………………Per quanto siano ancora
scarsamente utilizzate, per l’età storica, le tecniche di rilevamento
paleobotanico, molteplici indicazioni sulla produzione agricola ci provengono
dalle evidenze archeologiche o dalle fonti letterarie latine, che si
riferiscono però a tempi recenti. Non c’è dubbio che la produzione cerealicola
costituì l’aspetto fondamentale delle coltivazioni, e che ad un più razionale
sistema di sfruttamento dei suoli contribuirono opere di ingegneria idraulica,
rilevate soprattutto nel meridione, consistenti in cunicoli sotterranei per la
cattura e la conservazione delle acque piovane, scavati nel terreno tufaceo,
esito di uno sforzo collettivo, direttamente organizzato dall’autorità
politica.
Si affiancarono a queste, già nel trentennio finale del VII° secolo,
produzioni di tipo speculativo, come quelle della vite e dell’olivo, forse
importata dalla Grecia. I contenitori di questi liquidi, anfore da trasporto
(6.9) e unguentari (6.10) rinvenuti anche al di fuori dell’Etruria (8.7)
attestano l’esistenza di una sovrapproduzione destinata probabilmente anche al
commercio estero. Contemporaneamente si assiste a uno sviluppo dei mezzi di
produzione. Le rappresentazioni dell’aratro (6.3-5) o quelle di attrezzi con
zappe, falci e bidenti (6.7) mostrano la notevole articolazione della
strumentazione agricola, adatta sia alla coltura dei cereali che a quella dei
vigneti.
Il consumo dell’olio e del vino, prodotti nella Grecia propria e nella
Grecia dell’Est, appare limitato inizialmente, nel VII° secolo a.C., al ceto
“principesco”: nella prima metà del secolo la documentazione è concentrata
a Cerveteri, che ha restituito un’anfora euboica, due attiche SOS, una chiota
ed una corinzia A e che detiene, per tutto l’arco cronologico di oltre duecento
anni sopra indicato, l’indiscusso primato di presenze. Nella seconda metà del
VII°, che registra una netta preminenza rispettivamente delle SOS e delle
chiote, sopraggiungono tipi di altre fabbriche (Samos, Grecia orientale), riscontrabili
pure in contesti tombali di rilievo, oltre che a Caere, a Veio e Vulci.
Anche nel VI° secolo a.C., quando pure l’Etruria ha una sua produzione
di anfore e del relativo contenuto, avviata dall’ultimo quarto del secolo
precedente e massicciamente attestata a Vulci (con non poche occorrenze in
tombe di medio e modesto livello), le necropoli sia ceretane che vulcenti
continuano a restituire contenitori di fabbricazione greca, che ora
aggiungono, con maggiore addensamento nella prima metà del secolo stesso,
anfore “à la brosse”, “clazomenie”, laconiche, corinzie E;
queste ultime, come le “ionico-marsigliesi” e le massaliote,
compaiono inoltre, benché in novero assai ridotto, a Tarquinia. D’altro canto,
i primi risultati degli scavi condotti dal Centro di studio per l’archeologia
etrusco-italica nell’area urbana di
Caere ( 1983-84) sembrano confermare che l’importazione di vino greco perdura
nel corso del VI° secolo, anche a discapito di quello etrusco, che ha il suo
epicentro produttivo a Vulci, e orientano quindi ad assegnare ai più
meridionali approdi di Caere la funzione di centri di smistamento in Etruria
dell’olio e del vino greci………………..
…………………Le anfore qui raggruppate
rappresentano alcuni dei principali tipi usati in epoca arcaica per il
trasporto del vino, che dalla fine del VII° secolo a.C., quando ne comincia
la produzione su larga scala, è il perno di un sistema organizzato di scambi,
volti all’acquisizione di materie prime. Insieme a ceramica dipinta di
imitazione corinzia, a vasellame di bronzo, ma soprattutto a brocche e vasi
potori in bucchero (qui esemplificati da un kantharos), probabilmente destinati
alle aristocrazie locali, questi contenitori, il cui centro primario di
fabbricazione è stato riconosciuto a Vulci, si diffondono numerosi nell’area
tirrenica, in Sicilia e in particolare nella Francia meridionale.
L’eccezionale quantità di anfore vinarie e bucchero restituita tanto
dai numerosi relitti lungo le rotte costiere che dagli insediamenti della
Linguadoca e della Provenza fino alla Catalogna – punti di approdo con
probabili funzioni di redistribuzione verso l’interno e in certi casi
addirittura stabili basi – attesta fra le popolazioni celto-liguri una forte
presenza di commercianti etruschi fra la fine del VII° secolo a.C. e la
seconda metà del VI°………………….
La storia recente dell’Islam in Italia, sia pure limitata al
secolo XXesimo, è fatta di incomprensioni tra gli stessi fedeli della medesima religione.
Alcuni moderati altri decisamente no, oggi li troviamo divisi su tutto e
inseriti in almeno quattro o cinque organizzazioni teologico culturali diverse
che provvederemo di seguito a illustrare. Avvertendo subito il lettore che per
i gusti liberali del nostro giornale riusciamo a concepire come interlocutrice
solo l’Associazione dei musulmani italiani, al cui fondatore Shaik Massimo
Abdul Hadi Palazzi dobbiamo l’enorme mole di notizie qui sinteticamente
riportate.
L’ Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in
Italia (Ucooi) fu fondata nel 1990, è la sigla dietro la quale agisce la
filiale italiana dell’organizzazione integralista dei Fratelli Musulmani,
chiamata dai suoi membri semplicemente “la Fratellanza”. La stessa
organizzazione agiva invece in passato con il nome di Unione degli Studenti
Musulmani in Italia (Ucoii) e il cambiamento di nome è indice di proporsi sotto
veste diversa, di far passare oggi come rappresentanti di non meglio precisate
“comunità islamiche” quelli che in passato erano definiti come
“rappresentanti studenteschi”. Nell’un caso come nell’altro, si
trattava però sempre e comunque di militanti professionisti della Fratellanza,
giunti in Italia allo scopo di costituire delle filiali dell’organizzazione, da
inserirsi nella sua potente rete mondiale.
La Fratellanza viene fondata ad Ismailia, in Egitto nel 1928
da Hasan al-Banna, un maestro elementare che era stato ammesso alla Massoneria
britannica, e che ha inteso drenare qualcosa di analogo nel mondo islamico.
Sulle prime l’organizzazione non è tanto integralista,
quanto carrierista; mira a reclutare in seno al mondo islamico uomini inseriti
nei posti-chiave, e a far loro giurare assoluta segretezza e obbedienza al
capo. Alla morte di al-Banna però, il suo successore Sayyid Qutb si sposta su
posizioni politiche molte estreme, legittima la pratica del terrorismo a fini
politici, aderisce alla confessione wahhabita, e fa schierare in questo senso
l’intera organizzazione. Nel momento in cui scoppia la guerra fra i due Yemen,
il mondo arabo diviene terreno di scontro fra il nazionalismo arabo laico
rappresentato dal dittatore egiziano Nasser, e l’integralismo wahhabita,
guidato dal Re Feisal d’Arabia Saudita. La Fratellanza si schiera con
decisamente a fianco del re Feisal, ne viene ricompensata con ingenti
finanziamenti, e diviene uno dei principali strumenti della politica estera
saudita. Sarà grazie alla Fratellanza che il regime saudita potrà esportare
l’integralismo prima nei paesi arabi, poi in Pakistan, ed infine in Occidente.
……..[omissis]……..
Dimitri Buffa
La Repubblica
28.01.2002
In tre anni di “cura” del manager l’ospedale era
stato rivoluzionato: dai muri scrostati alla pioggia di cantieri
Molinette, nel regno di Odasso gestito come una banca d’affari
Assieme alle tangenti superreparti, cinema e ristorante
Così il dentista di Nizza Monferrato aveva trasformato il
vecchio nosocomio
Angoli da clinica svizzera, padiglioni terminati dopo un
quarto di secolo
Un medico di sinistra “Meglio un competente disonesto
che un incompetente onesto”
SEBASTIANO MESSINA
TORINO – Fossero ancora affidate al canonico del Duomo, il
prete che senza saperlo fondò l’ospedale dando riparo sotto il campanile a un
poveraccio che stava morendo davanti alla chiesa, forse le Molinette non si
ritroverebbero con i sigilli del magistrato per questa brutta storia di
mazzette e di tangenti. Di sicuro non sarebbero diventate la banca dei piaceri
del dottor Luigi Odasso, il manager dalla carriera inarrestabile passato dalle
Molinette alle Vallette, dal terzo ospedale d’Italia al primo carcere
piemontese. Ma chi poteva immaginare, chi poteva sospettare, che questo
dentista col pallino dell’organizzazione, questo cinquantenne grigio e svelto
arrivato dalla provincia per dare la sua scalata alla politica potesse mettersi
in tasca in un solo pomeriggio 90 milioni, cioè il triplo dell’intera somma che
settant’anni fa spese il municipio per costruire il nuovo ospedale al posto
della “mulinetta”, del vecchio mulino sulla riva del Po?
Se qualche sospetto l’ha avuto, la segretaria di Odasso se
l’è tenuto per sé. E oggi non ce lo viene certo a raccontare a noi, aprendoci
la porta tra le due gigantesche anfore di bronzo – “Theriaca” e
“Mithridat” – che sono il simbolo delle Molinette. Era lei che
gestiva il traffico frenetico e incessante degli appuntamenti del direttore
generale, era lei che all’ora di pranzo gli ordinava il toast con la coca cola,
era lei che qualche volta – senza immaginarne il contenuto, si capisce – gli
lasciava sul tavolo le buste con le mazzette, quelle buste che Odasso intascava
furtivamente, guardandosi ogni volta intorno nell’inutile ricerca delle
microspie che lo avrebbero incastrato. “Io so solo che lavorava come un
matto. Arrivava alle otto del mattino e usciva la sera alle nove, questo me lo
ricordo bene. E ci faceva correre tutti senza un momento di respiro”.
Diciamo la verità: si vede. Sotto la carrozzeria di una
Seicento, Odasso aveva un motore da formula Uno, e del resto quasi mai, in
questa città, la realtà coincide con l’apparenza: o la supera o la smentisce.
Tre anni fa, quando l’ex dentista di Nizza Monferrato conquistò la poltrona
dalla quale – oltre a gestire un fiume di miliardi – si comandano 98 reparti,
cioè i 5.561 medici, infermieri, impiegati e operai che ogni anno curano 44
mila malati, questo colosso della sanità piemontese era un elefante stanco e
acciaccato, con i muri scrostati e le porte cigolanti, un labirinto con le
indicazioni scritte col pennarello, cantieri abbandonati qua e là e neanche un
bar dove prendere un caffè. Era una vecchia signora che viveva di nobili
ricordi, di romantiche generosità e di isolate eccellenze. Era ancora
l’ospedale del mitico Achille Mario Dogliotti, il caposcuola della chirurgia
piemontese, al quale la città ha intitolato la strada che costeggia le
Molinette sul lato del Po, fiera di avere ancora nello stesso ospedale suo
genero e suo nipote (il quale, come amano ripetere con un sorriso i torinesi, è
l’unico medico del mondo che lavora nel reparto del padre e nella via del
nonno).
Tre anni di cura Odasso hanno cambiato faccia alle
Molinette. Là dove c’era la vasca delle rane ora c’è il centro oncoematologico
subalpino, un repartogioiello che sembra rubato di peso a una clinica svizzera.
Lo scheletro di cemento armato della palazzina Ciocatto ha smesso dopo un
quarto di secolo di essere un’eterna incompiuta ed è diventato il centro di
anestesiologia. E finalmente il maestro italiano dei trapianti di fegato, Mauro
Salizzoni, ha avuto un reparto che non somiglia più a una trincea abbandonata.
Odasso era un manager turbodiesel: andava a mille, e non lo fermava nessuno.
Gli chiedevano un vero caffè, al posto delle macchinette automatiche? E lui
faceva aprire un barristorante che sembra un autogrill. Gli chiedevano i cartelli
per i reparti? E lui faceva disegnare i percorsi colorati, con le frecce e i
segnali satinati. Gli chiedevano qualcosa per distrarre i pazienti? E lui
apriva un cinema con 450 posti dentro l’ospedale (questa settimana danno
“La mummia, il ritorno”).
Per farla breve: era un manager con i controfiocchi.
Passeggiando per le Molinette, lungo le vecchie palazzine in stile fascista
affiancate dal vetrocemento odassiano, si capisce perché un medico di sinistra,
al megabar ultramoderno affollato di chirurghi e di parenti, commenti
sottovoce: “Non si può dire, ma qui dentro è molto meglio avere un
competente disonesto che un incompetente onesto”. E si capisce anche
perché l’ex dentista del Monferrato, dopo aver mostrato ai torinesi quello che
sapeva fare, si fosse convinto che nulla era impossibile per uno come lui: un
seggio in Parlamento, una poltrona da assessore, un ufficio da
sottosegretario…
Ma proprio questa orgogliosa presunzione è stata l’errore
che lo ha perduto, il passo falso che lo ha fatto scivolare nel doppio fondo
proibito delle sue meraviglie. Lui che stupiva ministri e onorevoli, lui che
faceva favori a generali e presidenti, lui che andava ai ricevimenti con il
prefetto e il questore, un giorno deve essersi convinto che non sarebbe successo
proprio niente, se lui si fosse fatto scivolare in tasca qualche spicciolo. E
magari che era anche giusto, in fondo, darsi da solo il premio che gli spettava
per tredici ore di lavoro al giorno. Pensava di essere al sicuro, di essere
invulnerabile, oltre la porta metallica color panna del suo ufficio di
direttore generale, presidiata dalle quattro segretarie che regolavano il
traffico dei suoi cento appuntamenti quotidiani.
Pensava che nessuno potesse vederlo, alle 13,20 del 26
novembre, quando la donna che gli portava la mazzetta mensile lasciò scivolare
una busta gonfia di soldi, senza dire una parola, dentro la scatola di
cioccolatini che doveva servire solo a nascondere il malloppo. Pensava che
bastasse tacere per ingannare le temute microspie, il 12 novembre alle 9,35 del
mattino, quando un’altra signora, parlando di progetti e di contratti, gli
infilò in silenzio un’altra busta nella sua agenda, facendogli segno con la
mano che lì dentro c’era quello che si aspettava. Pensava che gli bastasse
usare un eufemismo, alle 14,31 del 15 ottobre, quando mandò a chiamare il
gestore del bar ultramoderno dicendogli: “Mi aveva detto coso che dovevi
darmi dei documenti”. “Sì – rispose l’altro, stando al codice e
allungandogli una busta con quindici milioni – quindici documenti. E mi ha
detto: siccome devi darli ogni tre mesi, invece di darli a me vai lì”.
Tutto registrato nelle videocassette. Tangenti sulla sorveglianza, sugli alberi
da piantare, sulle pulizie, sulle telecamere da installare, sulle macchinette
del caffè, sugli affitti, sulla progettazione e persino capolavoro sulla
consulenza per “l’ottimizzazione dei costi”.
A poco a poco, Odasso ha ammesso quasi tutto. L’unica accusa
che non manda giù, arrivando a gridare “bastardo!” al teste che lo ha
chiamato in causa, è quella sulla bustarella che avrebbe incassato per far
saltare la fila a un dializzato che aspettava il trapianto del rene, uno che
giura di aver venduto la macchina per racimolare il prezzo della corruzione. Se
lo condannassero anche per questo, l’ex dentista potrebbe dire addio non solo
alla poltrona di manager, ormai sepolta sotto una montagna di imputazioni, ma
anche alla professione di medico, per il momento in sonno come la sua tessera
della massoneria. E’ questa la paura che mi è sembrato di cogliere nello
sguardo spento di Luigi Odasso, quando l’ho incontrato davanti all’ufficio del
giudice che stava per interrogarlo, scortato da due agenti della polizia
penitenziaria: “State scrivendo troppo, di me, troppo…” mormorava,
lui che fino a ieri avrebbe dato un mese di vita per un titolo di giornale in
più.
Oggi è deserto, il suo studio alle Molinette. Visto adesso,
dopo aver letto le intercettazioni che lo hanno inchiodato, sembra una trappola
vuota. Dietro la sua scrivania c’è l’armadio con le tendine gialle a plissè,
che nascondevano i munifici regali di Natale sequestrati dalla Finanza: un
samovar per un ministro, un uovo di Fabergè per un altro ministro, un orologio
per il presidente della Regione, un vassoio d’argento per il sindaco… Al centro
della parete principale, sopra due elefantini di bronzo che hanno l’aria di
essere un dono non abbastanza gradito, un dipinto a olio con San Giovanni
Battista. E sotto il quadro, nella sua apparente innocenza, c’è il
condizionatore Baltur nel quale era nascosta – chissà come, chissà dove – una
delle due microcamere che lo filmavano mentre riceveva le bustarelle, mentre
andava in bagno a contare i soldi, mentre li infilava guardingo nel portafogli,
e persino mentre dava le pacche sul sedere alla sua amante. L’altra era stata
piazzata dentro l’orologio a pendolo dorato che stava alle spalle della
poltrona presidenziale di pelle nera, unica concessione alla simbologia del
potere che il modesto Odasso aveva permesso.
Gli impietosi filmati che la guardia di finanza ha raccolto
in due mesi e mezzo di sorveglianza video rivelano anche i suoi sospetti, dopo
una bustarella più grossa delle altre: si vede, sullo schermo, lui che cerca di
qua e cerca di là, curvo e goffo nella sua bonifica da dilettante, arrivando a un
passo dalla scoperta, con l’occhio che si avvicina alla telecamera sempre di
più, sempre di più, occupando alla fine tutto lo schermo. Ma non sempre basta
guardare, per vedere. Specialmente alle Molinette. Specialmente a Torino.
Il Mattino
27.01.2002
A VICO EQUENSE
I giovani e la Sinistra: l’Arci chiude il congresso
L’impegno dei giovani nella politica, in particolare sui
temi della Sinistra. Al congresso nazionale dell’Arci (oggi le conclusioni, a
Vico Equense) il confronto si accende sui nuovi modelli di partecipazione
giovanile nella difficile realtà internazionale. Cambiano i tempi, aumentano i
problemi, si trasforma profondamente anche la struttura organizzativa dela più
importante associazione nazionale di tempo libero e promozione sociale.
“La Sinistra italiana esca dal provincialismo, torni a riflettere sui
problemi del mondo, faccia entrare nella sua coscienza e nelle sue case le
tante tragedie di cui si parla ancora troppo poco, a cominciare da quella
palestinese”, spiega Antonio Bassolino, nel corso del suo saluto ai
delegati. La Sinistra, per il presidente della Regione Campania, deve puntare
sui temi della pace e del rapporto con i movimenti “per ritrovare i suoi
spazi”.
La pace, dunque, va riconquistata perchè “oltre alla
tragedia dell’11 settembre c’è ancora da affrontare la questione palestinese,
per la quale si fa troppo poco”. Con il movimento No Global ed i giovani –
prima di Bassolino era intervenuto il portavoce della Rete, Francesco Caruso,
con il quale il Governatore della Campania ha detto di condividere alcune
indicazioni – “dobbiamo avere una discussione seria, senza opportunismi,
considerando le diversità di ruolo e i punti di dialogo, facendo assieme il
cammino possibile”. “Considero del tutto naturale che il movimento sia
insieme No Global, conservando la sua carica contestativa, e al tempo stesso
New Global per interpretare nuovi diritti di cittadinanza, giovanili”. E
proprio i giovani, ricorda il Governatore, “hanno saputo anticipare alcune
importanti momenti di svolta dando anche avvio in maniera decisa ad una
battaglia contro il neoliberismo”.
Protagonista della seconda giornata, ieri, è stato don Luigi
Ciotti. “L’Italia esiste, ma anche le mafie esistono ancora. – ha detto il
fondatore di “Libera” – Non dobbiamo commettere l’errore di
sottovalutare gli intrecci con la politica, i poteri occulti, la massoneria. La
corruzione ha ripreso vigore, sotto diverse forme, dal nord al sud, da Torino
alla Sicilia. Non esistono oasi felici, sarebbe assurdo pensarlo. Dobbiamo reagire,
insistere nella nostra azione di lotta, perchè in gioco c’è forse la
sopravvivenza del nostro sistema democratico”. Oggi le conclusioni della
quarta assise nazionale, come accennato, con la celebrazione della giornata
“della memoria”, affidata ad Arrigo Diodati, uno dei fondatori
dell’Arci, e l’elezione dei nuovi organismi dirigenti. Partigiano sopravvissuto
all’eccidio nazista di Cravasco, Diodati leggerà poesie e testimonianze sulla
Shoah, accompagnato al piano da Vittorio Nocenzi. Tutti i delegati (371,
rappresentanti di un milione e centomila soci) esporranno la stella gialla dei
deportati. Fra gli ospiti esterni è prevista la partecipazione del segretario
nazionale dei Ds, Piero Fassino.
f. m.
La Repubblica
27.01.2002 Medici
e imprenditori Ecco la corte dell’assessore Burzi
IL RETROSCENA/1
SOCIETÀ APERTA – L’associazione ha acquisito notevole
influenza nelle sale che contano
PAOLO GRISERI
Torino.
Un’associazione culturale, quasi una corrente politica, ma
anche un centro di relazioni per i torinesi che contano. La rete di
collegamenti che attraversa “Società Aperta”, l’associazione
presieduta da Angelo Burzi finita nel mirino dei magistrati, è di quelle che
qualsiasi ufficio di pubbliche relazioni vorrebbe avere. Culturalmente situata
nella zona di confine tra la tradizione liberale e quella radicale italiana,
“Società Aperta” ha acquisito negli anni una notevole influenza sulle
scelte delle amministrazioni locali, in particolare, naturalmente, su quelle
della giunta regionale. Ma annovera tra i simpatizzanti anche personaggi come
Beppe Lodi, oggi assessore della giunta Chiamparino al termine di un percorso
altalenante tra centrodestra e centrosinistra.
Nell’elenco degli iscritti figurano personaggi come Sergio
Rolando, recentemente nominato direttore dell’ufficio controllo di gestione
della Regione Piemonte. Iscritto è anche uno dei principali collaboratori di
Rolando, Nicola Longo, consulente dello stesso ufficio e socio della Nagima,
una delle società che hanno ottenuto importanti consulenze da Odasso alle
Molinette. L’ufficio controllo di gestione, secondo quanto ha affermato
recentemente lo stesso Burzi, dovrà essere potenziato proprio per vigilare
sulla correttezza di comportamento dei dirigenti regionali. Un altro socio di
rilievo è Carlo Di Giacomo, presidente del Csi, il consorzio informatico della
regione. Ha aderito all’associazione l’attuale direttore dell’Ires, l’istituto
di ricerche sociologiche della Regione, Marcello La Rosa. La Rosa, editore e
medico, è stato uno dei principali canali per avvicinare a “Società
Aperta” gli uomini del mondo della sanità. Importanti i rapporti con il
mondo universitario. Sono iscritti il professore del Politecnico Giovanni
Perona e il geologo Rosalino Sacchi, rappresentante della Regione al Museo di
Scienze naturali.
L’attività dell’associazione in periodi non elettorali è
costituita essenzialmente da appuntamenti di approfondimento e da cene di
autofinanziamento. Ma è in programma in primavera anche il varo di una testata
che funzioni da organo informativo sull’attività del gruppo. È prevista per
quest’anno anche la terza edizione della scuola sul pensiero liberale che ha
già caratterizzato l’attività degli anni scorsi. Tra i principali organizzatori
della prima edizione della scuola (1999) figura il professor Angelo Maria
Petroni, nominato nel 2000 rappresentate della Regione nel consiglio della
Compagnia di San Paolo. Uno dei nuclei costitutivi dell’associazione è proprio
quello di una parte dei liberali torinesi. Tra gli iscritti figura Nicoletta
Casiraghi, ex presidente della provincia, e figurava anche Giuseppe Dondona,
l’ex assessore liberale a Palazzo civico scomparso alcuni anni fa.
Nel mondo dei costruttori uno dei principali soci di
“Società aperta” è Paola Orsini, figlia di Prospero, titolare della
Icz costruzioni. Orsini ha anche ospitato l’associazione nella prima sede,
quella di via Viberti. Ma la parte del leone nell’elenco degli iscritti la fanno
gli uomini della sanità: i direttori generali Ugo Podner Komaromy, Mario
Lombardo, Gianluigi Boveri, Giorgio Balzarro. Hanno partecipato alle attività
organizzate da “Società Aperta” anche Luciano Scarabosio, fratello
del notaio candidato da Forza Italia al collegio senatoriale delle Vallette, e
l’ex direttore generale dell’ospedale Gradenigo Carlo Manacorda. Numerosi i
medici che compaiono nell’elenco degli iscritti. Tra questi i primari Luigi
Parigi e Dario Giobbe. Non c’è dunque da stupirsi troppo se tra gli iscritti
figurano anche Luigi Odasso e Aldo Rosso. Non è un mistero che alcuni dei soci
appartengano alla massoneria. Una militanza che lo stesso Burzi non ha mai
nascosto.
Dieci candidature per la poltrona dell’ex manager
IL RETROSCENA/2
LA SUCCESSIONE – La Regione farà le sue proposte, ma
l’ateneo ha il diritto di veto
ALBERTO CUSTODERO
Sono dieci i nomi che si contendono la poltrona delle
Molinette, sette candidati e tre outsider. Domani, in giunta, ci sarà la prima
discussione per decidere una rosa di candidati da proporre all’Ateneo che, per
legge, ha diritto di veto. Eccoli. Bruno Vogliolo, manager dell’Asl di Tortona,
Giorgio Rabino, capo a Moncalieri, Giovanni Monchiero, numero uno ad Alba,
Giuseppe De Intinis, direttore all’Asl 3, Gian Luigi Boveri, manager del
Sant’Anna, Giorgio Balzarro, direttore a Novara e, infine, Alessandro
Bertinaria, del San Luigi di Orbassano. Gli altri tre sono Paolo Bruni,
direttore sanitario all’Istituto di Candiolo, Giovanni Fiorucci, suo collega al
Valdese e Manfredi Grasso, stesso lavoro al Cottolengo. Si tratta di dieci
tecnici, tutti nomi noti da decenni nel mondo sanitario piemontese.
Il caso vuole che alla sostituzione di Luigi Odasso sia
candidato l’allievo di un altro Odasso, Antonio (ex sovrintendente sanitario
del Mauriziano): si tratta di Bertinaria, una lunga esperienza all’Ordine
(autore, anni fa, di un discusso mansionario per il direttore sanitario che
comprendeva, fra l’altro, il punto “raccomandazioni varie per visite
ambulatori e servizi”), un’antica appartenenza alla Massoneria
nell’obbedienza del Grand’Oriente, loggia dedicata ad Adriano Lemmi
(soprannominato il “banchiere del Risorgimento”), la stessa della
quale fece parte Antonio Mussa, europarlamentare nelle file di An e oncologo di
fama alle Molinette (entrambi da anni in sonno). Balzarro, iscritto a Società
Aperta, énfant prodige della Sanità piemontese (fu allievo dell’ex direttore
sanitario del San Luigi Altadonna, poi di De Intinis), tentò, nel marzo del
2001, il “prodigio” di fare a Novara un centro trapianti di fegato
senza avvisare i vertici della regione che avrebbe dovuto fare concorrenza a
quello delle Molinette. Con questo precedente, come sarà accolto se sarà
designato lui in corso Bramante? Boveri (che vanta un lungo passato nel partito
liberale), conosce meglio di chiunque altro le Molinette, avendo fatto per
vent’anni con grande professionalità il coordinatore amministrativo, senza mai
incorrere in alcun problema. Molto vicino a Burzi (la cui moglie ha nominato al
Sant’Anna come consulente), è iscritto a Società Aperta. Giorgio Rabino, a
Moncalieri, è stato autore di una forte razionalizzazione dei servizi (che
prevede anche la chiusura dei reparti di ostetricia e pediatria al nosocomio di
Carmagnola). E vittima di uno spiacevole episodio circa un mese fa, quando,
all’inaugurazione del nuovo pronto soccorso (era presente l’assessore
D’Ambrosio), un’ambulanza s’incastrò fra le porte della struttura evidentemente
non collaudata. Giuseppe De Intinis, considerato l’uomo forte della sanità
torinese, ha declinato l’invito per incompatibilità familiare. La moglie,
infatti, lavora come medico internista alle Molinette: vuole evitare di
diventare marito e manager della consorte. Si considera “maestro” di
Balzarro che considera la persona giusta in corso Bramante. Fra chi si è
autocandidato, c’è Fiorucci, una vita al Regina Margherita come primario di
laboratorio, una grande passione per la comunità esoterica Damanhur. Fra gli
outsider, c’è anche il direttore sanitario dell’Istituto di Candiolo, Bruni,
già direttore generale nelle Marche. Infine, Vogliolo, per una decina d’anni
(dal ’74), direttore sanitario alle Molinette, poi passato all’ex Astanteria
Martini. Da manager è stato a Biella e Asti, distinguendosi a Tortona. L’ultima
parola, ora, spetta all’Ateneo, che non disdegnerebbe la promozione
dell’attuale direttore amministrativo, Pier Luigi Carosio.
La Nazione
26.01.2002
Iniziano le conversazioni mensili sulla storia e la cultura
della Massoneria
Il Grande Oriente d’Italia Palazzo Giustiniani, il più
antico e numeroso Ordine Massonico in Italia, organizza per il secondo anno con
la collaborazione della Loggia Francesco Burlamacchi dell’Oriente di Lucca una
serie di incontri aperti al pubblico al fine di illustrare i principi della
Libera Muratoria ed il ruolo che la Massoneria ha svolto e continua a svolgere
per il bene dell’umanità. Le conversazioni mensili su
“Storia-Cultura-Pensiero Massonico” saranno introdotte e moderate da
Guido D’Andrea, promotore e conduttore degli Incontri del Grande Oriente
d’Italia al Caffè Storico Le Giubbe Rosse di Firenze. Gli incontri, che anche
quest’anno si terranno il mercoledì sera a Lucca presso il Caffè Storico Di
Simo in via Fillungo 58, alle ore 21, approfondiranno il tema dei rapporti di
alcuni personaggi storici lucchesi con la Massoneria. Gli incontri saranno
introdotti da una relazione cui seguirà un dibattito aperto al pubblico e
avranno il seguente calendario.
30 gennaio “Giosuè Carducci e la Massoneria”
professor Silvio Calzolai (Storico delle Religioni, università di Ravenna ed
università di Firenze).
27 febbraio “Giovanni Pascoli e la Massoneria”
professor Silvio Calzolai (storico delle religioni università di Ravenna ed
università di Firenze).
27 marzo Presentazione nel libro “Il Caso
Massoneria” da parte dell’autore Professor Delfo Del Bino.
Seguiranno poi il 24 aprile e il 29 maggio incontri su
“Boccherini e la Massoneria” e “Cavalieri Templari:
Monaci-Guerrieri”.
La Gazzetta del Sud
26.01.2002
S. Giov. La Punta / 5 consiglieri, solidarietà a Brancato
Cinque consiglieri comunali di San Giovanni La Punta, Nicola
Bertolo (Forza Italia), Giuseppe Lo Faro, Gianpiero Scuderi e Giovanni Russo
(An) e Andrea Messina (Cdu), con una nota diffusa alla stampa, esprimono ampia
solidarietà e sostegno all’avv. Mario Brancato, in riferimento alle notizie
diffuse dai mass media e relative all’indagine su mafia e massoneria.
“Ricordiamo” – dicono i consiglieri comunali puntesi- “che per
la strenua e tenace lotta alla mafia e all’illegalità, quest’uomo ha dovuto
subìre anche danneggiamenti personali e patrimoniali, tutt’altro quindi che
convivenze o presunte responsabilità con ambienti malsani della nostra società.
Sicuri e convinti dell’estraneità dell’avv. Brancato ai fatti che gli vengono
contestati nonchè dell’infondatezza delle accuse come da lui stesso dichiarato
agli organi di stampa, attendiamo che al più presto venga fatta chiarezza e
venga stabilita la verità”. Bertolo, Lo Faro, Scuderi, Russo e Messina,
così concludono: “confidiamo, nonostante tutto, nel serio e imparziale
operare della magistratura di cui siamo fermamente fiduciosi per il trionfo
della vera giustizia”. Intanto continua l’attività dei magistrati della
Procura, Bertone e Mignemi, nell’inchiesta che ha portato all’emissione di
sedici avvisi di garanzia e altrettanti decreti di perquisizione che hanno
portato al sequestro di numerosa documentazione. Tra i documenti acquisiti
dalla Dia, anche quelli relativi al “caso Catania” del quale l’avv.
Brancato sarebbe stato chiamato a testimoniare.
La Gazzetta del Sud
25.01.2002
Catania / Maravigna a muso duro contro il Grande
Oriente:Massoneria, l’inchiesta etnea scatena polemica tra le logge – Domenico
Calabrò
CATANIA – “La massoneria è qualcosa di alto e nobile…
la mafia è un’altra cosa, è un cancro da estirpare con pervicacia e
determinazione. Il crimine di ogni genere l’ho sempre lottato, l’ho sempre
combattuto”. Così dichiara il dott. Pietro Ivan Maravigna, maestro venerabile
della Loggia “Antichi doveri” dell’Oriente di Catania, ma anche
commissario di polizia e consigliere comunale di Forza Italia a Catania,
raggiunto – unitamente ad altri 15 indagati- da un avviso di garanzia
nell’ambito dell’inchiesta su intrecci tra mafia e logge massoniche segrete.
“Evidentemente l’intesa strategica tra mafia e massoneria non è un teorema
degli anni 80 ma un fatto, sostiene il deputato europeo Ds Claudio Fava che
aggiunge: un mafioso del clan Santapaola e un commissario di Ps insieme nella
stessa loggia coperta sono lo spaccato di un pactum sceleris che serviva a
garantire impunità, carriere, profitti. E voti”. Gli risponde lo stesso
Maravigna: “E’ evidente che Fava parla senza conoscere i fatti e sono
certo che mi chiederà scusa quando avrà chiari i toni della vicenda. Spero che
non continui ad abusare del rispetto e della simpatia che irrazionalmente gli
porto”. Quali fatti? Notizie di reato i magistrati che indagano ne hanno
avute parecchie e traggono spunto da contrasti interni alla massoneria e alla
posizione non proprio adamantina di alcuni affiliati che hanno subìto sanzioni.
Da qui si è sviluppata l’obbligatoria azione penale (i magistrati procedenti
sono meticolosi) che poi ha coinvolto anche l’avv. Mario Brancato, il primo a
denunciare fatti che hanno determinato il “caso Catania”, oggetto di
approfondimento da parte del Csm e dei magistrati della Procura di Messina,
poichè interessa la posizione di magistrati catanesi. Tranquillo per quanto
riguarda l’aspetto giudiziario della vicenda, il dott. Maravigna, reagisce
invece alla nota del Grande Oriente d’Italia. Ecco cosa dice:
“Non intendo assolutamente entrare nel merito
dell’indagine per il rispetto che da indagato, da servitore dello Stato, da
libero muratore porto al lavoro dei magistrati, ma non posso non indignarmi di
fronte alla dichiarazione di tale signor Bianchi, gran maestro aggiunto del
Grande Oriente d’Italia, il quale in spregio ad ogni principio di rispetto
della legge costituzionale di presunzione di innocenza di persone sinora
indagate anticipa sentenze anche di natura morale sostenendo forse troppo
frettolosamente la assoluta estraneità della sua obbedienza a tale indagine.
Ricordi il signor Bianchi che se esiste in Italia una legge che istituisce il
divieto per le associazioni segrete (legge Anselmi) è per quanto accaduto negli
anni bui di Gelli all’interno del Grande Oriente Italiano. Non riesco a capire
– conclude il dott. Maravigna – come possa essere arrivato alla carica di gran
maestro aggiunto un individuo che in una loggia seria non potrebbe che sedere
al massimo, a vita e per errore, tra i banchi degli apprendisti”.
Infine una nota della Camera Penale di Catania che, su sua
richiesta, ha sentito l’avv. Brancato. E’ stato convenuto che non si svolgerà
nessuna assemblea, non apparendo l’avv. Brancato inquisito a causa
dell’esercizio della sua attività professionale. La Camera penale ha comunque
manifestato solidarietà a Brancato, riconoscendolo come professionista serio e
stimato.
Il Giornale di Sicilia
24.01.2002
Il Grande Oriente d’Italia precisa: nulla a che spartire con
la vicenda
CATANIA – “Il Grande Oriente d’ Italia di Palazzo
Giustiniani, la maggiore istituzione libero muratoria italiana, non ha nulla a
che spartire con gli avvenimenti criminali ed i personaggi coinvolti
nell’inchiesta avviata dalla Procura distrettuale Antimafia di Catania”.
Lo ha detto in una nota il Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’ Italia
di Palazzo Giusitiniani, Massimo Bianchi, in merito all’ inchiesta avviata a Catania
dalla Procura etnea “Ancora una vota – ha aggiunto Bianchi – facciamo
appello al Parlamento, alle forze sociali e politiche perchè si facciano
interpreti delle indifferibile necessità, emersa anche in questa circostanza,
di emanare una legge sulle associazioni, volta a tutelare la denominazione
Massoneria Universale del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e ad
imporre a chi diffonde notizie su questa o qualla associazione di indicare
chiaramente a quale organizzazione si fa riferimento”.
Il Giornale di Sicilia
24.01.2002
CATANIA. Un’inchiesta che fa rumore. Per le accuse formulate
e anche per i nomi coinvolti. I due sostituti procuratori presso la procura di
Catania Amedeo Bertone e Sebastiano Mignemi contestano a sedici indagati – tra
i quali un docente universitario, un commissario di polizia, un avvocato, un
vigile urbano – l’appartenenza a una loggia massonica strutturata in modo tale
da incidere sull’esercizio di funzioni pubbliche. Un’imputazione che lambisce
quella di associazione mafiosa, che però non viene formalmente contestata: gli
indagati avrebbero utilizzato a proprio favore l’appartenenza di alcuni
‘fratelli di loggia’ a Cosa nostra, come il cugino di Nitto Santapaola, Natale
D’Emanuele. Tra gli accusati spiccano i nomi del consigliere comunale di Forza
Italia e funzionario di polizia Ivan Maravigna e di Mario Brancato, avvocato e
testimone d’accusa nell’inchiesta avviata due anni fa dal sostituto procuratore
Nicolò Marino nei confronti dell’imprenditore Sebastiano Scuto e dell’attuale
sindaco di San Giovanni la Punta Santo Trovato. Proprio quest’ultimo era stato
avversario di Brancato nella corsa a sindaco del comune. Una competizione
elettorale sulla quale tuttora pende l’esito di un ricorso amministrativo
presentato dall’avvocato catanese.
Brancato, al quale qualche giorno fa è stato perquisita la
propria abitazione, è anche accusato di voto di scambio per avere promesso
assistenza legale gratuita ad alcune delle sedici persone coinvolte
nell’inchiesta di Bertone e Mignemi.
Il nome del legale, che è stato interrogato dai magistrati
per oltre sei ore, veniva già fuori due anni fa. Una lettera anonima mandata ad
alcune personalità tra cui il Procuratore capo di Catania lo indicava come
appartenente alla massoneria e legato alla criminalità organizzata e per questo
in grado di condizionare le elezioni di San Giovanni la Punta. Brancato aveva
sporto querela contro ignoti, specificando però di poter rivelare l’identità
dell’anonimo: un vigile urbano (Maurizio Arcifa, che risulta tra i sedici ora
indagati) che lo aveva introdotto nella massoneria e che poi aveva manifestato
ostilità nei suoi confronti. Dalle successive dichiarazioni di Brancato si
sviluppò poi l’inchiesta del sostituto Marino. Un’indagine partita dal comune
di San Giovanni la Punta fino ad allargarsi e a dare origine all’ormai noto
“caso Catania”. E proprio al caso Catania Brancato ritiene che siano
da collegare gli sviluppi dell’inchiesta a suo carico: “Sulla base dei
verbali di sequestro – riferisce l’avvocato – ci sono seri sospetti per pensare
che tutto sia da collegare al caso Catania. E’ stata infatti sequestrata una
carpetta intestata a questo tema e questo mi fa pensare che io paghi lo scotto
per le denunce fatte sugli intrecci mafiosi al comune di San Giovanni la Punta.
La mia battaglia per le legalità si pone infatti alla base dell’arresto
dell’imprenditore Scuto e a possibili collusioni con soggetti della
magistratura. E, fatto ancor più grave, proprio Marino mi ha citato al Csm,
come ho appreso da un giornale, quale teste sulle vicende che riguardano il
presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro e altri magistrati. Questa azione tende a
delegittimare la mia posizione e possibilmente a non farmi sentire
dall’Antimafia, perché‚ la Commissione spesso sente solo i testimoni e non gli
imputati” E la loggia? “Regolarmente denunciata alla Digos. Voglio
anche precisare di non farne più parte per le pressioni ricevute da ambienti
massonici perché‚ io ritrattassi le mie dichiarazioni al sostituto Marino”.
Mario Brancato, al quale mesi fa fu incendiato lo studio (le indagini, tuttora
in corso, non esludono la matrice dolosa) vuol parlare anche dell’accusa di
voto di scambio. “Fui proprio io a chiedere al prefetto di Catania, con
una lettera, di vigilare sul regolare svolgimento delle elezioni a San Giovanni
la Punta. Il sostituto Bertone sostiene di non essere a conoscenza della
lettera”. E la Procura? I magistrati preferiscono non rilasciare
dichiarazioni trincerandosi dietro un secco “no comment”.
Giuseppe Giustolisi
La Sicilia
24.01.2002
Un’inchiesta della Procura coinvolge personaggi eccellenti
Mafia e massoneria
Venti gli indagati, perquisizioni e interrogatori-fiume
L’avv. Brancato: “Sequestrate carte sul “caso
Catania””
Un’inchiesta sulla massoneria, su logge palesi e segrete,
investe, a distanza di oltre due anni e mezzo dall’inizio delle indagini, venti
persone tra presunti mafiosi e funzionari di polizia, avvocati e consiglieri
comunali, vigili urbani in attività e in pensione, collaboratori di avvocati e
professionisti. Tutti colpiti da un’informazione di garanzia, che si è tradotta
in perquisizioni a catena e in interrogatori-fiume, con polemiche, smentite e
accuse inusuali in altre inchieste giudiziarie, e che avrà altri
“strascichi”. Tanto è vero che ieri, a tarda sera, si è riunito il
direttivo della Camera penale e che sabato il “caso” potrebbe essere
dibattuto in un’assemblea pubblica di avvocati.
I sostituti procuratori Amedeo Bertone e Sebastiano Mignemi
hanno ipotizzato nei confronti di Carmelo Di Bella, Giuseppe Cesarotti,
Francesco Cesarotti, Giuseppe Minniti, Giorgio Cannizzaro, Pietro Cannizzaro,
Sebastiano Greco, Michele Miraglia l’associazione per delinquere di stampo
mafioso, contestando inoltre a Carmelo Di Bella, Giuseppe Mirenna, Natale D’Emanuele,
Giorgio Cannizzaro, Sebastiano Grasso, Carmelo Maurizio Arcifa, Mario Brancato,
Marcello Avitabile, Fedele Valguarnera, Salvatore Monforte, Rosario Riela,
Francesco Caruso, Pietro Ivan Maravigna, Vittorio Panebianco e Amore Maurizio
Costante di fare parte di un’associazione massonica “articolata in logge,
alcune segrete, alcune operanti, sia pure all’interno di associazioni
palesi”; a Mario Brancato e Carmelo Di Bella la rivelazione di segreto
d’ufficio e il voto di scambio; agli stessi e a Michele Miraglia la violenza
privata per “avere usato… violenza nei confronti di persone (non ancora
identificate) incaricate per l’affissione dei manifesti elettorali del
candidato sindaco Trovato”; ad Amore Maurizio Costante e Carmelo Di Bella,
infine, la rivelazione del segreto d’ufficio.
Le reazioni, dicevamo, non si sono fatti attendere. Anzi. In
un comunicato, per esempio, gli avvocati Enzo ed Enrico Trantino, difensori
dell’avv. Brancato, “esprimono il loro stupore per l’iniziativa della
Procura catanese. L’inesistenza di indizi a carico dell’avv. Brancato –
affermano – rende incomprensibile la notifica dell’informazione di garanzia e
dell’invito a comparire, e preoccupante la perquisizione eseguita; tanto più
che gli stessi magistrati implicitamente ammettono l’inconsistenza degli
elementi acquisiti, procedendo a piede libero nei confronti di altri soggetti,
indagati per associazione mafiosa nel medesimo procedimento. Ci auguriamo solo
che si tratti di un eccesso dei Pm procedenti”.
Afferma il consigliere comunale Maravigna: “Ho
ritenuto, ritengo e riterrò sempre la mafia un cancro maligno da estirpare con
la più grande determinazione e la massoneria una istituzione alta e nobile che
con questa non deve mai avere nulla a che fare. Ritengo di aver fornito ai
magistrati tutti gli elementi idonei a fare definitiva chiarezza sulla mia
posizione nonché ulteriormente valutabili per lo sviluppo delle indagini”.
E l’avv. Brancato di rimando: “Non so se mostrare più
sorpresa, stupore o indignazione per questo episodio, che mi sembra al di fuori
di ogni logica, soprattutto alla luce anche dell’interrogatorio, nel quale i Pm
non sono riusciti a contestarmi un solo fatto specifico”.
– Le accuse sono però pesanti…
“Le accuse sono tanto pesanti quanto infondate. Mi
auguro che non siano strumentali. Un particolare inquietante mi fa pensare…
In sede di perquisizione mi è stata sequestrata la mia cartella che riguarda il
“caso Catania””.
– Scusi, cosa centra il “caso Catania” con
l’inchiesta…
“Infatti. Mi domando perché gli uomini della Dia hanno
cercato e sequestrato documenti sul “caso Catania”. E ciò mi fa
pensare che questa indagine ha comunque collegamenti con il “caso
Catania”, in quanto io sono il teste principale, o uno dei testi principali
sulle vicende, o malevicende, che si sono verificate nel “caso
Catania”. Sono stati addirittura indicato dal dott. Nicolò Marino al Csm
quale teste di riferimento (fatto che ho appreso dai quotidiani) nelle accuse
che egli avrebbe lanciato contro alcuni soggetti al vertice della Procura. Mi
aspettavo quindi, a giorni, una convocazione al Csm e una, probabile, alla
Commissione antimafia. E oggi, indagato di reato connesso, potrei non essere
più legittimato a testimoniare”.
– Non le sembra fantapolitica…
“Lascio ai lettori ogni commento…”.
– Esaminiamo le accuse. Lei farebbe parte della
massoneria…
“Non ne faccio parte ma ne facevo parte. Mi sono
allontanato quando non ho più creduto negli uomini che facevano parte di questa
istituzione, dopo avere provocato l’espulsione per indegnità di un personaggio
e, soprattutto, dopo che mi venne contestato che “mi ero troppo
interessato a fare battaglia” in ordine al “caso Catania”. Altri
“poteri” volevano che l’avv. Brancato non parlasse”.
– Ma è accusato anche di violazione di segreto d’ufficio,
voto di scambio e violenza…
“Avrei violato il segreto d’ufficio per avere
pubblicamente sostenuto che alcune persone a San Giovanni la Punta andavano
arrestate. A questo punto riscriviamo il codice. Violenza? Un certo signore, che
tra l’altro si vanta di essere uno dei 7 uomini d’oro della rapina miliardaria,
di essere in contatto con il presidente Bush e con l’ex presidente Gorbaciov,
ha detto che, incontrando alcuni attacchini che affiggevano manifesti per un
mio avversario politico, avrebbe avuto una lite con questi e li avrebbe
bastonati. Io, per l’accusa, sarei il mandante di questo episodio. Infine, il
voto di scambio, perché io, candidato alle elezioni, avrei detto a tutti i miei
assistiti, di votarmi se residenti a San Giovanni la Punta o avessero parenti a
San Giovanni la Punta. Mi si contesta che in cambio di questi voti io li avrei
assistiti gratuitamente… Ho presentato le relative fatture per dimostrare che
questi signori avevano pagato. In ogni caso, la scelta di farmi pagare una o
mille lire è mia e non di un procuratore della Repubblica”.
L. S.
Gazzetta del Mezzogiorno
23.01.2002
Catania / Con una raffica di perquisizioni domiciliari è
scoppiata un’inchiesta destinata a fare clamore
Mafia e massoneria, sedici avvisi di garanzia
Domenico Calabrò
CATANIA – Scoppia un’inchiesta che innescherà clamore.
Sedici avvisi di garanzia e altrettante perquisizioni domiciliari sono state
adottate dai magistrati della Procura distrettuale antimafia (Amedeo Bertone e Sebastiano
Mignemi) a conclusione della prima fase di un’attività effettuata dalla
Direzione Investigativa Antimafia sulla connessione tra mafia e massoneria.
Spiccano i nomi del commissario Pietro Ivan Maravigna, funzionario della
Polizia postale di Reggio Calabria e dell’avv. Mario Brancato (al quale alcuni
mesi addietro è stato incendiato lo studio) che con Carmelo Di Bella e Carmelo
Maurizio Arcifa sarebbero stati i promotori o, comunque, svolto un ruolo
direttivo nella consorteria massonica. Con loro anche Giuseppe Mirenna, Natale
D’Emanuele (cugino di Nitto Santapaola), Giorgio Cannizzaro, Sebastiano Grasso,
Marcello Avitabile (docente universitario), Fedele Valguarnera, Salvatore
Monforte, Rosario Riela, Francesco Caruso, Vittorio Panebianco, Amore Maurizio
Costante e Agnese Landi. Avrebbero fatto parte, unitamente all’imprenditore
Giovanni Riela (poi ucciso), di un’associazione massonica costituita in
“logge”, alcune segrete, alcune operanti sia pure all’interno di
associazioni palesi, tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali
effettive o comunque rendendo sconosciuti in tutto o in parte ed anche
reciprocamente i soci, che svolgeva attività diretta a interferire
sull’esercizio delle funzioni di istituzioni e amministrazioni pubbliche, anche
ad ordinamento autonomo, di enti pubblici, anche economici, e quindi a
conseguire profitti e vantaggi, patrimoniali e non, ingiusti per sè o per
altri. Con l’aggravante di avere commesso il fatto anche avvalendosi di
un’associazione mafiosa. La vicenda è una “bomba”. L’avv. Brancato
(che non ha mai negato di essere massone avrebbe sostenuto di essere stato
costretto al “sonno” poichè sarebbe stato massonicamente
“richiamato” per le sue azioni legali dei mesi scorsi) è lo stesso
professionista (fu candidato sindaco di San Giovanni La Punta espresso da An e
dal Polo e venne sconfitto; poi passò nelle file del Ccd e candidato alle
scorse regionali) che con denunce ripetute all’indirizzo del sindaco di San
Giovanni La Punta, Santro Trovato e di riflesso poi dell’imprenditore Scuto,
innescò il meccanismo che fece esplodere il “caso Catania” in cui
sono chiamati in causa magistrati, accusati da altri magistrati. Nell’indagine
(sarebbero state sequestrate foto di un indagato con un deputato) si parla di
massoneria deviata intrecciata con la cosca mafiosa Santapaola e di voto di
scambio nel caso delle elezioni a San Giovanni La Punta.
Il Messaggero
21.01.2002
Chi è massone può ottenere incarichi dalla Regione, la Corte
europea conferma la sentenza della scorsa estate
E’ diventata esecutiva la sentenza della Corte europea dei
diritti dell’Uomo, emessa la scorsa estate, che ha accolto il ricorso del Goi
contro la legge 34 del ’96 emanata dalla Regione Marche con la quale si obbliga
tutti coloro che aspirano ad incarichi (meno a quelli della sanità) di
dichiarare la non appartenenza alla massoneria. La Corte europea ha anche
condannato lo Stato italiano al risarcimento danni simbolico di 10 milioni, da
versare al Goi. “Una legge assurda, quella della Regione, illiberale e
anticostituzionale – aveva commentato il Grande oratore del Goi Brunello Palma
– che ci ha discriminato per diversi anni. Una legge vessatoria. Il governo
Prodi, pur sollecitato, non ha fatto nulla”. “Ora la magistratura –
aveva aggiunto il Grande Maestro del Grande Oriente d’Italia, Raffi – ci ha
reso giustizia, anche se troppo tempo è passato. Con questa legge regionale si
è perpetrata una discriminazione tra cittadini e si sono coartati i diritti dei
liberi muratori che, per conservare il diritto di accesso a ruoli di
responsabilità, sono stati costretti a dimettersi dalla massoneria, per non
rendere dichiarazioni mendaci”. “Ora – aveva continuato – lo Stato
dovrà sollecitare la Regione a rimuovere la violazione abrogando quell’articolo
di legge. Anche altre regioni, come il Friuli e la Toscana sono in difetto, ma
la norma delle Marche era la più discriminante”. In pratica la sentenza
della Corte europea ha condannato lo Stato italiano per aver violato “in
pregiudizio dei massoni, la libertà di associazione”. Un pronunciamento
che secondo Raffi interrompe “il lungo sonno della ragione e la stagione
di criminalizzazione nei confronti dei liberi muratori del Goi”.
La Tribuna di Treviso
20.01.2002
IN TIVU’: “Il maestro Peter Maag era massone”
m.b.
Anche il maestro Peter Maag, scomparso pochi anni fa, aveva
aderito alla massoneria. Lo sostiene Telenordest che per oggi alle 13.30, ha in
programma uno speciale della trasmissione Cronache trevigiane, con il
venerabile della Loggia Primvera, Paolo Valvo. Le immagini, i simboli, le
cerimonie, i significati profondi della massoneria saranno al centro della
trasmissione di oggi, a pochi giorni dalla presentazione pubblica, a Treviso,
della nuova Loggia. Il settimanale condotto da Luca Pinzi ha voluto compiere un
viaggio all’interno della sezione massonica, con l’aiuto del venerabile Valvo.
Chi può diventare massone? Come si entra a far parte della massoneria? Ecco
alcune delle domande che troveranno risposta all’interno della trasmissione, che
svelerà anche alcuni nomi di massoni trevigiani eccellenti. Tra gli altri,
appunto, quello del direttore della Bottega del Teatro Comunale, Peter Maag.
Trevigiano acquisito.
L’Unione Sarda
19.01.2002
Massoneria a carte scoperte
La non troppo ricca letteratura sulla storia della
massoneria sarda, o piuttosto della massoneria in Sardegna, conta ora un
importante contributo con Diario di Loggia, un volume della Edes scritto da
Gianfranco Murtas. Si devono allo stesso autore molti articoli di storia della
Massoneria che converrebbe raccogliere in un volume organico che sarebbe letto
con interesse non solo in Sardegna, se fosse stato risolto l’annoso problema di
far passare il Tirreno a molti libri che, nati in Sardegna, nell’isola sono
destinati a morire.
Il contenuto del libro di Murtas è precisato nel sottotitolo
(La massoneria in Sardegna dalla caduta del fascismo alla nascita
dell’autonomia). Periodo, quello che va dal 1945 al 1949, che vide ricostituite
o costituite ex novo a Sassari la loggia “Giovanni Maria Angioy”,
maestro venerabile Annibale Rovasio; a Bosa la loggia “Salvatore
Parpaglia”, maestro venerabile Antonio Angelo Pala ed alla Maddalena la
loggia “Giuseppe Garibaldi”, maestro venerabile Giuseppe Olla. Prima
fra tutte la loggia “Risorgimento”, di Cagliari, maestro venerabile
Alberto Silicani, al quale è ora intitolata la loggia cagliaritana, il
venticinquesimo anniversario della fondazione si è inteso celebrare appunto con
la pubblicazione del libro di Gianfranco Murtas.
Libro ricchissimo di notizie, quello di Murtas, grazie anche
alla documentazione messa a sua disposizione dalla massoneria. La quale
rinunciando al segreto, o se si vuole alla riservatezza che per tanto tempo
l’ha caratterizzata in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, ha ormai deciso di
mettere a disposizione degli studiosi i suoi archivi. Quelli più recenti, e
quelli scampati alla bufera che ha investito l’Ordine nel periodo tra le due
guerre. La massoneria non ha infatti nulla da nascondere, nemmeno i nomi dei
suoi adepti, che hanno partecipato numerosi alla presentazione al Mediterraneo
di Cagliari del libro di Murtas.
In questo quadro ha visto la luce un precedente volume
sull’attività della loggia cagliaritana intitolata al nome dello scultore
Francesco Ciusa, nuorese di nascita ma cagliaritano d’adozione. Ha visto
altresì la luce un nuovo libro di Luigi Polo Friz, Sviluppo del rito scozzese
antico e accettato in Italia dalle origini al 1867, che intende colmare, per
quanto è possibile, quella zona bianca della storia della massoneria che è
costituito dall’età della Restaurazione e dal periodo immediatamente
successivo: periodo nel quale sarebbero state attive in Italia non meno di 35
logge.
Vero è che non sono state completate superate antiche diffidenze
nei confronti della massoneria e dei massoni, residuo della polemica a lungo
sostenuta dai cattolici contro quella che venne definita nientemeno come la
sinagoga di Satana. Diffidenze che dovrebbero ormai essere superate grazie
anche al mutato atteggiamento di autorevoli esponenti del clero, quali i padri
Caprile e Benimeli, e soprattutto padre Rosario Esposito, autore di due libri
importanti, La massoneria in Italia dal 1800 ai giorni nostri, del 1969, e Le
buone opere dei laicisti, degli anticlericali e dei frammassoni, del 1970, del
quale ha scritto la prefazione l’ex gran maestro Giordano Gamberini. Entrambi i
volumi sono stati pubblicati dalle Edizioni Paoline.
Anche tra i meno informati rimaneva vivo nella seconda metà
del Novecento il ricordo delle scomuniche comminate contro i
“fratelli”. Già nel 1974 tuttavia il cardinale Seper, prefetto della
Sacra Congregazione per la dottrina della fede, su richiesta di alcuni vescovi,
precisava che si intendevano effettivamente colpiti dalla scomunica solo gli
iscritti ad associazioni che cospiravano contro la Chiesa ciò che non può dirsi
della massoneria attuale, malgrado il passato anticlericale di molti massoni,
anche se non di tutti. E’ peraltro noto, o dovrebbe esserlo, che la scomunica
non è una sentenza definitiva ed irrevocabile, ma , come insegna l’Enciclopedia
cattolica, una pena medicinale, scopo della quale è di indurre al ravvedimento
i battezzati che per fatti a loro imputabili si sono consapevolmente
allontanati dalla comunità dei fedeli.
Libro tutto da leggere dunque, quello di Gianfranco Murtas,
anche perchè documentata, o almeno così sembra a chi scrive, un certo
sbandamento politico culturale nel periodo considerato di molti
“fratelli”, tutti su posizioni rigorosamente antifasciste ed antiqualunquiste,
essendo il movimento che faceva capo a Guglielmo Giannini considerato il
refugium peccatorum dei fascisti o ex fascisti che non volevano sottoporsi al
lavacro battesimale dei sacerdoti dell’estrema sinistra, grazie al quale
persino i docenti di mistica fascista potevano diventare maestri di democrazia,
sia pure progressiva.
Altra bestia nera veniva considerata la Democrazia
cristiana, sulla quale convergevano i suffragi di gran parte dei moderati, per
l’ovvia considerazione che, caduto il fascismo, caduta la monarchia, pilastro
dell’ordine rimaneva la Chiesa, e non restava perciò che votare per il partito
da essa raccomandato ai fedeli e non solo a questi. Rileva inoltre Murtas che,
mentre i massoni di Sassari e di Bosa apparivano orientati verso il Partito
sardo d’azione, i massoni cagliaritani sostenevano il Partito liberale (che non
avrebbe mancato di fondersi, sia pure con troppo ritardo, con l’uomo
qualunque), anche perché vi militava, secondo la tradizione di famiglia, non
rispettata da Alberto Cocco Ortu, il giovane Francesco, troppo presto
scomparso.
Tutti antifascisti, dunque, anche perchè, come risulta dai
dati pubblicati da Gianfranco Murtas, l’età media dei massoni sardi nel secondo
dopoguerra era abbastanza avanzata, ed ancora vivo era perciò il ricordo delle
misure repressive antimassoniche adottate da Mussolini, in vista della
conciliazione fra Stato e Chiesa, che nel 1929 avrebbe confermato il consenso
del quale il fascismo già godeva nel Paese. E’ peraltro vero che la Massoneria appoggiò
D’Annunzio che con i suoi legionari, tra i quali non mancavano i sardi,
occupava Fiume, e che molti massoni sostennero il fascismo-movimento ed il
fascismo-partito.
Erano inoltre massoni molti gerarchi, a cominciare dai
quadrumviri della marcia su Roma del 28 ottobre 1922 Italo Balbo, Michele
Bianchi, Cesare Maria De Vecchi, nonché Emilio De Bono, fucilato nel 1944 a
Verona con Galeazzo Ciano ed altri per il contegno tenuto il 25 luglio 1943
alla seduta del Gran Consiglio. Sarà interessante ricordare che era massone a
Cagliari l’avvocato Mauro Angioni, eletto deputato nel 1919 con la lista dei
combattenti anche se non aveva preso parte alla grande guerra, dimessosi nel
1921 dal Partito sardo d’azione perché non rieletto nel 1921 e passato al
fascismo. Con Angioni passarono al Pnf molti altri massoni, tanto che Paolo
Pili scrive testualmente nel suo libro di memorie Grande cronaca, minima
storia, che meriterebbe ristampare: “Con Maurino a segretario provinciale
(del Pnf) sta vestendo la camicia nera tutta la loggia, e se si tarda corriamo
il rischio di essere sommersi”.
Questo rischio lo correvano i sardisti che stavano per
passare al fascismo, spinti anche da Paolo Pili, già contrario alla fusione, ma
sollecitato da Lussu, che era inizialmente favorevole. Fusione per promuovere
la quale Mussolini aveva mandato in Sardegna il generale Gandolfo ed il
colonello Sani, entrambi massoni.
Lorenzo Del Piano
La Tribuna di Treviso
13.01.2002
NUOVA LOGGIA MASSONICA A TREVISO
COME CAMBIA LA MASSONERIA
di Nicola Pellicani
Prima che indossino i paramenti li riconosci solo dal
saluto. Non s’accontentano di un ciao, nè di una semplice stretta di mano e non
battono il cinque all’americana, ma si baciano tre volte sulle guance. I
fratelli del Grande Oriente d’Italia si riconoscono anzitutto da questo
rituale. E ieri nella hall dell’Hotel Maggior Consiglio era tutto uno
sbaciucchiamento. Uno dopo l’altro sono arrivati quasi in 150, provenienti da
ogni parte d’Italia per festeggiare la nascita della nuova loggia massonica
Primavera, fondata dal Maestro Venerabile Paolo Valvo, notaio molto conosciuto
in città. Baci sulle guance per tutti, ma in particolare per il Gran Maestro
del Grande Oriente d’Italia, l’avvocato Gustavo Raffi.
D’istinto di vengono in mente Armando Corona e Licio Gelli.
L’associazione d’idee è automatica. Quantomeno t’aspetteresti d’incontrare un
anziano signore dall’aspetto vagamente funereo. Ma non è così. I tempi cambiano
e anche i massoni cercano di stare al passo. Così, il Gran Maestro del Grande
Oriente è un romagnolo alla mano, con alle spalle un passato da repubblicano,
che si è messo in testa di rendere trasparente, quanto di più oscuro e ambiguo
viaggi nell’immaginazione collettiva.
Ma è possibile condurre un’opera di glasnost dentro la
massoneria? Raffi ha accettato la scommessa, sfidando le resistenze interne.
Come? “Mostrando il vero volto della massoneria. Recuperando il ritardo
accumulato sul versante della comunicazione, chiamando, ad esempio, i
giornalisti per presentare le nostre iniziative. Realizzando un sito internet
dove c’è vita morte e miracoli del Grande Oriente d’Italia”.
C’è tutto, tranne i nomi degli affiliati: “Una
questione di rispetto della libertà altrui”, osserva Raffi. Del resto
adesso se voi chiedete ad un partito o ad un’associazione la lista degli
iscritti forse ve la mostrano?”.
Faccia almeno qualche nome illustre? “Nella massoneria
c’erano Salvatore Quasimodo, Salavador Allende e Walt Disney, di loro si può
parlare, ma per i viventi occorre la loro autorizzazione”. Inutile anche
cercare tra i presenti impegnati nella vestizione, con grembiuli, sciarpe,
distintivi e guanti bianchi, un volto trevigiano. Probabilmente entreranno
nella sala della proclamazione ufficiale da un ingresso secondario.
“Ritrosie, timidezze – dice Raffi – giustificabili e
che derivano da una concezione distorta della massoneria e da una conseguente
stagione di grande intolleranza”.
Tutta colpa della P2. Una delle pagine più buie della
massoneria: “Sottoscrivo, la P2 era un comitato d’affari non una loggia, e
va condannata senza appello. Dobbiamo avere il coraggio di pagare i conti con
la storia: la P2 sta alla massoneria come le Brigate Rosse al Pci”. Vale a
dire che per la P2 non ha nulla a che fare con con l’attività delle logge massoniche.
“Il fatto è – insiste Raffi – che i partiti della Prima Repubblica avevano
bisogno di risorse e di faccendieri. Oggi la massoneria è un luogo di confronto
e di discussione. Un laboratorio in piena attività dove affrontiamo vari temi
dall’esoterismo, al sociale con analisi assolutamente laiche della realtà. In
questo periodo discutiamo di globalizzazione, di scienza e scuola, riaffermando
il valore della ricerca scientifica che può essere paralizzata in nome del
dogma e la centralità della scuola pubblica, come ambiente necessario per
imparare la convivenza tra diversi e prevenire emarginazione, razzismo e
xenofobia”.
Posizioni decisamente lontane da quelle papali. Del resto
Raffi confessa che l’unico Papa per cui i massoni hanno nutrito sentimenti di
simpatia è stato Paolo VI.
Insomma, vista così il Grande Oriente d’Italia è
un’associazione progressista. Eppure sulla massoneria aleggia sempre
quell’alone d’ombra, il sospetto che i “fratelli” si salutino con tre
baci, ma si tengano stretti stretti, l’uno all’altro, non solo quando discutono
d’esoterismo. Non a caso sull’home page del sito internet del Grande Oriente
campeggia una scritta, che suona come un appello: “Cambia idea sulla
massoneria”.
La Stampa
09.01.2002
La rivincita dell´Opera
La accusavano di carrierismo, ora è di moda
ROMA Virtù cristiane e santificazione del lavoro
professionale. Opus Dei 2002, l´anno della consacrazione e del cambiamento
nell´immagine pubblica. “Adesso stampano un francobollo commemorativo con
il volto del loro fondatore- osserva Giulio Andreotti – eppure pochi anni fa li
mettevano all´indice in Parlamento”. Si mescolano soddisfazione e sarcasmo
nel commentare il radicale mutamento di prospettiva del mondo politico nei
confronti della Prelatura. La mente corre alla seduta parlamentare del 24
novembre 1986 e alle interpellanze-choc che bollarono l´Opus Dei come una
massoneria dedita ad accumulare potere e una setta regolata da norme segrete
che vincolano gli aderenti (anche nelle proprie funzioni pubbliche) ad un
vincolo assoluto di obbedienza verso le gerarchie dell´associazione. Tra gli
iscritti, infatti, figurano “numerosi funzionari civili e militari dello
Stato e dirigenti delle imprese pubbliche”: una “fabbrica delle
carriere”, insomma, meritevole di interventi repressivi da parte dello
Stato e per la quale si invocava l´applicazione della legge contro le logge
occulte del 1982. Malgrado il pluralismo nelle scelte economiche e politiche
dei membri dell´Opus Dei, ci vorranno anni perché la nebbia dei sospetti
svanisca e renda evidente la vera natura dell´Opera, che non è un´associazione
ma una prelatura personale, ovvero un´istituzione ecclesiastica, parte
integrante della struttura della Chiesa universale. Libera, per costituzione e
patti internazionali, di darsi l´organizzazione ritenuta più opportuna. Persino
l´uso del cilicio (assieme al rosario, alla devozione alla Madonna e agli
angeli custodi) viene additato come prova del suo presunto carattere
“settario”. Oltre ai laici, l´Opus Dei comprende sacerdoti
incardinati nella Prelatura. Della Società della Santa Croce fanno parte anche
membri del clero diocesano che, pur restando per ogni altro aspetto soggetti al
proprio vescovo, ne condividono la spiritualità e godono della sua assistenza
spirituale. In realtà il contenuto degli statuti dell´Opus Dei, mirati a
formare ad una vita lavorativa e familiare vissuta secondo i valori evangelici,
esclude ogni forma di segreto. Della prelatura, che ha a Roma la propria sede
centrale, fanno parte quasi 100mila persone (in grande maggioranza laici) dei
cinque continenti con la missione di promuovere fra i fedeli cristiani di tutte
le condizioni una vita coerente con la fede, portando il Vangelo in ogni
ambiente della società e cercando la santità. Alcuni membri dell´Opera,
chiamati “numerari”, scelgono il celibato per dedicarsi con maggiore
libertà al lavoro apostolico, mentre gli altri, in genere sposati, sono detti
“soprannumerari”. Una terza situazione personale è quella degli
“aggregati”, che scelgono il celibato ma vivono con la famiglia e
sono chiamati ad una minore disponibilità di tempo per il lavoro apostolico
rispetto ai numerari.
………………………Un frammento di anfora di 32
cm. di lunghezza ha permesso di ripercorrere la «via della pece». Questa
materia resinosa, in antico, non serviva solamente a rendere impermeabili le
barche: le sue migliori qualità, quella macedone e quella bruzia, originaria
cioè dell’attuale Calabria, erano adoperate per il trattamento del vino, del quale
favorivano l’invecchiamento.
Sul frammento di anfora, rinvenuto a Pompei nella casa di G. Giulio Polibio
in via dell’ Abbondanza e studiato da Stefano De Caro, si conserva il bollo che
ne dichiara il contenuto: PIX BRUT, facilmente integrabile ed interpretabile
come «pece bruzia» . La scoperta completa e chiarisce le analisi chimiche
recentemente effettuate su anfore ritrovate nella villa B di Oplontis, risultate
anch’esse contenenti pece.
Dall’insieme si evince che l’economia pompeiana della produzione di vino
si integrava con il commercio della pece bruzia, che giungeva nella città
vesuviana in anfore esclusivamente destinate ad essa, come ora indica senza
possibilità di dubbio il bollo. Questo commercio procurava beneficio all’erario
pubblico romano, proprietario dell’intera Sila, la famosa foresta calabrese
nella quale la raccolta della pece era una delle principali risorse………………
………………Il rivestimento interno delle
anfore con pece veniva fino a qualche tempo fa interpretato come avente lo
scopo di aromatizzare il vino, per cui il ritrovamento di anfore recanti
internamente tracce di pece veniva invariabilmente accostato al vino ed al suo
commercio.
Oggi, alla luce di diversi ritrovamenti di questi ultimi anni, si è arrivati
a capire che la resina all’interno delle anfore serviva
all’impermeabilizzazione delle stesse e che quindi il loro contenuto poteva
anche non essere vino………..
da Archeo n° 5 Archeologia subacquea
………………A quello di Diano si sono aggiunti
gli scavi di altri tre relitti di navi con il medesimo carico, due in Francia
al Grand-Ribaud e al Petit Congloue presso Marsiglia, e uno a Ladispoli, a nord
di Roma. All’incirca coevi di quello di Diano, essi hanno dato conferma della
nuova sistemazione di carico con i dolia stivati nella parte centrale
della nave, mentre gli spazi più stretti di poppa e di prua erano riempiti con
anfore vinarie di forma DresseI 2-4.
Anche i dolia quasi certamente contenevano vino, generalmente
quello dell’Italia meridionale destinato alla Gallia e alla Spagna, e
seguivano la medesima rotta commerciale in precedenza percorsa – come si è
visto all’inizio – da navi cariche di migliaia di anfore di un tipo più
antico.
Al commercio dell’olio, invece, si riferiscono i due relitti francesi
di Planier III e di Port- Vendres II. Il primo, a 28 metri di profondità, è
uno dei tanti individuati intorno all’isolotto di Planier, al largo di
Marsiglia. Il suo scavo fu intrapreso nel 1968 da Andre Tchernia, come primo
intervento della allora nuova Direction des Recherches Archeologiques Sousmarines,
e portato poi avanti in varie riprese fino al 1975.
Il carico era composto da anfore vinarie campane (Dressel 1) e da
anfore da olio di Brindisi. Molte di queste recavano impresso il timbro con
il nome di Marcus Tuccius Galeo, nel quale è stato opportunamente
identificato un imprenditore commerciale più volte menzionato
nell’epistolario di Cicerone (Ad Atticum, XI, 12,4; Ad Familiares, VIII
, 8,1 ) e del quale lo stesso Cicerone divenne erede nel 47 a.C…………….
da A.V. notizie del relitto del Giglio
………………… Dovunque, sul luogo, si contavano
semi d’olive a migliaia. Scoprimmo che queste erano trasportate nelle anfore
etrusche: la metà di un’anfora etrusca recuperata durante il secondo anno fu
trovata rovesciata con noccioli d’oliva. Le olive, oggi, non hanno un ruolo
significativo nella nostra società, ma in antico erano di indubbia importanza:
a buon mercato, costituivano una risorsa abbondante di cibo coltivata su
terreni poveri, l’olio estrattone serviva anche come fonte di luce e grasso da
cucina.
Ho trovato interessante la presenza di tante olive sul relitto. Queste
olive volevano dire che c’era un’ industria stabile etrusca di questo prodotto
nel tardo VII sec. a.C. Poteva infatti esserci stata un’industria di olive
così ben organizzata da portarne ai mercati greci? Poteva essere questa la
ragione per cui Solone di Atene, al tempo della nave di Giglio Campese,
esentava l’olio d’oliva da proibizione di esportazione di prodotti attici
agricoli? Era accaduto qualcosa perché ci fosse competizione nascente da
oltremare? ………………………..
da A.V. Il porto di Populonia
……………………L ‘origine di Populonia è antichissima:
affonda le sue radici nell’ Eneolitico, e le prime testimonianze parlano
infatti di installazioni villanoviane.
Ma, per quanto Servio attribuisca la sua fondazione al popolo che
abitava la Corsica (Commentari
ad Aen. X, 172), la nascita di Populonia ed il suo sviluppo si deve
indubbiamente agli Etruschi che la chiamarono Popluna o Fufluna, nome
derivante probabilmente dalla corruzione di quello del dio Fufluns che era il corrispondente etrusco del
greco Dioniso, nome abbastanza pertinente se è vera la notizia che ci giunge da
Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, che cioè nel territorio di
Populonia si producesse una notevole quantità di vino, ottenuto da vitigni che
non venivano mai potati e che crescevano, a volte, fino a diventare alberi,
tanto che, riferisce ancora il naturalista latino, «nella città (Populonia) si
trovava una statua di Giove, intagliata in legno di vite». D’altra parte, semi
di vite rinvenuti in tombe nell’area del Chianti dimostrano che furono gli
Etruschi ad introdurre in Italia, dall’Oriente, e ad acclimatarvela, la vite………
da: A.V. Notizie varie
………………….A Creta era famoso l’olivo che
si trovava già nelle foreste insieme ad altri alberi. Le olive venivano
macinate e spremute per estrarre l’olio che era la maggiore risorsa dell’isola.
Ma c’era anche il vino. La vite selvatica cresceva nei boschi delle regioni
orientali del Mediterraneo e qualcuno scoprì che questa poteva essere presa e
trasportata vicino a casa per essere innestata con viti già esistenti. Ebbe
così inizio un processo che porterà alle moderne viti.
Gli archeologi sostengono che
l’addomesticamento della vite dovrebbe aver avuto inizio nel VI-V millennio
a.C.
Fin dall’VIII° sec. a.C. si iniziano a trovare nelle tombe etrusche
corredi formati da vasi o ciottole per bere vino. E’ probabile che la vite
selvatica fosse stata utilizzata anche prima di questo periodo, in ogni caso la
coltivazione della stessa fu episodio più tardo e probabilmente avvenne per
mano dei Greci che nel VII sec. a.C. avevano rapporti frequentissimi con gli
Etruschi. A partire dal VI sec. a.C. si iniziano a trovare nei corredi tombali
le anfore etrusche per il vino. Queste provenivano soprattutto da Vulci che
sembra essere stato il maggior centro di produzione, probabilmente perché
questa città produceva molto vino……….
– Vicino a Pompei è stata scoperta la fattoria di Boscoreale, sommersa
dalla eruzione del 79 d.C. specializzata nella produzione del vino. E’ stata
ritrovata la cantina con 18 grandi dolia che dovevano contenere 12.000 litri di
vino. All’esterno è stata trovata anche una parte della vigna ed i buchi di circa 100 viti. Inoltre sono stati
recuperate alcune decine di acini d’uva e, nonostante il tempo trascorso ed il
calore dell’eruzione del Vesuvio, si è potuto analizzare il D.N.A. di questi.
Adesso si sta cercando di riprodurre questi semi e quindi clonare le viti
originarie. Si spera, in questo modo, di poter piantare queste viti e di
arrivare ad una vera e propria vendemmia
in modo poi di assaggiare il vino del 78 d.C.
– Si sa che una volta il ricco Trimalcione fece servire ai suoi ospiti
del “Falernum Optimianum annorum centum” mentre Plinio nella sua “Naturalis
Historia” (XIV, 55) conferma i vini vecchi anche di due secoli.
– Alcune qualità del vino Falerno erano (C.I.L. XV, 2, 4537 e segg.)
Faustianum, Massicum, Cecubo, Fundanum, Helveolum, Geminum o Gemellum,
Formianum, Tudernum.
Tempio: Termine derivato dalla radice indoeuropea tem, che
significa dividere, delimitare. Definisce un luogo sacro destinato al culto.
Anticamente, in epoca arcaica, il culto ignorava la costruzione di templi, come
evidenziato dal fatto che gli stessi termini che in età storica designano
l’edificio sacro (templum, phanum, sacellum, aedes) in origine indicavano lo
spazio naturale, il luogo segnato da caratteristiche che vi testimoniavano la
presenza, la manifestazione delle divinità. Quindi il culto si esplicava a
diretto contatto della natura venerata o dell’oggetto considerato sacro. È il
caso del cipresso di Esculapio a Cos, del bosco di diana a Nemi, della fonte di
Saint-Sauveur nella foresta di Compiègne, del dolmen Creuz-Moquem di carnac,
del falò della festa celtica di Beltane, del capro del dio egizio Amon, ecc. In
seguito il luogo ritenuto sacro venne delimitato nella sua perimetrazione, e
segnato da cippi terminali o da recinzioni. Il T. naturale era denominato dai
Greci temenoz, ovvero delimitazione del luogo adibito a culto, sul quale poteva
anche sorgere un edificio (naoz) dove si conservavano i beni del T., ma spesso
anche wpe39.jpg (14032 byte)quelli dell’erario pubblico. Per i Romani il
templum significava uno spazio della volta celeste o della superficie
terrestre, che veniva determinato attraverso gli auspici. L’esigenza di luoghi
stabili e ben definiti da adibire al culto fu avvertita soprattutto dopo le
invasioni indoeuropee in Grecia e nella penisola italica. Pur continuando a
sopravvivere in luoghi di culto naturali con altare all’aperto, nacque allora
in Babilonia, in Egitto e presso gli Ebrei il T. inteso come vera e propria
casa od abitazione di Dio. In India il T. chiuso nacque con l’avvento del
buddhismo e dell’induismo. Con il cristianesimo il termine T. fu usato
genericamente quale sinonimo di basilica o di cattedrale. Y (Massoneria) Il T.
massonico è a forma di quadrolungo, ovvero di rettangolo, con un’unica porta
d’accesso che viene simbolicamente considerata orientata ad occidente. Ai lati
di questa porta si trovano due colonne di elevato valore simbolico. La sala ha
una volta azzurra cosparsa di stelle, ed è simbolicamente sostenuta da dodici
colonne: sei a settentrione e sei a mezzogiorno, ognuno contraddistinta da un
segno zodiacale: esse ricordano le singole verità individuali, rappresentando
pertanto un richiamo alla Tolleranza. Intorno alle pareti del T. corre un
cordone (v.) rosso, in cui vi sono sette nodi d’Amore (profanamente noti come
nodi Savoia), il mediano dei quali è situato al centro della parete orientale,
e le cui estremità terminano con fiocchi avvinti alle due Colonne “J”
e “B”. Il T. identifica il punto geografico, geometrico o geodetico,
in cui lavorano i Liberi Muratori. É una raffigurazione del Cosmo, le cui dimensioni
non sono definibili, sia in Massoneria che in tutte le religioni. Infatti per
il Massone le sue dimensioni vanno da Oriente ed Occidente, dal Settentrione al
Mezzogiorno, e dallo Zenit al Nadir. É quindi definito come “un punto
situato nel Cosmo, noto ai soli figli della Vedova”. I Lavori che vi si
svolgono presuppongono un particolare stato di coscienza da parte di tutti i
Fratelli partecipanti. Questo stato di coscienza si identifica con lo stato
interiore, a cui fa riferimento il rituale massonico con l’abbandono dei
metalli al di fuori della Loggia; una condizione imposta al profano prima della
sua iniziazione, e sempre richiesta ai Fratelli prima di accedere al T. al
seguito del Maestro delle Cerimonie. Tale stato mentale è assolutamente essenziale
per distinguere la Loggia da qualsiasi altra possibile forma di assemblea di
uomini, riuniti per perseguire un comune ideale. Tipico ed esclusivo delle sole
società iniziatiche, esso implica il totale ed assoluto distacco dal mondo
profano, con i suoi tipici vizi e con le passioni che ne derivano. Quindi nel
T. si è posti in una situazione interiore particolare, essendo soggetti alle
energie interagenti nel Cosmo, nell’ambito della Legge del G.A.D.U. (v.). La
comprensione e la padronanza di tale peculiare stato d’animo diventeranno
vieppiù accessibili nel corso dell’analisi dei riferimenti e dei simboli
presenti nel T., giunti fino a noi attraverso la stretta via della Tradizione
Iniziatica, di cui l’Istituzione Muratoria rappresenta il filone occidentale
più valido ed attivo. Il T. in sé è quindi un simbolo, sicuramente il più
complesso tra tutti i moltissimi simboli muratori. Esso racchiude tutta una
serie di significati operativi e sperimentali riferiti all’essere umano, e
compresi nell’imperativo “Conosci Te stesso”, che la tradizione vuole
leggibile all’esterno della porta d’ingresso, un monito eloquente dal
significato simile al “dietro ai sensi vedi che la ragion non vale”
dantesco. Secondo Freud il sogno decifrato spesso ci si rivela inconfessabile.
Ma nell’inconscio non vi è solo l’infinito, ma anche il sublime. Per il
Sebastiani, il T. massonico è la massima rappresentazione del simbolo magico
del mondo esoterico, il dominio della via iniziatica, l’edificazione di uno
smisurato ordine di vita superiore, oltre l’Universo, oltre l’infinito; il
mondo dell’Ego e della coscienza umana, dell’Essere e del non Essere, quello
che deve trovare il senso occulto velato dal senso, il vero senso spirituale
della vita umana. Ogni particolare dell’arredo, ogni attrezzo ed ogni utensile
ha in questo T. un suo significato simbolico; anche il ritmo dei colpi di
Maglietto (v.) del Maestro Venerabile e dei due Sorveglianti, parla un suo
proprio linguaggio spirituale. Gradualmente il Massone, un neonato sempre
rinnovato, vi prosegue il suo cammino nell’Arte Reale, per raggiungere la Luce.
Resta inconfutabile il fatto che nessuna Loggia, come nessun Ordine, ha la
competenza e la possibilità di determinare il significato di un simbolo,
particolarmente quello del G.A.D.U. e quello delle tre Grandi Luci (Squadra,
Compasso e Libro Sacro o della Legge, v.). É solo individualmente che ogni
massone ha il diritto, la competenza e la possibilità concreta di interpretare
i simboli, determinandone il significato. Questa non è che la conseguenza della
pratica della Tolleranza massonica, il che significa che ogni Fratello deve
poter agire nella piena libertà della sua coscienza. Nella loro collocazione
nel Silenzio del Settentrione, gli Apprendisti sono predisposti a percepire ed
attivare il proprio “Sole di mezzanotte”, ovvero a conseguire la
simbolica conquista interiore, anche solo sfiorandola, il che consentirà loro
il passaggio all’altra Colonna. Illuminate le proprie Tenebre e conquistata la
vera Libertà dai condizionamenti esteriori, il Fratello diventa Compagno
d’Arte, collocandosi nella Colonna di Meridione. Ora, nella piena Luce del Sole
allo Zenit, si riflette con l’operatività speculare negli altri Fratelli, negli
altri uomini, di cui riconosce l’essenziale Uguaglianza. Le quattro posizioni
solari agli equinozi, quando si equivalgono la durata del giorno e della notte,
coincidono con le ore 6, 12, 18 e 24. É un fatto che riveste particolare
importanza nell’indagine del significato profondo delle ore di apertura e di
chiusura degli architettonici Lavori di Loggia. Inoltre al rappresentazione
microcosmica del T. porta ad individuare equinozi e solstizi, seguendo il moto
apparente del Sole, non più diurno ma annuo. Quindi ogni Fratello può seguire
il corso annuale del Sole, con l’attraversamento dei 12 segni zodiacali (v.
Zodiaco ed Astrologia), nell’alternarsi delle stagioni. Le 12 Colonne ricordano
anche le 12 fatiche di Ercole (v.), corrispondenti ai 12 segni di cui
l’Iniziato può e deve percorrere il senso reale e velato attraverso la
sperimentazione su sé stesso, per divenire a sua volta un “Sole”, e
lavorare veramente per wpe3A.jpg (5470 byte)il bene ed il progresso
dell’Umanità. Le significanze dei quattro Elementi (Terra, Acqua, Aria e Fuoco,
v.), i cui simboli sono evidenziati ripetutamente, sono riferite ai quattro
tipi primordiali della manifestazione cosmica, nonché al ritmo ermetico delle
manifestazioni naturali ed al ciclo biologico della vita umana. Le loro
attribuzioni energetiche costituiscono il Quaternario, cioè la realtà
manifesta, quindi sia l’Universo che l’uomo, che contengono tutte le
potenzialità e le Leggi. Ciascun elemento conferisce la propria natura
qualitativa a tre diversi segni zodiacali. Perciò l’energia di ognuno di essi
si esprime attraverso una diversa modalità funzionale. A seconda della modalità
espressa, detto in linguaggio astrologico, tali segni sono denominati come
Cardinali, Fissi e Mutevoli, o mobili. I segni Cardinali esprimono
l’essenzialità, ovvero la stretta conformità al principio informatore; i segni
Fissi la stabilità, cioè la modalità realizzatrice o concretizzante, quindi un
aspetto di mantenimento e di conservazione; i segni Mutevoli indicano la
variabilità, la modalità trasformatrice che prepara il passignificante. una
specifica modalità funzionale: quella essenziale (Cardinali), quella
realizzatrice (Fissi) e quella realizzatrice (Mutevoli). Se ne possono trarre
diverse analogie, espressioni del principio ermetico di dualità, di polarità
positiva e negativa, opposte e complementari: Sole-Luna, Luce-tenebre,
Bianco-Nero, Equinozio-Solstizio e Fuoco/Aria-Acqua/Terra. Sono
contrapposizioni tutte risolvibili nel punto di equilibrio, al centro del T.,
in cui ogni Fratello si colloca. Nel T. sono infine evidenti i seguenti
simboli: il pavimento a scacchi; i gradini; i cinque scranni dei Dignitari di
loggia, con gli attrezzi operativi loro attribuiti (Squadra, Livella e
Verticale) ed i tre Pilastri (Minerva, Venere ed Ercole); le tre Luci minori;
il Testimone acceso; i tre candelabri dei tre primi Dignitari di Loggia; l’Ara
od Altare; le tre Grandi Luci; la Menorah; il Quadro di Loggia; la Spada
Fiammeggiante; gli attrezzi operativi (Regolo o Misura da 24 pollici, Cazzuola,
Leva, Mazzuolo e Scalpello); la Pietra Grezza e quella Cubica; il Bastone del
Maestro delle Cerimonie; la Spada e la Chiave del Copritore interno; la Stella
Fiammeggiante o Pentalfa; il Delta luminoso; il Sole e la Luna; la scritta
siglata all’Oriente A\ G\ D\ G\ A\ D\ U\ ; il Trinomio, di solito inciso sulla
facciata dell’Ara (Libertà, Uguaglianza, Fraternità). Indagini
particolareggiate su ogni simbolo elencato possono essere effettuate attraverso
la consultazione di ciascuna singola voce. A livello speculativo va infine
considerato che il T. è il luogo fisico in cui si svolgono i Lavori massonici.
É consacrato dalla wpe3B.jpg (10672 byte)presenza rituale, dalla volontà
concorde e dal Lavoro corale che lo trasformano in Loggia, cioè nell’unità
Idea-Forza della Libera Muratoria universale, identificandosi così con l’intera
comunione dell’istituzione massonica. La Loggia è l’uomo, e l’uomo è la Loggia.
Può diventare Officina, cioè Laboratorio, Athanor alchemico, palestra di
opinioni liberamente espresse, quindi fucina di idee e di Uomini, vincolati
dalla memoria degli ideali e della Tradizione, proiettati nel presente e
costruttori del futuro, al di là del mutevole e del contingente. La parola T.
implica sacralità. Un T. può essere situato al di fuori di noi o anche trovare
posto nella nostra interiorità, ma il presupposto della sacralità rimane
invariato. Si deve però comprendere che il T., dal punto di vista esoterico,
non rappresenta un punto di arrivo stabile che una volta raggiunto permane in
noi. Esso deve essere continuamente da noi riproposto alla vita. In questo
senso rappresenta un progetto. Come per l’Officina, non esistono confini netti
fra T. interiore e quello esteriore. Siamo noi che facciamo la differenza,
guardando dentro e guardando fuori. Si tratta sempre e comunque del T. della
vita.
Tempio coperto: Espressione massonica usata dal Fratello
Copritore Interno nel corso del rituale di apertura dei Lavori, per segnalare
al Secondo Sorvegliante che nelle immediate vicinanze del Tempio non vi sono
profani (v.). Tale condizione di sicurezza viene successivamente notificata al
Primo Sorvegliante, e da questi al Maestro Venerabile, che provvede infine alla
verifica della sicurezza interna (v. Copertura).
Tempio del popolo: Setta religiosa fondata da Jim Jones e
fiorita negli Stati Uniti nel 1970, perseguitata dalle autorità per le sue
manifestazioni di fanatismo, e perciò trasferitasi nella Guyana. Qui fondarono
una cittadina che, nelle intenzioni dei seguaci, avrebbe dovuto assumere
l’aspetto di un Paradiso terrestre. L’ascendenza del suo capo era tanto forte
che, allorché questi ordinò il suicidio generale, novecento persone tra uomini,
donne e bambini si tolsero la vita bevendo da un grosso recipiente una bevanda
a base di cianuro.
Ogni giorno che più ci avvicina alla fine di questo millennio, sembra
accrescerci la frenesia di elencare tutte le cose che non riusciamo più a
sopportare e le richieste di cambiamenti radicali su molti aspetti della nostra
vita.
Non è certamente nostra intenzione metterci a passare in rassegna questi
problemi, molti dei quali, in verità, non sono davvero nuovi, essendo stati
sempre lungamente rinviati per la loro difficoltà intrinseca. Infatti la
maggior parte di essi, e particolarmente quelli che richiedono un maggior senso
di responsabilità, sono a carattere “universale” e per essi
occorrerebbe un soggetto; quel soggetto che, nonostante il trascorrere dei
millenni, non è riuscito ancora a prendere coscienza di sé: cioè l’umanità.
Siamo troppo impreparati non solo per affrontarli a breve scadenza, ma anche
per renderci conto delle loro priorità e consistenza. Inevitabilmente dovremo
lasciare questo duro compito alle generazioni del nuovo millennio. Infatti il
processo evolutivo della conoscenza antropologica, che pure c’è stato, è stato
largamente sorpassato da quello sulla conoscenza delle cose per cui questo
tempo che sta tra l’ieri e l’oggi, tra un millennio e l’altro, tra ciò che può
essere già considerato tenebra e la possibile luce, tempo dell’equilibrio
instabile tra la stagnazione nella necessità e la morte generatrice di una
nuova vita nella libertà, è sempre più in perfetta analogia con la lenta
ciclicità di ogni anno solare e con i suoi significati sapienziali piuttosto
che con la ricorrenza dell’Evento sacro che ha dato il via all’attuale
calendario gregoriano.
Di conseguenza il fine millennio viene a coincidere in modo singolare con
questo solstizio d’inverno che stiamo vivendo in questi giorni, per cui, una
volta tanto, ci sembra che queste ricorrenze, tradizionalmente festive, abbiano
quest’anno il sapore di una cruda presa di coscienza dell’uomo più che di una
festività natalizia. E la stessa apertura giubilare delle porte di S. Pietro
non è parsa mai così decifrabile, come dovrebbe essere, in un più sincero
abbattimento simbolico delle colonne del Tempio; come dire: Uomo, distruggi
il tempio di ingiustizie che hai costruito sinora! Inizia una nuova vita!
Intraprendi un nuovo cammino! Dopo duemila anni tocca a te agire! Da solo!
Data questa singolare analogia, non è forse inopportuno ricordare come da
sempre, nei nostri Templi massonici durante la celebrazione del solstizio
invernale si è soliti citare il nostro Fratello Goethe e le sua esortazione
idealista “muori e divieni !” come formula la più pura di una
tradizione che non manca mai di ricollegare l’uomo al passato ed all’avvenire
nello sfondo della natura e del suo regno dai fini inesorabili. “Essa [la
tradizione] è la catena di cui ogni uomo è un anello; catena di cui i liberi
muratori devono rendere gli anelli più solidi”
Ed in effetti, mentre i manuali per i giovani manager gridano il loro
modello-manifesto- capitalista(1) per la creazione ed il commercio
di sempre nuovi prodotti e servizi:
“Crea come Dio!, Comanda come un
re! Lavora come uno schiavo!”,
abbiamo osservato con piacere che le opere dell’altro nostro grande Fratello
G.B.Fichte ed in generale di tutto l’Idealismo europeo di fine ‘700, compaiono
con sempre maggior frequenza negli scaffali delle librerie, manifestando una
crescente presa di coscienza dell’eterno ritorno di Nietzsche.
Inoltre, nell’occasione, il più famoso quotidiano economico d’Europa, Il
Sole-24ORE, dedica un numero intero dei suoi famosi inserti culturali al tema:
“Duemila- Dio tra fede e ragione” e la Chiesa di Roma sembra
seriamente impegnata in un’opera di revisione storica dei testi evangelici.
Come dire che l’attenzione dell’uomo sembra spostarsi sempre più sul dialogo
diretto tra sé stesso e quel Dio che è unico per tutte le religioni, mentre i
dogmatismi che gravano sulle interpretazioni storiche delle singole
rivelazioni stanno perdendo la loro capacità di attrazione fideistica. Il
bisogno di Dio sembra permanere, ma è un bisogno che si stacca sempre più dai
riflessi delle cose per risolversi nella propria identità. Magari con l’aiuto
delle varie liturgie che vivificano la preziosa molteplicità delle tradizioni
culturali.
L’antropologia dell’uomo va maturando (ma sarebbe più giusto dire riacquistando)
il suo significato originale: quando Fichte, con la sua “Dottrina della
Scienza” pose le fondamenta della scienza moderna affermando(2):
“Osserva te stesso – distogli lo sguardo da tutto quanto ti circonda
e rivolgilo nel tuo intimo: questa è la prima cosa che la filosofia esige da
chi prende a coltivarla. Non è di qualcosa che sia fuori di te che si tratta,
ma unicamente di te stesso“
non intendeva certamente fare un’affermazione solipsista di un uomo
padrone assoluto dell’universo, che può volgere a suo vantaggio esclusivo i
valori che sono insiti nelle “cose”, ma piuttosto mettere ordine sia
nelle rappresentazioni che gli pervenivano dall’esterno distinguendole
tra dogmi e razionalità costruita sulla sensibilità del reale, come nel
rivendicare la necessaria autonomia del processo critico della intelligenza che
sforzandosi di cogliere, piuttosto che il semplice ed immediato reale, i motivi
della sua essenza, alimenta il processo sintetico di costruzione del proprio
pensiero, ovverosia del proprio sistema ideale che determinerà il suo agire.
Quindi l’uomo solipsista, è l’uomo che vive delle cose, vede solo le cose, è
padrone delle cose e migliorerà la sua vita solo se migliora le cose.
L’alternativa fichtiana, che è poi parallela al modello massonico, è l’uomo
integrale con tutta la complessità ideale connessa con le sue relazioni con
l’Altro, con la Natura e con il suo possibile Creatore. Sono tutti problemi che
egli vive dentro di sé, nella propria interiorità, nella propria coscienza,
dove risiede anche tutto il patrimonio ancestrale, autentico ed originale della
propria natura.
Solo se il suo intelletto conserverà laicamente l’unità di questo
molteplice egli potrà continuare a far parte della Natura secondo le funzioni
che gli sono naturalmente proprie. Ed in essa l’uomo sarà libero e la Giustizia
avrà un fondamento.
Se così non fosse, cioè se gli accadrà di rompere il legame originale con il
mondo della Natura, sono convinto che l’uomo, come tale, sarà perduto. Sarà
un’altra cosa. Diventerà forse un’automa….
E’ questa ovviamente, una visione personale, ermeneuticamente massonica e
quindi pregiudizionalmente da rifiutare per il mondo profano. Ma purtroppo
nemmeno la stessa pura scienza, nonostante le attuali illusioni, può
rassicurarci sul contrario, come non può né affermare l’esistenza di un purché
minimo sistema filosofico che ci conforti per un immediato futuro, né dirci
nulla sull’interpretazione dei fini di quella libertà che tutti invocano
inutilmente, ma che poi rifiutano di riconoscere in ciò che è già insito nella
nostra natura di uomini alle soglie del duemila.
Proposto da Giove,
effettuato dal Conseglio, revelato da Mercurio, recitato da Sofia, udito da
Saulino, registrato
dal Nolano;
DIVISO IN TRE DIALOGI, SUBDIVISI IN TRE PARTI
CONSECRATO AL MOLTO ILLUSTRE ED ECCELLENTE CAVALLIERO
sig. FILIPPO SIDNEO
STAMPATO IN PARIGI
M.D.LXXXIIIII (1585)
Epistola
Dialogo Primo
Dialogo secondo
Dialogo terzo
EPISTOLA ESPLICATORIA SCRITTA AL MOLTO ILLUSTRE ED
ECCELLENTE CAVALLIERO SIGNOR FILIPPO SIDNEO DAL NOLANO
Cieco chi non vede il sole, stolto chi nol conosce,
ingrato chi nol ringrazia; se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il
beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro de sensi,
padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual mi sarei, eccellente Signore,
se io non stimasse il vostro ingegno, non onorasse gli vostri costumi, non
celebrasse gli vostri meriti; con gli quali vi siete scuoperto a me nel primo
principio ch’io giunsi a l’isola Britannica, per quanto v’ha conceduto il
tempo; vi manifestate a molti, per quanto l’occasione vi presenta; e remirate a
tutti, per quanto vi mostra la vostra natural inclinazione veramente eroica.
Lasciando, dunque, il pensier dei tutti ai tutti, ed il dover de’ molti a’
molti, non permetta il fato, che io, per quel tanto che spetta al mio
particolare, come tal volta mi son mostrato sensitivo verso le moleste ed
importune discortesie d’alcuni; cossì avanti gli occhi de l’eternità vegna a
lasciar nota d’ingratitudine, voltando le spalli a la vostra bella, fortunata e
cortesissima patria, prima ch’al meno con segno di riconoscenza non vi
salutasse, gionto al generosissimo e gentilissimo spirito del signor Folco
Grivello. Il quale, come con lacci di stretta e lunga amicizia, con cui siete
allevati, nodriti e cresciuti insieme, vi sta congionto: cossì nelle molte e
degne, esterne ed interne perfezioni v’assomiglia; ed al mio riguardo fu egli
quel secondo, che, appresso gli vostri primi, gli secondi offici mi propose ed
offerse: quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati, se tra noi
non avesse sparso il suo arsenito de vili, maligni ed ignobili interessati
l’invidiosa Erinni.
Sì che, serbando a lui qualch’altra materia, ecco a voi
presento questo numero de dialogi, li quali certamente saranno cossì buoni o
tristi, preggiati o indegni, eccellenti o vili, dotti o ignoranti, alti o
bassi, profittevoli o disutili, fertili o sterili, gravi o dissoluti, religiosi
o profani, come di quei, nelle mani de quali potran venire, altri son de l’una,
altri de l’altra contraria maniera. E perché il numero de stolti e perversi è
incomparabilmente più grande che de sapienti e giusti, aviene che, se voglio
remirare alla gloria o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci, tanto
manca ch’io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro, che più tosto
ho da aspettar materia de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzio
ch’il parlare. Ma, se fo conto de l’occhio de l’eterna veritade, a cui le cose
son tanto più preciose ed illustri, quanto talvolta non solo son da più pochi
conosciute, cercate e possedute, ma, ed oltre, tenute a vile, biasimate,
perseguitate; accade ch’io tanto più mi forze a fendere il corso de l’impetuoso
torrente, quanto gli veggio maggior vigore aggionto dal turbido, profondo e
clivoso varco.
Cossì dunque lasciaremo la moltitudine ridersi,
scherzare, burlare e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici ed
istrionici Sileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro
della bontade e veritade, come, per il contrario, si trovano più che molti, che
sotto il severo ciglio, volto sommesso, prolissa barba e toga maestrale e
grave, studiosamente a danno universale conchiudeno l’ignoranza non men vile
che boriosa, e non manco perniciosa che celebrata ribaldaria.
Qua molti, che per sua bontà e dottrina non possono
vendersi per dotti e buoni, facilmente potranno farse innanzi, mostrando quanto
noi siamo ignoranti e viziosi. Ma sa Dio, conosce la verità infallibile che,
come tal sorte d’uomini son stolti, perversi e scelerati, cossì io in miei
pensieri, paroli e gesti non so, non ho, non pretendo altro, che sincerità,
simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l’opre ed effetti eroici non
saran creduti frutti de nessun valore e vani; dove non è giudicata somma
sapienza il credere senza discrezione; dove si distingueno le imposture de gli
uomini da gli consegli divini; dove non è giudicato atto di religione e pietà
sopraumana il pervertere la legge naturale; dove la studiosa contemplazione non
è pazzia; dove ne l’avara possessione non consiste l’onore, in atti di gola la
splendidezza, nella moltitudine de servi, qualunque sieno, la riputazione, nel
meglio vestire la dignità, nel più avere la grandezza, nelle maraviglie la
verità, nella malizia la prudenza, nel tradimento l’accortezza, ne la
decepzione la prudenza, nel fengere il saper vivere, nel furore la fortezza, ne
la forza la legge, ne la tirannia la giustizia, ne la violenza il giudicio; e
cossì si va discorrendo per tutto. Qua Giordano parla per volgare, nomina
liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non
dice vergognoso quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ella mostra
aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede; ed
altre parti, di proprio nome; dice il mangiare, mangiare; il dormire, dormire;
il bere, bere; e cossì gli altri atti naturali significa con proprio titolo. Ha
gli miracoli per miracoli, le prodezze e maraviglie per prodezze e maraviglie,
la verità per verità, la dottrina per dottrina, la bontà e virtù per bontà e
virtù, le imposture per imposture, gl’inganni per inganni, il coltello e fuoco
per coltello e fuoco, le paroli e sogni per paroli e sogni, la pace per pace,
l’amore per amore. Stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti,
gli monachi per monachi, li ministri per ministri, li predicanti per
predicanti, le sanguisughe per sanguisughe, gli disutili, montainbanco,
ciarlatani, bagattellieri, barattoni, istrioni, papagalli per quel che si
dicono, mostrano e sono; ha gli operarii, benefici, sapienti ed eroi per questo
medesimo. Orsù, orsù! questo, come cittadino e domestico del mondo, figlio del
padre Sole e de la Terra madre, perché ama troppo il mondo, veggiamo come debba
essere odiato, biasimato, perseguitato e spinto da quello. Ma in questo mentre
non stia ocioso, né.mal occupato su l’aspettar de la sua morte, della sua
transmigrazione, del suo cangiamento.
Oggi presente al Sidneo gli numerati ed ordinati semi
della sua moral filosofia, non perché come cosa nuova le mire, le conosca, le
intenda; ma perché le essamine, considere e giudichi; accettando tutto quel che
si deve accettare, iscusando tutto quel che si deve iscusare, e defendendo
tutto quel che si deve defendere contra le rughe e supercilio d’ipocriti, il
dente e naso de scìoli, la lima e sibilo de pedanti; avertendo gli primi, che
lo stimino certo di quella religione la quale comincia, cresce e si mantiene
con suscitar morti, sanar infermi e donar del suo; e non può essere affetto,
dove si rapisce quel d’altro, si stroppiano i sani ed uccidono gli vivi;
consegliando a gli secondi, che si convertano a l’intelletto agente e sole
intellettuale, pregandolo che porga lume a chi non n’ha; facendo intendere a
gli terzi, che a noi non conviene l’essere, quali essi sono, schiavi de certe e
determinate voci e paroli; ma, per grazia de dei, ne è lecito, e siamo in
libertà di far quelle servire a noi, prendendole ed accomodandole a nostro
commodo e piacere. Cossì non ne siano molesti gli primi con la perversa
conscienza, gli secondi con il cieco vedere, gli terzi con la mal impiegata
sollecitudine, se non vogliono esser arguiti gli primi de stoltizia, invidia e
malignitade; ripresi gli secondi d’ignoranza, presunzione e temeritade; notati
gli terzi de viltà, leggerezza e vanitade: per non esserse gli primi astenuti
dalla rigida censura de nostri giudicii, gli secondi da proterva calunnia de
nostri sentimenti, gli terzi dal sciocco crivellar de nostre paroli.
Or, per venire a far intendere, a chiunque vuole e puote,
la mia intenzione ne gli presenti discorsi, io protesto e certificó che, per
quanto appartiene a me, approvo quello che comunmente da tutti savii e buoni è
stimato degno di essere approvato, e riprovo con gli medesimi il contrario. E
però priego e scongiuro tutti, che non sia qualcuno di animo tanto enorme e
spirito tanto maligno, che voglia definire, donando ad intendere a sé e ad
altri, che ciò che sta scritto in questo volume, sia detto da me come
assertivamente; né creda (se vuol credere il vero) che io, o per sé o per
accidente, voglia in punto alcuno prender mira contra la verità, e balestrar
contra l’onesto, utile e naturale, e, per conseguenza, divino; ma tegna per
fermo che con tutto il mio sforzo attendo al contrario; e se tal volta aviene
ch’egli non possa esser capace di questo, non si determine; ma reste in dubio
sin tanto che non vegna risoluto dopo penetrato entro la midolla del senso.
Considere appresso che questi son dialogi, dove sono interlocutori gli quali fanno
la lor voce e da quali son raportati gli discorsi de molti e molti altri, che
parimente abondano nel proprio senso, raggionando con quel fervore e zelo che
massime può essere ed è appropriato a essi. Per tanto non sia chi pense
altrimente, eccetto che questi tre dialogi son stati messi e distesi sol per
materia e suggetto d’un artificio futuro; perché, essendo io in intenzione di
trattar la moral filosofia secondo il lume interno che in me ave irradiato ed
irradia il divino sole intellettuale, mi par espediente prima di preponere
certi preludii a similitudine de musici; imbozzar certi occolti e confusi
delineamenti ed ombre, come gli pittori; ordire e distendere certa fila, come
le tessetrici; e gittar certi bassi, profondi e ciechi fondamenti, come gli grandi
edificatori: il che non mi parea più convenientemente poter effettuarsi, se non
con ponere in numero e certo ordine tutte le prime forme de la moralità, che
sono le virtudi e vizii capitali, nel modo che vedrete al presente introdutto
un repentito Giove, ch’avea colmo di tante bestie, come di tanti vizii, il
cielo, secondo la forma di quarant’otto famose imagini; ed ora consultar di
bandir quelli dal cielo, da la gloria e luogo d’esaltazione, destinandogli per
il più certe regioni in terra, ed in quelle medesime stanze facendo succedere
le già tanto tempo bandite e tanto indegnamente disperse virtudi. Or, mentre
ciò si mette in esecuzione, se vedete vituperar cose che vi paiono indegne di
vitupèro, spreggiate cose degne di stima, inalzate cose meritevoli di biasimo;
e per il contrario; abbiate tutto per detto (anco da quei che possono nel suo
grado dirlo) indefinitamente, come messo in difficultade, posto in campo,
cacciato in teatro, che aspetta di essere essaminato, discusso e messo al
paragone, quando si consertarà la musica, si figurarà la imagine, s’intesserà
la tela, s’inalzarà il tetto. In questo mentre Sofia presenta Sofia, Saulino fa
il Saulino, Giove il Giove; Momo, Giunone, Venere ed altri Greci o Egizii,
dissoluti o gravi, quel che essi e qual essi sono, e puote appropriarsi alla
condizion e natura che possono presentare. Se vedete seriosi e giocosi
propositi, pensate che tutti sono equalmente degni d’essere con non ordinarii
occhiali remirati. In conclusione, non abbiate altro per definito che l’ordine
ed il numero de soggetti della considerazion morale, insieme con gli fondamenti
di tal filosofia, la qual tutta intieramente vedrete figurata in essi. Del
resto, in questo mezzo ognuno prenda gli frutti che può, secondo la capacità
del proprio vase; perché non è cosa sì ria che non si converta in profitto ed
utile de buoni; e non è cosa tanto buona e degna che non possa esser caggione e
materia di scandalo a’ ribaldi. Qua, dunque, avendo tutto l’altro (onde non si
può raccôrre degno frutto di dottrina) per cosa dubia, suspetta ed impendente,
prendasi per final nostro intento l’ordine, l’intavolatura, la disposizione,
l’indice del metodo, l’arbore, il teatro e campo de le virtudi e vizii; dove
appresso s’ha da discorrere, inquirere, informarsi, addirizzarsi, distendersi,
rimenarsi ed accamparsi con altre considerazioni; quando, determinando del
tutto secondo il nostro lume e propria intenzione, ne esplicaremo in altri ed
altri particulari dialogi, ne li quali l’universal architettura di cotal filosofia
verrà pienamente compita, e dove raggionaremo più per modo definitivo.
Abbiamo, dunque,
qua un Giove, non preso per troppo leggitimo e buon vicario o luogotenente del
primo principio e causa universale; ma ben tolto qual cosa variabile, suggetta
al fato della mutazione. Però, conoscendo egli che in tutto uno infinito ente e
sustanza sono le nature particolari infinite ed innumerabili (de quali egli è
un individuo), che, come in sustanza, essenza e natura sono uno, cossì per
raggion del numero che subintrano, incorreno innumerabili vicissitudini e
specie di moto e mutazione; ciascuna, dunque, di esse, e particularmente Giove,
si trova esser tale individuo, sotto tal composizione, con tali accidenti e
circonstanze, posto in numero per differenze che nascono da le contrarietadi,
le quali tutte si riducono ad una originale e prima, che è primo principio de
tutte l’altre, che sono efficienti prossimi d’ogni cangiamento e vicissitudine:
per cui, come da quel che prima non era Giove, appresso fu fatto Giove, cossì,
da quel ch’al presente è Giove, al fine sarà altro che Giove. Conosce che
dell’eterna sustanza corporea (la quale non è denichilabile né adnichilabile,
ma rarefabile, inspessabile, formabile, ordinabile, figurabile) la composizione
si dissolve, si cangia la complessione, si muta la figura, si altera l’essere,
si varia la fortuna; rimanendo sempre quel che sono in sustanza gli elementi; e
quell’istesso, che fu sempre, perseverando l’uno principio materiale, che è
vera sustanza de le cose, eterna, ingenerabile, incorrottibile. Conosce bene,
che dell’eterna sustanza incorporea niente si cangia, si forma o si difforma;
ma sempre rimane pur quella che non può essere suggetto de dissoluzione, come
non è possibil che sia suggetto di composizione; e però né per sé né per
accidente alcuno può esser detta morire; perché morte non è altro che divorzio
de parti congionte nel composto; dove, rimanendo tutto l’essere sustanziale (il
quale non può perdersi) di ciascuna, cessa quell’accidente d’amicizia,
d’accordo, di complessione, unione ed ordine. Sa che la sustanza spirituale,
bench’abbia familiarità con gli corpi, non si deve stimar che propriamente
vegna in composizione o mistione con quelli: perché questo conviene a corpo con
corpo, a parte di materia complessionata d’un modo con parte di materia
complessionata d’un’altra maniera; ma è una cosa, un principio efficiente ed
informativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa la
composizione; ed è a punto come il nocchiero a la nave, il padre di fameglia in
casa ed uno artefice non esterno, ma che da entro fabrica, contempra e conserva
l’edificio; ed in esso è l’efficacia di tener uniti gli contrarii elementi,
contemperar insieme, come in certa armonia, le discordante qualitadi, a far e
mantenir la composizione d’uno animale. Esso intorce il subbio, ordisce la
tela, intesse le fila, modera le tempre, pone gli ordini, digerisce e
distribuisce gli spiriti, infibra le carni, stende le cartilagini, salda
l’ossa, ramifica gli nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il
core, inspira gli polmoni, soccorre a tutto, di dentro, con il vital calore ed
umido radicale, onde tale ipostasi consista, e tal volto, figura e faccia
appaia di fuori. Cossì si forma la stanza in tutte le cose dette animate, dal centro
del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando e figurando le membra, e
quelle esplicate e figurate conservando. Cossì, necessitato dal principio della
dissoluzione, abandonando la sua architettura, caggiona la ruina de l’edificio,
dissolvendo li contrarii elementi, rompendo la lega, togliendo la ipostatica
composizione, per non posser eternamente con medesimi temperamenti, perpetuando
medesime fila, e conservando quegli ordini istessi, annidarsi in uno medesimo
composto: però da le parti esterne e membra facendo la ritretta al core, e
quasi riaccogliendo gl’insensibili stormenti ed ordegni, mostra apertamente,
che per la medesima porta esce, per cui gli convenne una volta entrare. Sa
Giove che non è verisimile né possibile che, se la materia corporale, la quale
è componibile, divisibile, maneggiabile, contrattabile, formabile, mobile e
consistente sotto il domìno, imperio e virtù de l’anima, non è adnichilabile,
non è in punto o atomo adnullabile, per il contrario, la natura più eccellente,
che impera, governa, presiede, muove, vivifica, invegeta, insensua, mantiene e
contiene, sia di condizion peggiore: sia, dico (come vogliono certi stolti
sotto nome de filosofi) un atto, che resulta da l’armonia, simmetria,
complessione, ed in fine un accidente che per la dissoluzione del composto vada
in nulla insieme con la composizione; più tosto che principio e causa
intrinseca di armonia, complessione e simmetria che da esso deriva; il quale
non meno può sussistere senza il corpo che il corpo —che è da lui mosso,
governato, e per sua presenza unito, e per sua absenza disperso — può essere
senza lui. Questo principio, dunque, stima Giove esser quella sustanza che è
veramente l’uomo, e non accidente che deriva dalla composizione. Questo è il
nume, l’eroe, il demonio, il dio particolare, l’intelligenza; in cui, da cui e
per cui, come vegnon formate e si formano diverse complessioni e corpi, cossì
viene a subintrare diverso essere in specie, diversi nomi, diverse forme.
Questo, per esser quello che, quanto a gli atti razionali ed appetiti, secondo
la raggione muove e governa il corpo, è superiore a quello, e non può essere da
lui necessitato e constretto; aviene per l’alta giustizia che soprasiede alle
cose tutte, che per gli disordinati affetti vegna nel medesimo o in altro corpo
tormentato ed ignobilito, e non debba aspettar il governo ed administrazione di
meglior stanza, quando si sarà mal guidato nel regimento d’un’altra. Per aver,
dunque, ivi menata vita, per essempio, cavallina o porcina, verrà (come molti filosofi
più eccellenti hanno inteso; ed io stimo, che se non è da esser creduto, è
molto da esser considerato) disposto dalla fatal giustizia, che gli sia
intessuto in circa un carcere conveniente a tal delitto o crime, organi ed
instrumenti convenevoli a tale operario o artefice. E cossì, oltre ed oltre
sempre discorrendo per il fato della mutazione, eterno verrà incorrendo altre
ed altre peggiori e megliori specie di vita e di fortuna, secondo che s’è
maneggiato megliore— o peggiormente nella prossima precedente condizione e
sorte. Come veggiamo che l’uomo, mutando ingegno e cangiando affetto, da buono
dovien rio, da temprato stemprato; e per il contrario, da quel che sembrava una
bestia, viene a sembrare un’altra peggiore o megliore, in virtù de certi delineamenti
e figurazioni, che, derivando da l’interno spirito, appaiono nel corpo; di
sorte che non fallaran mai un prudente fisionomista. Però, come nell’umana
specie veggiamo de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni,
altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini, buovini; cossì è da credere
che in essi sia un principio vitale, per cui, in potenza di prossima passata o
di prossima futura mutazion di corpo, sono stati o sono per esser porci,
cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano; se per abito di continenza, de
studii, di contemplazione ed altre virtudi o vizii non si cangiano e non si
disponeno altrimente. Da questa sentenza (da noi, più che par comporte la
raggion del presente loco, non senza gran causa distesa) pende l’atto de la
penitenza di Giove, il qual s’introduce come volgarmente è descritto: un dio
che ebbe de le virtudi e gentilezze, ed ebbe de le dissoluzioni, leggerezze e
fragilitadi umane, e talvolta brutali e bestiali; come è figurato, quando è
fama, che si cangiasse in que’ varii suggetti o forme, per significar la
mutazion de gli affetti suoi diversi che incorre il Giove, l’anima, l’uomo,
trovandosi in questa fluttuante materia. Quel medesimo è messo governatore e
motor del cielo, per donar ad intendere, come in ogni uomo, in ciascuno
individuo si contempla un mondo, un universo; dove per Giove governatore è
significato il lume intellettuale che dispensa e governa in esso, e
distribuisce in quel mirabile architetto gli ordini e sedie de virtudi e vizii.
Questo mondo,
tolto secondo l’imaginazion de stolti matematici, ed accettato da non più saggi
fisici, tra quali gli Peripatetici son più vani, non senza frutto presente:
prima diviso come in tante sfere, e poi distinto in circa quarant’otto imagini
(nelle quali intendeno primamente partito un cielo ottavo, stellifero, detto
da’ volgari firmamento), viene ad essere principio e suggetto del nostro
lavoro. Perché qua Giove (che rapresenta ciascun di noi), come da conceputo
nacque, da fanciullo dovenne giovane e robusto, e da tale è dovenuto e dovien
sempre più e più vecchio ed infermo: cossì da innocente ed inabile si fa nocivo
ed abile, dovien tristo, e talor si fa buono; da ignorante savio, da crapulone
sobrio, da incontinente casto, da dissoluto grave, da iniquo giusto; al che tal
volta vien inchinato da la forza che gli vien meno, e spinto e spronato dal
timor della giustizia fatale, superiore a’ dei, che ne minaccia. Nel giorno
dunque, che nel cielo si celebra la festa de la Gigantoteomachia (segno de la
guerra continua e senza triegua alcuna, che fa l’anima contra gli vizii e
disordinati affetti), vuole effettuar e definir questo padre quello che per
qualche spacio di tempo avanti avea proposto e determinato; come un uomo, per
mutar proposito di vita e costumi, prima vien invitato da certo lume che siede
nella specola, gaggia o poppa de la nostra anima, che da alcuni è detto
sinderesi e qua forse è significato quasi sempre per Momo. Propone, dunque, a
gli dei, cioè essercita l’atto del raziocinio de l’interno conseglio, e si
mette in consultazion circa quel ch’è da fare; e qua convoca i voti, arma le
potenze, adatta gl’intenti; non dopo cena, e ne la notte de l’inconsiderazione,
e senza sole d’intelligenza e lume di raggione; non a diggiuno stomaco, la
mattina, cioè senza fervor di spirito, ed esser bene iscaldato dal superno
ardore; ma dopo pranso, cioè dopo aver gustato ambrosia di virtuoso zelo ed
esser imbibito del nettare del divino amore; circa il mezogiorno, o nel punto
di quello, cioè, quando meno ne oltraggia nemico errore, e più ne favorisce
l’amica veritade, in termine di più lucido intervallo. Allora si dà spaccio a
la bestia trionfante, cioè a gli vizii che predominano e sogliono conculcar la
parte divina; si ripurga l’animo da errori, e viene a farsi ornato de virtudi;
e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giustizia naturale, e per
desio de la voluttà consequente da frutti di quella, e per odio e tema de la
contraria difformitade e dispiacere.
Questo s’intende
accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei, quando le virtudi e potenze
de l’anima concorreranno a faurir l’opra ed atto di quel tanto che per giusto,
buono e vero definisce quello efficiente lume; ch’addirizza il senso, l’intelletto,
il discorso, la memoria, l’amore, la concupiscibile, l’irascibile, la
sinderesi, l’elezione: facultadi significate per Mercurio, Pallade, Diana,
Cupido, Venere, Marte, Momo, Giove ed altri numi.
Dove dunque era l’Orsa, per raggion del luogo, per esser
parte più eminente del cielo, si prepone la Verità; la quale è più alta e degna
de tutte cose, anzi la prima, ultima e mezza; perché ella empie il campo de
l’Entità, Necessità, Bontà, Principio, Mezzo, Fine, Perfezione: si concepe ne
gli campi contemplativi metafisico, fisico, morale, logicale. E con l’Orsa
descendeno la Difformità, Falsità, Difetto, Impossibilità, Contingenzia,
Ipocrisia, Impostura, Fellonia. — La stanza de l’Orsa maggiore, per causa da
non dirla in questo luogo, rimane vacante. — Dove s’obliqua ed incurva il
Drago, per esser vicina alla Verità, si loca la Prudenza con le sue damigelle,
Dialettica e Metafisica, che ha circonstanti da la destra la Callidità,
Versuzia, Malizia, da la sinistra la Stupidità, l’Inerzia, l’Imprudenzia. Versa
nel campo della Consultazione. Da quel luogo casca la Casualità,
l’Improvisione, la Sorte, la Stracuragine, con le sinistre e destre
circonstanti. Da là, dove solo scrimisce Cefeo, cade il Sofisma, l’Ignoranza di
prava disposizione, la Stolta Fede con le serve, ministre e circonstanti; e la
Sofia, per esser compagna de la Prudenza, vi si presenta, e si vedrà versar
negli campi divino, naturale, morale, razionale. — Là dove Artofilace osserva
il carro, monta la Legge, per farsi vicina alla madre Sofia; e quella vedrassi
versare ne li campi divino, naturale, gentile, civile, politico, economico ed
etico particolare, per gli quali s’ascende a cose superiori, si descende a cose
inferiori, si distende ed allarga a cose uguali e si versa in se stesso. Da là
cade la Prevaricazione, Delitto, Eccesso, Exorbitanza con li loro figli,
ministri e compagni. Ove luce la Corona boreale, accompagnandola la Spada,
s’intende il Giudizio, come prossimo effetto de la legge ed atto di giustizia.
Questo sarà veduto versare in cinque campi di Apprensione, Discussione,
Determinazione. Imposizione, Execuzione; ed indi, per conseguenza, cade
l’Iniquitade con tutta la sua fameglia. Per la corona, che tiene la quieta
sinistra, si figura il Premio e Mercede; per la spada, che vibra la negociosa
destra, è figurato il Castigo e Vendetta. — Dove con la sua mazza par che si
faccia spacio Alcide, dopo il dibatto de la Ricchezza, Povertade, Avarizia e
Fortuna, con le lor presentate corti, va a far la sua residenza la Fortezza, la
qual vedrete versar negli campi de l’Impugnazione, Ripugnanza, Espugnazione,
Mantenimento, Offensione, Defensione; dalla cui destra cascano la Ferinità, la
Furia, la Fierezza; e dalla sinistra la Fiacchezza, Debilità, Pusillanimità; e
circa la quale si veggono la Temeritade, Audacia, Presunzione, Insolenza,
Confidenza, ed a l’incontro la Viltà, Trepidazione, Dubio, Desperazione con le
compagne e serve. Versa quasi per tutti gli campi. — Dove si vede la Lira di
nove corde, monta la madre Musa con le nove figlie, Aritmetrica, Geometria,
Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica, Etica; onde, per
conseguenza, casca l’Ignoranza, Inerzia e Bestialitade. Le madri han l’universo
per campo, e ciascuna de le figlie ha il proprio suggetto. — Dove distende
l’ali il Cigno, ascende la Penitenza, Ripurgazione, Palinodia, Riformazione,
Lavamento; ed indi, per conseguenza, cade la Filautia, Immondizia, Sordidezza,
Impudenzia, Protervia con le loro intiere fameglie. Versano circa e per il
campo de l’Errore e Fallo. — Onde è dismessa l’incatedrata Cassiopea con la
Boriosità, Alterezza, Arroganza, Iattanza ed altre compagne che si vedeno nel
campo de l’Ambizione e Falsitade; monta la regolata Maestà, Gloria, Decoro,
Dignità, Onore ed altri compagni con la lor corte, che per ordinario versano ne
li campi della Simplicità, Verità ed altri simili per principale elezione; e
talvolta per forza di Necessitade in quello de la Dissimulazione ed altri
simili, che per accidente possono esser ricetto de virtudi. — Ove il feroce
Perseo mostra il gorgonio trofeo, monta la Fatica, Sollecitudine, Studio,
Fervore, Vigilanza, Negocio, Essercizio, Occupazione, con gli sproni del zelo e
del timore. Ha Perseo gli talari de l’util Pensiero e Dispreggio del ben
popolare, con gli ministri Perseveranza, Ingegno, Industria, Arte, Inquisizione
e Diligenza; e per figli conosce l’Invenzione ed Acquisizione, de quali
ciascuno ha tre vasi pieni di Bene di fortuna, di Ben di corpo, di Bene
d’animo. Discorre ne gli campi di Robustezza, Forza, Incolumità; gli fuggono d’avanti
il Torpore, l’Accidia, l’Ocio, l’Inerzia, la Desidia, la Poltronaria, con tutte
le lor fameglie da un canto; e da l’altro l’Inquietitudine, Occupazion stolta,
Vacantaria, Ardelia, Curiositade, Travaglio, Perturbazione, che esceno dal
campo de l’Irritamento, Instigazione, Constrettura, Provocazione ed altri
ministri che edificano il palaggio del Pentimento. — A la stanza de Triptolemo
monta la umanità con la sua fameglia: Conseglio, Aggiuto, Clemenzia, Favore,
Suffragio, Soccorso, Scampo, Refrigerio, con altri compagni e fratelli di
costoro e suoi ministri e figli, che versano nel campo de la Filantropia
proprio, a cui non s’accosta la Misantropia, con la sua corte: Invidia,
Malignità, Disdegno, Disfavore ed altri fratelli di questi, che discorreno per
il campo de la Discortesia, ed altri viziosi. — A la casa de l’Ofiulco sale la
Sagacità, Accortezza, Sottilezza ed altre simili virtudi abitanti nel campo de
la Consultazione e Prudenza; onde fugge la Goffaria, Stupidezza, Sciocchezza
con le lor turbe, che tutte cespitano nel campo de l’Imprudenza ed
Inconsultazione. — In loco de la Saetta si vede la giudiciosa Elezione,
Osservanza ed Intento, che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio,
Attenzione ed Aspirazione; e da là si parteno la Calunnia, la Detrazione, il
Repicco ed altri figli d’Odio ed Invidia che si compiaceno ne gli orti de
l’Insidia, Ispionia e simili ignobili e vilissimi coltori. — Al spacio, in cui
s’inarca il Delfino, si vede la Dilezione, Affabilità, Officio, che insieme con
la lor compagnia si trovano nel campo de la Filantropia, Domestichezza; onde
fugge la nemica ed oltraggiosa turba, ch’a gli campi della Contenzione, Duello
e Vendetta si ritira. — Là d’onde l’Aquila si parte con l’Ambizione,
Presunzione, Temeritade, Tirannia, Oppressione ed altre compagne negociose nel
campo de l’Usurpazione e Violenza, va ad soggiornare la Magnanimità,
Magnificenza, Generosità, Imperio, che versano ne li campi della Dignitade,
Potestade, Autoritade. — Dove era il Pegaseo cavallo, ecco il Furor divino,
Entusiasmo, Rapto, Vaticinio e Contrazione, che versano nel campo de
l’Inspirazione; onde fugge lontano il Furor ferino, la Mania, l’Impeto
irrazionale, la Dissoluzione di spirito, la Dispersion del senso interiore, che
si trovano nel campo de la stemprata Melancolia, che si fa antro al Genio
perverso. — Ove cede Andromeda con l’Ostinazione, Perversitade e stolta
Persuasione, che si apprendeno nel campo de la doppia Ignoranza, succede la
Facilità, la Speranza, l’Aspettazione, che si mostraranno al campo della buona
Disciplina. — Onde si spicca il Triangolo, ivi si fa consistente la Fede,
altrimente detta Fideltade, che s’attende nel campo de la Constanza, Amore,
Sincerità, Simplicità, Verità ed altri, da quali son molto discosti gli campi
de la Frode, Inganno, Instabilità. — A la già regia del Montone ecco messo il
Vescovato, Ducato, Exemplarità, Demonstranza, Conseglio, Indicazione, che son
felici nel campo de l’Ossequio, Obedienza, Consentimento, virtuosa Emulazione,
Imitazione; e da là si parte il mal Essempio, Scandalo, Alienamento, che son
cruciati nel campo de la Dispersione, Smarrimento, Apostasia, Scisma, Eresia. —
Il Tauro mostra esser stato figura de la Pazienza, Toleranza, Longanimitade,
Ira regolata e giusta, che si maneggiano nel campo del Governo, Ministerio,
Servitude, Fatica, Lavoro, Ossequio ed altri. Seco si parte l’Ira disordinata,
la Stizza, il Dispetto, il Sdegno, Ritrosia, Impazienza, Lamento, Querela,
Còlera, che si trovano quasi per gli medesimi campi. — Dove abitavano le
Pleiadi, monta la Unione, Civilità, Congregazione, Popolo, Republica, Chiesa,
che consisteno nel campo del Convitto, Concordia, Communione; dove presiede il
regolato Amore; e con quelle è trabalsato dal cielo il Monopolio, la Turba, la
Setta, il Triumvirato, la Fazione, la Partita, l’Addizione, che periclitano ne’
campi de disordinata Affezione, iniquo Dissegno, Sedizione, Congiura, dove
presiede il Perverso Conseglio con tutta la sua fameglia. — Onde parteno li
Gemegli, sale il figurato Amore, Amicizia, Pace, che si compiaceno ne’ proprii
campi; e quelli banditi menan seco la Parzialitade indegna, che ostinata
affigge il piede nel campo de l’iniquo e perverso Desio. — Il Granchio mena
seco la mala Repressione, l’indegno Regresso, il vil Difetto, il non lodabile
Refrenamento, la Dismession de le braccia, la Ritrazion de’ piedi dal ben
pensare e fare, il Ritessimento di Penelope ed altri simili consorti e compagni
che si rimetteno e serbano nel campo de l’Inconstanza, Pusillanimità, Povertà
de spirto, Ignoranza ed altri molti; ed alle stelle ascende la Conversion
retta, Ripression dal male, Ritrazion dal falso ed iniquo con gli lor ministri,
che si regolano nel campo del Timore onesto, Amor ordinato, retta Intenzione,
lodevol Penitenza ed altri sozii contrarii al mal Progresso, al rio
Avanzamento, Pertinacia profittevole. — Mena seco il Leone il tirannico
Terrore, Spavento e Formidabilità, la perigliosa ed odibile Autoritade e Gloria
della presunzione e Piacere di esser temuto più tosto che amato. Versano nel
campo del Rigore, Crudeltà, Violenza, Suppressione, che ivi son tormentate da
le ombre del Timore e Suspizione; ed al celeste spacio ascende la Magnanimità,
Generosità, Splendore, Nobiltà, Prestanza, che administrano nel campo della
Giustizia, Misericordia, giusta Debellazione, degna Condonazione, che
pretendeno sul studio d’esser più tosto amate che temute; ed ivi si consolano
con la Sicurtà, Tranquillitade di spirito e lor fameglia. — Va a giongersi con
la Vergine la Continenza, Pudicizia, Castità, Modestia, Verecundia, Onestade,
che trionfano nel campo della Puritade ed Onore, spreggiato da l’Impudenza,
Incontinenza ed altre madri de nemiche fameglie. — Le Bilancie son state tipo
de la aspettata Equità, Giustizia, Grazia, Gratitudine, Rispetto ed altri
compagni, administratori e seguaci, che versano nel trino campo della
Distribuzione, Commutazione e Retribuzione, dove non mette piè l’Ingiustizia,
Disgrazia, Ingratitudine, Arroganza ed altre lor compagne, figlie ed
amministratrici.
Dove incurvava l’adunca coda e stendeva le sue branche lo
Scorpione, non appare oltre la Frode, l’iniquo Applauso, il finto Amore,
l’Inganno, il Tradimento, ma le contrarie virtudi, figlie della Simplicità,
Sincerità, Veritade, e che versano ne gli campi de le madri. — Veggiamo ch’il
Sagittario era segno della Contemplazione, Studio e buono Appulso con gli lor
seguaci e servitori, che hanno per oggetto e suggetto il campo del Vero e del
Buono, per formar l’Intelletto e Voluntade, onde è molto absentata l’affettata
Ignoranza e Spenseramento vile. — Là dove ancora risiede il Capricorno, vedi
l’Eremo, la Solitudine, la Contrazione ed altre madri, compagne ed ancelle, che
si ritirano nel campo de l’Absoluzione e Libertà, nel quale non sta sicura la
Conversazione, il Contratto, Curia, Convivio ed altri appartinenti a questi
figli, compagni ed amministratori. —Nel luogo de l’umido e stemprato Aquario
vedi la Temperanza, madre de molte ed innumerabili virtudi, che particolarmente
ivi si mostra con le figlie Civilità ed Urbanitade, dalli cui campi fugge
l’Intemperanza d’affetti con la Silvestria, Asprezza, Barbaria. — Onde con
l’indegno Silenzio, Invidia di sapienza e Defraudazion di dottrina, che versano
nel campo de la Misantropia e Viltà d’ingegno, son tolti gli Pesci, vi vien
messo il degno Silenzio e Taciturnitade che versano nel campo de la Prudenza,
Continenza, Pazienza, Moderanza ed altri, da quali fuggono a’ contrarii ricetti
la Loquacità, Moltiloquio, Garrulità, Scurrilità, Boffonaria, Istrionia, Levità
di propositi, Vaniloquio, Susurro, Querela, Mormorazione. — Ove era il Ceto in
secco, si trova la Tranquillità de l’animo, che sta sicuro nel campo de la Pace
e Quiete; onde viene esclusa la Tempesta, Turbulenza, Travaglio, Inquietitudine
ed altri socii e frategli. — Da là dove spanta gli numi il divo e miracoloso
Orione con l’Impostura, Destrezza, Gentilezza disutile, vano Prodigio,
Prestigio, Bagattella e Mariolia, che qual guide, condottieri e portinaii
administrano alla Iattanzia, Vanagloria, Usurpazione, Rapina, Falsitade ed
altri molti vizii, ne’ campi de quali conversano, ivi viene esaltata la Milizia
studiosa contra le inique, visibili ed invisibili potestadi; e che s’affatica
nel campo della Magnanimità, Fortezza, Amor publico, Verità ed altre virtudi
innumerabili. — Dove ancor rimane la fantasia del fiume Eridano, s’ha da trovar
qualche cosa nobile, di cui altre volte parlaremo, perché il suo venerando
proposito non cape tra questi altri. — D’onde è tolta la fugace Lepre col vano
Timore, Codardiggia, Tremore, Diffidenza, Desperazione, Suspizion falsa ed
altri figli e figlie del padre Dappocagine ed Ignoranza madre, si contemple il
Timor, figlio della Prudenza e Considerazione, ministro de la Gloria e vero
Onore, che riuscir possono da tutti gli virtuosi campi. — Dove in atto di
correre appresso la lepre, avea il dorso disteso il Can maggiore, monta la
Vigilanza, la Custodia, l’Amor de la republica, la Guardia di cose domestiche,
il Tirannicidio, il Zelo, la Predicazion salutifera, che si trovano nel campo
de la Prudenza e Giustizia naturale; e con quello viene a basso la Venazione ed
altre virtù ferine e bestiali, le quali vuol Giove che siano stimate eroiche,
benché verseno nel campo de la Manigoldaria, Bestialità e Beccaria. — Mena seco
a basso la Cagnuola, l’Assentazione, Adulazione e vile Ossequio con le lor
compagnie; ed ivi in alto monta la Placabilità, Domestichezza, Comità,
Amorevolezza, che versano nel campo de la Gratitudine e Fideltade. — Onde la
Nave ritorna al mare insieme con la vile Avarizia, buggiarda Mercatura, sordido
Guadagno, fluttuante Piratismo ed altri compagni infami, e per il più de le
volte vituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazione officiosa,
Provision tempestiva, utile Contratto, degno Peregrinaggio, munifico Transporto
con gli lor fratelli, comiti, temonieri, remigatori, soldati, sentinieri ed
altri ministri, che versano nel campo de la Fortuna. — Dove s’allungava e
stendeva le spire il Serpe australe, detto l’Idra, si fa veder la provida
Cautela, giudiciosa Sagacità, revirescente Virilità; onde cade il senil
Torpore, la stupida Rifanciullanza con l’Insidia, Invidia, Discordia,
Maldicenza ed altre commensali. — Onde è tolto con il suo atro Nigrore,
crocitante Loquacità, turpe e zinganesca Impostura, con l’odioso Affrontamento,
cieco Dispreggio, negligente Servitude, tardo Officio e Gola impaziente, il
Corvo, succedeno la Magia divina co le sue figlie, la Mantia con gli suoi
ministri e fameglia, tra gli quali l’Augurio è principale e capo, che sogliono
per buon fine esercitarsi nel campo de l’Arte militare, Legge, Religione e
Sacerdozio. — D’onde con la Gola ed Ebrietade è presentata la Tazza con quella
moltitudine de ministri, compagni e circonstanti, là si vede l’Abstinenza, ivi
è la Sobrietade e Temperanza circa il vitto, con gli lor ordini e condizioni. —
Dove persevera ed è confirmato nella sua sacristia il semideo Centauro, si
ordina insieme la divina Parabola, il Misterio sacro, Favola morale, il divino
e santo Sacerdocio con gli suoi institutori, conservatori e ministri; da là
cade ed è bandita la Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vana
Analogia, caduca Anagogia, sciocca Tropologia e cieca Figuratura, con le lor
false corti, conventi porcini, sediciose sette, confusi gradi, ordini
disordinati, difformi riforme, immonde puritadi, sporche purificazioni e
perniciosissime forfantarie che versano nel campo de l’Avarizia, Arroganza ed
Ambizione; ne li quali presiede la torva Malizia, e si maneggia la cieca e
crassa Ignoranza.
13 Con l’Altare è la Religione, Pietade e Fede: e dal suo
angolo orientale cade la Credulità con tante pazzie e la Superstizione con
tante cose, coselle e coselline; e dal canto occidentale l’iniqua Impietade ed
insano Ateismo vanno in precipizio. — Dove aspetta la Corona australe, ivi è il
Premio, l’Onore e Gloria, che son gli frutti de le virtudi faticose e virtuosi
studi, che pendeno dal favore de le dette celesti impressioni. — Onde si prende
il Pesce meridionale, là è il Gusto de gli già detti onorati e gloriosi frutti;
ivi il Gaudio, il fiume de le Delicie, torrente de la Voluptade, ivi la Cena,
ivi l’anima
Pasce la mente de sì nobil cibo,
Ch’ambrosia e nettar non invidia a Giove.
Là è il Termine de gli tempestosi travagli, ivi il Letto,
ivi il tranquillo Riposo, ivi la sicura Quiete. Vale
Tratto da René Guénon et les Destins de la
Franc-Maçonnerie
Éditions Traditionnelles
Sul Pitagorismo
Pitagorismo e massoneria
Tradizione pitagorica e massoneria
La fortezza della luce
Su Reghini
Un Pitagorico dei nostri tempi
Su Roman
Denys Roman
Tra le molteplici organizzazioni iniziatiche di cui la
Massoneria rivendica l’eredità, una delle più frequentemente citate è l’Ordine
Pitagorico. Si sa che la ragione di tale pretesa è la presenza, nel simbolismo
massonico, di emblemi utilizzati dai discepoli del maestro di Samo: tra questi,
quelli più comunemente citati sono la stella a cinque punte per quanto riguarda
la Massoneria latina e il gioiello di Past Master per quanto riguarda quella di
lingua inglese. Quest’ultimo gioiello riunisce in realtà due simboli pitagorici
importanti: da una parte raffigura la dimostrazione grafica del teorema sul
quadrato dell’ipotenusa, e dall’altra questa dimostrazione viene fatta con
l’ausilio del triangolo 3-4-5 (1), di cui è nota l’importanza nel Pitagorismo.
Beninteso, il fatto che il pentagono stellato non sia
necessariamente associato al nome di Pitagora, e che molti dei Massoni latini
ignorino perfino che il tracciato di questa figura costituisse il segno di
riconoscimento dei Pitagorici, mentre, al contrario, il teorema sul quadrato
dell’ipotenusa è universalmente conosciuto sotto il nome di teorema di
Pitagora, questo fatto, dicevamo, ha portato alla conseguenza che la Massoneria
anglosassone ha mantenuto molto più vivo il ricordo della sua connessione con
il Pitagorismo di quanto non abbia fatto la Massoneria latina. La cosa era loro
del resto facilitata, perché alcuni degli antichi documenti chiamati Old
Charges fanno espressamente menzione di Pitagora come di colui che ha
introdotto la Massoneria in Europa. – Eppure, è un Massone italiano oggi
deceduto, Arturo Reghini, che ha pubblicato, sui rapporti tra Massoneria e
Pitagorismo, la sola opera di valore di cui abbiamo avuto conoscenza (2).
Prima di dire tutto ciò che di positivo pensiamo su
questo libro dobbiamo formulare una critica, e una critica grave. Il suo autore
ignorava totalmente cosa fosse il Cristianesimo, nonostante avesse
l’opportunità, grazie alla sua posizione, di conoscerlo bene, almeno sotto una
delle sue forme. Ed è troppo poco dire che lo ignorava, poiché ne dava in
realtà un’immagine che è una vera e propria caricatura. Come esprimersi
altrimenti quando si vede l’autore stigmatizzare «la hantise (3) sessuale che
pervade le religioni derivate dall’ebraismo e che nel cristianesimo compare ad
esempio nella circoncisione cui è dedicato il primo giorno dell’anno, e nel
dogma dell’immacolata concezione» (4)?
Questo passaggio è veramente incredibile. È quasi
impossibile accumulare più errori in così poche parole. Se i calendari
cristiani occidentali portano alla data del 1° gennaio la menzione
«Circoncisione», non è per consacrare l’intero anno a un’osservanza mosaica che
il Cristianesimo ha, da parte sua, abolito, ma semplicemente perché il Cristo,
essendo nato tradizionalmente il 25 dicembre, è stato circonciso, secondo la
legge, il 1° gennaio, e perché tutte le Chiese cristiane usano celebrare gli
avvenimenti della vita del loro fondatore (5). E la circoncisione è così poco
l’effetto di una «ossessione sessuale» d’origine israelitica, che essa è
praticata non soltanto dagli Ebrei e dai Musulmani, ma dai popoli più diversi,
civilizzati o selvaggi. In Australia, per esempio, al momento dei «riti di
pubertà» certe tribù praticano la circoncisione, mentre in alcune tribù si usa
cavare un dente; ma non ci pare che le prime di queste tribù siamo più
«ossessionate» sessualmente che le seconde. E per quanto riguarda l’Immacolata
Concezione, che del resto non è un dogma che nel Cattolicesimo romano, non
vediamo in che modo il fatto di credere che la madre di Cristo sia stata
esentata dal peccato originale possa avere un qualunque legame con la
sessualità.
Queste riserve, che ogni uomo di spirito tradizionale fa
in modo del tutto naturale, e che un Massone dovrebbe fare a fortiori perché,
rispettando tutte le religioni, deve rispettare particolarmente quella a cui
appartiene l’immensa maggioranza dei Massoni, non devono impedire di
riconoscere i meriti eccezionali del libro di Arturo Reghini. L’autore, se
conosceva male il Cristianesimo e la «tradizione monoteista» in generale, aveva
per contro una notevole conoscenza delle scienze matematiche (profane e
tradizionali), della letteratura e della tradizione greco-latina, e del
Pitagorismo in particolare. Aveva anche studiato l’Ermetismo e l’opera di Dante
e dei «Fedeli d’Amore». E grazie a questo ha potuto, prima di morire, scrivere
quest’opera preziosa, indispensabile a chiunque si interessi tanto alla scienza
dei numeri quanto alla dottrina massonica.
***
Beninteso, un libro di questo genere, che comporta
numerose dimostrazioni matematiche e figure geometriche, non si può riassumere.
L’autore studia la Tetraktys pitagorica (che assimila al Delta luminoso della
Massoneria) (cap. I), il pentalfa (stella a cinque punte) (cap. IV) e la tavola
tripartita (che è la tavola di tracciamento) (cap. VI), ossia tre dei simboli
fondamentali dei gradi simbolici. Egli esamina a lungo, inoltre, questioni come
quella dei «numeri sintetici» (cap. II), dei numeri primi (cap. III), delle
potenze aritmetiche (cap. V), della Grande Opera e della palingenesi (ultimo
capitolo).
Reghini compara lungamente il ternario 1-2-3, che è il
solo ternario di numeri successivi nel quale la somma dei due primi numeri
(1+2) è uguale al terzo (3), con il «ternario egizio» 3-4-5, solo ternario di
numeri successivi in cui la somma dei quadrati dei due primi numeri (9+16) è
uguale al quadrato del terzo: 25. Seguono delle considerazioni sulla geometria
a una dimensione (simbolo della manifestazione «lineare») e su quella a due
dimensioni (simbolo della manifestazione «di superficie» che conduce alla
«presa di possesso» della terra). L’autore inoltre spiega tramite il passaggio
dal ternario 1-2-3 al ternario 3-4-5 il fatto che le Logge di 1° grado sono
«illuminate» dal «Delta luminoso» a tre punte, mentre quelle di 2° grado lo
sono dalla «Stella fiammeggiante» a cinque punte (6).
Altre considerazioni sono possibili sui numeri 3, 4 e 5,
le cui figure geometriche corrispondenti sono il triangolo, il quadrato e il
cerchio. In effetti, gli Arabi, che hanno trasmesso la loro numerazione al
mondo occidentale, raffigurano la cifra 5 con un cerchio. Nell’«Atalanta
fugiens» del rosicruciano Michael Maier, queste tre figure vengono associate al
problema ermetico della «quadratura del cerchio», e, secondo alcuni antichi
testi, esse sarebbero state particolarmente venerate dai Massoni operativi. È
del resto probabile che sia questa la ragione per cui i «quattro santi
coronati» furono scelti come patroni secondari della Massoneria, in ragione dei
rapporti del numero 4 con il quadrato, della parola «santo» con il triangolo
(con riferimento al Dio «tre volte santo») e della corona con il cerchio.
L’autore fornisce interessanti dettagli sulla Tetraktys,
«nella quale sono compresi tutti i numeri in principio»: si sa che è su di essa
che i Pitagorici prestavano giuramento (7).
René Guénon ha così spesso parlato di questa figura,
«fonte e radice della Natura eterna», che noi ci limiteremo a menzionare, a
seguito di quanto riporta Reghini, una domanda tratta dall’«istruzione» dei
Pitagorici Acusmatici: «Che cosa vi è nel santuario di Delfi? – La santa Tetraktys,
perché in essa è l’armonia in cui risiedono le Sirene». E l’autore precisa che
le Sirene, in un’epoca molto remota, simboleggiavano «l’armonia delle sfere»
(8).
Sul pentalfa, o stella a cinque punte, il libro che
stiamo analizzando mette in luce i rapporti numerici degni di nota che legano
tra loro i diversi elementi di questa figura e che le «imprimono il marchio»,
se così si può dire, della «legge d’armonia». – Questi rapporti sono tali che
ogni elemento del pentalfa è la «sezione aurea» di un altro elemento. E
l’autore, citando Cantor, sottolinea che questa sezione aurea aveva una grande
importanza nell’architettura prima di Pericle.
Il capitolo VI contiene estese considerazioni sulla
tavola di tracciamento, o tavola tripartita, che è anche la «chiave delle
lettere» (9). L’autore vi riconosce la tavola del matematico Teone da Smirne e
mostra i suoi legami con questo sistema di numerazione dei Greci. E, ricordando
che la pietra bruta, la pietra cubica e la tavola di tracciamento sono i tre
«gioielli immobili», aggiunge che tutti e tre si riferiscono «alla costruzione
dei templi che, secondo il rituale, è il compito della massoneria». La tavola
di tracciamento «ricorda che questa costruzione esige la conoscenza dei numeri
sacri, e, con la sua stessa forma, essa sottolinea l’importanza speciale della
divisione ternaria» (p. 116).
L’autore prosegue: «notiamo in fine che la tavola da
tracciare dell’antica corporazione muratoria si può associare se non
identificare in un modo molto semplice e naturale ma generico e di scarso
significato con l’antico abbaco (10) pitagorico, il “deltos”, o
“mensa pythagorica”, più tardi confusa con l’antica tavola pitagorica
che sino a pochi anni fa si insegnava ancora nelle scuole elementari» (p. 121).
E termina questo passaggio indicando che presso i Romani la parola «mensa»
significa allo stesso tempo tavola per il calcolo e tavola per il cibo (11).
A. Reghini ricorda anche che la tavola di tracciamento,
secondo il rituale d’Apprendista, simboleggia la memoria, ed aggiunge: «La dea
della memoria, Mnemosine, è alla testa delle nove muse, le muse che dimostrano
le orse a Dante condotto da Apollo mentre Minerva spira (Paradiso, cap. 2).
Mnemosine nel mito orfico-pitagorico dei due fiumi o del bivio è la fonte
vivificatrice, l’Eunoè dantesco, opposta alla fonte letale del Lete. Inoltre
nella concezione platonica la comprensione non è altro che una anamnesi, un
ricordo. Se non si tiene presente questo significato della memoria secondo gli
antichi, non si vede perché la memoria debba avere per simbolo la tavola da
tracciare» (pp. 123).
***
L’opera contiene un gran numero di considerazioni
interessanti sulla musica e sui legami che uniscono quest’arte alla scienza dei
numeri. Vi si cita una tradizione riportata da Diogene Laerzio che racconta
come Pitagora, «ascoltando i suoni emessi dai martelli di un fabbro che batteva
sopra l’incudine, osservò che l’altezza di questi suoni dipendeva dalla
grossezza dei martelli, e poi esperimentando con corde egualmente tese tratte
da una stessa corda, trovò che al diminuire della lunghezza della corda il
suono si elevava, e che si ottenevano dei suoni di cui l’orecchio percepiva
l’accordo quando i rapporti delle lunghezze delle corde erano espressi da
rapporti numerici semplici» (p. 56).
A. Reghini fa notare qui che i rapporti numerici più
semplici sono quelli che hanno per elementi i numeri della Tetraktys: 1, 2, 3 e
4, e che le corde della lira di Orfeo o tetracordo di Filolao erano in rapporto
1/2 2/3 3/4. Ma conviene anche notare che la leggenda riportata da Diogene
Laerzio attribuisce un’origine «metallurgica» alla musica e particolarmente
alla lira, la stessa lira con la quale Apollo regolava i movimenti degli astri,
Orfeo appianava la discordia, Arione incantava i delfini e sfuggiva al naufragio
e Anfione edificava le mura di Tebe (12).
***
Dobbiamo ora affrontare un’altra questione. Si sa che la
stella a cinque punte o pentalfa era il segno di riconoscimento della scuola
pitagorica, cioè il loro simbolo più importante. A. Reghini ricorda che i
membri di questa scuola facevano corrispondere a ciascuna delle sommità della
figura una delle lettere della parola u g i e i a (salute). E l’autore aggiunge
che la salute è per il corpo ciò che l’armonia è per l’essere totale (p. 93);
ciò è vero, ma egli sembra non aver notato una particolarità curiosa: ciascuna
delle lettere che compongono la parola u g i e i a è una lettera pitagorica:
Y, ypsilon (i greca), lettera pitagorica per eccellenza,
simbolo delle «due vie della destra e della sinistra», e sotto una forma
exoterica, del mito di Ercole tra la virtù e il vizio» (13).
G, gamma, la lettera G della Massoneria, che ha la forma
della squadra, simbolo essenziale (con la spirale) del secondo grado, della
quale Guénon ha scritto che «rappresenta i due lati dell’angolo dritto del
triangolo 3-4-5, che ha (…) un’importanza tutta particolare nella massoneria
operativa» (14).
I, iota, simbolo universale dell’Unità (15).
EI, ossia l’iscrizione misteriosa incisa sulla porta del
tempio di Delfi, e che, in risposta all’ingiunzione: «Conosci te stesso»,
formula esplicitamente la dottrina «solare» dell’Identità Suprema (16).
Infine A, alfa, elemento costitutivo del pentalfa, prima
lettera dell’alfabeto, che rappresenta il «ritorno alle origini».
Il simbolismo della successione di queste sei lettere
sarebbe interessante da studiare. Notiamo che esse sono disposte attorno alla
stella a cinque punte secondo il senso polare, cosa perfettamente normale in
quanto il pitagorismo procede dalla tradizione iperborea (17). D’altra parte,
nella Massoneria di lingua inglese, la «preparazione del recipiendario» al
secondo grado sembra indicare che i viaggi di questo grado dovevano essere
compiuti in senso polare, come del resto era il senso dei viaggi nell’antica
Massoneria operativa.
Quello che abbiamo detto sulla ragione probabile della
scelta della parola à i e i a non ci impedisce di riconoscere l’importanza
tutta particolare che aveva la salute, e, generalmente, lo sviluppo corporale,
per i Pitagorici. Si sa che lo stesso Pitagora non disdegnava concorrere ai
Giochi Olimpici (18), ed il «Padre della Medicina», Ippocrate, stabilì la sua
scienza su basi pitagoriche, come lui stesso dichiara espressamente. La scienza
di numeri (teoria dei «giorni critici») svolge un importante ruolo in questa
medicina che, del resto, era un’ «arte sacerdotale» (esattamente come
l’Ayur-Véda degli Indù, con il quale potrebbe essere interessante compararla);
e il «giuramento d’Ippocrate», prestato su quattro divinità (Apollo, Esculapio,
Igea e Panacea) è esattamente forgiato sulle obbligazioni iniziatiche e
comporta, come il giuramento massonico in particolare, tre elementi essenziali:
invocazione, impegno, imprecazione (19).
Pensiamo che potrebbe essere interessante comparare
queste due scienze ereditate dal Pitagorismo: la medicina ippocratica e la
Massoneria. E se qualcuno dei nostri lettori trovasse strane queste
considerazioni, gli domanderemmo come si potrebbe spiegare il fatto che ogni
Loggia operativa contava obbligatoriamente, tra i membri «accettati», un medico
(20).
***
Arturo Reghini cita a più riprese un’espressione dei
rituali italiani in cui si parla dei «numeri sacri conosciuti dai soli
Massoni», e vi vede molto giustamente l’indizio di una filiazione pitagorica.
In Francia, dove non si trova l’espressione citata, crediamo si trovi però
un’altra formula altrettanto significativa. Si tratta del saluto che deve
essere utilizzato da un Massone quando scriva a uno dei suoi fratelli: «Vi
saluto con i numeri misteriosi che conoscete».
Questa formula indica chiaramente che i Massoni conoscono
la «scienza dei numeri», e che questi numeri non sono i numeri «volgari» dei
profani, bensì quei numeri «misteriosi» nei quali i Pitagorici vedevano
l’essenza di tutte le cose.
Ma, si potrebbe obiettare, la «scienza dei numeri» non
appartiene in modo speciale al Pitagorismo, dal momento che la Kabbala e
l’esoterismo islamico ne fanno un uso costante. Ciò è vero ma, come ha fatto
notare René Guénon, le tradizioni ebrea e musulmana considerano il numero
«aritmeticamente», mentre il Pitagorismo, nato in seno a un popolo sedentario e
quindi costruttore, li considera in quanto legati alle forme geometriche:
triangolo, cubo, ecc. E lo stesso avviene, evidentemente, nella Massoneria.
***
A. Reghini cita ancora il silenzio come elemento comune
agli Ordini pitagorico e massonico; a dire il vero, quello del silenzio è un
tratto comune a tutte le organizzazioni iniziatiche, ma è un fatto che i
neofiti pitagorici restavano 3 anni, a volte 5, in silenzio mentre compivano la
loro istruzione (21). E questi numeri possono ricordare le «età»
dell’Apprendista e del Compagno, che sono soggetti al silenzio durante il loro
periodo di probazione.
Occorre anche notare che ciascuno dei cinque viaggi del
secondo grado è detto rappresentare uno degli anni di studio del neofita.
***
Cosicché la Massoneria ha, tra i suoi simboli e i suoi
usi, molti elementi in comune con il Pitagorismo: Delta, stella fiammeggiante,
tavola di tracciamento, triangolo 3-4-5, importanza data al teorema sul quadrato
dell’ipotenusa, scienza dei numeri, silenzio di cinque anni, uso dei pasti
rituali, importanza data alla salute del corpo (22). Si comprende come l’autore
del libro che stiamo esaminando faccia sua l’affermazione dell’arciprete
Domenico Angherà: «L’Ordine massonico è la stessa cosa, assolutamente la stessa
cosa, dell’Ordine pitagorico». A. Reghini, del resto, sapeva bene che esistono
elementi giudaici, gioanniti, templari, rosicruciani, ermetici nella
Massoneria; ma, nel suo entusiasmo per il Pitagorismo, egli considera tutti
questi elementi come delle aggiunte inutili, e perfino nocive. E questo lo
porta a non tenere nella dovuta considerazione il grado di Maestro, nel quale
gli elementi salomonici, come si sa, sono predominanti (23).
Da un altro lato, quando si considera che tutte le parole
sacre della Massoneria sono ebraiche; che l’era e il calendario massonici sono
specificamente giudaici; che il presidente di una Loggia è detto occupare il
seggio del re Salomone, e che i suoi due assistenti rappresentano Hiram, re di
Tiro e Hiram-Abiff; che le leggende del 3° grado e dei gradi seguenti vertono
interamente sugli avvenimenti che hanno preceduto, accompagnato o seguito la
costruzione del Tempio di Gerusalemme, si è portati a pensare che il carattere
«salomonico» della Massoneria non dia adito ad alcun dubbio.
Attraverso il Pitagorismo, la Massoneria si ricollega
all’Orfismo e alla tradizione iperborea conservata a Delfi. Ma, nel corso delle
epoche, gli apporti della tradizione giudaica prima, e di quella cristiana poi,
hanno impresso a essa i suoi caratteri definitivi. Le «leggende» di Salomone,
dell’uccisione di Hiram-Abiff e della grande maestria dei due san Giovanni ne
sono la testimonianza. E questa «impregnazione» giudaica e soprattutto
cristiana ha preparato la via alle numerose eredità che doveva ricevere
l’Ordine massonico, eredità di cui la più illustre, la più nobile e la più
preziosa è quella dei Templari.
L’amore per il vino: a proposito delle anfore vinarie ritrovate sul relitto
Per i Romani della tarda età repubblicana e dell’Impero, il vino era
divenuto ormai un elemento fondamentale dell’alimentazione. Negli agglomerati
urbani e nelle campagne le classi abbienti potevano permettersi il lusso di
acquistare vini pregiati provenienti da ogni parte dell’Italia e della Grecia,
che fino al 146 a.C., momento in cui divenne provincia romana, deteneva il primato
per i vini di qualità. I soldati bevevano normalmente una bevanda chiamata posca,
formata da una miscela di acqua e aceto, mentre gli schiavi che lavoravano
nelle campagne utilizzavano in sostituzione del vino una bevanda chiamata lora,
che si otteneva facendo filtrare acqua sui sedimenti rimasti dopo la
spremitura. Si sa dagli autori che vi erano numerose qualità di vino.
Naturalmente i vini invecchiati, non quelli di annata, erano i più
pregiati. A questo proposito è interessante notare come siano attestati
alcuni casi di anfore, in cui le iscrizioni segnalano non solo la data della
vendemmia ma anche quella in cui il vino era stato messo nell’anfora, dopo un
periodo di invecchiamento, che poteva durare anche 5 anni.
Esisteva un preciso legame tra la gerarchia sociale e quella dei vini.
Emblematico a questo riguardo è il caso, narrato da Plutarco, di Marco Antonio
che, durante le persecuzioni effettuate da Mario, si era rifugiato a casa di un
amico, coraggioso ma plebeo. Quest’ultimo, non rassegnandosi a fargli bere il
vino d’annata – considerato troppo popolare per un personaggio di quel livello
– nell’adoperarsi per procurare del buon vino, alla fine fa scoprire il rifugio
di Marco Antonio .
Le anfore di terracotta, rivestite all’interno con uno strato di pece
bollente, erano considerate di norma i contenitori più adatti al trasporto
del vino ed impermeabili all’aria più delle botti di legno. Come chiusura erano
provviste di un tappo di terracotta oppure di sughero, a volte rivestito di
pozzolana. Le anfore rinvenute nel carico del relitto B o del Pozzino nel
Golfo di Baratti appartengono al tipo IA della tipologia elaborata per questo
tipo di contenitori da Dressel. Queste anfore sono oggi considerate in genere
i primi contenitori da trasporto che possono essere definiti più propriamente
romani.
Esse sostituiscono, infatti, tra il 145 e il 135 a.C. le anfore del tipo
detto «greco-italico», che avevano dominato i mercati del Mediterraneo dalla
fine del IV° sec. a.C. in poi. È probabile che questa sostituzione debba
essere messa in relazione anche con le nuove esigenze di trasporto e di
commercio, nonché con la diversa natura dei destinatari dei vini.
Il grande sviluppo delle esportazioni di vino italico, riscontrato fino
dalla seconda metà del I sec. a.C., è stato infatti, messo in rapporto con le
straordinarie possibilità offerte dal mercato della Gallia. Ricerche recenti
sottolineano la necessità di approfondire anche gli aspetti metrologici
(misure lineari, peso, capacità) di queste anfore, di fondamentale importanza
per gli antichi nell’ adozione o meno di un determinato tipo .
La Dressel IA doveva rappresentare un contenitore pesante e molto
robusto – che senza dubbio Plinio avrebbe classificato, lodandolo, sotto
l’etichetta della firmitas contrapponendolo alla tenuitas – particolarmente
adatto per affrontare non solo i viaggi marittimi, ma anche i più accidentati
percorsi terrestri. I luoghi di produzione delle anfore Dressel I A sono stati
individuati lungo tutta la costa tirrenica dell’ Italia centrale e forse anche
in parte di quella meridionale.
Alla fine dell’Ottocento Dressel, studiando alcuni frammenti di anfore
di questo tipo che recavano iscrizioni dipinte, riconobbe i nomi dei vini di
Fondi, del Cecubo, del Falerno e probabilmente anche di quello di Formia e di
Reggio, vini famosi menzionati anche nelle fonti antiche. Studi recenti hanno
localizzato alcune delle produzioni di questo tipo di anfore anche nell’Etruria
settentrionale, a Cosa e ad Albinia, oltre che in Campania, ad esempio, a
Mondragone. Per il momento, in attesa di ricerche più approfondite e dei
risultati delle analisi, è possibile in via di ipotesi attribuire – sulla
scorta di un primo esame delle argille ed anche in considerazione degli stretti
legami che univano Populonia alla Campania, e a Pozzuoli in particolare – alla
Campania le anfore di questo tipo, rinvenute nel relitto del Pozzino .
Tra il materiale del carico della nave sono stati recuperati anche un
‘anfora intera e due frammenti di anse, con bolli impressi a rilievo,
pertinenti ad un’anfora dello stesso tipo, sicuramente prodotte nell’ isola
di Rodi, oltre ad alcune lagynoi ascrivibili anch’esse alla produzione
rodia o più genericamente greco-orientale. Tra i vini greci i migliori erano,
secondo la testimonianza di Plinio, quelli prodotti nelle isole di Chio, di
Lesbo e di Taso, mentre quelli di Rodi e di Cos, pur costituendo qualità
eccellenti, erano pur sempre considerati vini non ordinari.
Plinio nella sua Naturalis Historia, classificava i vini in tre
categorie: vina generosa, vina generosa transmarina e vini salsi
genera. Il vino di Rodi rientrava in quest’ultima categoria poiché, come
sappiamo da alcuni autori antichi, esso veniva prodotto con un ‘ aggiunta di
acqua di mare prima della fermentazione.
antique terracotta amphoras dated from fifth century common era
dal libro “Anfore antiche”
di Alessandra Caratale –
Isabella Toffoletti
Il contenuto delle anfore: vino e
olio
Vino
Il vino era la bevanda principale nella dieta mediterranea. La sua produzione
risale ad epoca molto antica e si diffuse in numerose regioni del Mediterraneo.
I Greci amavano particolarmente questa bevanda che veniva consumata in
quantità notevole ed anche ampiamente esportata. La qualità pregiata del vino
greco fece sì che esso continuasse ad essere richiesto anche quando si diffusero
i prodotti italici e delle regioni occidentali.
Dopo la vendemmia, che in
Grecia avveniva nel mese di settembre, i cesti di uva erano portati sul luogo
della pigiatura; il pavimento sul quale si svolgeva questa operazione era
leggermente sollevato dal suolo e inclinato in modo che il liquido defluisse
per essere raccolto in recipienti appositi. Il mosto così prodotto rimaneva
sano a lungo ed era di buona qualità.
Una seconda spremitura avveniva con l’uso di torchi e produceva un
vino di qualità inferiore. Il mosto era immagazzinato nelle cantine per la
fermentazione entro grandi vasi di terracotta detti pithoi. La fermentazione
durava sei mesi durante i quali il liquido veniva costantemente schiumato.
Nella primavera successiva il vino era travasato in altri recipienti, come le
anfore, in modo da essere trasportato e venduto.
La maggiore difficoltà per
il commercio era rappresentata dall’instabilità dei vini: la consumazione
generalmente avveniva entro tre o al massimo quattro anni. Un problema connesso
con quello della conservazione era quello dell’acidità, che si tentava di
correggere trattando il prodotto con acqua di mare, pece, resina, gesso o erbe
aromatiche.
In Italia, nonostante il suolo fosse adatto alla cultura della vite, la
produzione del vino ebbe inizio, in maniera intensiva, solo dal III secolo
a.C., anche grazie alla politica statale che favorì le attività agricole. In
questo periodo, infatti, si formarono impianti industriali sempre più
articolati all’ interno di grandi latifondi, proprietà di aristocratici.
I vini italici divennero in
breve tempo tra i più apprezzati ed esportati in tutte le regioni del
Mediterraneo. La circolazione di queste qualità era ingente ed è testimoniata
dal rinvenimento di anfore da vino italiche in scavi e relitti di tutte le
regioni costiere e dell’Europa interna.
Il fabbisogno di vino
continuò a crescere soprattutto per soddisfare le necessità della capitale
Roma, dove in epoca imperiale la distribuzione gratuita del prodotto alla plebe
divenne una consuetudine e un aspetto importante della politica degli
imperatori.
In epoca augustea sappiamo
dalle fonti letterarie che Roma consumava un milione e mezzo di ettolitri di
vino l’anno. Per soddisfare gli enormi fabbisogni divenne necessario ricorrere all’importazione del vino spagnolo,
in particolare della Tarraconese (regione centro-settentrionale della Spagna),
prodotto di media qualità, adatto al consumo quotidiano.
Le tecniche di produzione
erano analoghe a quelle del mondo greco. I Romani curavano in modo particolare
la fermentazione, che spesso avveniva in recipienti lasciati all’aria aperta.
Una volta terminata questa fase si procedeva al travaso nelle anfore. Per
evitare un ‘ulteriore fermentazione durante l’immagazzinamento, il vino poteva
essere filtrato e poi riscaldato. L’ effetto di quest’ultimo trattamento era
quello di affrettare la fine della fermentazione e di sterilizzare il vino, con
una specie di pastorizzazione.
Un trattamento particolare
era praticato sul vino gallico: generalmente esso era lasciato invecchiare in
contenitori disposti su soppalchi al di sopra di fuochi di legna. Pare che
questa operazione ne affrettasse l’ invecchiamento e conferisse alla bevanda un
sapore affumicato, piuttosto gradito.
In antico esistevano,
ovviamente, numerose qualità di vino.
I più pregiati, oltre ai
vini greci erano quelli italici e gallici. Molto noto era l’Albano, del quale
esistevano due varietà, una dolce e una aspra. Il Cecubo, prodotto nella zona
di Fondi, era un vino molto forte e invecchiato. Il Falerno, invecchiato più di
dieci anni, era un vino bianco secco o abboccato, il cui pregio aumentava con
il tempo. Tra i vini dolci si ricorda il passum, prodotto da uve moscato, molto
buono e profumato. Un vino particolare era l’ adsinthium, accostabile al nostro
vermuth.
Un trattamento particolare
riservato all’interno delle anfore vinarie era la resinatura, che permetteva
una maggiore impermeabilità dell’argilla e garantiva una migliore conservazione
dei liquidi. Il procedimento “consisteva nel riscaldare all’interno del
recipiente della resina di larice o di abete, sino a portarla allo stato
liquido; a questo punto si muoveva l’ anfora sino a che ogni parte interna
fosse coperta dal rivestimento e in ultimo si faceva solidificare”. Questo
procedimento doveva certamente dare al vino un forte aroma di resina e un
sapore particolare, ancora oggi caratteristico del vino “resinato”
greco.
Olio
L’olio rappresentava uno
dei cardini dell’alimentazione sia dei ceti meno abbienti (contadini, militari,
ecc.), sia di quelli più ricchi. Il suo consumo risale ad età antichissima,
così come il suo commercio; veniva usato anche per l’illuminazione – le
lucerne, infatti, funzionavano ad olio – nella cosmesi, per unguenti e
balsami, e nella medicina.
La diffusione dell’ olivo
in Italia è dovuta alle città della Magna Grecia che avevano impiantato estese
coltivazioni nelle zone costiere. Con il tempo la cultura si diffuse verso il
nord, lungo il versante adriatico e anche l’olio italico divenne famoso e
apprezzato ovunque: quello migliore era prodotto nel territorio di Venafro nel
Sannio, ai confini con la Campania.
Anche il consumo dell’ olio
era ingente a Roma: è stato calcolato che in età imperiale la città consumava
circa 25.000 tonnellate annue anche grazie alle distribuzioni gratuite alla
plebe. Il trasporto veniva curato da negotiatores o mercatores oleari che
lavoravano per conto dello Stato.
Generalmente dopo la
raccolta le olive venivano lasciate riposare per alcuni giorni; la spremitura
avveniva poi in un trapetum, un tipo speciale di mola costruita in modo che la
distanza tra la pietra superiore e quella inferiore fosse regolabile. Il succo
colava in un contenitore di ceramica e in questa fase si verificava la
separazione tra olio e amurca. Il liquido era poi passato in un torchio simile
a quello per il vino e il succo risultante veniva lasciato sedimentare per
qualche tempo.
I diversi tipi di olio sono
descritti dalle fonti antiche: quello vergine di prima qualità era detto olei
flos e derivava dalla prima spremitura delle olive, con una pressione leggera;
il prodotto della seconda spremitura, di qualità inferiore, era detto oleum
sequens; l’ olio, di qualità ordinaria,
che proveniva dalle residue spremiture era l’ oleum cibarium. Gli autori
antichi parlano anche di prezzi: le tre varietà indicate costavano
rispettivamente 40, 24 e 12 denari il sestario (misura di capacità
corrispondente a circa 0,545 litri). L’olio poteva essere “acerbo”,
ossia prodotto in ottobre con le olive bianche ancora non mature, oppure
“verde” prodotto alla fine del mese di ottobre, con le olive già
scure.
Per la sua produzione
esistevano ovviamente officine specializzate, alcune delle quali per la loro
importanza e notorietà sono ricordate dalle fonti antiche. La regione più
famosa per l’ olio era la Betica, che nei primi tre secoli dell’ Impero
provvide al fabbisogno delle diverse zone del Mediterraneo occidentale. Le
fonti epigrafiche menzionano a proposito di quest’ area mercatores oleari
hispani, diffusores olearii ex Baetica, o negotiatores. Tali personaggi esercitavano
le loro attività lungo le rive navigabili del Guadalquivir, strumento
veicolare provvidenziale per l’economia, in quanto consentiva un rapido
trasporto delle merci verso le regioni del nord e verso i porti di imbarco. Il
controllo del commercio fluviale era affidato a funzionari incaricati di
vigilare sulle condizioni del fiume e di mantenere la sua buona navigabilità.
Un altro olio
particolarmente apprezzato era quello africano, la cui diffusione nei mercati
mediterranei avvenne intorno al III secolo d.C. Ciò è da mettere in relazione
con l’ascesa al trono dell’imperatore Settimio Severo, originario di Leptis
Magna, nell’ attuale Libia.
Dallo studio dei bolli
sulle anfore africane, infatti, si è potuto evincere che le grandi aziende
produttrici erano di proprietà dell’ imperatore o di personaggi legati alla
sua famiglia. Non è un caso, poi, che proprio Settimio Severo avesse reso le
distribuzioni gratuite alla plebe quotidiane e regolari ed estese a tutte le
popolazioni italiche.
L’origine dei vostri Doveri sta in Dio.
La definizione dei vostri Doveri sta nella Sua Legge. La scoperta progressiva,
e l’applicazione della sua Legge appartengono all’Umanità.
DIO esiste.
Noi non dobbiamo né vogliamo
provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo follia. Dio esiste, perché noi esistiamo. Dio
vive nella nostra coscienza, nella coscienza dell’Umanità, nell’Universo che ci
circonda. La nostra coscienza lo invoca nei momenti più solenni di dolore e di gioia. L’Umanità
ha potuto trasformarne, guastarne, non mai sopprimerne il santo nome.
L’Universo lo manifesta coll’ordine, coll’armonia, colla intelligenza dei suoi
moti e delle sue leggi. Non vi sono atei fra noi: se ve ne fossero, sarebbero
degni non di maledizione, ma di compianto. Colui che può negare Dio davanti ad
una notte stellata, davanti alla sepoltura de’ suoi più cari, davanti al
martirio, è grandemente infelice o grandemente colpevole. Il primo ateo fu senz’alcun
dubbio un uomo che aveva celato un delitto agli altri uomini e cerca, negando
Dio, liberarsi dall’unico testimonio a cui non poteva celarlo, e soffocare il
rimorso che lo tormentava: forse un tiranno che aveva rapito colla libertà metà
dell’anima a’ suoi fratelli e tentare sostituire l’adorazione della Forza brutale alla fede nel Dovere e
nel Diritto immortale. Dopo lui vennero qua e là, di secolo in secolo, uomini
che per aberrazione di filosofia insinuarono l’ateismo; ma pochissimi e
vergognosi: – vennero, in momenti non lontani da noi, moltitudini che per una
irritazione contro un’idea di Dio falsa, stolta, architettata a proprio
beneficio da una casta o da un potere tirannico, negarono Dio medesimo; ma fu
un istante, e in quell’istante adorarono, tanto avevano bisogno di Dio, la dea
Ragione, la dea Natura. Oggi, vi sono
uomini che aborrano da ogni religione perché vedono la corruzione nelle
credenze attuali e non indovinano la purità di quelle dell’avvenire; ma nessuno
tra loro osa dirsi ateo: vi sono preti che prostituiscono il nome di Dio ai
calcoli della vanità, o al terrore dei potenti; vi sono tiranni che lo
imposturano invocandolo a protettore delle loro tirannidi; ma perché la luce
del sole ci viene spesso offuscata e
gusta da sozzi vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo
raggio sull’universo? perché dalla libertà i malvagi possono talvolta far sorgere l’anarchia, malediremo alla
libertà? La fede in Dio brilla d’una
luce immortale attraverso tutte le imposture e le corruttele che gli uomini
addensano intorno al suo nome. Le imposture e le corruttele passano, come
passano le tirannie: Dio resta, come resta il Popolo, immagine di Dio sulla
terra. Come il Popolo attraverso schiavitù, patimenti e miserie, conquista a
grado a grado coscienza, forza, emancipazione, il nome santo di Dio sorge dalle
rovine dei culti corrotti a splendere circondato d’un culto più puro, più
fervido e più ragionevole.
Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l’esistenza, o
per dirvi che dovete adorarlo; voi lo adorate, anche non nominandolo, ogni
volta voi sentite la vostra vita
e la vita degli esseri che vi stanno intorno: ma per
dirvi come dovete adorarlo – per ammonirvi intorno a un
errore, che domina le menti di molti tra gli
uomini delle classi che vi dirigono, o per esempio loro, di molti
tra voi: errore grave o rovinoso quanto
è l’ateismo. Questo errore è la separazione, più o meno dichiarata di Dio,
dall’opera sua, dalla Terra sulla quale voi dovete compiere un periodo della
sua vita.
Senza Dio, voi, a qualunque sistema
civile vogliate appigliarvi, non potete trovare altra base che la Forza cieca,
brutale, tirannica. Di qui non s’esce. O lo sviluppo delle cose umane dipende
da una legge di Provvidenza che noi tutti siamo incaricati di scoprire e
d’applicare, o è fidato al caso, alle circostanze del momento, all’uomo che sa
meglio valersene. O dobbiamo obbedire a Dio, o servire ad uomini, uno più non
importa. Se non regna una Mente suprema su tutte le menti umane, chi può
salvarci dall’arbitrio dei nostri
simili, quando si trovino più potenti di
noi? Se non esiste una Legge santa inviolabile, non creata dagli uomini, qual
norma avremo per giudicare se un atto è giusto o non è? In nome di chi, in nome di che protesteremo
contro l’oppressione e l’ineguaglianza?
Senza Dio, non vi è altro dominatore che il Fatto: il Fatto davanti al
quale i materialisti s’inchinano sempre, abbia nome Rivoluzione o Bonaparte: il Tatto del quale i
materialisti anch’oggi, in Italia e altrove, si fanno scudo per giustificare
l’inerzia, anche dove concordato teoricamente coi nostro principi. Or comanderemo noi loro il sacrificio, il
martirio in nome delle nostre opinioni individuali? Cangeremo, in virtù solamente de’ nostri
interessi, la teorica in pratica, il principio astratto in azione? Disingannatevi. Finché
parleremo individui, in nome di quanto
il nostro intelletto individuale ci suggerisce, avremo quel ch’oggi abbiamo:
adesione a parole, non opere. Il grido che suonò in tutte le grandi rivoluzioni,
il grido, “Dio lo vuole, Dio lo
vuole” delle Crociate, può solo convertire gli inerti in attivi, dar
animo ai paurosi, entusiasmo di sacrificio
ai calcolatori, fede a chi respinge col dubbio ogni umano concetto. Provate agli uomini che
l’opera d’emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale voi vi chiamate,
sta nel disegno di Dio; nessuno si ribellerà. Provate loro che l’opera
terrestre da compirsi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro vita
immortale: tutti i calcoli del momento
spariranno davanti all’importanza
dell’avvenire. Senza Dio, voi potete imporre, non persuadere: potete essere
tiranni alla vostra volta, non educatori ed apostoli.