Discriminazione La condizione della donna in Grecia, a Roma e nell’Islam
In età classica
Nell’età antica, in Grecia, la
donna era totalmente sottomessa all’uomo. Quando aveva raggiunto l’età per
sposarsi una ragazza passava dall’autorità paterna a quella del marito. Un
donna ateniese, a differenza di suo marito, trascorreva l’intera giornata in
casa, dirigendo i lavori domestici eseguiti dalla servitù e organizzando la
vita familiare. Essa infatti usciva solo per partecipare alle feste religiose,
le uniche attività che l’avrebbero potuta far uscire dalle mura domestiche
venivano svolte dal marito o dalla servitù. La donna ateniese era inoltre
esclusa dall’educazione, sia intellettuale che fisica (a differenza della donna
spartana che si poteva allenare nelle palestre).
In epoca romana la donna cominciava invece ad acquisire molti più diritti e
molti più privilegi, soprattutto grazie al progressivo indebolimento dei valori
legati alla patria potestas. La donna aveva infatti ottenuto il rispetto
da parte dei figli e soprattutto aveva ottenuto la custodia della prole in caso
di cattiva condotta del marito. Dopo l’impero di Adriano se una donna aveva più
di tre figli acquistava il diritto di successione ad essi se il defunto non
aveva eredi. La donna romana, sposandosi, passava direttamente dalla casa del
padre a quella del marito.
Nell’età repubblicana però la donna viveva in condizione di subalternità al marito. Il ruolo della donna nella nuova famiglia era anche chiarito dalla parola matrimonio, che deriva appunto dal vocabolo madre. Un’unione stabile fra l’uomo e la donna era riconosciuta ufficialmente solo per la ragione di perpetuare la propria stirpe mettendo al mondo dei figli. Le caratteristiche fondamentali che una donna doveva avere nell’età repubblicana erano la prolificità, la remissività, la riservatezza.
In età imperiale la donna viveva libera in casa assieme al marito, godendo di grande autonomia e dignità. In questo periodo si siedono sul trono imperiale numerose donne degne del titolo di Augusta, donne che seguivano il loro marito in ogni decisione. Spesso infatti le mogli di uomini politici preferivano morire affianco al marito piuttosto che abbandonarlo. Molti antichi scrittori non esitano infatti ad esaltare il grande eroismo e la grande virtù che erano stati raggiunti dalla donna.
Durante il periodo imperiale notiamo che il numero di figli per ogni famiglia si era notevolmente ridotto, infatti in quel periodo la donna aveva iniziato anche ad interessarsi a nuove questioni. La donna infatti stava cominciando a partecipare alla vita politica e stava nutrendo un particolare interesse per i processi giudiziari. Numerose donne si dedicarono alla letteratura e alla grammatica, riuscendo quasi a superare alcuni fra i più illustri letterati dell’epoca. Molte donne si dedicarono inoltre alla caccia. Purtroppo la donna imitò più i vizi che le virtù dell’uomo. Le donne che non praticavano sport iniziarono invece a mangiare in modo sregolato, ingrassando a dismisura. Si cominciò a diffondere anche l’adulterio da parte delle donne, nonostante una legge promulgata da Augusto che condannava gli adulteri all’esilio. La donna raggiunse un ulteriore grado di emancipazione infatti divenne punibile anche l’adulterio maschile.
Il matrimonio, in epoca romana, era molto instabile. All’inizio era solo il marito ad avere il diritto di ripudiare la moglie, successivamente anche la donna acquisì questo diritto, ma poteva esercitarlo solo nel caso in cui essa era rimasta orfana di entrambe i genitori. Con la legislazione di Augusto riguardo il divorzio la donna ottenne il diritto di avere restituita la dote in caso di separazione dal marito.
La donna aveva il compito di curare e di istruire i figli fino all’età di sette anni, poi passavano sotto la tutela del padre. L’istruzione femminile terminava all’età di dodici anni, l’età minima stabilita da Augusto per sposarsi.
A dodici anni la donna era ormai in età da marito, quindi l’esperienza della vita domestica avrebbe contribuito al miglioramento di quelle che sarebbero state la qualità fondamentali di una buona moglie.
La donna nelle civiltà islamiche
Come probabilmente sappiamo la
civiltà islamica reputa la donna come una cittadina di classe inferiore,
sottomessa alla volontà dell’uomo. In alcuni paesi di cultura islamica non c’è
un profondo livello di discriminazione, come ad esempio in Tunisia, dove le
donne sono libere di vestire come vogliono e hanno ottenuto molti diritti che
le rendono quasi pari all’uomo, e in Turchia, dove un sostanzioso numero di
donne sale al potere.
In altri paesi il livello di discriminazione è ben più forte: in Algeria le
donne vengono violentate e uccise dai fondamentalisti islamici, in Afganistan
le donne sono “sepolte” in un burqah, un abito che non lascia
nemmeno intravedere gli occhi.
Possiamo quindi affermare che la condizione della donna è strettamente legata sia alla storia del paese in cui vive sia al paese stesso.
I vari paesi islamici (Iran, Turchia, Iraq, Pakistan, Tunisia), una volta ottenuta l’indipendenza, attuarono varie strategie di modernizzazione per legittimare il potere della classe dirigente. I diritti della donna sono quindi legati a questa legittimazione. Negli anni trenta, ad esempio, si fece promulgare una legge che proibiva l’uso del velo in Turchia e in Iraq.
Durante la lotta contro il dominio francese le donna algerine avevano ottenuto la libertà di vestire con abiti occidentali per non farsi notare, in seguito dovettero tornare a velo per nascondere le varie armi usate per gli attentati.
La modernizzazione e i movimenti
femministi non sono però riusciti a far crollare un regime totalmente patriarcale
e maschilista, comune a tutti i paesi islamici.
Le donne sono quindi considerate tuttora cittadini di seconda categoria. La
Tunisia è il paese di cultura islamica che ha la legislazione più avanzata dal
punto di vista dei diritti delle donne. Secondo le leggi tunisine è prevista
infatti la parità fra uomo e donna nel matrimonio, l’uomo è tenuto a pagare gli
alimenti alla moglie in caso di divorzio, la madre deve dare il suo consenso in
caso di matrimonio di una figlia minorenne. Il codice di lavoratori prevede la
stessa paga per le stesse mansioni, la violenza sulle donne viene punita
severamente. Ci sono molte donne che rivestono un ruolo importante in politica
e altre che svolgono lavori eseguiti principalmente da uomini (autista
d’autobus, giornalista sportivo). Le leggi non riescono però a garantire la
parità, perché la mentalità popolare è ancora molto legata alle antiche
tradizioni, spesso infatti una donna deve mantenere anche i fratelli e i
parenti del marito.
In Algeria la condizione della donna è molto precaria. In questo paese è stata infatti applicata la svaria, la legge islamica che relega la donna in una condizione di totale inferiorità. Contro questa legge si schierarono numerose associazioni femminili tuttavia alcune di loro pagarono con la vita la loro presa di posizione.
Molto più gravi sono invece le condizioni delle donne che vivono nei paesi governati dalla teocrazia, come l’Iran, tuttavia le condizioni femminili sono molto più dure in Afghanistan, dove le donne non possono né uscire di casa né andare a scuola. La discriminazione attuata dall’Iran è piuttosto forte, anche se questo è l’unico paese in cui viene celebrata la “settimana della donna”, che in sostanza consiste in una settimana di trasmissioni radiofoniche e televisive. In questa settimana si celebra anche la festa della mamma, che coincide con il compleanno di Fatima, la figlia più giovane di Maometto. Si dice che dai figli di Fatima prese il via la corrente islamica sciita, la religione ufficiale dell’Iran. Fatima ha sempre rappresentato un modello femminile da seguire; all’inizio essa conteneva i valori di disprezzo e di protesta contro l’ingiustizia, dopo la rivoluzione del ’79 Fatima rappresentò gli ideali di castità e di sottomissione.
Essa rimase comunque un modello da seguire, infatti, quando una bambina disse che il suo ideale di vita era quello rappresentato dalla protagonista di un serial televisivo giapponese, scatenò le ire dell’ayatollah. La dichiarazione di questa bambina costò comunque alcuni anni di carcere ai redattori del programma. Alcune leggi che discriminavano la donna sono comunque state abrogate e forse la condizione della donna migliorerà. All’inizio l’Islam non era molto discriminante nei confronti della donna: le mogli di Maometto lo accompagnavano spesso in guerra e lo consigliavano riguardo le strategie da seguire. Era permessa anche la poliandria, quindi una donna poteva contrarre più matrimoni contemporaneamente. La legge del corano rappresenta in alcuni casi un progresso: essa vieta l’infanticidio delle bambine e stabilisce alcuni diritti che permettono alla donna di ottenere l’eredità. Le norme di Maometto diedero molta più libertà alle donne rispetto alle loro contemporanee europee, esse infatti potevano mantenere il loro cognome dopo il matrimonio. Oggi le donne musulmane di alcuni paesi mantengono la loro cittadinanza anche dopo aver contratto matrimonio con un uomo straniero. Questi diritti potevano rappresentare un privilegio nel settimo secolo d.C., ma non alle soglie del duemila.
La religione islamica ammette la poligamia, infatti un uomo può sposarsi con quattro donne contemporaneamente, a patto che egli sia in grado di trattarle tutte allo stesso modo. Proprio per questo motivo la poligamia non viene più accettata in alcuni paesi, perché il “trattare allo stesso modo” non significa dare ad ognuna la stessa quantità di ricchezze, ma significa anche dedicare ad ognuna lo stesso affetto e le stesse attenzioni, equità che non potrebbe essere garantita da nessun essere umano. L’islam è però sempre basato su un antico sistema patriarcale, le donne devono quindi riuscire a farlo crollare. Per questo obiettivo le donne hanno molte più “armi” di quanto credono. Per prima cosa occorre dare una nuova educazione alle donne: sono infatti le madri che allevano le figlie nella subordinazione e che abituano i figli maschi ad essere sempre serviti. Spesso le stesse madri costringono le loro figlie a subire pratiche molto più violente come, ad esempio, la mutilazione genitale femminile (clitoridectomia e labiodectomia). La mutilazione genitale femminile viene praticata sia dai musulmani, sia dai cristiani, sia dagli animisti, tuttavia questa pratica non viene prescritta né dalla Bibbia né dal Corano.