Maestro Venerabile, Fratelli Carissimi,
queste brevi note rappresentano il mio contributo scritto al lavoro di commissione voluto dal Maestro Venerabile sul tema in epigrafe.
L’ordine con il quale ho scritto il titolo non è casuale in quanto così e stato enunciato dal Maestro Venerabile e, a mio parere, solamente in quest’ordine può essere affrontato dal nostro (massonico) punto di vista.
Prima di entrare nel merito trascrivo possibili definizioni profane dei sostantivi in esame:
INIZIAZIONE: atto o serie di atti e cerimonie con cui si ammette, o si è ammessi, alla partecipazione a culti misterici e a far parte di un gruppo da cui sono esclusi i non iniziati.
ETICA: nel linguaggio filosofico, ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo. In senso ampio, complesso di norme e di costumi che identificano un preciso comportamento nella vita di relazione, con riferimento a particolari situazioni storico-culturali (etica greca, etica cristiana, ecc.). Innumerevoli le cosiddette etiche professionali.
(non richiesto, ma utile alla miglior comprensione del lavoro)
MORALE: relativo ai costumi, cioè del vivere pratico, in quanto comporta una scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili, ma alle quali compete o si attribuisce valore diverso o opposto (bene/male, giusto/ingiusto, bello/brutto, ecc.). Nell’uso comune di cosa che è conforme a una norma ritenuta universalmente valida o che non offende in un dato contesto storico e sociale.
COMPORTAMENTO: in generale, modo di comportarsi di una persona nei rapporti con l’ambiente e con le persone con cui è a contatto.
Noi consideriamo l’iniziazione il momento fondamentale o, perlomeno, uno dei momenti fondamentali della vita massonica (nascita alla …). Dato per scontato che siamo rinati a nuova vita, occorrono etica e comportamenti conseguenti. Allora, quale etica? Quella degli antichi doveri o dei (molti) Landmarks? Siamo in grado di definire in modo credibile l’etica massonica del nostro tempo? La mia opinione è la seguente.
La Massoneria, essendo aperta a tutti gli uomini del mondo, in tutti i tempi, non ha la pretesa di fondarsi su alcuna dottrina, né religiosa, né. filosofica, né politica; in essa non trovano posto dogmi o assiomi. Fa propri alcuni principi che orientano e regolano la propria vita e quella dei suoi componenti. Così è oggi come, sia pure in forme diverse, è stato nei tempi passati.
Il primo dei detti principi è il principio della TRASCENDENZA; la trascendenza rappresenta il fine supremo verso cui tende l’uomo (iniziato) nella realizzazione dei propri ideali. Essa orienta l’uomo nella ricerca del vero e genera il “quadro etico” entro cui può ricercare il giusto.
Il secondo di tali principi è I’AMORE verso i Fratelli e verso I ‘Umanità.
Il terzo principio è la TOLLERANZA, ovvero il rispetto per gli altri e le loro opinioni religiose o politiche che siano. È un abito mentale, una “forma mentis” che si accompagna a sentimento quale l’umiltà, senza che per questo vi siano cedimenti sul fronte delle proprie convinzioni, né abbandono della propria dignità.
Insieme suggeriscono disposizioni d’animo e comportamenti costantemente rivolti al bene, danno forma e contenuto al “quadro etico” e stabiliscono la misura dei diritti e dei doveri verso se stessi e verso gli altri. Ancora, insieme alla VOLONTÀ ed al DESIDERIO, costituiscono le condizioni dell’essere Massone.
In particolare:
- la Volontà è la facoltà che consente, in piena autonomia, di attuare i principi etici enunciati e di proseguire gli ideali e gli scopi della Massoneria;
- il Desiderio è una energia potenziale che può alimentare il motore della Volontà.
Dopo aver parlato (brevemente) di finalità e principi (etica), vale a questo punto una constatazione: allorché gli ideali accennati vengono definiti qualità dell’essere Massoni, implicitamente si riconosce che la loro acquisizione prima, e il loro rispetto poi, costituiscono la falsariga del comportamento che dobbiamo mantenere.
Ciò significa che un Massone deve essere virtuoso, equilibrato e libero.
Mi chiedo che cosa accadrebbe se alla virtù si sostituisse il vizio; se all’amore si sostituisse un agire insensato. E, infine potremmo sentirci soddisfatti se, dopo tanto parlare di giustizia e di libertà, le nostre azioni fossero scorrette e arbitrarie, se soggiacessimo ai pregiudizi o adeguassimo i nostri comportamenti all’arbitrio?
Voglio dire: quale Massoneria avremmo, e quale Massone, se i principi e gli ideali fossero accantonati o trascurati, o “soltanto enunciati”, ma non praticati, ed in loro vece fossero adottati principi ed ideali diversi o addirittura opposti?
Quest’ultima affermazione, in particolare per quel “soltanto enunciati” riferito ai principi ed agli ideali, suggerisce la seguente considerazione: conoscere tutto sui principi della Massoneria è un fatto di per se apprezzabile e meritorio, ma occorre saperli mettere in pratica. La differenza non è di poco conto, è la differenza che c’è tra il dire e il fare, tra il disquisire e il praticare, tra il conoscere un meccanismo ed il farlo funzionare a dovere, tra il proporsi di agire ed agire effettivamente.
E interessante a tal proposito leggere il seguente apprezzamento di Seneca (cfr. De vita beata):
Seneca diceva al suo interlocutore e fratello Gallione: “qualcuno che abbaia contro la filosofia -forse tu stesso Gallione, fratello mio – dirà come al solito: tu dici che la virtù sia sufficiente a rendere felice la vita. Allora perché non vivi coraggiosamente come insegni? Perché abbassi la voce difronte al più potente e tieni tanto al denaro e ti incupisci per una perdita? Perché non magi secondo le regole che predichi? Perché hai mobili tanto eleganti? Perché alla tua tavola si beve un vino più vecchio di te e la tua casa è così lussuosa? Perché in casa tua è arte imbandire la mensa e l’argenteria non è disposta a caso, ma è usata per servire con grande cura, sotto la guida di un cerimoniere preposto a dividere le vivande? Perché, Seneca, tu parli in un modo e ti comporti in un altro?
Questo rimprovero, Gallione, fu già rivolto a Platone, a Epicuro, a Zenone perché tutti costoro proponevano a modello non come essi vivevano, ma come avrebbero dovuto vivere.
Parlo della virtù, non di me, e quando mi scaglio contro i vizi comincio dai miei, appena mi sarà possibile vivrò come dovrei.
Io non sono un saggio, Gallione, e, per compiacere la tua malevolenza, aggiungo: non lo sarò mai.
Non chiedermi, dunque, di essere a livello dei migliori, ma soltanto di essere migliore dei malvagi. A me basta togliere ogni giorno qualcuno dei miei difetti ed emendarmi dei miei errori’.
Con il triplice fraterno abbraccio.
TAVOLA DEL FR.’. S. Pnt