LA CRITICA A SOCRATE NEL PENSIERO DI F. NIETZCHE

di Antonio Binni

È stato un caso esemplare di fraintendimento di giudizio, forse il maggiore conosciuto. Considerato, dapprima, come un originale pensatore: di poi, di volta in volta, come un visionario di genio o un semplice moralista, è stato, da ultimo, finalmente riconosciuto per quello che era veramente: un autentico filosofo. Un filosofo rigoroso, profondo, acuto, penetrante, sorretto da una cultura solida e da una logica ferrea. Da giovane gli è stata incredibilmente respinta la candidatura per la cattedra di filosofia alla Università di Basilea perché riconosciuto come del tutto digiuno della materia. Eppure fu certamente il filosofo più influente del Novecento, con un suo posto nella storia del pensiero occidentale accanto a Descartes, Leibniz, e Kant. Ma non è mai stato un filosofo di professione! Divenne filosofo attraverso un avventuroso esercizio del pensiero e della scrittura compiuto nella più profonda notturna e meridiana solitudine. Il che gli permise di non sottostare ai canoni tradizionali propri della filosofia accademica. Con la conseguenza che il suo pensiero ha finito per influenzare la letteratura mondiale e, in particolare, quella di lingua tedesca. Si pensi a Thomas Mann e al suo capolavoro La montagna incantata (1924) e all’austriaco Robert Musil con il suo romanzo-fiume L’uomo senza qualità (1930). Per non ricordare ancora l’importanza della sua riflessione critica sull’opera musicale di Wagner, l’amico nemico per tutta la sua vita. Nietzsche era professore di filologia classica. Né si può dire che abbia appreso la filosofia da qualcuno. Non si può dunque non gridare al miracolo, anche se dal gusto molto amaro, visto che un pensiero, così vasto e acuto, come quello del Nostro, si è affermato quando questi era ormai sprofondato nella notte della follia. All’evidenza, non può essere questa la sede per tracciare una epitome, anche soltanto succinta, di una dottrina tanto complessa e variegata quale è stata, per certo, quella del Nostro filosofo con l’approdo – noto – quanto inevitabile – al nichilismo, visto che, affermata la morte di Dio e dei valori tradizionali della civiltà occidentale, non poteva restare che il nulla. Quel nulla che è poi divenuta la cifra della moderna filosofia. A conferma e riprova della incisiva influenza e fortuna che il Nostro autore ancora oggi ha sulla materia. Da qui la conseguente necessità di una scelta che circoscriva e delimiti l’analisi: scelta che palesemente non può essere dettata unicamente da un criterio soggettivo. Riflettere su un punto o un altro di un fiume in piena di una riflessione incandescente non può infatti che essere, in principalità, dettato da una motivazione oggettiva. Da qui la preferenza all’argomento prescelto perché trattasi di un tema, oltre che di evidente importanza, di intrigante originalità soprattutto perché mette in discussione un pensiero, ancora oggi dominante. A venticinque secoli dopo Socrate, noi continuiamo infatti a pensare ancora socraticamente, nonostante la critica, serrata e distruttiva, che, di quel pensiero, ha fatto Nietzsche invero con un’acutezza e una lucidità che non possono non lasciare sbalorditi. Socrate ha insegnato che la vita non è degna di essere vissuta senza quella ricerca che conduce alla conoscenza. Socrate comanda così di sapere, conoscere, classificare, descrivere. Solo così la vita si redime dalla sua animalità per divenire autenticamente umana. Nell’ottica socratica solo la conoscenza ha allora valore, non la vita in sé! L’esistenza, in tutta la sua complessità, a questa stregua viene così sacrificata sull’altare della conoscenza. Veduta che ancor oggi domina il nostro modo di pensare perché è alla conoscenza-scienza che si guarda dai moderni come l’unico punto di riferimento autenticamente sicuro. Fare della conoscenza la funzione guida della vita significa però – obietta il Nostro – allontanarsi dalla vita, non parteciparvi, visto che si conosce solo ciò di cui non si partecipa. La razionalità, osserva ancora, non appartiene alla vita, è al di fuori della vita, alla stessa è pertanto estranea. La domina dall’alto, per finire poi per giudicarla, quando invece la vita non accetta di essere giudicata. La vita che agli albori abbiamo incominciato a vivere socraticamente – che è poi quello che noi ancora stiamo facendo – secondo Nietzsche – risulta plasmata sul modello del dio Apollo, che è luce, misura, ordine, ragione, che, in quanto tale, osserva appunto la vita a distanza con un atteggiamento interrogativo, non partecipativo, essenzialmente valutativo. Ma, afferma ancora il Nostro, l’esistenza conosce pure un cuore di tenebra costituito da molteplici forze che si intersecano e violentemente si intrecciano. È il fondamento irrazionale dell’esistenza, forze barbariche che si chiamano passioni, tormenti, eccessi. Sotto i colori sgargianti di Apollo si nasconde Dioniso, il dio del delirio, dell’ebbrezza. Il dio che invita a superare il limite. Il dio della contraddizione lacerante e della dissonanza, abisso profondissimo, fondo della esistenza stessa, che è crudeltà e ferocia. Apollo e Dioniso – il giorno e la notte – sono allora i due principi che, di per sé avversi, furono conciliati dai Greci nella forma della tragedia: dolore del conflitto sfociato nella pace dello spazio-tempo. A differenza di noi moderni abituati, invece, a tenere ingenuamente separati i due profili esistenziali: la ragione, con la sua creazione intellettuale, da un canto, e la ubriachezza, dall’altro. Secondo il Nostro filosofo è poi colpa di Socrate l’avere spezzato il fragile equilibrio fra i due principi opposti. Socrate, superando Omero ed Eschilo, ha infatti costituito il punto di inversione fra i Greci e i moderni. Da qui, secondo il Nostro autore, la necessità di un ritorno all’antico in vista della creazione di un uomo “nuovo” e di una “nuova” società. Nuova, perché riempita da uno o più sensi, non dati, ma creati dalla volontà di potenza (Wille zur Macht) dell’uomo nuovo. Dove la volontà di potenza altro non è che potenza di metamorfosi, sguardo sul futuro essenzialmente incompiuto. Uomo nuovo, perché è un uomo che ha abbandonato la condizione umana per accedere ad una umanità superiore. L’Übermensch, non è infatti, come pure abitualmente si traduce, un super-uomo, ma un uomo altro. Il prefisso über indica, infatti, il superamento, l’oltrepassamento, l’andare oltre, uno sfondamento in avanti che sfocia appunto in un altro da sé. Questo “uomo nuovo” – proprio come il massone! – esteriormente non si distingue dai suoi simili. Interiormente è invece profondamente diverso, perché, con un lavorio impietoso di analisi verso sé stesso, sa realizzare un perfetto equilibrio fra la ragione apollinea e la forza barbarica dionisiaca. Una visione, dunque, nuova, perché non più socratica, e di un uomo “nuovo” e di un mondo “nuovo”, intravisto dal Nostro, a conferma della sua natura di autentico filosofo. Filosofo autentico è infatti chi sa interpretare i segni del tempo presente e prefigurarne, nel contempo, il futuro, contribuendo – per dirla con Epicuro – “a guarire le malattie dell’anima” dei contemporanei. Conviene ribadirlo. Non siamo in presenza di scritti di ricerca, né di studi disinteressati. All’opposto, si tratta di scritti che si propongono di intervenire sulla situazione presente e di lasciare un segno indelebile nelle coscienze dei lettori. Un autentico insegnamento se, com’è pacifico, educare significa proprio far cambiare direzione al modo di pensare. Questa è la “nuova strada” per una umanità “nuova”, non più socratica, capace di superare lo stato attuale nel quale il Nostro scrive. Anche se poi, in questa società non più socratica, non si ha più bisogno di verità trascendenti né di Dio, prodotti di una fondamentale domanda di sicurezza propria del socratismo. Fotografia puntuale del nostro oggi, mentre l’anticristianesimo del Nostro è propriamente il frutto della mai tradita esperienza del luteranesimo da parte del filosofo, figlio e nipote di pastori. È pacifico che Nietzsche non abbia mai avuto contatti con la massoneria. È probabile che ne abbia perfino ignorato l’esistenza. Ciò malgrado, è significativo il fatto che il suo “altro uomo” assomiglia terribilmente alla figura dell’iniziato massone! Anche quest’ultimo è infatti chiamato a incontrare la Luce, un mondo nuovo, senza però mai trascurare nulla, sia esso giorno, sia esso notte. La stella polare del massone coincide infatti col motto di Terenzio: “nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Così, senza staccare mai i piedi dalle strade polverose della esistenza quotidiana fatta di luce e tenebre, questi intraprende l’ascesa verso l’Alto, mirando al senso ultimo dell’essere e dell’esistere.

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