PREMIO NOBEL PER LA FISICA- ENRICO FERMI

ENRICOFERMI

NOBELPERLAFISICA1938

di Massimo Andretta

Enrico Fermi nasce a Roma, in via Gaeta, il 29 set­tembre 1901 da Alberto, impiegato del Ministero delle Comunicazioni, e da Ida De Gattis, inse­gnante elementare. È il terzo genito della sua fa­miglia, dopo la sorella Maria (1899) ed il fratello Giulio (1900), la cui morte prematura, nel 1915,avrà un notevole impatto emotivo ed inciderà con­siderevolmente sul suo percorso formativo. Infatti, Enrico Fermi, forse anche per colmare il grande vuoto che si era creato in lui dopo la dipartita del fratello, comincia a dedicarsi con ancor maggior assiduità di quanto già facesse, fin dall’età di dieci anni, allo studio della matematica e della fisica. Inoltre, questo tragico evento, lo lega ancor di più ad un carissimo amico di studi del fratello, Enrico Persico, suo futuro collega universitario ed altro valente fisico italiano. Mentore nel cammino di studi di Enrico Fermi fu un amico di famiglia e collega del padre, l’ingegner Adolfo Amidei, che presta al giovane Enrico i suoi libri di matematica e fisica, per formargli solide basi matematiche e dargli le nozioni fondamentali della fisica del­l’epoca. In anticipo di un anno sulla normale car­riera scolastica, Fermi si diploma “con onore”, nel luglio 1918, presso il prestigioso Liceo Classico all’Esquilino, allora intitolato ad ”Umberto I  ora“ Pilo Albertelli“). Ed è proprio l’amico di famiglia e mentore Amidei a suggerirgli di provare ad en­trare alla prestigiosa Scuola Normale Superiore si immerge ancor più a capofitto nello studio, impadronendosi rapidamente di un vasto e approfondito incluse le ultime conquiste della Fisica Moderna dell’epoca. A questo proposito, il 31 luglio, scrive  al già ricordato suo amico, Enrico Persico

«Io seguito a fare la mia solita vita: la mattina a Ladispoli e la sera all’ufficio meteorologico. Finiremo i bagni il 10 agosto ma non ti so dire che cosa faremo dopo perché il babbo non sa quando potrà prendere il suo congedo; ti terrò informato. La lettura del Chwolson procede celermente e calcolo di averlo finito tra un mese o un mesee mezzo perché ho trovato circa 1000 pagine da saltare perché le conoscevo»1.

Il “Chwolson” che sta leggendo è il grande “Traitéde Physique” di O.D. Chwolson, un’opera monu­mentale in quattro tomi e 4.350 pagine, nell’edi­zione di Parigi del 1908-1913, che Fermi consulta nell’Ufficio Centrale di Meteorologia, dove era a capo della sezione climatologica il prof. Filippo Eredia, già suo professore al liceo.

Il 22 agosto del 1918, proprio pochi giorni dopo la conclusione dello studio del “Chwolson” da parte di Fermi, esce il bando del concorso di am­missione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Le modalità di svolgimento delle prove ed i criteri di ammissione alla Scuola sono, all’epoca, un po’diversi dalle attuali, prevedendo la possibilità, ad esempio, di svolgere le prove, a richiesta del can­didato, anche in alcune altre università italiane convenzionate con la Scuola Normale di Pisa. Traesse vi è la Regia Università di Roma, presso la    quale Enrico Fermi chiede di poter sostenere l’esame di ingresso. La data del 28 ottobre, previ­sta per la prima prova scritta, viene però rinviata a causa delle condizioni sanitarie in Italia, ove im­perversa l’epidemia di spagnola, e si tengono il 12novembre successivo (la storia, come vedete, si ri­pete drammaticamente!). Il regolamento del­l’epoca prevede che le prove di ammissione consistano in tre scritti, da svolgersi in giorni suc­cessivi, rispettivamente di Algebra, Geometria e Fisica, ciascuno consistente in una disertazione scritta su un argomento assegnato e nella solu­zione di un problema. Il quarto giorno si sareb­bero sostenuti gli orali. Le prove scritte ed i verbali degli orali devono essere trasmessi a Pisa per la correzione degli elaborati e la valutazione complessiva dei candidati. Dopo l’orale del 15 no­vembre il giudizio su Fermi della commissione ro­mana è eccezionale:

«La commissione è lieta di constatare che il giovane Fermi ha risposto mostrando ampiamente di avere una cultura   superiore di molto a quella che ordinariamente si riscontra negli studenti ottimi di scuole secondarie. Il Fermi ha espo­sto i vari argomenti con molta esattezza, rigore matematico e precisione massima, mostrando completa padronanza degli argomenti anche più recentemente illustrati. […] La Commissione nominata dal signor Rettore per esaminare il giovane Enrico Fermi, aspirante ai posti messi a concorso dalla R. Scuola Normale Superiore Universitaria di Pisa, si è riunita di nuovo oggi 26 novembre 1918 per assegnare i voti agli esami orali sostenuti dal detto giovane Fermi. I  Commissari unanimemente decidono di assegnare i se­guenti voti: Algebra dieci, Geometria dieci, Fisica dieci. E se i regolamenti lo consentissero la Commissione darebbe con plauso la lode. I voti su indicati si riferiscono, si in­tende alla massima votazione. G Pittarelli, F.Raffaele, Fi­lippo Eredia».

A questo proposito, l’amico e collega di Fermi, Emilio Segrè, scrive:

«Tutto il saggio [di Fermi] continua a un livello e con una maestria che avrebbe fatto onore a un esame di laurea universitaria. L’esaminatore, il Prof. Pittarelli, professore di Geometria descrittiva all’Università di Roma, era un buon matematico, un buon pittore dilettante e una ottima persona; naturalmente rimase strabiliato del compito di Fermi e decise di parlare col candidato, per quanto ciò non fosse prescritto dai regolamenti. Alla fine del colloquio Pit­tarelli disse a Fermi che nella sua lunga carriera di pro­fessore non aveva mai incontrato uno studente come lui, che senza dubbio egli era una persona straordinaria, che sarebbe andato molto lontano e sarebbe diventato uno scienziato importante e che per quel che riguardava l’am­missione alla Scuola Normale era sicuro che avrebbe vinto uno dei posti perché era inverosimile che ci potessero essere altri concorrenti dello stesso calibro. Fermi stesso mi rac­conto questi fatti molti anni dopo con ovvia soddisfazione e gratitudine per Pittarelli che lo aveva incoraggiato e gli aveva infuso fiducia nella propria abilita».

La fama del giovane Fermi nasce, in particolare, dal suo famoso compito ammissione di Fisica, lar­gamente e giustamente pubblicizzato (ed ancora un “mostro sacro” fra gli studenti Normalisti di Fi­sica a Pisa). La prova di Fisica, che consiste, come già accennato, in un tema e in un problema, si pre­senta con un tale ordine e precisione da destare meraviglia ed ammirazione in chiunque lo legga. Il tema teorico di carattere generale proposto era: Caratteri distintivi dei suoni e loro cause; il problema,  invece, chiedeva il valore dell’intensità della cor­rente a partire dalla deviazione dell’ago magnetico di una così detta “bussola delle tangenti di Pouil­let-Weber”, uno strumento che, all’epoca, veniva usato per la determinazione sperimentale delle correnti e, in alternativa, del campo magnetico ter­restre. La soluzione di questo problema richiede costruzioni geometriche e calcoli trigonometrici non banali, che Enrico Fermi svolge in due “fogli di brutta”. Ma ciò che desta, ancor oggi, ammira­zione è lo svolgimento del tema teorico di carat­tere generale. L’argomento viene svolto in sette pagine, in cui vengono discusse la produzione e la propagazione del suono, con un dettaglio ed una profondità di argomentazioni e tecniche ma­tematiche difficilmente riscontrabili anche in stu­denti di Fisica agli ultimi anni dell’università. Come sorgente del suono Fermi sceglie una verga elastica incastrata a una estremità, perfetta mente libera dall’altra, che viene fatta oscillare trasver­salmente, la cui trattazione costituisce, già da sola, un problema non banale di fisica matematica.

Nel trattare tale argomento, Fermi sfrutta a fondo le sue conoscenze di fisico-matematica maturate grazie allo studio approfondito, in particolare, di un testo ponderoso, in due volumi, dei primi de­cenni dell’‘800, il Traité de mécanique di Poisson, pietra miliare nel campo.

Come è ovvio, Enrico Fermi vince il concorso per un posto interno alla Scuola Normale Superiore di Pisa e si iscrive al Corso di Laurea in Fisica dell’Università di questa città. Quattro anni dopo, il 4 luglio del 1922, si laurea, “summa cum laude”, con una tesi sperimentale sulla diffrazione dei Raggi X. Come richiesto dai regolamenti ancora vigenti della Scuola Normale Superiore di Pisa, pochi giorni dopo, il 7 luglio, consegue anche il Diploma di Abilitazione di detta Scuola, con una tesi dal titolo “Un teorema di calcolo delle proba­bilità ed alcune sue applicazioni”. Le eccezionali doti e capacità di Enrico Fermi in ambito scienti­fico sono confermate anche dal fatto che, ancora studente universitario, pubblica diversi lavori teo­rici di Elettrodinamica e Relatività Ristretta, ar­gomento, quest’ultimo, che ben pochi, all’epoca, e non solo in Italia, comprendevano anche solo superficialmente.

Una volta laureatosi, ritorna a Roma, ove incontra il professor Orso Mario Corbino, evento decisivo per la sua futura carriera scientifica, e non solo. Corbino è Senatore del Regno, Professore di Fisica Sperimentale e Direttore dell’Istituto di Fisica della Regia Università di Roma. Corbino, con grande lungimiranza, è interessato allo sviluppo scientifico del suo Istituto e capisce di aver trovato in Fermi l’elemento adatto per il suo progetto. Di­venta subito il nume tutelare del giovane fisico, tanto che, nel 1923, lo fa accogliere nella sua stessa Loggia Massonica, l’”Adriano Lemmi”, al­l’epoca all’obbedienza di Piazza del Gesù, poi pas­sata sotto il GOI dopo la fine della II Guerra Mondiale.

Nello stesso anno, sempre con l’appoggio di Cor­bino, che era anche membro della commissione esaminatrice, ottiene una borsa di studio per l’estero del Ministero della Pubblica Istruzione. Si reca allora, per alcuni mesi a Gottinga, presso quello che diventerà, dopo pochi anni il famoso “Istituto Max Born”. Qui estende la sua rete di co­noscenze con i maggiori fisici del tempo, ma il suo soggiorno risulta, forse, un po’ in anticipo sui tempi dello sviluppo delle conoscenze scientifi­che. Infatti, le importanti ricerche sulla nuova Meccanica Quantistica partiranno solo nel 1925con Werner Heisenberg, e saranno poi estese in collaborazione con lo stesso Born, e Pasqual Jor­dan. Al suo ritorno a Roma, Fermi tiene, per inca­rico, il Corso di Matematica per i Chimici per l’A.A. 1923-1924. Nell’autunno del 1924, usu­fruendo di una borsa di studio della Rockefeller Foundation, si reca per tre mesi a Leida, dove sta­bilisce ottimi rapporti con Paul Ehrenfest, rice­vendo utili stimoli per il suo coinvolgimento in problemi di Meccanica Statistica. La visita a Leida di Fermi è accuratamente preparata da Vito Vol­terra, un altro fisico massone, che si occupa non solo di ottenere l’assenso della Rockefeller Foun­dation per l’appoggio finanziario, ma scrive anche personalmente a H. A. Lorentz per favorire i con­tatti di Fermi con Paul Ehrenfest e con i laboratori sperimentali di Heike Kamerlingh Onnes e Wil­lem Hendrik Keesom. Negli anni accademici1924-25 e 1925-26 Fermi riceve l’incarico di Fisica Matematica e Meccanica Razionale presso l’Uni­versità di Firenze, ove ritrova, fra l’altro, il suo compagno di studi a Pisa, Franco Rasetti. Nel 1926 vince il concorso per la neoistituita cattedra di Fi­sica Teorica presso la Facoltà di Scienze dell’Uni­versità di Roma, voluta proprio per lui da Orso Mario Corbino. In questa nuova sede, Enrico Fermi aggiunge, alla sua instancabile attività di ricerca, anche un’intensa ed encomiabile opera di maestro, con l’intento, sostenuto dal suo nume tu­telare, di creare una Scuola Italiana di Fisica. Si costituisce così, negli anni 1926-38, all’Istituto di Fisica di via Panisperna, il famosissimo omonimo gruppo che vede fisici teorici, quali: U. Fano, B. Ferretti, G. Gentile jr., E. Majorana, L. Pincherle, G. Racah, G. C. Wick, accanto a sperimentali quali: M. Ageno, E. Amaldi, E. Fubini- Ghiron, B.Pontecorvo, E. Segrè.

Il 18 marzo 1929, Enrico Fermi viene nominato trai primi trenta membri della neocostituita Accade­mia d’Italia. Ritroviamo testimonianza della sua soddisfazione per tale nomina in una pagina di un suo quaderno di appunti di ricerca custodito alla Domus di Pisa, ove scrive a caratteri maiuscoli con la matita blu la frase: “A – VII – 18-3-29 – INCIPITVITA NOVA | GAUDEAMUS IGITUR”. Si tratta di

una delle pochissime manifestazioni personali in un quaderno di ricerca di Fermi, dove egli ri­prende, nell’appropriato contesto “accademico”, le parole di un inno goliardico certamente appreso negli anni di studio a Pisa: “Gaudeamus igitur, Iuve­nes dum sumus”. Tra l’altro, una sagace astuzia del Regime era stata quella di garantire agli Accade­mici d’Italia non solo simbolici diritti di prece­denza nelle cerimonie ufficiali (subito dopo il Vice Avvocato Generale dello Stato), ma anche una sorta di congrua prebenda di ben 36.000 Lire annue, corrispondenti a circa il doppio dello sti­pendio di un professore universitario.

Cercare di sintetizzare la vastissima attività scien­tifica di Enrico Fermi, dai primi anni ’20 fino alla data della sua morte prematura, nel 1954 (a causa di un tumore allo stomaco, forse conseguenza, come per molti altri fisici del tempo, proprio dei suoi esperimenti con sostanze radioattive) non è certo compito facile. Possiamo, comunque, tentare di suddividere la sua produzione scientifica in tre distinti periodi, a seconda dei differenti argomenti prevalentemente studiati, nel corso degli anni, da questo eccelso scienziato e grande didatta. I lavori svolti nei primi anni, dal 1921 al 1933, sono circa un’ottantina: oltre ad alcune questioni di Relati­vità Ristretta ed Elettrodinamica, riguardano, es­senzialmente, problemi di Fisica Atomica, Molecolare e dello Stato Solido. Di tali lavori, in­dubbiamente il più importante è quello, scritto a Firenze, sulla statistica di particelle indistinguibili ed anti-simmetriche, come definite all’epoca dallo stesso Fermi, che da allora prende il nome di “Sta­tistica di Fermi-Dirac” (essendo P.A. M. Dirac un altro grande fisico del ‘900 che giunse, per altre vie, alle medesime conclusioni del collega ita­liano). È, poi, sempre dei primi anni ’30 la formu­lazione di Enrico Fermi dell’Elettrodinamica Quantistica secondo un approccio che si rifà a con­cetti che costituiranno la base della così detta “Se­conda Quantizzazione”, usata in tutte le trattazioni successive, fino ai giorni d’oggi, non solo del­l’Elettrodinamica Quantistica, ma di tutta la così detta “Teoria Quantistica dei Campi”. Bastereb­bero, invero, solo questi primi lavori per annove­rare Enrico Fermi tra i grandi scienziati del XX secolo.

Il secondo periodo della sua attività scientifica può essere collocato tra il 1933 ed il 1949. È il pe­riodo della Fisica Nucleare e delle sue applica­zioni, che si apre con, forse, il più celebre dei lavori dello scienziato italiano, quello sulla teoria della disintegrazione “beta” dei nuclei radioattivi(vale a dire con emissione di un elettrone carico negativamente da parte di un nucleo atomico).Teoria, quella di Fermi, che costituisce, ancor oggi, il fondamento delle trattazioni delle così dette “In­terazioni Deboli”. Da questo lavoro, e sotto la spinta delle ricerche dei coniugi Curie a Parigi sulla radioattività indotta su elementi leggeri, “I Ragazzi di via Panisperna”, sotto la guida di En­rico Fermi, giungono, nel 1934, alla scoperta della radioattività artificiale indotta dai “neutroni lenti”. Scoperta per la quale il fisico italiano riceve il Pre­mio Nobel nel 1938.

E questo anche il periodo del “ripensamento” di Enrico Fermi nei riguardi delle posizioni politiche del fascismo in Italia, che culmina, nel 1938, con l’accettazione di una cattedra alla Columbia Uni­versity. Si ricordi che, in quell’anno, sono promul­gate, in Italia, le leggi raziali che colpiscono direttamente la famiglia di Enrico Fermi, la cui   moglie era di origine ebrea. Fermi riceve il premio il 10 dicembre, durante una cerimonia che desta anche scandalo e polemiche in Italia, in quanto il fisico non si presenta, alla consegna del premio, con i paramenti da Accademico d’Italia, ma in semplice tight. Anche la sua “lectio magistralis” ed il discorso alla cena ufficiale di festeggiamento per il conferimento del Nobel vengono giudicati, da molta stampa italiana, assolutamente “poco apologetici” e riguardosi nei confronti dell’Italia. Di fatto, il 2 gennaio 1939 i coniugi Fermi sbar­cano in America ove risiederanno fino alla morte di Enrico Fermi.

In America, Enrico Fermi riprende il suo lavoro di maestro e ricercatore con la stessa “ragionata aggressività” di fronte ai problemi ancora insoluti della nascente Fisica Nucleare del tempo. Fermi pubblica alcuni fondamentali lavori sulla fissione dell’Uranio nel 1939, ma oramai è ben chiaro che se fosse stato possibile innescare una reazione a catena con elementi fissili, questa avrebbe potuto produrre una quantità elevatissima di energia che sarebbe stata possibile impiegare sia per scopi pa­cifici, sia bellici. Intuizione, questa, che forse ebbe, primo fra tutti e con notevole capacità di preveggenza, l’allievo indubbiamente più promet­tente di Enrico Fermi fra “I Ragazzi di via Pani­sperna”, Ettore Majorana che scompare, misteriosamente, senza lasciare alcuna traccia, il26 marzo 1938.

La guerra è già in atto in Europa e si sta esten­dendo in tutto il resto del mondo; i risultati delle ricerche nucleari vengono, pertanto, considerati di importanza militare strategica e secretati. Fermi ed il suo gruppo lavorano per il Governo degli Stati Uniti, prima alla Columbia University, poi, dal1942, all’Università di Chicago, dove, il 2 dicem­bre dello stesso anno, entra in funzione la prima pila nucleare progettata e costruita dal fisico ita­liano. Dopo tale successo, che trasforma la così detta “Neutronica” da un complesso capitolo della Fisica Nucleare in un’importante branca dell’In­gegneria, con notevoli e complesse implicazioni industriali, economiche e sociali, Enrico Fermi si dedica allo sviluppo e perfezionamento della Pila Atomica. Questo fino all’inverno del 1944 quando si trasferisce, in qualità di consulente generale, a Los Alamos, presso i laboratori del così detto “Progetto Manhattan” per la costruzione, sotto la guida di J.R. Oppenheimer, delle prime Bombe Atomiche.

Finita la guerra, Enrico Fermi torna a Chicago ove, nel gennaio 1946, viene nominato Professore e Membro dell’Institute of Nuclear Studies. Istituto che, dopo la sua morte, prenderà il suo nome. A Chicago, Fermi continua, fino al 1949, lo studio delle applicazioni dei “Neutroni Lenti”, ora pro­dotti, con ben maggiore intensità di quanto avve­niva in Italia, per mezzo di un reattore nucleare. Con l’entrata in funzione, nel 1951, del nuovo ci­clotrone da 450 MeV9dell’Università di Chicago, inizia il terzo periodo dell’attività scientifica di Enrico Fermi, questa volta focalizzata allo studio delle proprietà di nuove particelle, i mesoni π,detti anche “Pioni”. Anche in questo nuovo campo Fermi e collaboratori ottengono notevoli risultati: basti ricordare la scoperta della produzione, nel­l’urto pione-protone, della prima, così detta, “ri­sonanza”, poi chiamata, in seguito, (1236).

Anche a Chicago, Fermi affianca la sua attività di ricerca all’opera instancabile di docente, guida e maestro di una nuova generazione di scienziati; egli crea qui, per la terza volta nella sua vita, una nuova scuola di fisica, incentrata sullo studio delle nuove particelle elementari. Tra gli allievi di que­sto periodo spiccano fisici teorici quali: G. Chew, M.L. Goldberger, T.D. Lee, C.N. Yang e fisici spe­rimentali quali: W.O. Chamberlain, A. H. Rosen­feld, J. Orear, J. Steiberger, e C.A. Wattenberg, noti alle generazioni successive di fisici delle par­ticelle elementari. Negli anni del primo dopo­guerra, Enrico Fermi torna anche in Italia. La prima volta, al Congresso Internazionale sulla Ra­diazione Cosmica, che si tiene a Como nell’estate del 1949. Fermi ritorna poi, per l’ultima volta, nella sua patria di origine, nell’estate del 1954 pertenere un corso (indimenticabile per i fortunati partecipanti in quanto a contenuti scientifici e la chiarezza espositiva) sulla Fisica dei Pioni, alla Scuola Estiva di Varenna10. Ma la sua salute è già irrimediabilmente minata. Rientrato a Chicago, si sottopone ad un intervento chirurgico esplorativo che, purtroppo, sancisce il referto nefasto ed ine­luttabile del male che lo consuma già da troppo tempo. Anche in questa circostanza, pianamente consapevole del suo destino, affronta l’ultima prova della sua vita con la sua abituale calma e se­renità. La morte lo coglie nella sua abitazione, nei pressi dell’Università di Chicago, il 29 novembre del 1954.

È molto difficile, e forse anche privo di senso, cer­care di esprimere un giudizio su Enrico Fermi, scienziato, uomo e massone. Come rari altri gi­ganti del passato, quali Newton e Maxwell, da scienziato egli ha saputo riunire, forse ultimo dei grandi, competenze e notevoli capacità sia teori­che, sia sperimentali. Dote, tra l’altro, non co­mune, è stato anche un formidabile didatta, non solo per le sue capacità espositive, la logica del suo pensiero, la sicurezza nel calcolo matematico, ma, soprattutto, per la sua capacità di sviscerare gli argomenti in modo chiaro e completo, senza la­sciare nulla in ombra o esplicitato solo parzial­mente. Alcuni sui testi, quali laTermodinamica12, sono tutt’oggi studiati nei corsi universitari di Fisica. Oltre a circa una decina di testi monografici e specialistici, le sue note e le sue memorie originali sono state raccolte in due vo­lumi di oltre duemila pagine13, che costituiscono il più valido monumento ad un genio quale quello di Enrico Fermi. Dal punto di vista più pretta­mente scientifico, forse, si può osservare come la sua dedizione assoluta alla ricerca abbia fatto sì che egli abbia mostrato uno scarso interesse agli aspetti più epistemologici della Fisica, in gene­rale, e della Meccanica Quantistica in particolare. Ma la sua assenza nel dibattito sulla Filosofia della Fisica, in generale, forse è dovuta anche alla sua prematura dipartita.

Le vicende personali e gli avvenimenti storici hanno fatto sì che ci pervenissero solo scarse prove documentali dell’attività di Fermi come Massone. Resta tuttavia la testimonianza di tutta la sua vita, per chi sappia leggere le doti profonde di Vero Ini­ziato di Enrico Fermi: un’esistenza, la sua, im­prontata alla calma ed alla serenità, dedicata tutta allo studio della Natura, alla ricerca di quelle schegge del Grande Architetto che riverberano nelle pieghe più profonde dell’Universo. Un grande scienziato, come ho scritto, forse l’ultimo dei grandi, capace di coniugare le riflessioni teo­riche con gli aspetti pratici sperimentali, ma anche un grande Maestro, conscio dell’importanza di co­stituire, al di là delle ricerche personali, una va­lida scuola di nuove generazioni di giovani ricercatori. E queste sono, indubbiamente, le te­stimonianze migliori che un Massone possa dare di sé, in tutta la propria vita, ben oltre ed al di là delle ritualità dei Lavori di Loggia.

TRATTO DA MASSOCICAmente n. 21

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