CHE LEZIONE POSSIAMO TRARNE?

Che lezione possiamo trarne?
La prima grande lezione da apprendere è l’umiltà. Umiltà da parte di tutti: intellettuali e politici, credenti e non credenti, governati e semplici cittadini. Siamo tutti limitati. Siamo, insomma tutti creature bisognose di aiuto, di compagnia, di amore, di sostegno. Guai a sentirci onnipotenti! Certo, dopo il coronavirus è più difficile esserlo. E comunque sarebbe dissennato! Ma dobbiamo stare sempre all’erta. E’ indispensabile che ci mettiamo nella condizione di pensare assieme il futuro, riconoscendoci gli uni bisognosi degli altri.

Si pone oggi il tema dell’oltre. Un tema universale, da sempre, e presente in tutte le culture. Quando abitavamo ancora nelle capanne e nelle palafitte, costruivamo le piramidi e tombe di marmo per i morti! Che tragedia aver esculturato la morte! La morte ci porta sulla “soglia del mistero”. Lo spazio di questa soglia accomuna credenti e non credenti. Gli unici che si tirano fuori sono i non-pensati. Chi pensa non può non pensare alla morte come un passaggio. Questa pandemia è un invito pressante ad alzare lo sguardo da un narcisismo avvilente

La solidarietà è la seconda grande lezione da apprendere. Tocchiamo con mano quanto strettamente siamo tutti connessi: anzi, nella nostra esposizione alla vulnerabilità siamo più interdipendenti che non nei nostri apparati di efficienza. Questa congiuntura ha reso ancora più evidente ciò che pure sapevamo, senza farcene adeguatamente carico: nel bene come nel male le conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri. Non ci sono atti individuali senza conseguenze sociali: questo vale per le singole persone, come per le comunità, le società, le popolazioni. Abbiamo scoperto che l’incolumità di ciascuno dipende da quella di tutti. Altro che sovranismo!

Ci stiamo accorgendo che ogni vita è sempre una vita comune, vita in comune con gli altri. Dire, ad esempio, che la mia vita dipende da me è un equivoco dannoso. Sia perché nella realtà non è così. . Noi siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi: dobbiamo accettare queste dipendenze e apprezzare la responsabilità che ce ne rende partecipi e protagonisti. Non c’è alcun diritto che non abbia come risvolto un dovere corrispondente: la convivenza umana è un tema etico, non tecnico. Dobbiamo riconoscere, con emozione nuova e profonda, che siamo affidati gli uni agli altri.

Mai come oggi la relazione di cura si presenta come il paradigma fondamentale della nostra umana convivenza. Il mutamento dell’interdipendenza di fatto in solidarietà voluta non è una trasformazione automatica. Sì, direi che dalla solidarietà oggettiva bisogna passare alla solidarietà come scelta. In questo senso mi pare importante sottolineare l’orizzonte della “fraternità universale” come l’indispensabile obiettivo che già da ora dobbiamo prefiggerci.

La condizione attuale, che ci viene paradossalmente rappresentata anche dalla pandemia, ci mette a confronto con uno dei grandi tabù della cultura contemporanea, la morte. La morte è stata “esculturata” dalla società contemporanea.

Oggi è tornata, in maniera improvvisa e in modalità sconosciuta. E non c’è dubbio che è una occasione per svegliare le nostre coscienze intorpidite da un benessere egocentrico, narcisista. La morte per malattie polmonari, negli anni passati, era molto presente ma non ci ha mai scandalizzato. Le morti per incidenti stradali sono innumerevoli, ma non ci sconvolgono. E così oltre. Questa volta, un piccolissimo e sconosciuto virus ha fatto emergere la paura della morte in tutti. E per di più ha sconvolto gli animi il fatto di morire senza nessuno accanto, senza il conforto dei sacramenti per chi crede, senza il funerale e neppure il posto nei cimiteri. Come non riflettere su questo? È l’altra faccia del limite. È la voce che dice: non siamo immortali.

Ma come oggi la relazione di cura si presenta come il paradigma fondamentale della nostra umana convivenza. Il mutamento dell’interdipendenza di fatto in solidarietà voluta non è una trasformazione automatica. Ma già abbiamo vari segni di questo passaggio verso azioni responsabili e comportamenti di fraternità.

Insistiamo su uguaglianza e libertà, ma la fraternità è spesso lasciata in ombra…
La fraternità è la grande promessa mancata della modernità. Ciò nonostante, anche da un punto di vista delle scienze umane, in tutta la loro articolazione, questa promessa mancata è ciò che rende possibile la libertà e l’uguaglianza. Dire “fraternità” non significa, però, dire qualcosa di scontato. “Fraternità” non è una parola vuota. “Fraternità” richiede una grande battaglia, innanzitutto contro il proprio individualismo, contro l’idolatria di se stessi. È la battaglia più difficile da combattere e da vincere. L’individualismo è il virus compagno del Coronavirus. L’individualismo distrugge tutto. L’individualismo è la grande eresia della modernità.

Certo, la affermazione dell’individuo come soggetto di diritti (ed anche di doveri, sebbene qui si debba intervenire meglio), è stata una grande e irrinunciabile conquista della modernità. La sua deregulation ha condotto ad una sorta di dittatura del’io, dell’ego, che non è estranea al fallimento di questo tempo.

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