O
di
Pino Bruno
I viaggio che vi proponiamo comincia più o meno millecinquecento anni prima di Cristo nel territorio che oggi è compreso tra il promontorio del Gargano, il Subappennino Dauno e il Tavoliere di Puglia. Una zona coperta allora di fitti boschi, a cui si alternavano gli appezzamenti strappati alla foresta e resi coltivabili, grazie anche alle numerose sorgenti per l’ approvigionamento idrico. Il clima era temperato e continentale. A quei tempi il fiume Ofanto era un grande collettore di acqua. Il suo corso era navigabile e al suo sbocco in Adriatico c’era un fitto sistema di lagune e saline, insomma, condizioni particolarmente favorevoli agli insediamenti umani.
E’ nel territorio appena descritto che incontriamo il popolo degli ipogei raccontato in questa mostra. Archeologi ed antropologi affidano alla nostra conoscenza una civiltà dedita ad un’ agricoltura evoluta e alla caccia, con una sua struttura sociale in transizione, ben organizzata, come confermano alcuni indicatori di ruolo e di rango ritrovati nelle sepolture. Un popolo che conosceva l’arte della guerra e, quasi certamente, l’uso delle tecniche per imbrigliare i cavalli e della costruzione del carro leggero. Una civiltà che aveva perfezionato l’arte della ceramica e della tessitura e si era aperta a fitti scambi culturali e commerciali con i popoli dell’ Egeo e dell’ altra sponda dell ‘ Adriatico.
Tra le tante tracce che i detective dell’ antico hanno portato alla luce ci sono vasti magazzini per conservare derrate alimentari di pregio, quali vino e olio, segno di intensi traffici con i navigatori micenei. Un popolo, infine, che aveva sviluppato nel sottosuolo un profondo e, per molti versi ancora indecifrabile, rapporto religioso con le divinità della natura, con i sacrifici rituali ed i cicli naturali della morte e della rinascita. Particolarmente intenso il culto degli antenati, come attesta, negli ipogei funerari, la mancata rimozione delle sepolture più antiche. La costruzione degli ipogei conferma l’esistenza di un’ organizzazione sociale estesa a più villaggi vicini, per l’ impegno massiccio di manodopera e di strumenti di lavoro.
Facciamo allora uno sforzo d’immaginazione e pensiamo a questi uomini, a queste donne che gli esperti ci dicono essere alti tra i 171 – 172 centimetri – gli uomini – e 158 – 159 – le donne.
Un popolo, dicevamo, che è riuscito ad evolversi anche grazie al mix di fattori genetici e ambientali particolarmente favorevoli. Alimentazione sana, ricca di fibre, con ridotto consumo di carboidrati e zuccheri semplici: le malattie dentarie attecchivano con difficoltà e le popolazioni della Daunia avevano una bocca certamente più sana rispetto a quelle dell’Egeo.
Uomini ambidestri o addirittura mancini, che facevano uso di giavellotti o arpioni, alcuni di loro fondisti impegnati in intensi allenamenti. Uomini che cacciavano o coltivavano la terra o realizzavano pregevoli manufatti in ceramica o gioielli in ambra, faïence e pasta di vetro. Uomini che avevano ideato rasoi a doppia lama con manico a giorno, sorprendentemente attuali. Uomini che sapevano come difendere il territorio dai nemici: abbiamo testimonianze di una guerra o di una battaglia particolarmente cruenta, per un improvviso aumento di morti in età adulta, sepolti con pugnali e spade in bronzo. E queste donne dallo stile di vita più sedentario, che filavano e tessevano. Ecco, tra loro, la Signora delle Ambre, con il suo ricco corredo funerario di collane, anelli e orecchini. Una donna elegante e raffinata. Una signora di rango. L’ ambra, a quell’ epoca, aveva la stessa valenza che oggi ha l’ oro per noi. Questa rara resina fossile veniva dal nord Europa. Dai paesi che si affacciano sul Baltico. In tempi di commercio elettronico e shopping on line, le distanze ci fanno sorridere. Ma se seguiamo sulla carta geografica il percorso che dal Baltico porta fino al basso Adriatico – la via dell’ ambra – possiamo figurarci la complessità di tale operazione commerciale. il lungo viaggio attraverso il reticolo di vie d’ acqua che caratterizzava l’ Europa centrale. D’ altronde la presenza dell’ avorio e della pasta vitrea fa pensare ad un’ altra rotta di scambio, quella verso il Mediterraneo orientale.
Cultura, commercio e -perché no – anche scambi genetici con le popolazioni egee e dalmate. L’archeologia e l’antropologia ci confermano che per la Puglia i rapporti con l’altra sponda dell’ Adriatico e con il Levante non sono storia degli ultimi anni. E semmai la cronaca ad avere la memoria corta, se continua a stupirsi e ad allarmarsi per le migrazioni periodiche, più o meno di massa, che caratterizzano i drammatici avvenimenti sociali e politici dei Balcani. Dal popolo degli ipogei della Daunia possiamo ricevere una lezione di storia. E di civiltà.•
(Pino Bruno – Giornalista Rai)
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