ALCHIMIA
Un via per levigare la Pietra
di
Francesco Rampini
Non ci sono dati sull ‘inizio. Niente.
Non sappiamo niente dell’Universo, finché non raggiunge, dopo il Big Bang, l’età di un bilionesimo di trilionesimo di secondo (francamente, non so proprio come si può scrivere questa frazione. Troppi zeri).
Prima, all’inizio, non c’era nulla: spazio, tempo, luce, materia, suono, energia.
Che cosa ha prodotto il cambiamento che, partendo da uno stato di non-essere (mi risulta difficile definirlo in altro modo, magari in forma positiva), attraverso una fase di “instabilità”, ha fatto, infine, esplodere ciò che “una volta” era il Nulla?
Allo stato attuale della conoscenza scientifica non si hanno molte conoscenze in merito. Ancora: poiché l’ Universo è in espansione ed allo stato attuale delle cose oggi si sta ulteriormente allargando (possiamo paragonarlo, con una immagine abbastanza semplicistica, ma, certamente, efficace, ad un enorme pallone che si gonfia) e quindi, via via che si espande va ad occupare un qualcosa al suo “di fuori”, un qualcosa che….forse possiamo concepire come Spazio? no di certo. E questo perché lo spazio esiste solamente “dentro” l’ Universo e non “fuori” ove, come è stato prima definito c’è solo un nulla spaziotemporale.
Direi proprio un bel rompicapo.
Il problema vero, prima di risolvere il quesito di come è nato l’ Universo (ed anche scoprire perché è nato), è di capire, addirittura, che “cosa è” la materia che costituisce tutto ciò che esiste.
Mi ricordo, da ragazzo, quando leggevo i primi libri “esoterici” – erano tutte vecchie edizioni, ingiallite, con quell’odore di polvere che, ancora oggi, mi è rimasto nelle narici – la disputa annosa, ed allora ancora non risolta, tra i sostenitori della teoria “Spiritualista” e quelli della teoria “Materialista”.
Era il classico problema di lana caprina.
Il background individuale (derivante dalla somma algebrica di molteplici fattori – di cultura individuale, sociologici, di educazione familiare, educazione religiosa, e così via -) faceva sostenere, con vigore – ed a volte anche con ferocia – una o l’ altra tesi. Non importa quale: l’importante era fare una scelta di campo. Se eri uno scienziato, per non essere “traditore”, dovevi essere Materialista. Tutti gli altri potevano essere, a scelta, anche Spiritualisti.
Francamente, io, allora, non capivo molto bene la dinamica dei processi mentali che portavano alla “scelta” e tutte le discussioni (nei libri, articoli su riviste “specializzate”, nei salotti, nei corpi rituali) che ne derivavano. Né capivo molto bene l’oggetto del contendere, nella sua sostanza.
Ma poi, mi ricordo, che un giorno – ero sempre molto giovane – appresi un nuovo termine.
Era sanscrito: Maya.
Il significato di questa parola, o, per meglio dire, di questo concetto, che si perde nella notte dei tempi, tradotto in italiano, approssimativamente, vuol dire “la Grande Illusione”.
Alcuni Maestri Passati, appartenenti, almeno formalmente, a differenti tradizioni, collocate in uno spazio-tempo lontane tra di loro, avevano intuito la “grande verità” che ha causato e quindi realizzato la formazione I ‘ Universo; ed intendevano I ‘Universo in modo intimo, quasi vivendolo “dal di dentro” – essendo loro stessi elementi costitutivi e consapevoli dello stesso – al contrario di noi che, ancora oggi, nella gran parte dei casi, lo viviamo solo attraverso gli stimoli (per lo più esterni) che ci provengono dalle nostre sensopercezioni.
Ad onor del vero, se vogliamo vedere le cose con una certa obiettività, anche la nostra Tradizione Scientifica, quella occidentale, si è avvicinata, in più di una occasione, ad un qualcosa di analogo.
Democrito cercò di capire quale fosse il “mattone” fondamentale di tutto il mondo da lui conosciuto ed arrivò a teorizzarlo, dandogli il nome storico diAtomos (letteralmente “in-divisibilë”). Ma quando si incominciò a passare, grosso modo nel 1600 – basti ricordare solo Galileo e Newton – dalla scienza come Filosofia, alla Scienza, come oggi viene molto più correttamente intesa (le leggi scoperte e/o teorizzate, stabiliti determinati parametri di funzionamento, debbono sempre essere valide), si è arrivati a considerare, in modo sicuramente superficiale ed a volte anche causa di grossolani errori, come vero solo quello che era possibile osservare, pesare, misurare, sezionare
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Per spiegare I ‘Universo Isaac Newton, fornisce una sua teoria, non troppo lontana da ciò che asseriva, a suo tempo, Democrito: …mi sembra probabile che Dio al principio abbia creato la materia sotto forma di particelle solide, compatte, dure, impermeabili e mobili, dotate di tali dimensioni e forme….. da essere le più adatte al fine per il quale egli le aveva create; e che queste particelle originarie, essendo solide, siano incomparabilmente più dure, da non poter mai consumarsi o infrangersi…” I
Secondo Newton, quindi, Dio creò le particelle materiali, le forze che agiscono su e tra esse, e le leggi fondamentali del moto. Una volta avviato I ‘Universo, questo ha continuato a funzionare, come una macchina perfetta.
Questo equilibrio, così immutabile e privo di difetti, incominciò a vacillare quando Maxwell e Faraday, con i loro studi, teorici ed empirici, sull’elettromagnetismo, arrivarono a sostituire il concetto di Forza, con quello di Campo di Forze.
In altri termini: nella visione newtoniana le forze erano connesse rigidamente ai corpi sui quali agivano; il campo di forze poteva, invece, essere studiato e misurato senza alcun riferimento diretto ai corpi materiali.
Una vera e propria rivoluzione concettuale.
Nei primi tre decenni del ‘900, sono però avvenute le scoperte che hanno radicalmente cambiato la concezione dell’enormemente grande e dell’ infinitesimamente piccolo: la definizione della teoria della relatività lo sviluppo della fisica atomica.
I pilastri della concezione newtoniana sono stati a questo punto decisamente infranti: sono sparite le nozioni di spazio e di tempo assoluti e di particelle solide elementari. Cioè: la natura strettamente causale di fenomeni fisici ed una natura descritta in modo assolutamente oggettivo.
Per capire meglio come le cose siano cambiate rispetto alle concezioni precedenti, basti pensare solo all ‘ assoluta mancanza di termini di riferimento su misure, ordini di grandezza e scale a disposizione della nostra cultura tradizionale scientifica quando si parla dell ‘ estremamente piccolo.
A tale proposito mi ha colpito l’immagine che F. Capra dà dell ‘ atomo: “Il diametro di un atomo è circa un centesimo di milionesimo di centimetro. Per visualizzare questo minuscolo oggetto, immaginate un’ arancia che cresca fino a raggiungere le dimensioni della Terra. A questo punto, gli atomi dell’ arancia sarebbero grandi come ciliege. Miriadi di ciliege, strettamente impacchettate in un globo delle dimensioni della terra: ecco un’ immagine ingrandita degli atomi di un’ arancia. Un atomo, quindi, è estremamente piccolo rispetto agli oggetti macroscopici. Tuttavia è enorme se confrontato con il suo nucleo, che sta al centro. Nella nostra immagine degli atomi-ciliege, il nucleo di un atomo sarebbe così piccolo che non potremmo vederlo. Se facessimo crescere l’atomo fino alle dimensioni di un pallone da calcio, o anche fino alle dimensioni di una stanza, il nucleo sarebbe ancora troppo piccolo per essere visibile ad occhio nudo. Per poter vedere il nucleo dovremmo far crescere l’ atomo fino alle dimensioni della cupola di S. Pietro. In un atomo di quelle dimensioni, il nucleo sarebbe grande quanto un grano di sale e gli elettroni quanto dei granelli di polvere”. 2
Ma la cosa che più fa riflettere è che la realtà nel subatomico non è oggettiva, ma è relativa al modo con cui viene rilevata: le unità subatomiche della materia sono entità astratte che presentano un carattere duale. Se vengono analizzati i fotoni (i trasmettitori della luce), a seconda di come li osserviamo essi sono particelle oppure onde. Il fatto, a prima vista, è sconcertante: è come dire che lo stesso mammifero può essere, in funzione degli strumenti di osservazione, un essere umano oppure un delfino.
Oggettivamente due cose diverse. Ma c’è ben altro.
La cosa ancora più sconcertante è che la materia subatomica non si trova con certezza in luoghi ben precisi, determinati ma, piuttosto, questa ha una tendenza ha trovarsi in un determinato luogo e gli eventi atomici in realtà non avvengono con certezza ma hanno “tendenza ad avvenire”. Secondo leggi di probabilità.
Ebbene: le particelle subatomiche che costituiscono l’ atomo stanno insieme, si annichiliscono, si fondono, danno vita ad altre particelle, secondo criteri probabilistici. Tutte queste contraddizioni hanno dato luogo ad infinite discussioni, a paradossi fino ad arrivare alla formulazione della nota teoria dei quanti. Max Plank scoprì che l’energia della radiazione termica non è emessa in modo continuo, ma si presenta sotto forma di “pacchetti di energia”, pacchetti che Einstein ha definito, appunto, “quanti”.
Bene: le particelle subatomiche oggi conosciute, che non sono i mattoni fondamentali dell’Universo (cioè il qualcosa non più divisibile – che resta ancora da scoprire -), sono definibili come “pacchetti di
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energia”
Allora gli atomi che sono composti da particelle subatomiche sono energia, noi siamo energia, la Terra è energia, il “vuoto” (che è percorso in lungo ed in largo, a velocità prossima a quella della luce, da particelle subatomiche) è energia, l’ Universo tutto è energia.
Ha senso quindi parlare di sentirsi “Materialista”; ancora meglio: che senso ha autodefinirsi “Spiritualista”? Il fatto è che il mondo che ci circonda, semplicemente, in una realtà assoluta non esiste; esiste solo come noi lo vediamo, con i sensi molto limitati di cui disponiamo. Tanto per dare un’ idea, i nostri occhi su uno spettro elettro magnetico (dai raggi cosmici, raggi x, onde luminose, fino ad arrivare alle onde radio), che va da una frequenza di 1028 a 106 riescono a percepire solamente un intervallo che va, approssimativamente, da 10 14 a 10 15 . Praticamente niente!.
Se andiamo a considerare l’evento fondamentale di tutta la vita – di qualsiasi essere vivente – dopo la propria nascita è certamente l’ annichilimento, o per meglio dire: la morte; Ma noi sappiamo che questa, in senso stretto, in Natura, non esiste.
Procedimenti chimici abbastanza complessi trasformano tutta una serie di aggregati morfologici in sostanza elementari, sicuramente meno sofisticate. Gli atomi e le particelle subatomiche che costituiscono il corpo fisico continuano imperterrite a vagare ed a scontrarsi anche “dopo”, secondo i noti criteri probabilistici di cui si è accennato. In definitiva, “dopo”, niente va a cambiare. Per loro. La vita che tiene in piedi e ordina tutto continua imperterrita il suo percorso.
Il corpo fisico, inteso invece non come complesso di acqua ed altri elementi chimici ma come entità individuata, come tutti sappiamo, dopo la morte non c’è più; ci sono, al suo posto, come abbiamo già accennato, i componenti-base che lo hanno costituito ed alcuni di essi si sono un po’ trasformati.
Il problema vero, per noi – che il “dopo” vuol dire indiscutibilmente “morte” -, è di stabilire che fine farà la nostra coscienza, se resterà e cosa resterà, della nostra individualità.
In altri termini: dopo la morte cosa resta di noi, che abbiamo un nome ed un cognome? Come andiamo ad interagire con un meccanismo di Natura, praticamente perfetto, che funziona nell’immensamente piccolo e nell’inifinitamente grande? Che ruolo abbiamo – o non abbiamo – in un Universo ove la Vita (che, come si è visto, è in definitiva il “sistema” con forti accentuazioni probabilistiche che tiene in piedi tutto) regna e detta le sue leggi su tutto e tutti?
La Tradizione Ermetica ha affrontato (come gli indiani che ci raccontano di Maya, la Grande Illusione), questo problema un bel po’ di tempo fa, sfrondandolo da un inutile misticismo, cercando di compenetrarlo nella sua essenza, enunciando le leggi che regolano l’Evoluzione. Rivestendo il tutto, di contro, di un linguaggio quasi incomprensibile ed ha utilizzato, nel farlo, una notazione particolare: il Codice Alchemico.
L’Alchimia, quindi, attraverso la Tradizione Ermetica, ci parla della Vita, della sua essenza, della sua origine e del suo divenire. Guardando il tutto secondo il punto di vista dell’Uomo, inteso come essere complesso e globale.
I I. Newton – Scritti di Ottica, libro 3, parte I questione 31, Utet 1978, pag. 600
2Fritjof Capra – Il Tao della Fisica – Adelphi 1982 – pag. 78
IL LABORATORIO
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