Giuseppe Garibaldi, massone risorgimentale
Autore: Paolo
Agostini and Antonio Maiorana
Negli
oltre 2000 anni di storia che l’Italia ha attraversato dai ad
oggi, ci sono stati numerosi eventi e tantissimi personaggi
che per vari motivi hanno significato e rappresentato momenti
importanti nella vita italiana, qualche volta in positivo e
altre volte in negativo.
Sappiamo
ad esempio che dopo la grandezza e la fastosità di Roma e
dell’Impero Romano, è seguito un periodo di decandenza e di
degrado del nostro paese durato quasi 20 secoli che si è
concluso nel 19esimo secolo, ovvero nel 1800.
Il
merito di questa “liberazione” è da attribuire in massima
parte a Giuseppe Garibaldi che secondo gli storici è stato
senza dubbio il personaggio più importante del Risorgimento
Italiano, o quantomeno uno dei personaggi più importanti e più
determinanti di quel periodo storico e universalmente
riconosciuto come uno degli artefici del processo di
unificazione dell’Italia.
La
maggior parte di Noi che siamo nati in Italia ed abbiamo
frequentato le scuole nel nostro paese, abbiamo sentito
parlare di Lui e delle sue gesta sui banchi di scuola; abbiamo
studiato la sua vita, commemorato le sue battaglie e osannato
le sue vittorie.
Per
tutti gli altri, invece, Garibaldi è solo uno dei tanti eroi
del passato vissuto nel secolo scorso: ma non è
così.
Fiumi
d’inchiostro sono stati versati sui libri di testo per
descriverci le gesta “dell’eroe dei due mondi” a tutti i
livelli, da quello elementare fino a quello universitario.
Del
Garibaldi Generale, Condottiero e Politico quindi sappiamo
tutto o quasi tutto: mentre del Garibaldi Massone e Gran
Maestro della Loggia Massonica Italiana invece, sappiamo poco
o niente.
Debbo
confessarVi che anch’io, fino a poco tempo fa, ignoravo che
Egli avesse fatto parte della Massoneria, così come tanti
altri personaggi importanti di quel particolare periodo
storico; personaggi come Aurelio Saffi, Maroncelli, Manin e
finanche Giuseppe Mazzini, tanto per citarne qualcuno.
Fratelli,
è incredibile a dirsi ma è vero: in tutti i libri e le
pubblicazioni che ho consultato per completare questa mia
ricerca ( e non sono stati certo pochi ) non ho trovato alcun
cenno, alcun riferimento neanche velato, al fatto che
Garibaldi fosse stato Massone e Gran Maestro della Massoneria
in Italia.
Quest’atto
di censura contro la Massoneria messo in atto non solo dagli
storici di quel tempo, ma anche da quelli contemporanei, non
ha nessuna giustificazione logica nessuna ragione politica
nessuna motivazione storica e la dice lunga sulla campagna
diffamatoria e antimassonica in atto in Italia.
Ma
ritornando a questa mia ricerca, con essa cercherò di
evidenziare, specialmente per i Fratelli più giovani nati in
questo paese, chi era Giuseppe Garibaldi e che cosa ha
significato per l’Italia, in modo semplice e comprensibile;
spero di riuscire in questa impresa.
Questa
mia ricerca si divide in due direzioni ben distinte tra loro,
così come fu la vita di questo grande personaggio:
da una
parte il Garibaldi soldato, generale, eroe risorgimentale
universalmente riconosciuto ed osannato;
dall’altra,
il Garibaldi massone, che in questa sua veste è stato ed è
tuttora ignorato dalle masse, avversato dagli storici e dai
politici e snobbato perfino dagli stessi Fratelli
Massoni.
Ma chi
era veramente Giuseppe Garibaldi ?
Cercherò
di rispondere a questo interrogativo senza dilungarmi oltre il
consentito in pesanti ricognizioni e riferimenti storici sul
passato nel quale Garibaldi operò. Riferimenti, che
appesentirebbero questo mio scritto con tutto un elenco di
date, di località e di nomi di personaggi, in gran parte
sconosciuti ai più.
Tuttavia,
per inquadrare il personaggio e per capire meglio le
motivazioni che portarono Garibaldi a diventare il paladino di
un popolo, è però necessario illustrare il contesto sociale e
politico del periodo storico in cui tutto ciò
accadde.
Ci
troviamo nella prima metà del 1800 in pieno Risorgimento e con
il termine Risorgimento si è soliti denominare quel
particolare periodo di storia italiana nel quale si crearono
le condizioni nazionali ed internazionali per la nascita, lo
sviluppo e l’affermazione di un movimento politico-popolare
finalizzato alla realizzazione di uno stato indipendente ed
unitario.
Importanti
trasformazioni nel resto dell’Europa, ma specialmente in
Francia, con l’avvento al potere della borghesia dopo la
rivoluzione francese e la radicale trasformazione dei rapporti
di produzione in Inghilterra, modificarono il quadro di tutta
la storia del tempo e influirono in maniera determinante
sull’arretrata realtà italiana di quegli anni.
Tanto
per fare un quadro riassuntivo di come era configurata
l’Italia in quel periodo storico possiamo dire che essa era
così suddivisa:
al nord,
il Piemonte sotto la supremazia francese; il Friuli e parte
della Lombardia sotto l’Austria; il Granducato di Milano e le
repubbliche di Genova e Venezia autonome; al centro, lo stato
Pontificio, il Granducato di Toscana e il Granducato di
Modena; mentre al sud, il regno di Napoli, il Regno delle due
Sicilie, e il Regno di Sardegna.
I
momenti più significativi del Risorgimento Italiano si possono
identificare con le 3 Guerre d’Indipendenza contro l’Austria:
la prima avviene negli anni 1848 -1849; la seconda nel 1859 e
la terza e definitiva guerra nel 1866, che vede l’Italia in
parte vittoriosa e l’Austria in parte sconfitta, ma
decisamente ridimensionata nelle sue ambizioni
territoriali.
Questo
il quadro poltico economico e sociale dell’Italia nel secolo
19esimo e in questo contesto nasce cresce e si fa largo un
personaggio nuovo:
Giuseppe
Garibaldi
Le sue
origini sono abbastanza umili. Egli nacque a Nizza, nel
territorio della Savoia, ora francese, ma all’epoca territorio
italiano, il 4 Luglio del 1807.
Il padre
Domenico possedeva una piccola barca con la quale praticava il
cabotaggio, ovvero il trasporto di merci lungo le coste
dell’Italia e nel bacino del Mediterraneo.
Egli
avrebbe voluto che Giuseppe, il secondo dei suoi due figli,
facesse un mestiere diverso dal suo; magari quello di
avvocato, oppure di medico o finanche prete, tutto purchè
svolgesse un lavoro meno duro e massacrante di quello
marinaro.
Sfortunatamente
per lui, Giuseppe amava poco gli studi mentre amava il mare e
l’avventura e le ambizioni del padre svanirono di fronte
all’accanimento del figlio per la vita all’aria aperta, il
mare e l’avventura.
Tant’era
la sua determinazione che vedendosi contrastato dal padre in
questa sua vocazione, solo 13enne tentò di fuggire per mare
verso Genova ma venne fermato e ricondotto a casa.
A 25
anni divenne capitano di una piccola nave mercantile e durante
uno dei suoi tanti viaggi verso l’oriente incontrò casualmente
un genovese, un certo GianBattista Cuneo, che pare lo iniziò
alla Giovane Italia, un movimento clandestino che tentava di
liberare l’Italia dagli oppressori.
Decisivo
per Garibaldi fu l’incontro con Giuseppe Mazzini nel luglio
del 1833.
Rimase
colpito dagli ideali di libertà e di ribellione di quel
piccolo gruppo di uomini che all’epoca era considerato
“sovversivo” e quindi fuorilegge, ideali che Garibaldi in cuor
suo condivideva pienamente.
Dopo
aver aderito alla carboneria e militato in essa al fianco di
Mazzini per qualche tempo, Garibaldi venne condannato a morte
come rivoluzionario nel 1834 e per sfuggire alla forca fuggì
in America Latina dove rimase per 12 anni.
Quei 12
anni di vita americana furono il suo tirocinio come uomo
d’azione e quì si distinse per valore e capacità di
condottiero.
Incontrò
Anita, una bella e avvenente brasiliana che per amore suo
lasciò il marito seguendolo nelle sue imprese militari,
diventando successivamente sua moglie e regalandogli 2
figli.
Mentre
Garibaldi si trovava ancora in America, giungevano intanto
dall’Italia notizie di tumulti e agitazioni patriottiche
cominciate a Roma dopo l’ascensione di Pio 9 al trono
papale.
Per un
cumulo di sventure che durava da secoli, l’Italia era la
nazione più avvilita e disprezzata che vi fosse in Europa; il
destino le invia Garibaldi non soltanto il suo liberatore, ma
la prima ideale figura di uomo e di eroe.
E nessun
eroe fu più moderno di lui poichè egli sapeva obbedire quanto
comandare.
Garibaldi
servì Re e repubbliche comandando eserciti in battaglie
cruente e sanguinose; eppure questo campione di tutte le cause
giuste fu più ammirato che compreso, più acclamato e
festeggiato, che aiutato nel compimento dei suoi grandi
disegni sociali e ideali di riforma.
Partecipò
con successo alla battaglia per la difesa di Roma dalle truppe
francesi nel 1848 e per la prima volta si ritirò nell’isola di
Caprera nel 1857.
Pur
relegato volontariamente nella piccola isola, Garibaldi non
perse mai l’interesse per la politica nazionale.
Successivamente
si avvicinò alla monarchia sabauda incontrando Vittorio
Emanuele e Cavour prendendo sempre più le distanza da
Mazzini.
Il
concetto dell’unità Italiana, fino a quel momento era stato
una dolce e poetica astrazione di menti elette come Dante
Alighieri, Francesco Petrarca e Niccolò Macchiavelli, senza
mai divenire però coscienza di popolo.
In quel
tempo, oltre a Garibaldi ci furono anche altri uomini, egregi
nel pensiero e nell’azione, che si stavano impegnando nella
stessa battaglia; tuttavia essi agivano localmente e
separatamente l’uno dall’altro, senza interessarsi minimamente
di quanto accadeva in altre zone d’Italia.
Fuochi
sparsi, quindi, fuochi di paglia, destinati a esaurirsi in
breve tempo senza lasciare traccia se non nella cronaca del
tempo
Poi ci
fu la svolta determinante: lo sbarco in Sicilia dei Mille
capitanati da Giuseppe Garibaldi.
Partiti
con due navi dallo scoglio di Quarto, una località vicino a
Genova nel 1860, fu questo manipolo di volontari, appunto
1000, ad aprire la strada verso l’unità nazionale
dell’Italia.
Al grido
di: «quì si fa l’Italia o si muore», Garibaldi guidò le sue
camice rosse di battaglia in battaglia fino alla vittoria e
alla conquista prima della Sicilia, e poi alla liberazione
dell’intera Italia del sud.
Il 26
ottobre del 1861 avvenne lo storico incontro a Teano tra
Garibaldi e Vittorio Emanuele:
«Saluto
in Vittorio Emanuele il primo Re d’Italia» con queste parole
Garibaldi di fatto consegnò al Re piemontese tutta l’Italia
meridionale.
Visto
l’entusiamo e la popolarità che la sua persona scatenava nelle
folle deliranti per le sue imprese, Garibaldi avrebbe potuto
approfittare di questa sua posizione per ottenere privilegi
personali, onori e denaro per se e per i suoi figli.
Ma egli
non volle alcun favoritismo nè alcun
riconoscimento.
Si
ritirò invece con un sacco di sementi e pochi soldi nella sua
amata Caprera dove rimase per la vecchiaia e dove morì il 2
giugno del 1882.
Una
delle caratteristiche del pensiero e della propaganda di
Garibaldi fu la sua ostilità verso il clero, che indicò come
il principale fattore di corruzione del popolo italiano ed il
papato la rovina dell’Italia.
Anche su
questo terreno, però, egli era incapace di qualsiasi azione
violenta per la fondamentale bontà d’animo; riconosceva che
non tutti i preti erano uguali ed esaltava quelli attenti al
bene comune.
Vagheggiava
una religione senza dogmi e senza culto, con Dio al di sopra
di tutto e una legge morale con l’amore per l’uomo e la natura
quali concetti fondamentali per una vita felice.
Fu Gran
Maestro della Massoneria Italiana nel 1864 anche se la sua
reggenza durò pochissimo a seguito di disaccordi con gli altri
Fratelli, che gli fecero rassegnare le dimissioni dalla
carica, e Gran Maestro Onorario “ad vitam”.
Non sono
ben chiari i motivi che portarono Garibaldi a rassegnare le
dimissioni da Gran Maestro della Massoneria Italiana, nè
possiamo in questa sede azzardare ipotesi che potrebbero non
corrispondere alla realtà dei fatti.
Sta di
fatto che qualunque siano stati i motivi del dissidio tra
l’Eroe e gli appartenenti al “parlamento” massonico del tempo,
essi divennero insanabili.
Negli
anni che seguirono la morte di Garibaldi, ci furono tante
occasioni per ricordare la figura dell’eroe; ma tracciare il
suo profilo storico avrebbe comportato inevitabilmente di
definire e chiarire la parte avuta nella vita dell’Ordine
dalla sua tormentata ricostituzione fino al momento delle
dimissioni volontarie di Garibaldi da Gran Maestro.
I vari
Gran Maestri che si susseguirono nel tempo cercarono in tutti
i modi di evitare pericolose prese di posizione utilizzando il
solo rimedio possibile: l’oblio.
Garibaldi
non è mai stato visto di buon occhio dai Fratelli Massoni del
suo tempo: i motivi di questa diffidenza vanno ricercati nelle
motivazioni storiche di quel tempo.
Infatti,
all’epoca in cui Garibaldi venne eletto Gran Maestro nel 1864,
Massoneria e Politica camminavano di pari passo. Il presidente
del Consiglio Francesco Crispi si vociferava fosse Massone,
così come numerosi altri politici e parlamentari dello stesso
periodo.
Tutti
noi sappiamo che politica e Massoneria non possono nè
convivere nè conciliarsi tra loro nè tantomeno percorrere
strade parallele se non in difesa di diritti etici e morali
dell’uomo, come avvenne con l’Illuminismo che condusse alla
rivoluzione francese.
Giuseppe
Garibaldi fa eccezione in questo: eletto la prima volta al
parlamento piemontese nel 1848 rimase parlamentare fino al
1876 per ritirarsi definitivamente a Caprera dove
morì.
Egli
utilizzò il parlamento della nuova e giovane Italia non per
soddisfare ambizioni personali o per illeciti arricchimenti
come fu per altri parlamentari, ma come cassa di risonanza per
la divulgazione delle proprie idee.
Egli si
impegnò con generosità in battaglie sociali a favore delle
classi povere e di quella parte della società meno
previlegiata, soprattutto per le popolazioni del Sud
dell’Italia a lui tanto care.
Avversava
sia i preti che la chiesa romana (e con ragione: non dobbiamo
dimenticare che fino al 1870 il potere temporale dei Papi
aveva influenzato in negativo la storia e lo sviluppo
dell’Italia e del popolo italiano), mentre certe sue
affermazioni ce lo dipingono come credente:
«Semplice
bella e sublime è la religione del vero; essa è la religione
di Cristo poichè tutta la religione di Cristo si poggia
sull’eterna verità. L’uomo nasce uguale all’uomo.
Quindi
non fate ad altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi e
solo chi non ha mai fallito può gettare la prima pietra
»
Questo
brano tratto dal suo testamento autografo è un chiaro simbolo
di fratellanza e di perdono; dottrine che se praticate dagli
uomini costituirebbero a suo modo di vedere, quel grado di
perfezione e di prosperità al quale l’uomo dovrebbe
arrivare.
Garibaldi
fu un vero Massone, interprete cioè della coscienza
dell’umanità.
“I
benefattori dell’umanità non nascono in tempi felici, nè la
loro infazia è cullata sulle ginocchia dei grandi e dei
potenti.
Cristo,
il Redentore, nasce fra un popolo schiavo sulle tracce della
Roma imperiale dei Cesari, oppresso da falsi sacerdoti, scribi
e farisei e la sua parola diventa promessa di redenzione per
tutte le genti”.
Nelle
sue memorie autografe, cioè scritte di suo pugno, abbondano le
prove di privazioni e fatiche da Lui sopportate che avrebbero
ucciso qualunque altro uomo non dotato di altrettanta
eccezionale vigoria fisica e morale.
Quando
si trattò di giudicare un suo persecutore, invece di rivalersi
sul rivale e accanirsi contro di Lui per i tormenti subiti,
egli lo mandò libero.
«Non
voglio neppure vederlo – disse – avrei paura che la sua
presenza, ricordandomi tutto il peso delle sofferenze subite a
causa sua, mi facesse commettere un’azione indegna di me e del
mio nome italiano»
L’intima
costituzione psicologica di un uomo è come un brillante
sfaccettato, che non si può ben conoscere se non lo si osserva
prima da ogni lato singolarmente, per raccogliere poi nella
mente la sua immagine complessiva.
Un’altro
dei fattori importanti della figura di Garibaldi, fu una
specie di misticismo naturale, una tendenza alla meditazione
continua, che pur senza le manifestazioni esteriori di questo
o quel culto religioso, si espande libera per tutta la natura
vivente e circonda gli uomini e le cose di una dolce aureola
di poesia e di idealismo, fecondo di energie
morali.
Afferma
l’eroe: «Adottai la formula religiosa e Dio, perchè è la più
comprensibile per le masse. Ma i veri sacerdoti, per me sono i
Copernico, i Newton, i Franklin ed i Galileo, poichè sono sono
gli uomini di genio e di intelligenza i veri preti
dell’umanità ».
Garibaldi
fu un guerriero vero che non amava la guerra e ricorreva alle
armi come estrema risorsa, come il chirurgo che incide le
membra per salvare la vita del malato.
Non era
entrato in nessuna scuola e non si chiuse mai in una sola
politica: sapeva che la guerra è necessità della morte, quindi
vi serviva per gli altri e ne usciva senza aver odiato il
nemico, non chiedendo al vincitore che la libertà del
vinto.
«Venite
– egli diceva ai suoi volontari – o generosi cui da ribrezzo
l’oppressione del giogo della servitù. Venite, io non posso
offrirvi nè caserme nè munizioni: vi offro fame, freddo, sole,
battaglie e morte. Chi ama la Patria mi segua» e migliaia di
giovani e meno giovani lo seguivano.
E se
queste parole squillavano formidabili ai nemici, se
sconvolgevano l’Italia come una tempesta, se mettevano fiamme
nelle vene dei prodi, ciò accadeva perchè brillava in esse la
più santa luce del sincero altruismo, perchè l’uomo che così
parlava era l’incarnazione di un’epoca, di un intero popolo,
che si ribellava ai ceppi dell’oppressore straniero e voleva
risorgere nella sublime Pasqua della Libertà.
Garibaldi
era notoriamente povero: visse tutta la sua vita rifuggendo il
denaro e gli onori per morire umilmente e dignitosamente
povero.
Questa è
stata la sua grande forza, il suo carisma e questo è stato
“anche” il suo peggior difetto.
Eh si,
perchè i politici, i potenti, i suoi avversari e finanche i
suoi Fratelli massoni avevano paura di Lui.
Temevano
la sua lealtà, temevano la sua intransigenza di uomo giusto,
temevano la sua incorruttibilità di uomo onesto e non gli
perdonavano queste doti che lo ponevano al di sopra della
mediocrità degli altri individui.
Diceva
Cavour: “Come ci si può fidare di un potente che ama mangiare
con la truppa o come accettare come capo supremo un uomo che
invece di raccogliere onori e consensi, ama ritirarsi in
un’isoletta come Caprera per coltivare la terra?”
Inconcepibile
certo per la personalità ambiziosa di Camillo Benso Conte di
Cavour. Eppure sono proprio questi tratti che rendono Giuseppe
Garbaldi un mito che oltrepassa la leggenda del guerriero, che
marca tutto il periodo del Risorgimento e in generale tutto il
secolo scorso.
Ma in
fondo questo è il destino riservato ai grandi: per diventare
un mito, una leggenda, un sogno, un richiamo, un eco, un
riflesso, un ricordo, ogni grand’uomo, in ogni epoca, ha
sempre dovuto fare i conti con l’invidia e la gelosia degli
altri. E in questo Garibaldi non fa eccezione.
Faceva
paura e soggezione quel gigante di virtù: meglio quindi
scordarsi di Lui, o meglio, conveniva lasciarlo cadere
nell’oblio o addirittura tacere la sua esistenza .
Ecco il
perchè di questo imbarazzante e fastidioso silenzio che
circonda la figura mistica di questo nostro grande e
indimenticato Fratello Massone.
Con
questa mia ricerca, anche se limitata, spero di avergli reso
almeno in parte giustizia.
Grazie Paolo Agostini and Antonio Maiorana |
Informazioni sull’Autore: Paolo Agostini
and Antonio Maiorana | R.L.
«Trinity» all’Or. di Sidney
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