FANATISMO

FANATISMO

Uno dei successi editoriali degli ultimi tempi è «la lettera di Epicuro sulla felicità». Credo sia la parola felicità, oltre che il modico prezzo di

mille lire, ad aver decretato il record delle vendite.

Non so poi quanti abbiano condotto a termine la lettura non appena si

sono accorti che non si tratta di un manuale che contiene regole lette e regolette  per avere successo, diventare e restare ricchi, vincere in amoree salire veloci nella scala sociale. Essendo per Epicuro la conoscenza sinonimo di felicità la delusione deve essere stata grande.

Devo però constatare che gli editori insistono. La riedizione di classici

è per molte case l’affare del momento. Anche perché non impone il pagamento di diritti d’autore.

Il ritorno al passato non recente lo si constata in molte attività culturali.

I migliori films sono la ricostruzione raffinata di storie di almeno uno

o due secoli. I migliori romanzi si collocano in un contesto storico per lo meno vecchio. Le mostre importanti dirigono il gusto del pubblico

verso figure di artisti consolidati da un lavoro critico inoppugnabile, o almeno ritenuto tale.

Perché questo avviene? È impossibile credere che il nostro sia un tempo sterile. Caotico sì, ma incapace di generare idee e concetti non lo credo. La stessa tendenza minimalista, il raccontarsi addosso, in una sorta di angoscioso solipsismo, è forse un segno, un bisogno di intima riflessione alla ricerca di valori nuovi. Quelli che la società non è riuscita a darci e che tutti dobbiamo ritrovare per risorgere in una riscoperta dignità.

Non vorrei che il mio discorso fosse inficiato dal momento italiano che

tutti soffriamo acutamente e che, saturo com’è di incertezze e di dubbi,

potrebbe condurmi ad un ingiustificato pessimismo.

Credo però che si possa affermare che la nostra cultura è stata, in questo quarantennio, dominata dalle sinistre. Le altre forze politiche non hanno offerto agli intellettuali molte concrete possibilità.

Specialmente il pensiero liberale, volto essenzialmente all’economia, ha

colpevolmente trascurato arte e filosofia.

Si è così determinato un «vuoto». Sinistre le più importanti case editrici,

sinistri i convegni, i premi, le mostre, gli spettacoli dei vari «teatri stabili» che per decenni hanno gozzovigliato brechtianamente.

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Sinistre le figure carismatiche del nostro contesto culturale. Ci troviamo di fronte ad uno degli «scippi» più clamorosi.

Quanto poi alla libertà di espressione essa si è concretizzata in una volgarità crescente.

Basti pensare alle copertine delle più diffuse riviste «serie». Pura pornografia che ritroviamo, del tutto gratuita, in ogni film, commedia, opera.

Che vediamo in ogni spot, cartellone pubblicitario e ritroviamo in quelle

trasmissioni televisive dove gente comune spiattella, senza veli, i propri

fatti privati ed intimi con una disinvoltura spettacolare di gusto molto,

molto discutibile…

La mancanza di rispetto verso se stessi e gli altri.

La sciatteria assurta a modello, in ogni sua forma e manifestazione. Dalla moda allo stile letterario. Se penso ad uno dei libri peggio scritti «L’inferno» di Bocca ed al suo successo, beh, devo confessare che mi vien voglia di buttarlo al rogo, proprio nelle fiamme di quell’inferno nel quale condannerei tutti coloro che usano della penna frettolosamente, senza autocritica, adoperando la lingua italiana, così ricca e bella ed efficace, in modo becero ed avvilente.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito in ogni campo. Bad taste a parte, ritorniamo ad Epicuro ed ai filosofi antichi, ai minimalisti

ed al «vuoto» di cui parlavo prima.

È doveroso accennare alla caduta del muro. Un fatto epocale di cui mi

preme mettere in risalto un solo lato. Il crollo, a scoppio ritardato, di

quell’aspetto dell’ideologia che attiene alla cultura.

A parte l’anomalia italiana che vede l’ex-Pci più agguerrito che mai, noto una fase di stallo, una curiosa sospensione dei soliti temi trattati dai «sinistri».

Le varie Dacie Maraini si rivolgono ora ad episodi storici antichi romanzando su eroine proto-femministe, altri scrittori tacciono o si limitano ad articoli su temi di pseudo-attualità, le case editrici storiche (v. Einaudi) sono praticamente bloccate. Che sta succedendo?

Probabilmente gli intellettuali (la maggior parte dei quali è sempre molto  propensa a star dalla parte del vincitore) non sanno che pesci pigliare, a chi rivolgersi, come comportarsi. I vecchi temi, in un momento in cui il paese si sta rivoltando e tutti reclamano un cambiamento, non sono più proponibili. Inventarne dei nuovi senza sapere, a priori, dove si andrà a finire, può essere una impresa vana, anche sbagliata.

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Così si sta fermi. Si aspetta. Ma noi, dico, che cosa aspettiamo?

Non lasciamoci sfuggire il «nostro» momento.

Il mondo ha bisogno di una nuova filosofia, nuovi valori devono essere

proposti, l’uomo deve ritrovare la sua giusta collocazione privata e sociale.

Valichiamo i confini nazionali e guardiamoci intorno.

Non è certo un quadro confortante.

L’Occidente, la cui compattezza era tenuta dal cemento della appartenenza ad uno dei due blocchi, venuto meno questo forzoso collante, si sgretola in una infinità di etnie, fanatismi, rivendicazioni territoriali e religiose.

Il terzo mondo, preda dei narcotrafficanti, dei signori della guerra, della

fame e della carestia, esporta uomini e AIDS. La tendenza in atto è quella delle società multirazziali.

Le molte mafie mondiali gestiscono ricchezze enormi e stanno evolvendo verso la managerialità invadendo con uomini dai colletti bianchi ed istruzione superiore i posti chiave della politica e della finanza in una rete fitta e capillare di interessi supernazionali. Pericolose tendenze anti libertarie serpeggiano nella vecchia Europa ed altrove. I neonazisti, la destra francese, i fascisti italiani, i nostalgici comunisti della ex-Unione Sovietica. Sconforto? No.

Vediamo le cose sotto una diversa angolazione. Lo sfascio nostrano, questa strana rivoluzione senza sangue (quindi civilissima) può costituire un esempio. Un punto di partenza. Stiamo toccando il fondo, è vero. Ma è in tutti una voglia prepotente di cambiare. Nessuno vuole rimanerci nel baratro.

Ognuno ha la volontà di riemergere. E con valori riscoperti come la chiarezza, il senso di responsabilità, l’onestà. Quali valori può e deve proporre la massoneria, forte della propria universalità ed univocità di

scopi?

Lotta al fanatismo.

Poiché alla base dell’atteggiamento fanatico sono il dogma, l’assioma,

la acriticità, il demandare ad interpreti, ritenuti autentici e non discutibili, la gestione della verità, ribadiamo la fiducia nella ragione, nelle reali possibilità dell’uomo, nella continua ed incessante revisione critica di ogni verità.

Il riferimento al dogma è una sorta di blocco del pensiero e dello sviluppo dell’intelligenza.

Non si fanno passi avanti né nella scienza, né nel pensiero se non ci si

libera dalle pastoie paralizzanti del dogma. Un nuovo umanesimo, dunque, che ridia alla dignità intellettuale dell’uomo tutta la sua forza propulsiva.

La tolleranza.

Uno dei cardini del pensiero e della pratica massonici. Proprio nella nuova società multirazziale la condizione imprescindibile per la pacifica convivenza è fondata sulla tolleranza. Virtù rara difficile da praticare che necessita di una base per essere vissuta. Questa base è la conoscenza delle caratteristiche del diverso (ma è poi autentica diversità?). Se, mossa anche solo dalla curiosità, io mi domando quali sono le abitudini, la storia, l’ambiente, le tradizioni, l’arte, il linguaggio di un altro tanto dissimile da me, io, approfondendo la conoscenza, alla fine scopro tanti elementi comuni, essenziali, esistenziali.

I passi avanti compiuti dall’umanità, per poco che si sia attenti alle grandi svolte storiche, sono sempre stati compiuti dopo uno scambio (dovuto alle ragioni le più diverse) tra culture differenti. Scambio di conoscenze.

È ovvio. Filosofie che ne hanno arricchite altre, commerci che hanno

creato modi simili di vivere il quotidiano, opere d’arte che hanno influenzato gli stili, scambio di scoperte scientifiche che hanno migliorato la qualità della vita.

Identità sapienziali scoperte a livelli esoterici tra mondi che si ritenevano lontani e diversi.

La ricerca del comune.

Se personalmente io sono attratto più dalla diversità che dalla identità

in quanto penso che sia più divertente imparare cose nuove che ripetere

«quelle vecchie, sono disposto ad ammettere che, certo, quando mi trovo in compagnia di persone che parlano il mio stesso linguaggio, che danno alle parole il mio stesso significato, che credono nei valori per me fondamentali, il discorso è più facile e la comprensione immediata ed implicita.

Una base comune rende tutto più semplice, specie se si vuole lavorare

insieme per raggiungere uno scopo. Appartenendo tutti al genere umano, bianchi, neri, rossi e gialli, poveri e ricchi, raffinati e beceri, colti ed ignoranti, vecchi e giovani, uomini e donne, laici e credenti, intelligenti ed idioti, abbiamo tutti, dico una natura tutti, comune. Il dramma di vivere, ad esempio, sapendo di morire. La consapevolezza, a diversi livelli di comprensione, di non capire bene che ci stiamo a fare su questa terra. Le pulsioni d’amore, dalla più bestiale delle sensualità alla sublimazione del sentimento che «move il sole e l’altre stelle».

La nostra incapacità di vivere isolati, il bisogno che abbiamo degli altri

per mille motivi, da quelli più banalmente pratici a quelli più squisitamente spirituali.

Dalla ricerca dell’elemento comune ci stiamo, a poco a poco, avvicinando ad uno dei valori essenziali, «la fratellanza», che possiamo anche definire, per meglio farci intendere dai profani, «solidarietà».

Questo è uno dei valori da riscoprire e da vivere proiettandolo anche nel mondo della politica. Mondo che oggi è quello più bisognoso di valori certi. Tradotte in politica la fratellanza e la solidarietà diventano «servizio». Questo è il modo nuovo di intendere il ruolo dei politici. Se concordiamo sul significato di politica come necessaria gestione della

cosa pubblica e comune, penso sia agevole riscoprire anche la sua eticità. Quando un gruppo diviene numeroso e deve convivere pacificamente sia nel proprio interno che nei rapporti con altri gruppi, occorre prima di tutto che il gruppo abbia una sua soggettività, che divenga Stato, con una sua valenza giuridica nazionale ed internazionale.

Occorre che si dia delle regole, le più semplici e chiare.

Lungi da me l’intenzione di propinarvi una lezione di diritto.

Quello che mi preme evidenziare è un solo aspetto di una delle molteplici funzioni dello Stato.

Vi sono necessità dei cittadini che si ritiene sia bene non lasciare alla libera gestione dei privati.

Perché si reputa che, mossi esclusivamente dal criterio del profitto, i privati non soddisfarebbero pienamente le esigenze di tutti in egual misura o che certi servizi primari verrebbero ad essere troppo onerosi, se non insostenibili, per la parte economicamente più debole della società. L’illuminazione pubblica, il servizio ferroviario in tratte poco frequentate e quindi deficitarie. Gli esempi, specie nelle società moderne così articolate, sono innumerevoli.

Da quanto ho detto mi  pare emerga chiaro come il cittadino sia il punto riferimento che legittima la necessità dello Stato e che quest’ultimo abbia come sua funzione quella di fornire servizi. Non a caso gli statali si chiamano «servitori dello Stato». I politici, coloro che in democrazia vengono scelti dai cittadini per amministrare le cose di tutti (cose che tutti, si badi, a seconda delle possibilità, contribuiscono a pagare), sono al servizio della collettività. E come tali devono comportarsi.

L’abissale degrado in cui è caduta la politica (il che avviene ciclicamente

ne) ha mille cause. Una, tra le tante, è proprio aver perduto il senso etico del servizio, della solidarietà, in una parola della fratellanza. Proprio in  momenti come quello che stiamo vivendo e, lo ripeto, in maniera civile (in altre epoche avremmo visto le teste cadere sotto la mannaia) si intravedono segni del rinnovamento, i modi nuovi — se li sappiamo cogliere – di concepire il ruolo di pubblico amministratore. Persone capaci, con esperienze manageriali, con competenze tecniche specifiche, sufficientemente dotati economicamente in modo da evitare tentazioni non commendevoli e possibilmente sciolti da vincoli lobbistici ed asservimenti partitici.

Utopia? Forse. Mi consta però che alcune utopie alle volte sono divenute realtà. Magari per tempi brevi. Così come mi piace pensare ai massoni come ai protagonisti, da sempre, dei sogni più belli e poetici dell’umanità.

  1.  M.
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