RISCOPRIRE DANTE

RISCOPRIRE DANTE

(Per gentile concessione della rivista “Sotto il velame”) di Renzo Guerci

Si può ancora riscoprire Dante? Dopo secoli e secoli caratterizzati da una sterminata e minuziosa esegesi sull’opera del Sommo Poeta, esiste ancora un territorio poco esplorato?

Il punto di partenza è costituito dal presupposto che possa esserci una lettura diversa, se vogliamo “alcune” letture diverse, rispetto a quella per così dire ufficiale, quella che possiamo chiamare storico-letteraria, validissima a pieno titolo, ma incompleta, non sufficiente.

Riscoprire Dante è come aprirsi ad un mondo immenso, ad un paesaggio sterminato, è come ritrovare un mare di cose là dove sembrava di aver ormai trovato tutto.

E farlo in chiave esoterico-simbolica è un grande progetto, una sfida profonda e allettante poiché la Divina Commedia è la summa dell’esoterismo cristiano o più in generale dell’esoterismo occidentale e non soltanto di questo perché, a voler scavare con pazienza e con spirito libero, potremmo trovare frammenti e luci anche di altre saggezze e conoscenze.

Il primo ad avvertire l’esigenza di una più ampia visione interpretativa del poema dantesco è Ugo Foscolo. Nel 1818 in un saggio sulla Edinburgh Review, paragonava il poema dantesco ad una intricata e affascinante foresta, in cui una strada era stata tracciata ma “la maggior parte di questa foresta è ancora, dopo le fatiche di cinque secoli, avvolta nella sua primitiva oscurità”. E confessava nello stesso anno ad un amico: “credo di aver scoperto una terra sconosciuta sino ad ora

Nel suo “Discorso sul testo del poema di Dante” del 1825, egli vede nella Commedia il bando di una rinascita cristiana del mondo, di una revisione evangelica della Chiesa, della quale peraltro accetta i dogmi e la gerarchia.

La Divina Commedia non è pertanto il frutto di una finzione poetica, ma di una visione vera, come quella di S. Paolo e dell’Apocalis.se, in cui Dante si sarebbe sentito investito dallo Spirito Santo nella sua missione di rinnovamento religioso.

E interessante rilevare come il Foscolo adombri un tema di grande interesse, che potremmo sintetizzare nella dicotomia “Dante santo o eretico?” , interrogativo che permea una parte consistente dell’interpretazione dantesca non ufficiale dall’800 ad oggi.

Diatriba solo apparente: Dante non è un santo e la Chiesa si è sempre ben guardata dal beatificarlo; al contrario qualche rogo nel ‘300 lo ha perpetrato (ad esempio sul De Monarchia) o lo ha tentato (iniziativa del vescovo Bertrando del Poggctto).

Se approfondiamo però la storia dell’amicizia tra Dante e Guido Cavalcanti (e gli altri Fedeli d’Amore) diventa chiaro come Dante non possa essere considerato in alcun modo un eretico.

Il sogno di Dante è quello di una Chiesa non riformata, ma rigidamente ricondotta alle origini, al messaggio del Vangelo, prima che la donazione di Costantino la allontani dalla sua missione spirituale; una Chiesa che in un certo senso riconquisti la dimensione esoterica dei Vangeli e del Cristianesimo delle origini, che la Chiesa stessa ha distrutto per non mettere a repentaglio il suo potere terreno.

Dopo il Foscolo chi aprì un ‘altra strada di grande importanza nella foresta dantesca fu Giovanni Pascoli. A detta della sorella Maria il poeta iniziò gli studi danteschi subito dopo la laurea e li sviluppò per tutta la vita, tra molte amarezze perché la critica ufficiale, così prodiga di lodi per Pascoli poeta, accolse con freddezza e non fu in grado o non volle comprendere le sue prodigiose intuizioni sulla Divina Commedia.

Questo silenzio e indifferenza è uno degli aspetti più evidenti dell’atteggiamento conformista ed ostile che fu riservato, sino ad oggi, nei confronti di chi si è addentrato in una interpretazione esotericosimbolica dell’opera di Dante.

Tra il 1898 e il 1902 vedono la luce tre testi: “Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione” in cui vengono espresse le tesi dell’interpretazione pascoliana di Dante, quali:

— l’unità strutturale del poema e la sua costruzione imperniata sul numero settenario

— la contrapposizione e l’abbandono della vita attiva verso quella contemplativa — la simmetria della croce e dell’aquila (Impero e Chiesa) che permea il Poema.

Ma il concetto di fondo dell’esegesi pascoliana è l’intenzione criptografica di Dante, che avrebbe racchiuso il contenuto mistico del poema in un piano preordinato di segni: pertanto scopo precipuo della critica sarebbe quello di impadronirsi del codice segreto. Sulla strada tracciata da Foscolo e Pascoli si avventurarono tutta una serie di studiosi, su cui torneremo. Da essi fu nuovamente avvalorato e riportato in luce qualcosa che non bisognava dimenticare: che tutta l’opera dantesca “poteva e doveva” essere letta secondo due criteri, entrambi ugualmente importanti e indissolubili: ciò che appare e ciò che è nascosto, secondo progressivi livelli di comprensione (letterale, allegorica, morale, analogica) che non possono essere “saltati” e che non sono in contraddizione tra loro.

È la dottrina del “polisenso”, come Dante stesso ce la presenta, indispensabile per l’interpretazione delle Sacre Scritture, un poco estranea alla nostra sensibilità moderna, ma cardine della cultura medievale e, vorrei dire, molto utile e feconda per comprendere meglio le contraddizioni dei nostri giorni.

Ci spiega ad esempio il disagio che c’è nella cultura e nella spiritualità del nostro mondo moderno, che ha perduto la visione polisensa della realtà ed è scientificamente tutto rivolto alla descrizione e comprensione “letterale” della realtà stessa: questa visione scientifica ci dà dettagliate spiegazioni su “come” avviene un processo o un avvenimento ma non sa spiegarci il “perché”:

Anche nell’iter della nostra vita Dante sembra darci un’indicazione, proprio nel suo insistere sulla necessità della comprensione letterale alla base di ogni conoscenza. In altre parole sembra dirci che lo zoccolo della nostra quotidianità è letterale, che ad esso non dobbiamo sfuggire isolandoci dal mondo, tentando di “saltare” alla comprensione allegorica senza passare attraverso la lettura — e quindi la comprensione — dell’intelaiatura letterale del mondo del divenire in cui siamo calati tutti i giorni e che altrimenti ci appare incomprensibile. Tutta l’esistenza umana, ci dice Dante, è un’ascesa iniziatica, dall’in-

ferno, mondo diabolico della “separazione” , al paradiso, mondo del simbolo, della conoscenza che unisce. Così saremo portati a comprendere il polisenso negli eventi della nostra vita.

L’interpretazione del mondo dantesco, come si è detto, passa quindi attraverso le due dimensioni di apparente e nascosto: tutta l’esegesi dantesca dal 1300 in poi si svilupperà intorno a questi due filoni. Sul filone dell”‘apparente” si concentrerà tutta la critica storico letteraria che nei secoli esalterà più o meno il Dante poeta e letterato. Assai meno sviluppata — per motivi che vedremo — sarà nei secoli l’interpretazione dei sensi “nascosti” ed è a questi che noi vogliamo dedicare l’attenzione.

Per farlo dobbiamo sviluppare due considerazioni.

La prima è su: “che cosa è nascosto”, “sotto il velame delli versi strani ” ? Impresa ardua: “conoscere e descrivere Dante sarà mai possibile? ” si chiede Pascoli in “Minerva oscura”. E prosegue “Egli eclissa nella profondità del suo pensiero: volontariamente eclissa”.

Per comprendere il “pensiero nascosto” occorre partire da quei “Fedeli d’Amore” che Dante cita alcune volte, da quel Dolce Stil novo che la scuola ci ha abituati a vedere come una sorta di corrente letterario-poetica.

Sotto questo profilo ci troviamo davanti una cospicua produzione di sonetti e canzoni in cm, in una forma a dir poco complessa, ma comunque piuttosto fredda ed estremamente cerebrale, questi letterati — che poi sono personaggi di spicco della classe dirigente della loro città — si scambiano notizie sui loro amori.

Amori per delle improbabili donne, rigorosamente mai descritte in modo realistico — e (salvo che per Dante) mai storicamente individuate —, con toni e immagini che sono francamente noiosi e sovente incongruenti.

E da notare, per inciso, che, con scarse eccezioni, questi “letterati non ci lasciano altro che queste poesie amorose, pur essendo considerati dai contemporanei (vedasi Dante stesso) i migliori ingegni dell ‘epoca.

In realtà chi ha affrontato in chiave diversa questo aspetto ha dimostrato — o cercato di farlo — che i fedeli d’amore erano un gruppo (qualcuno l’ha chiamato setta), con forti connotati esoterici ed iniziatici

, forse eretici. Un gruppo, dati i tempi* caratterizzato da un ‘parlar coverto” che portava i suoi componenti a comunicare tra di loro, per scambiarsi concetti, speranze, fatti e avvenimenti, mediante componimenti poetici apparentemente amorosi, componimenti che in realtà erano scritti in un “gergo” la cui chiave di interpretazione era nota soltanto agli adepti del gruppo.

Chi ha tentato di decifrare questo ” gergo”, ci ha lasciato indicazioni che  forse possono essere oggetto di discussione e di approfondimento ma che aprono orizzonti infiniti di comprensione di opere poetiche che diversamente ci appaiono un poco anacronistiche, talvolta veramente ostiche e incomprensibili.

La chiave del gergo ci indica invece tutto un fermento spirituale e culturale tra uomini accomunati da un profondo senso mistico ed esoterico e impegnati in un’opera di rinnovamento profondo della religione cristiana.

Con questa chiave acquistano significati ben diversi molti dei termini che troviamo nelle loro canzoni e sonetti, come ad esempio, per citare i più ricorrenti: Amore (amore per la sapienza santa, la dottrina e il gruppo dei Fedeli d’Amore) — Donna (l’adepto, il fedele d’amore) — Beatrice (la sapienza santa) — Morte, Pietra (la Chiesa corrotta e persecutrice) — Dormire, Sonno (essere nell’errore) — Piangere (simulare fedeltà alla Chiesa ufficiale) — Saluto (è l’iniziazione e il grado dell’iniziazione; si pensi al saluto di Beatrice e Dante) — Noia (è il mondo profano o avverso alla setta) — Cuore, gentile (è l’acquisizione della dottrina iniziatica — la sede ove avviene l’illuminazione della conoscenza spirituale).

Questa interpretazione la dobbiamo ad un gruppo di studiosi, tra i quali in particolare: Luigi Valli, allievo del Pascoli (Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore, di recente ristampato), Gabriele Rossetti (La Beatrice di Dante) Alfredo Ricolfi (Studi sui Fedeli d’Amorc) e Mario Alessandrini (Dante fedele d’amore); e, nel filone degli studi tradizionali, René Guénon (Esoterismo di Dante) e Robert John (Dante templare).

La seconda considerazione che è opportuno fare è: ” perché nascosto”? Gli sviluppi che possono trarsi da tale considerazione hanno due possibili strade.

Una fa riferimento al contesto storico-culturale in cui vive Dante. Il poeta nasce nel 1265 e nello scorcio di secolo sino al 1300 si sviluppa il gruppo dei Fedeli d’Amore, le cui radici sono da ricercare, circa un secolo prima, nelle Corti d’amore e nel trobar clus che si sviluppa in Francia, segnatamente — e non casualmente — tra i poeti mistico-allegorici della Provenza (a questo riguardo il citato libro del Ricolfi rappresenta sempre una pietra miliare).

Intorno all’anno 1000 sorge e cresce tutta una corrente di pensatori e mistici che in qualche modo rappresentano potenziali rivoli e rivoletti di riforma e di eresia, con feroci reazioni da parte della Chiesa di Roma.

Il panorama è vastissimo: Ci basti qui ricordare due avvenimenti chiave, che ruotano intorno al 1265. Nel 1244 c’è la caduta e il rogo di Montségur, che conclude nella più feroce repressione tutta l’avventura dei catari in Provenza.

Il catarismo peraltro era diffuso anche in Italia (si chiamavano patarini) e segnatamente in Toscana e a Firenze. E condanne per catarismo rischiarono i Farinata degli Uberti e i Cavalcanti. Ed alcuni dei Fedeli d’Amore (ad es. Guido Cavalcanti) subirono probabilmente l’influenza del catarismo.

Tra il 1300 e il 1314 inoltre si compie la distruzione dell’Ordine del Tempio e la dispersione e morte dei Templari ad opera di Clemente V e di Filippo il Bello. E una corrente di studi ha posto in luce l’influenza templare su Dante e sui Fedeli d’Amore.

È quindi comprensibile che gruppi o sette che in qualche modo si ricollegavano alla gnosi e al templarismo escogitassero delle modalità di espressione in cui il significato letterale non potesse suscitare sospetti da parte dell’inquisizione.

L’ambiente culturale infine, elemento fondamentale nella crescita spirituale di Dante, può essere considerato come motivo di “attenzione” nell’esprimersi da parte dei Fedeli d’Amore.

Qui non si possono fare che cenni, ma si pensi a tutto l’aristotelismo, così come si sviluppa nei corsi universitari di Parigi, sede di controversie teologiche feroci (con qualche ricorrente Concilio che sconfessa qualche studioso troppo ardito).

Trapelava sotterraneo in questi studiosi un aristotelismo e un culto

dell’intelletto poco gradito all’ortodossia religiosa: il concetto aristotelico di intelletto agente, unico per tutti gli uomini e l’interpretazione averroistica, ponevano in seria difficoltà la dottrina cristiana della immortalità personale di ogni uomo.

E d’altro canto operarono in quegli anni in Toscana, intorno al 1288/ 89 e poi oltre, Pietro Olivi e Ubertino da Casale. LI primo in particolare fu il portatore del messaggio degli Spiritualisti francescani e delle profezie di Gioacchino del Fiore che riecheggiano nella visione profetica del Divino Poema.

Dante ha in quel periodo poco più di 20 anni ed è nel pieno della sua formazione spirituale e intellettuale e già milita nei Fedeli dell’Amore. Di tre anni dopo è La Vita Nova in cui descriverà questo suo processo iniziatico.

Né si può dimenticare che (come Dante stesso ci indica nell’Epistola a Cangrande) uno dei suoi principali maestri fu Riccardo da S. Vittore: è significativa la concezione di questi sulla “morte mistica’

e l’allegoria della morte della Rachele biblica. Quella che Riccardo spiega essere la “morte” della ragione di fronte alla suprema contemplazione del mondo spirituale, fornisce una prodigiosa chiave di lettura sul significato della morte di Beatrice e in genere di molte donne dei Fedeli d’Amore.

Una seconda strada di interpretazione del “perché nascosto” è più attinente ad una visione di carattere esoterico-iniziatico, e più generalmente alla conoscenza tradizionale. Molti studi hanno portato a rilevare come, in generale, anche senza un pericolo incombente (quindi senza una necessità contingente di “parlare in gergo”), tutta la poesia e le opere letterarie esoterico-simboliche si esprimono attraverso modelli molto simili, ossia attraverso simboli in cui l’amore e la donna sono una delle allegorie ricorrenti.

Si pensi, per fare un esempio diverso, al vino, simbolo per eccellenza, sia in un poeta mistico come Omar Kaiyam, sia in altre opere esoteriche, sino al Vangelo stesso. O ancora al simbolo mistico della

rosa che, già presente nei riti iniziatici pagani (l’eco lo troviamo nell’Asino d’oro di Apuleio in cui il protagonista ritorna uomo mangiando un serto di rosa), diffuso nella poesia sufica persiana e presente in tutta la lirica provenzale (il Roman de la Rose) e siciliana

(“Rosa fresca aulentissima…”), sino alla rosa mistica del Paradiso dantesco.

E sulla base delle considerazioni sopra dette che si può impostare una analisi dell’esegesi esoterica dell’opera di Dante e dei Fedeli d’Amore.

Come si è accennato più sopra è 1’800 a segnare l’inizio di una Comprensione del messaggio esoterico e simbolista dell’opera dantesca. Questa interpretazione di Dante si è profondamente sviluppata a partire da quegli anni ed oggi sono certamente maturi i tempi perché finalmente si aprano gli occhi sul messaggio dantesco e sulla sua validità anche ai nostri giorni.

Perché il velo sembra sollevarsi dopo circa 7 secoli? I perché si possono ricondurre fondamentalmente a due motivi.

Uno è di tipo storico sociologico: sottrarre Dante e la Divina Commedia ad un ambito puramente letterario e cercare per esso una valenza di carattere teologico, orientata in chiave di riforma della Chiesa o addirittura eretico-gnostica, è un’operazione che poteva avvenire soltanto dopo le grandi rivoluzioni liberali del secolo scorso. Prima l’opposizione della Chiesa sarebbe stata determinante: valga per tutte la posizione del Bellarmino che rivendicò la Commedia all’ortodossia cattolica allorché i primi protestanti cercarono di impossessarsene.

Un secondo motivo è di carattere più esoterico-tradizionale e si ricollega ad una presunta profezia secondo cui la Commedia sarebbe stata compresa dopo sette secoli.

Il tema è molto ampio e ci riconduce da un lato al valore simbolico del 7 (numero di Dante come dice il Singleton, mentre ad esempio il 9 è il numero di Beatrice) e d’altro lato al concetto di ciclo e di fasi di evoluzione per il compimento di qualsiasi evoluzione simbolica (valga per tutti come esempio quello dei 6 giorni + 1 della Creazione).

Le due motivazioni sono alla base delle due correnti seguite dagli interpreti in chiave esoterico-simbolica di Dante e dei Fedeli d’Amore.

La prima vede in essi una setta politico-religiosa, mirata a combattere la Chiesa corrotta, in qualche modo legata al clima di eresie che infiammava l’Europa, per la quale il “gergo” era un modo di comunicare per sfuggire agli strali dell’inquisizione.

La seconda corrente, meno storicamente connotata, pur non ignorando gli aspetti di cui sopra, pone maggiormente  l’accento sulla natura esoterica ed iniziatica del gruppo dei Fedeli d’Amore, cui Dante appartenne, ma da cui in parte si staccò, perché i suoi orizzonti di conoscenza spirituale si allargavano, corrente che attribuisce il gergo segreto alla natura appunto iniziatica della setta dei Fe- deli d’Amore ed al percorso interiore che ciascun adepto doveva percorrere per pervenire a comprendere completamente la dottrina segreta.

Quest’ultima corrente interpretativa è certamente quella più feconda, perché ci permette di ritrovare le radici di quell’esoterismo cristiano che è andato perduto dopo il cristianesimo dei primi secoli, per motivi che sarebbe complesso analizzare.

Esoterismo cristiano che peraltro non andò completamente perduto nell’opera nascosta di molti filosofi e letterati, sempre osteggiato dalla Chiesa ufficiale, che permeò di sé anche il gruppo dei Fedeli d’Amore e del quale Dante, nella Divina Commedia, seppe fornire una summa che seppe raccogliere in sé anche gli echi degli altri esoterismi occidentali e non soltanto di quelli.

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