediante l’esperienza , quali siano le inclinazioni che vogliono essere soddisfatte, né quali siano le cause naturali che possono portare alla soddisfazione di tali inclinazioni. La seconda legge astrae dalle inclinazioni e dai mezzi naturali per soddisfarle; essa considera soltanto la libertà di un essere razionale in generale, e le sole condizioni necessarie, in base a cui la libertà possa armonizzarsi con la distribuzione della felicità , secondo principî. Questa legge, d u n q u e, p u ò almeno fondarsi su mere idee della ragione pura, ed essere conosciuta a priori”. “come i principi morali sono necessari in base alla ragione – rispetto al suo uso p r a t i c o – così è altrettanto necessario ammettere in base alla ragione – rispetto al suo uso teoretico – che ciascuno abbia diritto di sperare nella felicità, nella stessa misura in cui si è reso degno di essa con il suo comportamento , e che quindi il sistema della moralità sia inscindibilmente congiunto – soltanto però nell’idea della ragione pura – con quello della felicità”. “La felicità, dunque – in esatta proporzione con la moralità degli esseri razionali, che li rende degni delle felicità – costituisce da sola il sommo bene di un mondo, in cui dobbiamo prendere posto secondo i precetti della ragione pura, ma pratica”. “scopriva in sé una facoltà di scegliersi un sistema di vita e di non essere legato, come gli altri animali, ad un sistema di vita unico. Al piacere momentaneo che in lui poteva destare la constatazione di questo privilegio doveva tosto seguire l’ansietà, la preoccupazione. Come egli poteva servirsi di questa facoltà da poco scoperta, mentre ignorava ogni cosa nelle sue più intime qualità e nei suoi effetti lontani? Egli veniva come a trovarsi sull’orlo di un abisso, poiché, in luogo di alcuni oggetti che fino allora l’istinto presentava ai suoi desideri, a lui ora se ne presentava una infinità , di fronte alla quale si trovava nell’imbarazzo della scelta; e così, dopo aver gustato la condizione di libertà , gli era impossibile ritornare nello stato di servitù, cioè sotto l’impero dell’istinto”. “il concetto di felicità non è un concetto che l’uomo astragga dai propri istinti e perciò dall’animalità ch’è in lui, ma la mera idea di uno stato , idea alla quale egli vuole rendere adeguato tale stato sotto mere condizioni empiriche (cosa ch ’ è impossibile). Egli svolge questa idea, ed invero in modi tanto diversi , per mezzo del suo intelletto mescolato all’immaginazione ed ai sensi; addirittura modifica così spesso questo concetto, che anche se la natura si fosse interamente sottoposta al suo capriccio , non potrebbe assolutamente ammettere alcuna legge determinata unive rsale e fissa per accordarsi con questo incerto concetto e quindi con lo scopo che ciascuno si propone in maniera arbitraria. Ma anche se noi volessimo abbassare questo scopo all’autentico bisogno naturale, nel quale la nostra specie è completamente d’accordo con se stessa, oppure d’altra parte esaltare al massimo l’abilità a realizzare fini immaginati : ciò che l’uomo intende col termine felici tà , e che è in realtà il suo proprio scopo ultimo naturale (non scopo della libertà ) , non sarebbe mai raggiunto da lui, perché la sua natura non è tale da potersi fermare e soddisfare nel possesso e nel godimento. D’altra parte, è ben lontano dalla ve orità di pensare che la natura ne abbia fatto un suo favorito.

La felicita’ e’ uno stato di grazia che ci prende e all’improvviso svanisce. Ma e’ anche la capacita’ di aprirsi al mondo e di costruire rapporti positivi. Come conquistarla? Con la virtu’che,dice Aristotele, e’ frutto dell’esercizio. Dovremmo fare come il pianista che per diventare virtuoso coltiva la sua arte con  tanto impegno. La felicita’ non e’ uno stato d’animo, un’emozione o un sentimento. E’ una condizione che riguarda tutta la sfera affettiva. E’ la capacita’ di provare gioia e dolore insieme. Aristotele definiva la felicita’ come una condizione di pienezza. In questo senso si parla di un discorso felice,ben formulato,o di un uomo felice, cioe’ realizzato. Forse la chiave della felicita’ sta proprio qui dimenticare se stessi e farsi vivere dal mondo. Noi siamo la gioia .E non lo sappiamo. Siamo come re che si sentono mendicanti. Ecco una metafora della nostra condizione: ci sono due uomini in barca su un fiume. Uno dice:”Arriviamo al mare”.L’altro chiede: “Come?” E il primo: “Ci portera’ la corrente”.Vuol dire che la felicita’ non si raggiunge con uno sforzo di volonta’ ma con la comprensione di quello che siamo. La felicita’ e’ equilibrio. Riuscire a godere di quello che si ha, senza smettere per questo di porsi degli obbiettivi. Saper sopportare le cadute, ed essere contenti di riuscire a rialzarsi. Poter camminare ancora e riuscire a creare intorno a se validi riferimenti e zattere di sostegno per i momenti di debolezza. Ricordo una frase molto bella “Ieri ho incontrato la felicita’ ma non mi ha reso felice”.          
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