ARMONIA. OSSERVANDO IL CANDELABRO

ARMONIA
Osservando il candelabro.

 Queste parole oltre ad «Armonia» potrebbero chiamarsi «osservando il Candelabro». Nella leggenda «Il Candelabro Sepolto», Zweig racconta che, in una notte estiva del 355, Genserico con i suoi Vandali aveva ultimato di saccheggiare Roma. L’aveva pulita di ogni opera di valore con la stessa meticolosità con cui un affamato netta il piatto che lo ha sfamato. Il favoloso bottino buttato su carri si avviava al porto di Ostia ove navi capaci lo avrebbero portato al sicuro oltre mare. Fra i tesori rapiti, c’era anche il candelabro d’oro fatto costruire da Mosè dietro comandamento di Jehova. «Era d’oro fino foggiato con arte. Sette lampade allargavano i loro calici spiccandosi dal largo fusto e ghirlande di fiori si attorcigliavano leggiadramente. Quando i sette ceri erano accesi nei sette bracci la luce ardeva come sette fiori sboccianti. A quella vista i cuori degli Ebrei si purificavano». Non rappresentava un simulacro di Dio, ma il simbolo della fede eternamente accesa. Un disperato dolore percosse gli animi degli Ebrei del ghetto romano appena conobbero la trafugazione. Perdere il candelabro voleva quasi significare la perdita della luce purificatrice dello spirito. Undici vegliardi — i più anziani del ghetto — decisero di seguire, almeno fino al mare, il simbolo della loro fede e vollero portare insieme un fanciullo perché potesse testimoniare alle generazioni future la bellezza e l’esistenza del candelabro. Scelsero il nipote di uno di essi: Beniamino. Il fanciullo venne destato nel sonno: «dormiva con i pugni serrati come nell’ira; sembrava in preda ad un sogno appassionato e selvaggio». Nella notte lunare i pellegrini presero la via Ostiense. Camminavano taciturni e maestosi: il rullo dei carri lontani macerava i cuori in angoscia. Improvvisamente il fanciullo chiese: «perché questo viaggio notturno?».

Il nonno lo invitò con severità a tacere. Ma Rabbi Elieser, capo dei vegliardi, «il puro e il chiaro», che aveva due occhi limpidi come una stella lontana e il volto simile alle molte pergamene che aveva esaminato e vergato, lo ammonì dicendo: «lascia che chieda. È peggio per l’uomo non sapere che chiedere. Solo chi molto ha chiesto e solo chi molto capisce può diventare un giusto». Io sono, o car∴ Ffr∴, come quel fanciullo che chiede per capire. Perdonate adunque, con la vostra comprensione e la vostra Saggezza, il mio ardire di parlare. Il candelabro, alla cui presenza ho giurato e che illumina le nostre fatiche senza fatica, ha suscitato in me non solo nostalgia di leggenda, ma viva ansia di ricerca. Per me, vuole significare l’anelito concorde della luce alla verità attraverso lo sviluppo armonico di sette capacità, permeate di pensiero e di azione. Sette sono le luci. Nel pensiero esoterico di tutti i popoli il sette è il punto in cui si incontrano e si unificano le rivelazioni di verità. E la verità è senza varietà.
Nei geroglifici egiziani, il sette è rappresentato simbolicamente da una sfera: espressione di totalità e di unità. Nelle altre affermazioni o rivelazioni, il numero sette presenta un legame ed una armonia impressionanti. Secondo la «Genesi», sette furono i giorni della creazione. Secondo il «Bagavad Gita», sette furono i Deva dell’India emanati e illuminati da Agni, il fuoco sacro.

Secondo il «Libro dei morti», sette furono i Geni nella visione di Ermete.
Secondo lo «Zend Avesta», sette furono gli ansaspends (diffusori di verità) dei Parsi.
Per l’Islam, il mondo è retto da sette colonne poggianti sulle spalle di un gigante, sostenuto da un’aquila, posata su una balena che naviga nel mare della eternità.
Sette i grandi angeli della Caldea. Sette gli Arcangeli dell’Apocalisse.
Nella «Kabbala» (non quella che serve ad estrarre i numeri del lotto!) l’uomo è rappresentato triplice nell’essenza, ma settemplice nell’evoluzione; cioè: per quanto riguarda l’evoluzione: capacità (anima) vegetativa = nascita e sviluppo del corpo; capacità (anima) nutritiva = mantenimento del corpo; capacità (anima) sensitiva = contatti sensoriali con il mondo fenomenico; capacità (anima) intellettiva = riflessione e sintesi; capacità (anima) sociale = rapporti con i propri simili; capacità (anima) naturale = rapporti con la natura; capacità (anima) divina = armonizzare la vita con la realtà di Dio. La sapienza greca, rivelatrice di bellezza, indica nei sette sapienti e nelle sette meraviglie del mondo lai perfetta armonia tra pensiero e azione.
È interessante notare come sono rappresentati i sette saggi: Cleobulo ha una bilancia in mano = significa: sii giusto; Pittaco ha un ramo d’ulivo in mano e un dito sulle labbra = significa: taci e se parlare devi, porta pace e non odio; Solone ha un teschio in mano = significa: pensa al fine; Periandro è calmo e rassegnato = significa: raffrena l’ira; Talete è come uno che non sa = significa: la sapienza è infinita;
Chilone ha uno specchio in mano = significa: conosci e vinci te stesso;
Biante solleva una gabbia con un uccello dentro = significa: la libertà produce.
È altrettanto interessante notare quali furono le meraviglie scelte: il colosso di Rodi = significa: forza; i Giardini pensili di Babilonia = significa: scienza e accorgimento;
Mausoleo di Alicarnasso = significa: agisci per grande sepoltura; Piramidi di Egitto = significa: rivelazione e sapienza; Tempio di Diana a Efeso = significa: provvidenza e raccoglimento; Faro di Alessandria = significa: luce che guida; Giove olimpico di Fidia = significa: Dio — Verità. Dante non usa mai il sette nell’Inferno — tale numero appare nel Purgatorio (opera della sapienza purificatrice) con i sette P della fronte e le sette balze. Nel Paradiso (opera della libertà e dell’amore) il sette è rappresentato dalle arti liberali del trivio e quadrivio. La creazione del mondo non fu un canto iniziato dal G∴A∴D∴U∴ e perduto nel silenzio dei tempi, ma dopo ogni bufera appare nel cielo la continuità del canto nei sette colori dell’iride e quotidianamente gli uomini ritrovano armonia nella musica che è l’accordo di sette note; servono a congiungere la terra al cielo, come la sciala d’oro del sogno di Giacobbe.

Ecco l’armonia impressionante che ha colpito la mia anima nel vedere come prima luce il candelabro simbolico e nel sentire il fervore di pensiero e di verità che palpita nei nostri Templi. Anticamente quando la bufera e l’odio scagliavano uomini contro uomini, simili a belve e la disarmonia dilagava, i rimasti saggi si appartavano dal mondo per conservare in luoghi remoti e inaccessibili l’intatta purezza e armonia della verità. Si riunivano in templi simili a questi, lontani dagli occhi profani, a costruire, in una solitudine di aquila, le virtù segrete per cui l’Umanità doveva ritrovare la via della rettitudine e della giustizia. Nella meditazione quotidiana e purificatrice, diventavano artefici di armonie: con se stessi, con il mondo, con Dio.

Prima di accettare un neofita, lo sottoponevano a prove tremende: doveva superare le insidie dei quattro elementi e ogni forma di tentazione. Le prove erano indispensabili perché dall’esito di esse si capiva se il neofita era capace di vincere se stesso e l’ingannevole ma invitante gorgo dei sensi. Inoltre, si difendeva con tali sistemi, non solo la istituzione segreta e le sue leggi, ma si salvaguardava il sacro volto della verità. Dispensare la verità a menti incapaci è come dare una spina in mano ad un ebbro: c’è pericolo che si accechi e che accechi. Questo si deve tener presente nell’accettare qui uomini forse «più al mal che al ben usi» per dirla con le parole della Costanza Dantesca. Perché la verità è l’essenza della libertà. È una conquista lenta da calvario. Bisogna velarla ai deboli perché li renderebbe folli; bisogna nasconderla ai tristi perché se ne servirebbero per scopi personali. Quando Erodiade conobbe il significato ed il mistero della danza dei sette veli, lo insegnò alla ingenua Salomè e ne ottenne la testa del Precursore. Io ho lottato per la libertà. Ma al 25 aprile ’45, se ne impossessarono uomini indegni e deboli e la usarono in modo infernale e bestiale. Da quei templi di meditazione e di sapienza, da quelle miniere di salvazione, quando l’umanità era ormai avvolta in tenebre sempre più pesanti uscirono iniziati come Krisna (l’organizzatore della costituzione Bramanica), Ermete (che diffuse il grido della luce conosciuta nelle tenebre del sepolcro).

Amos (il liberatore dell’Egitto dopo 900 anni di dominazione degli Hicsos), Mosè (il grande modellatore di energie e formidabile risvegliatore di anime), Orfeo (il rivelatore del Verbo luce), Pitagora (il mistico dell’armonia e della libertà), Platone (l’assertore della bontà come eredità iniziale, continuazione e culmine della vita). Cristo (il portatore della Grazia e della Charitas) per rinfrancare gli uomini dalla schiavitù, dal dolore, dallo spavento, dall’ignoranza, dall’odio. In tempi più recenti e men favolosi, ma tuttavia gravi per l’umanità, uscirono uomini come Dante, Mazzini e molti altri per elevare con libera e sonante voce il grido della verità, della giustizia, dell’onestà nel pensiero e nell’azione. Ora, io credo che i tempi siano maturi.
Il mondo ha sete di bene perché è saturo di male. Gli uomini sono con le armi al piede per scagliarsi ancora gli uni contro gli altri. L’odio trionfa nella malvagità e nella vendetta. Abjssus Abjssum invocat. Sono stato in mezzo agli uomini. Molte terre d’Africa e d’Italia sono intrise del mio sangue. Ho bevuto a molte fonti, ho dormito in molti fienili, ho pregato in molte solitudini, ho vegliato in molte soste disparate. Ho visto gli uomini di fronte alla morte, alla necessità, ai supplizi. Li ho studiati soffrendo con loro. Ho visto sedicenni uccidere, con la stessa naturalezza con cui si coglie un fiore in primavera. Mancano il senso della gradazione e dell’armonia. Non c’è più fede e non si attende nemmeno un’altra rivelazione.

I preti dai pulpiti continuano a ripetere parole di verità, che smentiscono quotidianamente con i fatti. Lazzaro muore ogni giorno e nessuno si cura di lui.
Denominatore comune è l’ignoranza, che non vede altre armonie se non la ribellione e l’egoismo. Tutte le notti la luminaria celeste si accende per una umanità solo china al basso guadagno. Se gli uomini alzassero il volto al cielo, per ammirarlo anche con gli occhi dell’anima, vedrebbero l’Orsa Maggiore che con le sue sette stelle indica l’orientamento. L’umanità ha bisogno di noi. Ha bisogno di ritrovare armonie spirituali per purificare le azioni. Noi, custodi della verità, dobbiamo agire. Le prove di quello che siamo devono scaturire dalle opere; non solo dai pensieri. Accanto al candelabro ed alla legge ci sono gli strumenti di lavoro: la riga, simbolo di rettitudine; la squadra, simbolo di quadratura; il compasso, simbolo di misura e di precisione.
Occorre scendere nel mondo e agire in armonia con il pensiero di fratellanza, di umanità, di libertà che alimenta la nostra ansia. «Pensare è facile; agire difficile; agire secondo pensiero è scomodo», diceva Goethe. Oggi, è anche pericoloso; ma doveroso e eroico. Se curiamo soltanto il pensiero, finiremo come quei pescatori che a forza di aggiustare le reti si dimenticarono di pescare. Non possiamo più tacere. Non possiamo più adagiarci nella sola luce del pensiero: occorre vivificarla con l’azione. Chi ha, deve dare; altrimenti perde ciò che ha. Sodoma e Gomorra avranno più comprensione di Cafarnao, perché quelle non hanno visto e non hanno creduto; ma questa ha visto e non ha creduto. Adunque, fratelli nella verità, scendiamo nel mondo come uomini a portare la voce chiara della bontà e l’azione dell’amore. Se lo «abbiamo già fatto, non è stato e non è ancora sufficiente. I fatti lo dimostrano. Con le nostre azioni, affermiamo che il risultato non sta nella violenza o nell’accanimento, ma  nella comprensione, nella tolleranza, nel rispetto, nel sorriso. Bisogna che i giovani ritornino a vedere la vita con gli occhi puri e avidi della giovinezza. Bisogna che gli uomini conoscano il valore della bontà operante. Gli uomini sono come la terra: se non a si cura, produce gramigna e sterpi. La bontà non distrugge le armi e l’odio, fa qualche cosa di più: li rende inutili.

E non disarmiamo mai. Bisogna operare con fede per ottenere la vittoria. Il più duro sforzo è coronato sempre dalla più fiera gioia. Io sono certo che nessuno di noi passa all’oriente eterno senza prima aver speso il patrimonio di bontà che possiede. Spendiamolo a piene mani. Senza timore che si consumi troppo presto. Il patrimonio di bontà è immenso perché la vita è immensa! Beethoven, colui che usò le sette note musicali per congiungere attraverso l’armonia la terra al cielo, diceva nella sua solitudine eroica: «non conosco altra forma di preminenza umana se non la
bontà». Fratelli nella verità, io devo lasciarvi. Entrando qui ero certo di avere intrapresa la via intravista nel sogno. Sentivo ogni volta che vi ritrovavo sparire un P dalla mia fronte. Avete colorito di purezza i miei pensieri profani.
Devo tornare fra uomini ebbri di male e di odio. Mi sia di guida il vostro affetto, la vostra luce, la fraternità che mi avete resa tangibile, questa atmosfera di pensosa purezza.
Come gli antichi cavalieri del Graal prendevano vigore dal sangue di Cristo nella notte del Venerdì Santo, cosi io ho attinto, nella vostra vicinanza, fede e forza per continuare sulla strada difficile e aspra degli uomini. Vi saluto come si salutavano gli antichi cercatori di verità: dietro a voi sia la pace; in voi sia la pace; davanti a voi sia la pace.                  

FR.’.    Novello Amelio.

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