LE NOZZE CHIMICHE DI CHRISTIAN ROSEKREUK – PRIMO GIORNO

Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuz

Anno 1459

PRIMO GIORNO

    Una sera, prima della Pasqua, ero seduto al mio tavolo secondo la mia abitudine, mi intrattenevo lungamente col mio Creatore in umile preghiera. Meditavo i grandi segreti che il Padre della Luce, nella sua Maestà, mi aveva lasciato contemplare in gran numero. Mentre volevo preparare nel mio cuore un pane azzimo senza macchia, con l’aiuto del mio amato Agnello pasquale, all’improvviso si levò un vento così terribile che non potei far a meno di pensare che la montagna nella quale era scavata la mia dimora sarebbe crollata a causa della sua grande violenza. Poiché non mi sorprendevo di questo o di cose simili, che venivano di solito dal diavolo (il quale mi aveva procurato molta sofferenza) mi feci animo e continuai nella mia meditazione, finché qualcuno mi toccò, inaspettato, sulla spalla, e fui tanto spaventato da questo che quasi non potei girarmi, sebbene allo stesso tempo restassi così tranquillo come la debolezza umana può permettere in tali circostanze. E poiché mi venne tirato parecchie volte il vestito, voltai infine lo sguardo e lì v’era una donna di splendente bellezza, dal vestito azzurro e graziosamente disseminato di stelle d’oro, come il cielo. Nella mano sinistra portava una tromba, tutta d’oro, sulla quale era inciso un nome, che potei leggere chiaramente, ma che in seguito mi fu vietato di svelare. Nella mano destra portava un grande fascio di lettere, in varie lingue, che lei (come ho saputo dopo) doveva portare in ogni Paese del mondo. Aveva anche delle ali grandi e belle, tutte piene di occhi, con le quali poteva prendere il volo e volare più velocemente di un’aquila.

    Avrei potuto forse notare qualcos’altro di lei, ma siccome rimase così poco con me e mi causò tanto spavento e tanta meraviglia, non posso dirne di più, eccetto che, quando mi voltai, frugò tra le sue missive, e tirò fuori finalmente una letterina, che mise sul tavolo con grande reverenza e, senza neanche una parola, se ne andò. Nel prendere il volo soffiò però con tanta forza nella sua tromba, che tutta la montagna ne risonò, e per quasi un quarto d’ora non riuscii a sentire più nemmeno la mia voce. In un’avventura così inaspettata, io, povero me, non sapevo consigliarmi nè aiutarmi: perciò caddi sulle ginocchia e pregai il mio Creatore perché non mi lasciasse accadere nulla contro la mia salvezza eterna. Poi presi, spaventato e tremante, la lettera, la quale era così pesante che, anche se fosse stata di oro puro, non avrebbe potuto esserlo di più. Mentre l’esaminavo con attenzione, vidi un piccolo sigillo col quale era chiusa. Su questo era incisa una croce sottile con l’iscrizione: “In hoc signo vinces”. Dal momento che trovai questo segno fui più rassicurato, perché sapevo che un tale segno non piace al diavolo, e ancora meno viene usato da lui. Perciò aprii con cura la lettera: dentro trovai, scritti su fondo blu con lettere d’oro, i versi seguenti:

    “Oggi, oggi, oggi,

    Sono le nozze del re.

    Se tu sei nato per questo,

    Eletto da Dio per la gioia,

    Puoi andare sulla montagna,

    Dove sono tre templi,

    Ad assistere agli avvenimenti.

    Stai attento,

    Guarda te stesso,

    Se tu non ti purifichi con cura,

    Le nozze possono farti male.

    Colui che è contaminato è in pericolo,

    Colui che pesa troppo poco, che si guardi!”

    Sotto era scritto: Sponsus et Sponsa.

    Quando lessi questa lettera, quasi persi i sensi, tutti i capelli mi si rizzarono sulla testa e un sudore freddo mi corse su tutto il corpo, perché, anche se mi ero accorto che queste erano le stesse nozze che mi erano state annunciate sette anni prima da un viso umano, e che aspettavo con grande desiderio da tanto tempo e che avevo trovato finalmente dopo calcoli rigorosi delle mie tavole dei pianeti, non avrei mai previsto che sarebbero avvenute in condizioni così dure e pericolose.

    Prima, avevo pensato che avrei dovuto solo presentarmi alle nozze, che sarei stato un ospite caro e benvenuto. Ma ora che tutto dipendeva dalla Grazia di Dio, della quale non ero sicuro neanche adesso, quanto più mi pesavo, tanto più trovavo che nella mia testa non c’era niente altro che una grande mancanza di comprensione ed una cecità delle cose segrete: a tal punto che non sapevo neppure comprendere quello che stava sotto i miei piedi e le cose con le quali vivevo ogni giorno, e tanto meno ritenevo di essere nato per la ricerca e la conoscenza dei segreti della Natura. Secondo la mia opinione, infatti, la Natura avrebbe potuto trovare un discepolo molto più virtuoso al quale affidare il suo tesoro, sia pur temporaneo e passeggero. Trovavo anche che il mio corpo e il mio comportamento (sia pure esternamente buono) e il mio amore verso il prossimo non erano ben purificati e puliti. Così pure si manifestava ancora il pungolo della carne, ed i sensi trovavano il loro piacere nelle apparenze magnifiche e nella pompa del mondo, e non nel far del bene al prossimo; pensavo sempre a come avrei potuto agire per il mio profitto attraverso la mia arte, costruire palazzi splendidi, farmi un nome eterno nel mondo ed altri simili pensieri carnali.

    Tuttavia, erano le parole oscure circa i tre templi, che non riuscivo a risolvere con nessuna meditazione, che mi preoccupavano particolarmente. Non sapevo forse neanche ancora quando tutto questo mi sarebbe stato meravigliosamente svelato. Trovandomi in tale spavento e speranza, andavo su e giù: mi trovavo però sempre solo con la mia debolezza e incapacità e allora non potevo aiutarmi in nessun modo, e mi spaventavo moltissimo davanti a questo preannunciato matrimonio. Quindi ripresi finalmente la mia vita abituale e la più sicura: mi misi a letto dopo aver finito una preghiera devota e fervente, in attesa che il mio buon angelo apparisse per divino destino (come già era successo parecchie volte) per comunicarmi che cosa, in quest’affare disperato, poteva succedermi per la gloria di Dio, per il mio bene e per il miglioramento e l’ammonizione cordiali del mio prossimo.

    Appena addormentato, mì sembrò di essere in una torre scura con un’infinità di altre persone, legate con catene, e tutti eravamo senza nessuna luce o chiarore e brulicavamo l’uno sopra l’altro come le formiche, e l’uno rendeva più pesante all’altro la sua miseria. Benché né io né nessuno fra noi vedesse niente, sentivo sempre l’uno alzarsi sopra gli altri nel momento in cui la sua catena o il suo peso diventavano anche soltanto leggermente meno pesanti, senza accorgersi che nessuno aveva molto vantaggio sugli altri, perché eravamo evidentemente tutti insieme poveri e del tutto ignoranti. Dopo essere rimasto insieme con gli altri per un bel po’ di tempo, sentendo ciascuno dare del cieco e dell’impedito all’altro, sentimmo finalmente suonare molte trombe e anche il tamburo di guerra, con tanta arte che ci sentivamo, malgrado tutto, ravvivati in fondo alla spina dorsale e rallegrati. Con questo suono venne tolta inoltre la chiusura della torre, e un po’ di luce arrivò sino a noi. Per la prima volta, potevamo vedere come eravamo in basso e come tutto era una gran confusione: e quello cui sembrava di essersi innalzato, si accorgeva invece di trovarsi tra i piedi degli altri. Ciascuno ora voleva essere il più alto, e così anche io non rimasi indietro e, malgrado le mie pesanti catene, mi spinsi avanti tra gli altri e mi alzai su una pietra che avevo scoperto. Benché parecchie volte fossi investito da altri, difesi la mia posizione il meglio possibile con le mani e i piedi. Eravamo ormai certi che saremmo stati tutti liberati: ma quel che successe fu diverso da quel che ci attendevamo. Dopo che i Signori dall’alto ci ebbero osservati guardando in giù attraverso l’apertura nella torre, divertendosi non poco al nostro dibatterci e piagnucolare, un vecchio grigio come ghiaccio ci disse di fermarci, e quando questo avvenne, incominciò a parlare, per quanto posso rammentarmi, come segue:

    “Se le aspirazioni della povera razza umana,

    Non fossero così presuntuose

    Quanto di buono le sarebbe dato

    Da una madre buona;

    Ma poiché non vuole obbedire,

    Rimane con tante preoccupazioni,

    E dev’essere imprigionata.

    La mia cara madre, comunque,

    Non vuole tener conto della sua disobbedienza,

    E lascia apparire i suoi preziosi beni

    Benché raramente,

    Di modo che valgano qualcosa:

    Altrimenti verrebbero considerati cose inventate.

    Perciò, in onore della festa

    Che noi oggi festeggiamo,

    Perché la sua grazia venga aumentata,

    Vuole fare un’opera buona.

    La corda verrà ora lasciata cadere:

    Colui che vi si attacca,

    Sarà liberato”.

    Non appena ebbe parlato così una vecchia donna ordinò ai servitori di lasciar cadere sette volte la corda nella torre, e di tirar su quelli che vi si sarebbero attaccati. Oh! Dio volesse che sapessi descrivere quale agitazione ci prese, perché tutti volevano afferrare la corda, e in tal modo ci ostacolavamo soltanto gli uni con gli altri. Dopo sette minuti fu dato un segno con una piccola campanella. A questo punto, i servitori tirarono su per la prima volta quattro fra di noi, e quella volta non potei assolutamente raggiungere la corda, siccome, come ho già raccontato, ero andato per mia grande sfortuna su una pietra vicina alla parete della torre, e perciò non potevo arrivare alla corda che pendeva giù nel mezzo. La corda fu lasciata cadere un’altra volta. Ma poiché per molti le catene erano troppo pesanti e le mani troppo deboli, non solo non riuscirono a reggersi ad essa, ma buttarono giù con loro molti che avrebbero potuto forse restarvi afferrati. Sì, parecchi furono anche tirati giù da qualcuno che non riusciva ad arrivarci egli stesso: così, nella nostra grande miseria, ci invidiavamo sempre. Mi spiaceva di più, però, per quelli che avevano un peso tanto pesante che le mani stesse venivano loro strappate dal corpo e non potevano neanche uscir fuori. Così, dopo cinque volte, furono sollevati pochissimi di noi, perché subito dopo il segno i servitori erano tanto veloci nel tirar su la corda che per la maggior parte capitombolavano l’uno sopra l’altro; e la quinta volta la corda fu tirata su anche senza nessuno attaccato. Perciò la maggior parte, me compreso, rinunciavamo già alla nostra liberazione e chiamavamo Dio, che volesse aver pietà di noi e, se fosse possibile, liberarci da questa oscurità, ed Egli ascoltò parecchi di noi. Quando la corda venne giù per la sesta volta, molti si aggrapparono saldamente.

    Siccome la corda dondolava da un lato all’altro nel tirarla su, arrivò, certo per volontà di Dio, anche a me, e io l’afferrai subito, stando sopra tutti gli altri e, contrariamente ad ogni speranza, venni finalmente fuori, cosa che mi diede tanta gioia da non farmi sentire la ferita nella testa, che ricevetti da una pietra appuntita nel tirarmi su, se non dopo aver dovuto aiutare, con altri liberati, il settimo ed ultimo tiro. Il sangue infatti mi corse su tutto il vestito a causa del lavoro, cosa alla quale non avevo fatto attenzione prima per via della mia gioia. Quando fu compiuto anche l’ultimo tiro, nel quale si era attaccato alla corda il maggior numero di prigionieri, la donna fece mettere via la corda e il suo vecchissimo figlio (cosa che mi faceva molta meraviglia) annunciò agli altri prigionieri il suo ordine, e disse, dopo un momento di riflessione, quanto segue:

    “Cari figli

    Che state quaggiù,

    È finito

    Quello che era previsto da tanto tempo,

    Quello che è stato accordato ai vostri fratelli

    Per la grazia di mia madre.

    Non dovete nutrire invidia:

    Tempi di gioia presto arriveranno.

    Allora l’uno sarà uguale all’altro,

    Nessuno sarà ricco o povero;

    Colui al quale è domandato molto

    Deve anche rendere molto,

    Colui al quale è stato affidato molto,

    Deve stare attento alla sua vita.

    Perciò cessate il vostro lamento:

    E’ poco aspettare qualche giorno”.

    Appena ebbe finito di dire queste parole, il coperchio fu chiuso di nuovo e assicurato, e il suono delle trombe e dei tamburi di guerra si levò ancora. Ma per quanto forte fosse quel suono, si sentiva sempre il lamento amaro degli incarcerati, che veniva dalla torre, e che mi fece scorrere le lacrime dagli occhi. Poi la vecchia si sedette con suo figlio su un seggio già preparato e diede l’ordine di contare coloro che erano stati liberati. Quando ne apprese il numero, e dopo averlo scritto su una tavoletta d’oro, chiese ad ognuno il suo nome, che veniva registrato da un paggio. Dopo che ci ebbe guardati tutti, l’uno dopo l’altro, sospirò e disse a suo figlio, in modo che io lo sentissi: “Oh! che grande pena mi fanno quelli nella torre! Dio volesse che potessi liberarli tutti”. A questo il figlio rispose: “Madre, così è stato ordinato da Dio, non dobbiamo opporci a questo; se fossimo tutti signori e possessori dei beni della terra, quando siamo a tavola, chi ci porterebbe da mangiare?”. A questo la madre non replicò altro. Ma ben presto disse: “Adesso, liberate costoro dalle loro catene”. Questo fu subito fatto ed io fui quasi l’ultimo. Allora, sebbene mi fossi regolato dapprima sempre secondo gli altri, mi inchinai davanti alla vecchia e ringraziai Dio, che attraverso di lei mi aveva portato, in modo clemente e paterno, dal buio alla luce; altri fecero poi lo stesso e si inchinarono davanti alla donna. Infine fu donata a tutti una medaglia in ricordo. Da una parte era inciso il Sole nascente e dall’altra, per quanto rammento, le tre lettere D.L.S. [Deus Lux Solis; Deo Laus Semper (Dio luce del Sole: Sempre lode a Dio)]. Poi venne dato a tutti il permesso di andare ed ognuno fu mandato ai suoi affari, con la raccomandazione di vivere lodando Dio e al servizio del nostro prossimo, e mantenere il silenzio su quello che ci era stato affidato, cosa che promettemmo tutti di fare prima di dividerci. lo non potevo camminare facilmente, ma zoppicavo con tutti e due i piedi, cosa di cui la vecchia si accorse, ne rise, mi chiamò ancora una volta a lei e mi disse: “Figlio mio, non lasciarti affliggere da questa infermità, ma ricordati delle tue debolezze e ringrazia Dio che ti ha fatto arrivare fino a questa alta luce, già in questo mondo e nella tua imperfezione, e sopporta queste ferite in ricordo di me”.

    A questo punto si alzò ancora una volta il suono delle trombe, cosa che mi spaventò in modo tale che mi svegliai e mi accorsi soltanto allora che era stato un sogno. Ma ero rimasto così fortemente impressionato che ero sempre preoccupato a causa del sogno, e mi sembrava di sentire ancora le ferite ai piedi. Da tutto ciò, capivo, che mi era concesso da Dio di assistere a queste nozze segrete e velate, e per questo ringraziai la Sua Divina Maestà, e la pregai con fede filiale che mi volesse tenere sempre nel suo timore e riempire ogni giorno il cuore di saggezza e di comprensione, e infine di portarmi per mezzo della Sua grazia allo scopo desiderato, anche se non lo meritavo. Dopo di questo, mi preparai al viaggio, indossai il mio vestito bianco, mi fasciai con un nastro rosso come il sangue, legato in forma di croce sulle spalle e intorno ai fianchi. Infilai quattro rose nel cappello: sperando che tutti questi segni mi facessero notare più facilmente nella folla. Come cibo presi del pane, del sale e dell’acqua, cose che mi erano state consigliate da un Saggio, e che avevo trovato molto utili a suo tempo in diversi casi. Prima di lasciare la mia casa, mi misi in ginocchio con il vestito di nozze e pregai Dio che, qualsiasi cosa avvenisse, mi conducesse a un buon fine, e giurai davanti a Dio che se mi avesse svelato nella Sua clemenza qualcosa, io non l’avrei usata per avere onore e considerazione mondana, ma per far rispettare il Suo nome, e al servizio dei miei fratelli umani. E con questo voto, con la speranza e la gioia, lasciai la mia cella.

ti.

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