ORIANA FALLACI – 2

Oriana Fallaci

Questa non è una intervista. È noto che Oriana Fallaci non ne dà. Questo è un ritratto che nasce dal caso, da una coincidenza inaspettata, (per noi fortunata), nonché da una vecchia amicizia. Il caso che ha portato noi a New York e la Fallaci nella hall dell’hotel dove ci trovavamo entrambi con La Rabbia e l’Orgoglio in mano. L’avevamo entrambi ricevuto dall’editore a Roma trentasei ore prima, cioè nello stesso momento in cui approdava nelle librerie. A New York, invece, non era ancora arrivato e la Fallaci non lo aveva ancora visto.
Individuò subito, da lontano, la copertina rossa con le lettere in oro. L’aveva fatta lei, voluta lei, che anche nelle copertine dei suoi libri è precisa in ogni dettaglio, attenta ad ogni sfumatura. Segno concreto della passione divorante che mette nel lavoro. L’incontro con quelle prime due copie fu irresistibile. Si buttò con impeto su ciò che chiama «il mio piccolo libro». E con il «piccolo libro» raccolse anche noi. Lei che evita sempre tutti, si nasconde sempre da tutti. Era la sera di giovedì 13 dicembre. La stessa in cui fu reso noto il nastro-confessione di Bin Laden. Noi volevamo, dovevamo vederlo. Lei voleva, doveva vederlo. Finimmo a casa sua. Proprio in quella brownstone protetta dai due cancellini e dalla porta che non apre mai. Tutti e tre davanti al televisore. Appiccicati allo schermo, ad ascoltare Bin Laden anzi le risatine che Bin Laden faceva sulle migliaia di morti dicendo: «L’avevamo previsto ma non speravamo in tanto…». E, per commento, la voce della Fallaci. Infuriata, roca, dolorosa. «Maledetto. Maledetto. Maledetto…».
L’indomani ci rivedemmo. Noi, con un registratore. La convincemmo ad accettarlo («Te lo giuriamo: non sarà una intervista!»). Fu una lunga giornata. E, con nostra sorpresa, ci trovammo guidati lungo la stessa strada che lei aveva percorso scrivendo La Rabbia e l’Orgoglio. Perfino nella forma, come vedrete (parentesi, trattini e capitoletti compresi). Poi, lentamente, il discorso si allontanò dalla immediatezza delle attualità, dalle risatine di Bin Laden, dai suoi l’avevamo previsto ma non speravamo in tanto. Man mano, insomma, quel discorso prese la forma d’un ritratto. Il suo ritratto. Un ritratto appassionante.

Appassionante è la vicenda di ciò che impropriamente chiama «piccolo-libro». Anzitutto, quella pubblicazione tanto attesa eppure tanto improvvisa. Poi, l’esorbitante numero di copie vendute. Annunciato soltanto la mattina di martedì 11 dicembre, apparso nelle librerie la mattina del 12, nel tardo pomeriggio del medesimo giorno le duecentomila copie della prima edizione erano esaurite in quasi tutte le città. Da quel momento La Rabbia e l’Orgoglio continua ad essere in ristampa. Dalla tipografia della Rizzoli escono cinquantamila copie ogni giorno. Al momento in cui scriviamo, vigilia di Natale, il libro è arrivato a mezzo milione di copie. Gente che non era mai entrata in libreria e che ora vi entra. Si mette in fila, aspetta il suo turno, e non di rado compra più di una copia… Un fenomeno editoriale mai visto, neppure concepito.
Ma non è neanche il numero delle copie finora vendute che conta. È il fatto che questo libro abbia ridefinito in Italia la concezione del conflitto in corso. Il conflitto tra il mondo occidentale e il mondo islamico. Senza mezzi termini, senza concessioni ai «se» e ai «ma», senza galleggiare nel mare del tutto-è-possibile che per lei è uno dei più gravi difetti dell’Italia, Oriana Fallaci ha affrontato l’argomento con ferrea semplicità. Siamo diversi, ha detto. E, a questo punto, incompatibili. Dietro questa guerra, ha detto, c’è una scelta: quella fra la nostra civiltà e la loro religione. Cioè la scelta fra noi e loro. Finita l’epoca dell’ecumenismo, la sua violenta presa di posizione ha buttato all’aria le ultime vestigia del «politically correct». Ossia quel concetto di inclusione così allargata da divenire perdita di identità. Quell’idea di relatività culturale divenuta per strada relativismo etico. Quella incapacità a decidere e difendere la differenza. (Il verbo «difendere» è il verbo chiave nel discorso della Fallaci e in quel discorso l’argomento diventa un appello).
Dobbiamo davvero meravigliarci che questo appello abbia acceso un tale fuoco di polemiche e consensi? Dobbiamo meravigliarcene in un paese come il nostro, un paese piantato dove inizia il Sud del Mondo, un paese cresciuto nell’equilibrio precario della Guerra Fredda, un paese nel quale gli immigrati mussulmani incutono paura e le cellule di al-Qaida si fanno i passaporti falsi? Perché politici e intellettuali, le due categorie più fustigate dalla Fallaci, non si chiedono i motivi per cui questo libro si vende in modo così esorbitante? Perché non si chiedono a quali domande cercano risposta i cittadini che comprano La Rabbia e l’Orgoglio?
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